Guardare in rete, comprare in negozio: le abitudini di acquisto degli italiani
Nel panorama del consumo contemporaneo, caratterizzato da una crescente digitalizzazione e dall’inarrestabile ascesa del commercio online, emerge una tendenza peculiare che sfida le previsioni più ortodosse: l’affermazione del negozio fisico come punto di riferimento per gli acquisti. Nonostante la sempre maggiore presenza di piattaforme digitali e la comodità degli acquisti online, i consumatori europei sembrano mantenere un forte legame con l’esperienza offerta dai negozi tradizionali.
In questo contesto mutevole, il rapporto “The State of Shopping 2024”, condotto da ShopFully e Offerista Group, emerge come una radiografia accurata delle abitudini di acquisto dei consumatori in Europa, offrendo preziosi spunti di riflessione su come il settore retail stia affrontando le sfide dell’era digitale.
La situazione economica e i cambiamenti nei consumi
Il 2023 è stato un anno caratterizzato da turbolenze economiche in Europa, con l’aumento dell’inflazione che ha inciso pesantemente sui consumi. Questo scenario ha spinto i consumatori a cercare strategie di risparmio e a rivedere le proprie abitudini di spesa, concentrando gli acquisti sulle necessità primarie e limitando le spese superflue.
In Italia, il potere d’acquisto è diminuito significativamente, con il 25% della popolazione che si trova in difficoltà economica. Questo dato rappresenta un aumento del 15% rispetto all’inizio del 2022, evidenziando una situazione di crescente precarietà economica per molte famiglie italiane.
E le prospettive per il 2024 non sembrano essere particolarmente rosee agli occhi dei consumatori europei. Secondo il sondaggio, il 58% ritiene che il proprio potere d’acquisto non migliorerà nel corso dell’anno, mentre solo il 33% si dichiara ottimista e afferma di continuare comunque a risparmiare.
In questo contesto di incertezza economica, emerge chiaramente la necessità per i consumatori di adottare strategie di risparmio e di cercare convenienza nei propri acquisti.
Il ruolo della sostenibilità
Un altro aspetto chiave emerso dal sondaggio riguarda l’importanza crescente attribuita alla sostenibilità da parte dei consumatori europei. Sebbene il 53% degli italiani intervistati ritenga molto importante che i prodotti che acquista siano sostenibili, solo il 40% è disposto a pagare un prezzo più elevato per questo tipo di prodotti.
Questa discrepanza tra l’importanza attribuita alla sostenibilità e la disponibilità a investire in prodotti sostenibili riflette una delle sfide principali per il settore retail nel prossimo futuro: trovare un equilibrio tra offrire prodotti sostenibili e mantenere prezzi competitivi per soddisfare le esigenze dei consumatori.
Il ritorno al negozio fisico
Nonostante la crescente digitalizzazione del processo di acquisto, il negozio fisico rimane il preferito dai consumatori europei, con il 92% che lo predilige per l’esperienza sensoriale e la possibilità di toccare i prodotti prima dell’acquisto. In Italia è il 95% degli acquirenti che preferisce i negozi fisici, con una netta preferenza per categorie specifiche di prodotti come alimentari e bevande, cura del corpo e della casa e arredamento.
Tuttavia, nonostante la predilezione per il negozio fisico, il digitale gioca un ruolo sempre più importante nella fase di ricerca di informazioni pre-acquisto. L’83% dei consumatori europei utilizza canali digitali come i volantini online e i siti dei brand per informarsi sui prodotti e sulle promozioni prima di recarsi in negozio.
Le promozioni continuano a giocare un ruolo cruciale nel processo di acquisto dei consumatori europei, con il 94% che le considera un fattore determinante nella scelta di acquistare un prodotto. In Italia, la percentuale sale addirittura al 98%, evidenziando la grande importanza attribuita alle promozioni nella cultura degli acquisti italiani.
In un contesto economico in cui la convenienza è diventata una priorità per molti consumatori, le promozioni rappresentano un’opportunità per i retailer di attirare clienti e di incentivare gli acquisti, anche di prodotti nuovi o meno conosciuti.
