Cronaca
Tumori ovaio, oncologa Berardi: “Diagnosi precoce...
Tumori ovaio, oncologa Berardi: “Diagnosi precoce bisogno insoddisfatto”
'Test diagnostici e approfondimenti biomolecolari indispensabili per accedere a terapie innovative'
"Accesso tempestivo e coordinato ad un percorso diagnostico, terapeutico ed assistenziale di qualità. E' questo il principale bisogno espresso dalle pazienti con tumore ovarico. Un bisogno insoddisfatto ancora oggi è la possibilità di fare una diagnosi precoce. Purtroppo, il tumore ovarico è una patologia che spesso viene diagnosticata in una fase tardiva e ciò rappresenta sicuramente un limite anche nelle possibilità di cure. Vi sono poi dei bisogni che subentrano nella fase di cura: tra una terapia e l'altra c'è un mondo di necessità delle pazienti che riguardano l'aspetto anche sociale, sanitario, lavorativo, anche al termine delle cure la voglia di tornare ad una vita normale". Lo spiega all'Adnkronos Salute Rossana Berardi, ordinaria di oncologia medica all'Università Politecnica delle Marche, nella Giornata mondiale del tumore ovarico.
"Oggi - sottolinea - sappiamo che per la patologia ovarica è indispensabile pensare a dei test diagnostici e degli approfondimenti biomolecolari che ci permettono anche di poter accedere a delle terapie innovative nell'ottica di un'oncologia di precisione. I geni Brca1 e Brca2, ma anche i test Hrd che vanno a valutare proprio la capacità di riparo del Dna e quindi rappresentano degli importanti bersagli terapeutici, sono indispensabili quando pianifichiamo la strategia di cura delle nostre pazienti. Pertanto è importante che ci siano laboratori di qualità che li possano eseguire e che l'accesso al test sia assolutamente tempestivo e per l'appunto utile per tutte le pazienti".
In merito agli obiettivi dell'Ovarian Cancer Commitment (Occ), un'iniziativa europea promossa da AstraZeneca con Società europea di oncologia ginecologica (Esgo) e la Rete europea dei Gruppi di advocacy sul cancro ginecologico (Engage) per migliorare la gestione dei risultati dei pazienti con carcinoma ovarico, "è una realtà diversificata - evidenzia Berardi - rappresentativa di diversi mondi che a vario titolo si occupano della paziente con tumore ovarico".
L'Occ, rimarca l'oncologa, "ha negli ultimi mesi lavorato alacremente per poter raggiungere un consenso su quelli che sono le necessità e gli obiettivi utili per il percorso di una paziente con questa neoplasia. E quindi alcune conclusioni emerse prepotentemente verranno portate all'attenzione anche delle istituzioni. La possibilità di accedere ad un test che possa, nell'ottica della medicina di precisione, offrire opportunità terapeutiche per i pazienti, così come la possibilità di avere un percorso di monitorato, qualificato, diagnostico e terapeutico di qualità: sono questi alcuni degli obiettivi importanti dell'Ovarian Cancer Commitment", conclude.
Cronaca
Covid fattore di rischio per Alzheimer, l’analisi
"Va ancora capito se può causarlo o solo accelerarlo", ma gli scienziati suggeriscono "antivirali anche nei casi moderati di infezione"
"L'infezione da Sars-CoV-2 dovrebbe essere considerata un fattore di rischio per l'Alzheimer, anche se la distinzione tra causalità e accelerazione della malattia non è chiara". Va ancora capito, in altre parole, se Covid può causare la demenza oppure velocizzarne la comparsa e l'evoluzione. E' la conclusione a cui sono giunti gli autori di un approfondimento sul virus 'Sars-CoV-2 come causa di neurodegenerazione', pubblicato su 'The Lancet Neurology'.
Gli scienziati partono dal presupposto che "le malattie infettive sono una" possibile "causa di neurodegenerazione" già "stabilita, "benché il pericolo neurologico legato alle infezioni virali sia difficile da quantificare". In generale, sottolineano gli esperti, "finora il rischio cumulativo stimato di demenza dovuta a un ricovero ospedaliero per qualsiasi infezione virale nel corso della vita è di 1,48 (intervallo di confidenza 95% 1,15-1,91)". Riguardo al Covid, "uno studio longitudinale sulle conseguenze dell'infezione da Sars-CoV-2 nei decenni" successivi "non è ovviamente disponibile", considerando che la malattia è 'nata' per quanto si sa nel 2019. Tuttavia, i ricercatori citano degli studi i cui risultati indicano che "Covid-19 può determinare un rischio di demenza superiore rispetto all'influenza" e che, "a breve termine, il rischio di danni neurologici gravi come sequela di Sars-CoV-2 è significativo, guidato da meccanismi vascolari e probabilmente da altri processi complessi" che possono coinvolgere la proteina amiloide. Quella che si accumula nelle placche cerebrali caratteristiche dei malati di Alzheimer.
