Cronaca
Sanità, 4,5 mln senza cure. Cei e professioni insieme per...
Sanità, 4,5 mln senza cure. Cei e professioni insieme per salute equa e accessibile
Verso il Giubileo del 2025, presentato oggi il programma di iniziative
In Italia 4,5 milioni di persone non possono curarsi e la spesa privata nel 2022 ha superato i 40 miliardi, i 136 miliardi di euro per il finanziamento del Fondo sanitario nazionale non bastano. E’ quanto emerso oggi a Roma alla presentazione del convegno ‘Le povertà sanitarie in Italia’, del prossimo 10 maggio a Verona, primo di una serie di incontri promossi dalla Commissione episcopale per il servizio della carità e alla salute e dall’ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, la Conferenza episcopale italiana, con le 11 Federazioni e i Consigli nazionali delle professioni sanitarie e sociosanitarie, in avvicinamento al Giubileo della sanità del 2025, di cui è stato presentato il programma di iniziative congiunte.
"Il tema degli esclusi dall’accesso alle cure sta diventando un'emergenza sempre più seria – ha detto don Massimo Angelelli, direttore dell'Ufficio nazionale per la Pastorale della salute (Cei), in apertura dei lavori - Se prima si poteva pensare che riguardasse alcune fasce ridotte di popolazione molto svantaggiate, oggi sappiamo che 4,5 milioni di persone non possono curarsi e che la spesa privata nel 2022 ha superato i 40 miliardi. Ci stiamo allontanando dal dettato Costituzionale che prevede accesso universale alle cure e la gratuità per gli indigenti. Si stanno curando solo i benestanti”. Fnomceo, Fnovi, Fofi, Fnopi, Fnopo, Fno Tsrm e Pstrp, Cnop, Fnob, Fncf, Fnofi, Cnoas, che rappresentano oltre 1,5 milioni di professionisti, hanno condiviso le parole di don Angelelli, che ha condotto la conferenza stampa durante la quale si è delineato il percorso che porterà al Giubileo della Sanità 2025.
Tre tappe distinte per analizzare le principali povertà sanitarie: 10 maggio a Verona, 15 novembre 2024 e 5 aprile 2025 a Roma. Si comincia dunque a Verona, venerdì prossimo con un focus sulla situazione italiana: chi e quanti sono coloro che, nel nostro Paese, non hanno accesso alle cure necessarie o non possono permettersi l’acquisto di farmaci. Esperti del settore, economisti, ricercatori e rappresentanti istituzionali, uniti ai professionisti sanitari e sociosanitari, baluardo della tutela della salute pubblica, discuteranno le soluzioni e le strategie per migliorare l'assistenza sanitaria nazionale per una sanità del futuro più inclusiva.
L'appuntamento del 10 maggio, che si svolgerà all'Università di Verona, vedrà gli interventi del ministro della Salute Orazio Schillaci; del direttore dell'Ufficio europeo per gli Investimenti e lo sviluppo della salute dell'Oms Chris Brown; Silvio Brusaferro, professore ordinario di Igiene generale e applicata all'Università di Udine; Cristiano Camponi, direttore generale dell'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (Inmp); Americo Cicchetti, direttore generale della Programmazione sanitaria al ministero della Salute; Alberto Siracusano, coordinatore del Tavolo di lavoro tecnico sulla salute mentale del ministero della Salute, Ketty Vaccaro, sociologa e responsabile dell'Area welfare e salute del Censis.
Per seguire la conferenza del 10 maggio, in diretta streaming, è possibile collegarsi al canale YouTube della Cei, a partire dalle 15.
Cronaca
Covid fattore di rischio per Alzheimer, l’analisi
"Va ancora capito se può causarlo o solo accelerarlo", ma gli scienziati suggeriscono "antivirali anche nei casi moderati di infezione"
"L'infezione da Sars-CoV-2 dovrebbe essere considerata un fattore di rischio per l'Alzheimer, anche se la distinzione tra causalità e accelerazione della malattia non è chiara". Va ancora capito, in altre parole, se Covid può causare la demenza oppure velocizzarne la comparsa e l'evoluzione. E' la conclusione a cui sono giunti gli autori di un approfondimento sul virus 'Sars-CoV-2 come causa di neurodegenerazione', pubblicato su 'The Lancet Neurology'.