Con il 2024 che si preannuncia come un anno di sfide economiche, il settore retail si trova a navigare tra tradizione e innovazione, con l’obiettivo di soddisfare le esigenze di un consumatore sempre più esigente e informato.
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Solo un neogenitore su tre si sente pronto al nuovo ruolo
Diventare genitori è una sfida che sempre meno italiani sono pronti ad affrontare. Tra le cause della grave denatalità che colpisce il Paese, i giovani denunciano lo scarso supporto psicologico offerto dal Ssn, che, complici gli stipendi bassi, lo scarso equilibrio vita-lavoro e una società sempre più esigente, li allontana dalla scelta di avere figli.
Come rilevato da una ricerca Nestlé, in Italia solo un neogenitore su tre (32%) si sente pronto ad affrontare il nuovo ruolo, mentre sei su dieci (60%) vorrebbero un supporto psicologico per gestire dubbi e pressioni tipiche della genitorialità.
Per rispondere a queste esigenze, l’azienda ha lanciato un progetto innovativo in collaborazione con Unobravo, offrendo un percorso psicologico gratuito e personalizzato ai neogenitori o a chi si prepara a diventarlo.
L’importanza del benessere emotivo per la famiglia
Lo studio “Genitori ai primi passi” , condotto con il supporto di YouGov, ha coinvolto oltre 1.100 genitori e futuri genitori, esplorando il loro stato mentale e fisico. I dati evidenziano come la genitorialità sia spesso accompagnata da incertezze e pressioni, aumentando il bisogno di supporto emotivo. In un periodo dell’anno in cui la famiglia assume un ruolo centrale, Nestlé sottolinea l’importanza di creare un ambiente sereno, a beneficio non solo dei genitori ma anche dei bambini.
Nestlé offre ai neogenitori l’opportunità di accedere a un percorso psicologico personalizzato. Dopo un questionario iniziale e un colloquio conoscitivo gratuito con uno psicologo di Unobravo, i partecipanti possono usufruire di tre sedute aggiuntive completamente finanziate dall’azienda. L’iniziativa è pensata sia per supporto individuale sia di coppia, con l’obiettivo di promuovere un benessere duraturo e un migliore equilibrio emotivo.
L’impegno per i primi mille di vita del bambino
Questa iniziativa si inserisce nell’impegno di Nestlé di sostenere le famiglie durante i primi mille giorni di vita del bambino, un periodo cruciale per lo sviluppo fisico e mentale come dimostrano diversi studi scientifici. Il periodo che va dal concepimento ai primi due anni di vita del bambino è la base per un corretto sviluppo fisico e psicologico del bambino e della sua longevità. Soprattutto in questa fase, un’alimentazione sana e il benessere psicologico sono i pilastri per il futuro del bambino e la serenità dell’intera famiglia.
Da questa consapevolezza parte l’iniziativa di Nestlé: “In questo periodo così speciale, siamo felici di offrire un supporto concreto a chi sta affrontando il meraviglioso, ma spesso sfidante, viaggio della genitorialità. Attraverso questa iniziativa in sinergia con Unobravo, vogliamo supportare il benessere emotivo e psicologico di chi affronta paure e incertezze. Questo è il nostro regalo per rendere il Natale ancora più significativo e per costruire insieme un futuro sereno”, ha spiegato Manuela Kron, Head of Corporate Affairs di Nestlé Italia.
Il valore del supporto psicologico
Anche Unobravo, con la sua esperienza nel benessere psicologico, ha sottolineato l’importanza di questa collaborazione con le parole di Davide Uberti, Partner Sales and Client Success Director:
“Crediamo fermamente che il benessere psicologico sia la base per una genitorialità sana e appagante. Per questo, insieme a Nestlé, desideriamo essere al fianco dei neogenitori in questo viaggio tanto straordinario quanto complesso, fornendo loro il supporto necessario per affrontare al meglio le sfide e vivere questa esperienza unica con maggiore serenità e consapevolezza”.