"Una correlazione diretta tra precedente infezione Sars-CoV-2 e aumento del rischio Alzheimer è stata segnalata" e appare "robusta", proseguono gli autori, però "rimane difficile - puntualizzano - distinguere tra casi di demenza ipoteticamente scatenati o solamente accelerati" da Covid. Alcuni punti chiave dell'analisi vengono evidenziati via social dallo scienziato americano Eric Topol, vice presidente esecutivo Scripps Research, fondatore e direttore Scripps Research Translational Institute, che ne pubblica il testo in chiaro rimarcandone in particolare la chiusa: "La terapia antivirale - ritengono i firmatari dell'articolo - dovrebbe essere presa in considerazione anche per le infezioni da Sars-CoV-2 moderate, per ridurre la gravità dei sintomi e limitare la probabilità di sequele".
Cronaca
Chico Forti trasferito oggi da Rebibbia al carcere di Verona
Il 65enne trentino ha fatto richiesta di poter incontrare la madre
Chico Forti, rientrato ieri in Italia dopo 24 anni di carcere negli Usa, è arrivato a Verona intorno alle 13.30 di oggi a bordo di un mezzo della polizia penitenziaria partito stamane da Rebibbia. Forti è stato subito portato al carcere di Montorio dove ha svolto le prime pratiche di rito. Il detenuto ha fatto richiesta di poter incontrare la madre, Maria Loner, di 96 anni. Il 65enne trentino ha inoltrato la richiesta urgente per poter incontrare l'anzana madre.
A Montorio è detenuto, fra gli altri, anche Filippo Turetta e proprio ieri la casa circondariale è stata teatro del pranzo coi detenuti che Papa Francesco ha fatto durante la sua visita alla città.
Forti è atterrato ieri mattina con volo dell’Aeronautica Militare all'aeroporto militare di Pratica di Mare, dove ha incontrato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni che lo scorso marzo, in occasione della sua missione negli Stati Uniti, aveva ottenuto il consenso al trasferimento del connazionale ai sensi della Convenzione di Strasburgo. "Chico Forti è tornato in Italia. Fiera del lavoro del Governo italiano. Ci tengo a ringraziare nuovamente la diplomazia italiana e le autorità degli Stati Uniti per la loro collaborazione", ha poi scritto la premier sui social allegando un'immagine dell'incontro.
"Ho sognato ogni giorno questo momento", ha commentato ieri Forti in un'intervista esclusiva al Tg1 al suo arrivo in Italia. "Mi sono mantenuto così solo per mia madre, spero di vederla presto e darle un grande abbraccio", ha detto. "Rientrare in Italia per me è un passo positivo, cambia tutto, dal personale, la direttrice, le guardie, i vestiti che indosso, che sono italiani. Vorrei ringraziare tante persone, mio zio, Giorgia Meloni, che è stata fantastica, tutto il governo indipendentemente dalle ideologie politiche mi ha aiutato". Fra le persone che vuole ringraziare, ha sottolineato, “non possono non menzionare Andrea, Veronica e Virginia Bocelli perché sono stati incredibili”.
“Per la prima volta non ho un numero, né le manette, è un’altra atmosfera”, ha detto. Al conduttore che gli ricordava come si sia sempre dichiarato innocente, ha risposto: "Certo, è l’unico motivo per cui ho accettato l’estradizione ora, perché all’inizio per avere estradizione dovevo dichiararmi colpevole e non l’avrei mai fatto. E’ contro il mio principio. Vedo sempre il bicchiere mezzo pieno, mai mezzo vuoto, sono positivo e sono convinto che il mio futuro a breve sia come io auspico. Accetto questo passo - ha concluso - so che è un passo obbligatorio”.
Cronaca
Valanga sulle Alpi svizzere, morti 2 scialpinisti lombardi
Le due vittime travolte sul Pigne d'Arolla, tra il Cervino e il Grand Combin
Tragedia sulle Alpi svizzere. Due scialpinisti italiani sono morti travolti da una valanga sul Pigne d'Arolla, tra il Cervino e il Grand Combin. Le due vittime abitavano nella provincia di Lecco.