Gli scienziati partono dal presupposto che "le malattie infettive sono una" possibile "causa di neurodegenerazione" già "stabilita, "benché il pericolo neurologico legato alle infezioni virali sia difficile da quantificare". In generale, sottolineano gli esperti, "finora il rischio cumulativo stimato di demenza dovuta a un ricovero ospedaliero per qualsiasi infezione virale nel corso della vita è di 1,48 (intervallo di confidenza 95% 1,15-1,91)". Riguardo al Covid, "uno studio longitudinale sulle conseguenze dell'infezione da Sars-CoV-2 nei decenni" successivi "non è ovviamente disponibile", considerando che la malattia è 'nata' per quanto si sa nel 2019. Tuttavia, i ricercatori citano degli studi i cui risultati indicano che "Covid-19 può determinare un rischio di demenza superiore rispetto all'influenza" e che, "a breve termine, il rischio di danni neurologici gravi come sequela di Sars-CoV-2 è significativo, guidato da meccanismi vascolari e probabilmente da altri processi complessi" che possono coinvolgere la proteina amiloide. Quella che si accumula nelle placche cerebrali caratteristiche dei malati di Alzheimer.
"Una correlazione diretta tra precedente infezione Sars-CoV-2 e aumento del rischio Alzheimer è stata segnalata" e appare "robusta", proseguono gli autori, però "rimane difficile - puntualizzano - distinguere tra casi di demenza ipoteticamente scatenati o solamente accelerati" da Covid. Alcuni punti chiave dell'analisi vengono evidenziati via social dallo scienziato americano Eric Topol, vice presidente esecutivo Scripps Research, fondatore e direttore Scripps Research Translational Institute, che ne pubblica il testo in chiaro rimarcandone in particolare la chiusa: "La terapia antivirale - ritengono i firmatari dell'articolo - dovrebbe essere presa in considerazione anche per le infezioni da Sars-CoV-2 moderate, per ridurre la gravità dei sintomi e limitare la probabilità di sequele".
Cronaca
Chico Forti trasferito oggi da Rebibbia al carcere di Verona
Rientrato ieri in Italia dopo 24 anni di carcere negli Usa, il 65enne trentino ha lasciato il penitenziario romano
Chico Forti trasferito oggi nel carcere di Verona. Rientrato ieri in Italia dopo 24 anni di carcere negli Usa, il 65enne trentino ha lasciato, a quanto si apprende, il penitenziario romano di Rebibbia per raggiungere Verona su un mezzo della polizia penitenziaria.
Il detenuto è atterrato ieri mattina con volo dell’Aeronautica Militare all'aeroporto militare di Pratica di Mare, dove ha incontrato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni che lo scorso marzo, in occasione della sua missione negli Stati Uniti, aveva ottenuto il consenso al trasferimento del connazionale ai sensi della Convenzione di Strasburgo. "Chico Forti è tornato in Italia. Fiera del lavoro del Governo italiano. Ci tengo a ringraziare nuovamente la diplomazia italiana e le autorità degli Stati Uniti per la loro collaborazione", ha poi scritto la premier sui social allegando un'immagine dell'incontro.
"Ho sognato ogni giorno questo momento", ha commentato ieri Forti in un'intervista esclusiva al Tg1 al suo arrivo in Italia."Mi sono mantenuto così solo per mia madre, spero di vederla presto e darle un grande abbraccio" ha detto. "Rientrare in Italia per me è un passo positivo, cambia tutto, dal personale, la direttrice, le guardie, i vestiti che indosso, che sono italiani. Vorrei ringraziare tante persone, mio zio, Giorgia Meloni, che è stata fantastica, tutto il governo indipendentemente dalle ideologie politiche mi ha aiutato". Fra le persone che vuole ringraziare, ha sottolineato “non possono non menzionare Andrea, Veronica e Virginia Bocelli perché sono stati incredibili”.
“Per la prima volta non ho un numero, né le manette, è un’altra atmosfera” ha detto. Al conduttore che gli ricorda come si sia sempre dichiarato innocente, risponde: "Certo, è l’unico motivo per cui ho accettato l’estradizione ora, perché all’inizio per avere estradizione dovevo dichiararmi colpevole e non l’avrei mai fatto. E’ contro il mio principio. Vedo sempre il bicchiere mezzo pieno, mai mezzo vuoto, sono positivo e sono convinto che il mio futuro a breve sia come io auspico. Accetto questo passo – conclude - so che è un passo obbligatorio”.
Cronaca
Valanga sulle Alpi svizzere, morti 2 scialpinisti lombardi
Le due vittime travolte sul Pigne d'Arolla, tra il Cervino e il Grand Combin
Tragedia sulle Alpi svizzere. Due scialpinisti italiani sono morti travolti da una valanga sul Pigne d'Arolla, tra il Cervino e il Grand Combin. Le due vittime abitavano nella provincia di Lecco.