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Natalità, -30% di lavoratori entro il 2050 in Italia
La popolazione mondiale diminuisce ogni anno e l’Italia sembra essere la protagonista del fenomeno in Europa. A quanto pare, infatti, nel 2100 si registrerà il primo calo della popolazione mondiale dalla metà del XIV secolo. In alcuni Paesi, la popolazione sarà dimezzata. Questo è quanto è emerso dallo studio di Simona Costagli, Paolo Ciocca e Stefano Ambrosetti, economisti di Bnl Bnp Paribas. Ma scopriamo insieme previsioni e numeri del calo demografico nazionale.
Popolazione in calo: ma ovunque?
Per prima cosa, è bene chiarire che la popolazione mondiale diminuisce, ma non proprio ovunque. Secondo lo studio, infatti, la gran parte della crescita fino al 2050 toccherà 14 Paesi, tutti in Africa e in Asia. Tra il 2050 e il 2100 l’aumento sarà generato dal continente africano, che tuttavia riuscirà solo in parte a compensare il calo atteso negli altri luoghi del mondo. Per semplificare: se si suppone pari a 100 la popolazione nel 2022, l’Africa arriverebbe, considerando il trend attuale, a 278 con il picco di 300 delle regioni subsahariane.
Il caso italiano
Il calo costante della fecondità e l’aumento della longevità hanno fatto dell’Italia uno dei Paesi con la maggiore percentuale di popolazione anziana. In Europa, il calo maggiore a fine secolo avverrebbe proprio qui dove, considerando i tassi di crescita, si scenderebbe a quota 63 (con parametro 100 per la popolazione al 2022), mentre in Francia a 94 e in Germania a 83.
A metà 2023, infatti, il 12,7% dei residenti aveva un’età inferiore ai 14 anni di età; il 63,5% tra 15 e 64 anni; il 23,8% oltre 65 anni. Secondo le previsioni, nel 2050 le tre fasce di età arriverebbero a rappresentare rispettivamente l’11,2, il 54,3 e il 34,5% del totale. Negli Stati Uniti, invece, si registrerebbe un lieve aumento (117) e in India, il paese più popoloso al mondo, si arriverebbe a 109. In Cina, dove già oggi la popolazione tra i 21 e 30 anni è scesa dal picco di 232 milioni del 2012 a 181 milioni nel 2021, il calo dovrebbe accelerare nel corso del decennio 2040, portando il paese con meno di 100 milioni di persone in questa fascia di età per la metà del 2050.
Denatalità, quali conseguenze?
“Calo demografico e graduale invecchiamento comportano contrazione della forza lavoro, della produttività, della capacità innovativa e imprenditoriale”, ha spiegato Simona Costagli. Per quanto riguarda il comparto occupazionale e lavorativo, le proiezioni dello studio annunciano una riduzione del 30% della popolazione in età lavorativa, cioè tra i 20 ai 64 anni, tra il 2023 e il 2050. In Europa, lo stesso fenomeno sarebbe parli a poco più del 21%. Lievemente positiva è attesa la crescita negli Stati Uniti, mentre sarà ancora una volta l’Africa, con una crescita della popolazione 20-64 anni del 117% circa, il bacino della forza lavoro mondiale.
Il ruolo dell’Ai
Secondo gli esperti, un aiuto alla gestione del declino demografico arriverà dalla tecnologica.
Ma quanto e in quali tempi le macchine riusciranno ad imparare a generare nuove idee a supporto dell’uomo? Il dibattito è aperto. Queste dinamiche influenzano negativamente anche il “tasso di imprenditorialità”, la percentuale di popolazione tra i 18 e i 64 anni che gestisce o avvia un’impresa, decisamente più bassa nei paesi con età mediana più alta.
In un contesto dominato dall’età avanzata della popolazione, un’attenzione particolare deve essere prestata alla spesa per le prestazioni sociali. Scrive Paolo Ciocca: “In Italia, la quota di spesa destinata alla vecchiaia si è ridotta dal 55% del 1995 al 47%, rimanendo, comunque, significativa. All’interno dell’Unione europea, solo Grecia e Romania presentano valori più elevati, mentre la media dei 27 si ferma al 40%, con la Francia al 38% e la Germania al 36%. Alla vecchiaia, l’Italia destina il 27,6% del totale della spesa pubblica al netto degli interessi, il valore più alto nell’Unione europea, che, in media, si ferma quasi 5 punti percentuali sotto, con Francia e Germania intorno al 22%”.