Un Natale all’insegna del benessere familiare
Durante il periodo natalizio, l’iniziativa vuole ricordare che il miglior regalo per i propri figli è una famiglia serena. Offrendo strumenti pratici e un supporto psicologico mirato, Nestlé e Unobravo puntano a creare un impatto positivo sul benessere dei genitori e, di riflesso, dei bambini. Rimuovere le barriere alla genitorialità è il primo passo per riempire le culle. E la paura di diventare genitori è una barriera ancora sottovalutata.
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Tokyo introduce la settimana corta per rilanciare la...
Il Giappone vuole introdurre la settimana lavorativa corta come risposta alla crisi demografica. Quello di Tokyo sarà un esempio prezioso per tutti quei Paesi, Italia in primis, che da tempo cercano una soluzione alle culle vuote senza trovare la chiave giusta. Stipendi troppo bassi, servizi all’infanzia carenti e uno scarso work-life balance sono tutte concause della crisi demografica. La sfida per gli Stati è trovare il canale preferenziale, quello su cui insistere con più determinazione per ripopolare le culle.
Tokyo ha scelto la sua strada: per contrastare la denatalità introdurrà la settimana lavorativa di 4 giorni per incoraggiare le coppie giapponesi ad avere figli in un momento in cui il tasso di fertilità del Paese è ai minimi storici.
La crisi demografica in Giappone
L’anno scorso in Giappone ci sono state solo 727.277 nascite, il numero più basso di sempre. Mentre le case si svuotano, il governo nipponico cerca una soluzione partendo dal particolare contesto culturale del Paese.
I dati suggeriscono che una principali della denatalità può essere proprio la cultura della produttività a tutti i costi, che spesso porta i giapponesi a lavorare ben oltre le 40 ore a settimana. Questo è lo stesso Paese in cui è nato il fenomeno degli hikikomori, ragazze e ragazzi giovanissimi che si rinchiudono in casa soprattutto perché non si sentono all’altezza della società e delle sue richieste.
In Giappone, il divario di genere occupazionale è più alto che in altre nazioni ad alto reddito: nel 2023 ha lavorato il 55% delle donne contro il 72% per gli uomini (dati Banca Mondiale). Il controsenso è solo apparente. Molte donne giapponesi non lavorano perché i ritmi produttivi rendono impossibile conciliare il lavoro e la famiglia, generando un aut aut che non fa bene né all’economia, né alla natalità né tanto meno al senso di soddisfazione per la propria vita.
Relazione tra work-life balance e natalità
La difficoltà della materie non consente risposte tranchant, ma alcuni studi danno degli indizi interessanti.
L’Ocse ha condotto diverse ricerche significative sull’impatto delle politiche di work-life balance sul tasso di natalità e sulla qualità della vita delle famiglie. Ne è emerso che esiste una correlazione tra l’adozione di politiche di conciliazione vita-lavoro e l’aumento dei tassi di fertilità. I Paesi che garantiscono un accesso più equo al mercato del lavoro per entrambi i genitori, orari flessibili e politiche di supporto alla genitorialità tendono a registrare tassi di fertilità più alti rispetto a quelli che non implementano tali misure. Parliamo di Paesi del Nord Europa come Svezia e Norvegia, dove esistono sistemi consolidati di congedo parentale retribuito e ampi servizi di assistenza all’infanzia.
La ricerca Ocse sottolinea che la denatalità è influenzata da una combinazione di fattori: stress lavorativo, difficoltà economiche e la percezione di un’insufficiente supporto da parte delle istituzioni. Non a caso il Giappone dove i turni lavorativi sono molto lunghi e la cultura aziendale eccessivamente rigida, ha il tasso di fertilità più basso al mondo. La settimana lavorativa di 4 giorni, recentemente annunciata a Tokyo come misura pilota, è forse l’ultima carta a disposizione del governo.
Ma perché finora non si è andato in questa direzione?