Longevità italiana: tra pensioni e sanità
La spesa relativa alle pensioni, intanto, ha già raggiunto i 300 miliardi di euro, che significa poco più del 30% del totale delle uscite delle amministrazioni pubbliche al netto degli interessi. Si tratta del valore più alto nell’ambito dell’Unione Europea la cui media si ferma sotto il 26%, un livello simile alla Francia, mentre la Germania è poco sopra il 24%.
Secondo le stime della Commissione europea riprese, contenute nel Def, in Italia il rapporto tra spesa pensionistica e Pil è destinato ad un aumentare raggiungendo il picco nel 2040, a causa dell’incremento dei pensionati rispetto agli occupati. Ciò avverrà quando i baby boomer abbandoneranno il lavoro senza il dovuto ricambio generazionale.
Nella spesa pubblica per l’invecchiamento rientra anche quella per la sanità. Negli scorsi anni, la spesa ha raggiunto i 135 miliardi (14% del totale al netto degli interessi), circa 2 punti percentuali meno della media dei 27 paesi dell’Unione europea.
“La stima della ricchezza attualmente detenuta dalle classi di età più anziane – ha sottolineato Stefano Ambrosetti, che ha curato proprio la parte della ricerca riservata a demografia e risparmio privato in Italia – lascia pensare che, con gli attuali livelli di consumo e di pensioni, queste classi termineranno il loro ciclo di vita con valori di ricchezza positivi e significativi che si trasferiranno alle generazioni più giovani”.
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Anche gli zii hanno la loro festa
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Immaginate una vita senza zii. Chi sarebbe lì per viziarci, raccontarci storie incredibili e offrirci consigli saggi quando ne abbiamo più bisogno? Chi ci fornirebbe quella combinazione unica di amore incondizionato e divertimento spensierato che solo uno zio o una zia può offrire? Ecco perché, ogni anno, alla quarta domenica di luglio, celebriamo la Giornata Mondiale degli Zii, un’occasione per riconoscere e apprezzare questi straordinari membri della famiglia.
La Giornata Mondiale degli Zii
La Giornata Mondiale degli Zii nasce nel 2009 grazie alla scrittrice canadese Melanie Notkin, autrice del libro “Otherhood”. In questa opera, Notkin ha coniato il termine “PANK”, acronimo di Professional Aunts No Kids, ossia “Zia di professione senza figli”. Un termine che ha rapidamente guadagnato popolarità a livello globale, sottolineando l’importanza e l’unicità del ruolo delle zie nella società moderna.
Il titolo del libro “Otherhood” è un intelligente gioco di parole con “parenthood” (genitorialità), suggerendo che gli zii possono essere considerati come secondi genitori. Il personaggio della saggia zia Savvy, presente nel libro, incarna perfettamente questo concetto, offrendo consigli e supporto ai nipoti senza mai interferire nel rapporto che essi hanno con i loro genitori.
L’impatto delle PANK nella società
La creazione della Giornata Mondiale degli Zii da parte di Melanie Notkin ha portato alla nascita di un movimento che celebra e valorizza il ruolo degli zii nella vita dei nipoti. La sedicesima edizione ufficiale dell’Auntie’s Day si terrà domenica 28 luglio 2024, un appuntamento annuale che riconosce, onora e celebra le zie di sangue e di cuore, le madrine e tutte le donne che amano un bambino non loro.
Un’indagine di qualche anno sulla ‘Generazione PANK’, ha rivelato che il 91% delle Professional Aunts No Kids considera il ruolo di zia “molto importante” mentre l’89% afferma che l’esperienza di essere zia è ancora migliore di quanto si aspettassero. Tuttavia, solo il 28% delle PANK si sente apprezzata dalla società per il ruolo significativo che svolge nella vita dei bambini e nella comunità familiare.