La risposta è semplice: si teme che la settimana di 4 giorni porti a un calo della produttività. Questa paura accomuna tutti quei Paesi che non hanno ancora registrato grandi aperture verso la settimana corta. Tra questi rientra l’Italia, che però ha fatto un piccolo (e per ora solo formale) passo prevedendo la possibilità di adottare la settimana corta nel settore pubblico.
La settimana corta aumenta la produttività
Ma la settimana corta è davvero nemica della produttività? Uno studio comparativo sui Paesi Ocse evidenzia che la settimana corta non solo migliora la qualità della vita, ma persino la produttività complessiva. Alla base di questo (inatteso) risultato ci sarebbe la maggiore lucidità mentale dei lavoratori, come dimostra il più ampio studio sulla materia, pubblicato nel 2023 da 4 Day Week Global e dal centro studi britannico Autonomy.
I risultati hanno dimostrato che durante il periodo di prova le entrate delle aziende hanno registrato un incremento medio dell’1,4%. Analizzando il confronto tra il fatturato dei sei mesi di sperimentazione e un periodo equivalente con la settimana lavorativa di cinque giorni, gli autori dello studio hanno rilevato un aumento del fatturato medio pari al 35%. Questi risultati suggeriscono che la produttività non solo non è diminuita, ma ha beneficiato del cambiamento. Non a caso, 18 delle 61 aziende coinvolte nel test hanno subito adottato la settimana corta come scelta definitiva.
Dopo sei mesi, il 39% dei dipendenti intervistati ha riferito di sentirsi meno stressato, mentre il 71% ha segnalato una riduzione del livello di burnout, una forma di stress cronico particolarmente dannosa. Sono stati registrati miglioramenti in ansia, stanchezza e qualità del sonno, con un generale beneficio per la salute fisica e mentale. Le assenze dal lavoro sono diminuite del 65%, passando da una media di due giorni al mese a 0,7 giorni per dipendente. Il che, va da sé, aumenta la produttività aziendale e diminuisce la spesa pubblica.
Durante il periodo di prova, il numero di dipendenti che ha lasciato il proprio posto di lavoro si è ridotto del 57%. Il 15% degli intervistati ha dichiarato che accetterebbe persino una riduzione del salario pur di non tornare alla settimana lavorativa di cinque giorni.
Le riflessioni affrontate nell’indagine sono utili a tutti quei Paesi, come l’Italia, che presentano una grave crisi demografica. I dati sulla denatalità italiana dimostrano che le culle non si riempiono senza un cambiamento radicale. Intanto, il Paese perde 150.000 lavoratori all’anno per la crisi demografica e l’economia rischia di cadere sotto la scure di un minaccioso effetto domino.
Lo studio, che ha coinvolto 2.900 dipendenti tra giugno e dicembre 2022, ha registrato un impatto fortemente positivo sul loro work-life balance. Il 54% dei dipendenti ha affermato di aver gestito più facilmente gli impegni familiari e di cura, mentre il 62% ha migliorato il bilanciamento tra lavoro e vita sociale.
Molti lavoratori hanno espresso una maggiore soddisfazione nella gestione del tempo, delle finanze e di vivere meglio le relazioni personali. Che, giova ricordarlo, non sono mai un dettaglio quando si parla della scelta di avere o non avere figli.
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‘Cyber-Gesù’ ti ascolta, l’intelligenza artificiale arriva...
In principio era il Verbo. Ora è un algoritmo. Se pensavate che la spiritualità fosse l’ultimo baluardo immune dall’invasione tecnologica, la Svizzera vi farà ricredere. Nella parrocchia Peterskapelle di Lucerna, il confessionale ha fatto un salto nel futuro: al posto del classico prete, troverete un ologramma di Gesù, pronto a rispondere ai dubbi dell’anima in ben cento lingue. Non assolve i peccati, ma promette consigli e conforto.
Come spiega la chiesa, i fedeli possono avere un’esperienza intima e sacra con un Cristo virtuale che ascolta e risponde da dietro la grata di un classico confessionale. Non solo, ma grazie a uno schermo, tra i fori della grata è anche visibile il volto (presunto) del Figlio di Dio.