Le zie offrono un supporto fondamentale, aiutando a sviluppare i nipoti attraverso il legame e il gioco. Sono spesso conosciute per i regali e le esperienze uniche che offrono ai bambini, contribuendo anche all’educazione e al benessere economico delle famiglie. Uno studio ha stimato che le PANK spendono collettivamente circa 61 miliardi di dollari all’anno per i bambini che amano, estendendo la loro generosità ben oltre i semplici regali.
Nonostante il loro contributo significativo, le zie rimangono spesso una figura nascosta e poco apprezzata nella società. La Giornata degli Zii è stata creata per mettere in luce questo gruppo di donne amorevoli e generose e per dare loro il riconoscimento che meritano.
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Elon Musk, la figlia transgender è morta? Solo per lui
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La figlia transgender di Elon Musk, Vivian Jenna Wilson, ha denunciato pubblicamente i gravi comportamenti avuti dal padre durante la sua infanzia. Nella sua prima intervista, rilasciata a NBC News, Wilson ha accusato il magnate di essere stato un padre assente e crudele che non ha mai accettato l’orientamento queer di sua figlia.
Elon Musk contro la figlia transgender: cosa ha detto
A far scaturire tutto è stato lo stesso Musk che lunedì scorso, 22 luglio, ha parlato della loro relazione in un’intervista video con lo psicologo e commentatore conservatore Jordan Peterson, trasmessa in diretta su X.
In questa occasione, il Ceo di Tesla ha affermato di non supportare l’identità di genere di Wilson: “Ho perso mio figlio, essenzialmente”, ha detto Musk. Per lui la figlia è “morta, uccisa dal virus della mente woke”.
Musk, padre di dodici figli, ha anche affermato di essere stato “ingannato” quando gli è stata chiesta l’autorizzazione a un trattamento medico transgender per Wilson, all’epoca 16enne.
La risposta di Vivian Jenna Wilson
In seguito a queste gravi dichiarazioni, Wilson ha deciso di rompere il silenzio. Per prima cosa, ha smentito il padre: “Non è stato affatto ingannato. Conosceva tutti gli effetti collaterali” ha ribattuto la giovane ragazza, sottolineando che il consenso dei genitori era necessario per procedere con il trattamento.
Ma sono state soprattutto le affermazioni di totale disconoscimento della figlia ad aver spinto Wilson ad agire: “Penso che lui desse per scontato che non avrei detto niente e che avrei lasciato correre, senza essere contestato. – ha spiegato – Cosa che non farò perché se menti su di me, tipo, sfacciatamente a un pubblico di milioni di persone, non lascio correre.”
L’infanzia difficile di Wilson e il padre assente
Il suo astio, la sua rabbia sono indicative della difficile infanzia avuta da Vivian Jenna Wilson, oggi 20enne. Raccontando le sue esperienze dolorose, Wilson ha svelato il lato oscuro di Musk. Ha raccontato che il padre era raramente presente nella sua vita, lasciando lei e i suoi fratelli sotto la cura della madre o delle tate, nonostante la custodia congiunta: “Era con noi forse il 10% del tempo, e mi sto tenendo larga”, ha spiegato la giovane ragazza.
“Era freddo”, “Si arrabbia molto facilmente. È indifferente e narcisista”. E quando era presente, la rimproverava. Il magnate ha sempre mostrato un forte risentimento nei confronti della figlia, di cui non ha mai accettato il percorso di transizione.
Nell’intervista telefonica all’emittente americana, Wilson ha anche riportato episodi di molestie verbali da parte di Musk, che la rimproverava per il suo comportamento femminile sin dalla tenera età. “Ero in quarta elementare… e lui continuava a urlarmi contro in modo feroce perché avevo la voce troppo alta,” ha raccontato Wilson. “È stato crudele”.
Un rapporto così viziato che, per la ragazza, la pandemia è stata una manna dal cielo. Wilson ha raccontato che il lockdown è stata l’opportunità per sfuggire alla crudeltà di Musk, permettendole di vivere sempre con sua madre. È stata una delle prime cose a cui ha pensato.