Quando il confessionale si fa hi-tech
In duemila anni di storia la Chiesa – e i fedeli – ne ha viste tante, ma il cyber-Gesù che ‘confessa’ mancava. Finora. Per arrivarci, c’è voluta l’Intelligenza Artificiale, che ormai dilaga ovunque e svela le sue potenzialità praticamente in qualsiasi campo, anche quello spirituale che sembrava poter essere immune proprio per la sua natura intima e sacra.
Il progetto (artistico e temporaneo) si chiama ‘Deus in machina’ e prevede che sia proprio Gesù a ‘confessare’ il fedele, grazie a un’intelligenza artificiale creata da informatici e teologi dell’Immersive Realities Research Lab della Lucerne University of Applied Sciences and Arts. L’AI celeste è stata addestrata sul Nuovo Testamento e offre risposte in linea con la fede cristiana (o almeno dovrebbe: al momento non si sono registrati casi di ‘deviazioni’, ma una cantonata è sempre in agguato).
Ma i fedeli come hanno preso questa novità?
Più di mille fedeli (e curiosi) al confessionale virtuale
Intanto in due mesi più di mille persone, tra cui turisti provenienti da tutto il mondo, hanno provato l’esperienza sacra, ponendo al Gesù-AI domande e dubbi. E già questo denota sia una certa curiosità da parte delle persone sia la potenzialità di avvicinare alla religione che un sistema del genere potrebbe avere.
Quanto ai risultati, secondo quanto riportato dai media svizzeri almeno due terzi di chi ha testato il Gesù 2.0 ha dichiarato di aver vissuto un’esperienza “molto spirituale”, e anche sorprendente per la sua facilità. Non solo, ma il Cristo-AI ha anche dispensato molti consigli e ha consolato. Uno dei suoi punti di forza è che può farlo 24 ore al giorno, a differenza di un prelato ‘vero’. La parrocchia di San Pietro sostiene infatti che un giorno chatbot simili potrebbero sostituire almeno in parte il clero, dimostrando che nessuno può dirsi al sicuro.
Non tutti credono nel miracolo dell’IA
Ovviamente non tutti sono soddisfatti: per alcuni le risposte del cyber-Gesù erano troppo generiche, asettiche o superficiali, o legate a luoghi comuni. Qualcuno ha criticato l’uso stesso dell’immagine di Gesù e del confessionale per un esperimento simile, mentre per altri è stato difficile avere una “conversazione sincera” con un’immagine digitale. Senza contare che la fede è una materia delicata che, come sostenuto da diverse voci, non dovrebbe essere affidata a una macchina, che peraltro potrebbe anche generare risposte incompatibili con gli insegnamenti della Chiesa.
Rimane infine aperto il problema della privacy: dove finisce e per quanto tempo si conserva ciò che le ‘orecchie’ virtuali hanno ascoltato? Il Gesù virtuale, insomma, rispetta il ‘segreto del confessionale’, come da sempre sono tenuti a fare i preti in carne e ossa?
Un esperimento che fa riflettere
Va detto che l’obiettivo dell’installazione era proprio quello di stimolare la riflessione, soprattutto sui limiti della tecnologia nel contesto della religione, come chiarito da Marco Schmid, teologo della Peterskapelle: “Quello che stiamo facendo qui è un esperimento, l’obiettivo è far sperimentare alle persone un’esperienza con l’intelligenza artificiale. Sarà una base di partenza per discutere sul tema e capire meglio questa tecnologia applicata alla religione”.
Insomma, il cyber-Gesù non mira a rubare il lavoro al clero, ma in ogni caso potrebbe aprire nuove porte alla spiritualità del futuro. La rivoluzione, in effetti, potrebbe essere vicina: come spiega la Peterskapelle in un comunicato, “l’IA potrebbe essere in grado di rispondere a domande individuali e affrontare preoccupazioni in modo molto specifico personalizzando i riferimenti biblici, spirituali o teologici, spesso in modo più veloci e più completo di un pastore umano“.