I due coming out e il cambio di cognome
Wilson ha rivelato di aver fatto coming out due volte: una volta come gay in seconda media e una seconda volta come transgender a 16 anni. Come per tutte e per tutti coloro che iniziano questo percorso, anche per lei non è stato facile prendere la decision di iniziare il trattamento per la disforia di genere. Un percorso reso ancora più difficile dall’opposizione del padre: Wilson ha ottenuto il necessario consenso di entrambi i genitori, solo dopo mesi di insistenza. è stata difficile il necessario consenso di entrambi i genitori solo dopo mesi di insistenza. “Ci ho provato per mesi, ma lui ha detto che dovevo incontrarlo di persona” ha detto spiegando che “A quel punto, era molto chiaro che entrambi nutrivamo profondo disprezzo l’uno per l’altra”.
Non a caso, porta un cognome diverso da quello del padre. La sua storia ha iniziato ad attirare l’attenzione due anni fa, quando ha chiesto al tribunale della California l’approvazione per cambiare cognome. “Non vivo più con il mio padre biologico e non desidero più essere imparentata con lui in alcun modo, forma o aspetto”, ha affermato nella documentazione depositata in tribunale. Wilson non si aspettava tutto quel clamore mediatico in seguito alla sua decisione.
Oggi non solo riscriverebbe le frasi condivise con il tribunale, ma, alla luce del clamore dato alla notizia, sarebbe ancora più esplicita.
Vivian Jenna Wilson e il percorso di transizione
Il fondatore di SpaceX, notoriamente vicino a Donald Trump, ha persino attribuito la transizione di sua figlia alle proprie posizioni conservatrici. Una teoria che Wilson respinge con forza, spiegando che il trattamento ricevuto le ha permesso di avere la vita che voleva, nonostante i numerosi ostacoli burocratici e personali.
Wilson ha anche criticato la biografia di Musk scritta da Walter Isaacson, definendola inaccurata e ingiusta nei suoi confronti, e ha sottolineato di non essere mai stata contattata direttamente dall’autore prima della pubblicazione.
La figlia di Elon Musk ha concluso l’intervista sottolineando la sua volontà di definire la propria vita e identità senza l’influenza di suo padre: “Vorrei sottolineare una cosa: sono un’adulta. Ho 20 anni. Non sono una bambina,” ha detto. “La mia vita dovrebbe essere definita dalle mie scelte.”
Le controverse posizioni di Musk
Negli ultimi anni, Musk, che a dicembre ha partecipato al Festival di Atreju di Fratelli d’Italia, ha preso una svolta radicale verso la politica conservatrice, conducendo una campagna contro le persone transgender e le politiche progettate per supportarle. Questo mese, ha dichiarato che avrebbe ritirato le sue attività dalla California per protestare contro una nuova legge statale che impedisce alle scuole di richiedere che i bambini transgender facciano coming out con i loro genitori.
Wilson ha dichiarato alla NBC News che per anni aveva pensato di parlare apertamente del comportamento di Musk come genitore e come persona, ma che non poteva più rimanere in silenzio dopo i commenti fatti dal magnate lunedì scorso, in diretta su X.
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Sentenza sui conviventi, cosa cambia per le imprese...
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Cosa significa la sentenza sui conviventi emanata ieri, 25 luglio 2024, dalla Corte costituzionale? Sicuramente una svolta significativa nella tutela dei diritti dei conviventi di fatto.
Con la sentenza n. 148 del 2024 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune norme che non equiparavano i conviventi di fatto ai familiari, escludendoli così dai benefici riconosciuti a questi ultimi nell’ambito dell’impresa familiare.
La sentenza n. 148 del 2024 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 230-bis, terzo comma, del Codice civile, nella parte in cui non includeva i conviventi di fatto tra i familiari che collaborano nell’impresa familiare. Di conseguenza, è stata dichiarata illegittima anche la disposizione dell’art. 230-ter del Codice civile, introdotta dalla legge n. 76 del 2016 (legge Cirinnà), che prevedeva una tutela significativamente ridotta per i conviventi di fatto.
Si è stabilito che il convivente di fatto è un familiare ed è impresa familiare quella con cui collabora.
Come si è arrivati alla sentenza sui conviventi di fatto
La questione è stata portata all’attenzione della Consulta dalla Corte di cassazione alla quale aveva fatto ricorso la convivente di un uomo deceduto. La donna aveva agito in giudizio nei confronti dei figli e coeredi, chiedendo al Tribunale di primo grado di inquadrare l’azienda agricola in cui lavorava come impresa familiare. Da convivente, la donna rivendicava il diritto ad ottenere la liquidazione della sua quota come partecipante all’impresa, per il periodo in cui aveva lavorato nell’azienda di famiglia. Esattamente come accade per i familiari, insomma.
Attenendosi all’art. 230-bis, terzo comma, del Codice civile, il Tribunale di primo grado aveva rigettato l’istanza della donna. Sulla stessa linea si era mossa la Corte d’appello. D’altronde la norma teneva ben distinte le figura del convivente di fatto da quella del familiare; una decisione diversa non sarebbe rientrata neanche nei ranghi di una interpretazione estensiva della norma.
Definizione di conviventi di fatto
Secondo la legge Cirinnà (art. 1, comma 36), i conviventi di fatto sono “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale”. Questa definizione è stata cruciale nel riconoscimento dei loro diritti nell’ambito dell’impresa familiare, ponendo fine a una disparità di trattamento che non era più giustificabile alla luce delle evoluzioni sociali e giuridiche.
Da qui il ricorso della donna alla Suprema corte, con specifico riferimento alla “mancata considerazione delle mutate sensibilità sociali in materia di convivenza more uxorio, oltre che delle aperture della giurisprudenza sia di legittimità e sia costituzionale”.
Nella società moderna, si può trattare diversamente un convivente che magari ha condiviso anni di vita insieme, solo perché i due non sono sposati?
Di fronte a questa richiesta, le Sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno passato la questione alla Consulta, sollevando questioni di legittimità costituzionale della disciplina dell’impresa familiare. La Suprema Corte ha chiesto ai colleghi della Consulta se escludere il convivente di fatto dal novero dei familiari violasse o meno gli articoli 2, 3, 4, 35 e 36 della Costituzione.
La risposta della Corte costituzionale
La Corte costituzionale ha ritenuto fondata la questione, sottolineando come la società italiana sia profondamente cambiata e come la normativa debba evolversi di conseguenza. In questo senso, ricordano i giudici, si sono già adeguate la normativa nazionale e la giurisprudenza costituzionale anche a livello europeo.
La necessità di offrire una protezione speciale al lavoro nell’impresa familiare è stata già parzialmente realizzata con l’articolo 230-bis del Codice civile. Questa disposizione, introdotta con la riforma del diritto di famiglia del 1975, ha un’ampia applicazione, coprendo non solo il coniuge e i parenti stretti dell’imprenditore, ma anche tutti i parenti fino al terzo grado e gli affini fino al secondo grado. Nel 2016, con la legge Cirinnà, a questo elenco sono stati aggiunti anche i soggetti legati da unioni civili.
La Corte costituzionale ha ora stabilito che la cosiddetta “affectio maritalis”, ovvero l’affetto che caratterizza una relazione stabile, attenua l’assoggettamento al potere direttivo dell’imprenditore, tipico del lavoro subordinato, e va riferita anche al convivente di fatto.
Questo riconoscimento implica che, nonostante le differenze formali rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio, i diritti fondamentali come il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione devono essere garantiti anche ai conviventi di fatto, senza discriminazioni.
Una sentenza storica che mira a prevenire situazioni di lavoro gratuito o sottopagato, garantendo una tutela equa a chi contribuisce all’impresa con il proprio lavoro.
Quante imprese familiari ci sono in Italia?
La sentenza acquisisce particolare rilievo perché l’Italia è un Paese fortemente ancorato alle imprese familiari.
Secondo i dati Istat, nel 2022 le imprese italiane controllate da una persona fisica o una famiglia erano più di 820mila, ovvero l’80,9% del totale delle imprese con almeno 3 addetti. Una percentuale molto elevata e in crescita rispetto al 2018, quando le imprese familiari costituivano il 75,2% di quelle con almeno tre dipendenti.
Le imprese familiari sono particolarmente diffuse tra le microimprese (83,3% dei casi) e meno frequente tra le piccole (74,5%), le medie (58,8%) e tra le grandi aziende (41,6%).
A livello settoriale, le imprese familiari sono più diffuse tra le imprese manifatturiere (81,2%), nel comparto delle costruzioni (82,4%), con una forte presenza anche nel comparto dei servizi, raggiungendo l’84,4% nel commercio e l’87,3% nel comparto dell’alloggio e ristorazione.