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Buttafuoco: “In tempo di guerra Biennale è luogo di pace”

Il neo presidente fa appello agli artisti, ai saggi e all’aristocrazia del pensiero per “far fronte alla catastrofe”

Buttafuoco:

(dall’inviato Paolo Martini)

“Questa non è solo la Biennale Arte. In tempo di guerra è necessario ed è urgente che i saggi, gli artisti, l’aristocrazia del pensiero facciano fronte alla catastrofe incontrandosi, parlandosi, misurandosi nella dialettica, io me ne assumo la responsabilità. E vi dico che questa Biennale è uno strumento di pace, è l’agone dove misurare la vicinanza tra i popoli, le culture, le religioni e le più irriducibili differenze. E la Biennale – me ne assumo la responsabilità – deve diventare il punto alto di intersezione dove concorrano i raggi di una stessa luce”. E’ nel segno della pace che il presidente della Biennale di Venezia, Pietrangelo Buttafuoco, ha inaugurato la 60/a Esposizione Internazionale d’Arte dal titolo “Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere”, a cura del brasiliano Adriano Pedrosa.

Il ‘messaggio’ delineato da Buttafuoco, con la Biennale “luogo e strumento di pace”, ha incassato un lungo e caldo applauso: per lui tante strette di mano e complimenti al termine della conferenza di pre-apertura con la stampa internazionale. E oltre a far commuovere a tratti la platea di giornalisti con il racconto di alcuni apologhi, Buttafuoco è stato apprezzato anche per le citazioni che ha voluto riservare nel suo discorso ufficiale: il filosofo tedesco Ernst Jünger; il presidente francese François Mitterand e il cancelliere Helmut Kohl sancirono simbolicamente la fine della secolare ostilità bellica tra Francia e Germania; il gigante del pensiero illuminista Immanuel Kant, autore del saggio “Per la pace perpetua”; il deputato democristiano all’Assemblea Costituente Giorgio La Pira, “sindaco santo di Firenze” che durante la Guerra Fredda convocava nella sua città “I convegni per la pace nel mondo”; il parlamentare comunista Pio La Torre, tra i primi protagonisti nella lotta alla mafia in sede legislativa.

“Come siamo arrivati a questo punto? Non possiamo ignorare l’ospite silente che incombe nel cuore di tutti noi e la domanda è: come siamo arrivati a questo punto?”, ha esordito Buttafuoco facendo riferimento alla guerra che è tornata a insanguinare l’Europa e il Medio Oriente. E ha offerto un fotogramma ben preciso, risalente al 22 settembre 1984, in occasione della cerimonia per il 70º anniversario dell’inizio della Prima guerra mondiale: Kohl e Mitterrand mano nella mano nella Foresta Nera che vanno a rendere omaggio all’ultimo soldato insignito della Croce di ferro, Ernst Jünger, “che è anche autore di un libro che è parola, viatico, futuro, e la parola è ‘pace’. Ed è a lui che Kohl e Mitterrand consegnano il suggello di pacificazione di una guerra che non ha mai avuto fine tra i loro popoli – la Francia e la Germania – e sono mano nella mano entrambi per rendere onore all’ultimo soldato la cui parola di destino è pace”.

Buttafuoco ha poi ricordato che “nel prossimo 2025 tutti noi saremo chiamati a segnare una distanza dal 1795. È l’anno di pubblicazione della ‘Pace perpetua’ di Kant, e chissà il prossimo anno dove saremo arrivati, chissà quale ‘clausola salvatoria’ – questo è quello che detta Kant – avrà modo di riparare i danni dell’ospite che oggi è in tutti noi. Noi non ci possiamo rassegnare di avere smarrito il dovere di pace quando, arrivando a questo punto, già sappiamo di non poter fare tesoro della fatica operosa di un Giorgio La Pira, quando nella sua Firenze convoca da tutto il mondo i nemici irriducibili per costringerli al dialogo. E quindi come siamo arrivati a questo punto se una persona come Pio La Torre, un martire, giustamente ricordato nel suo luogo, ovvero nel Parlamento della Repubblica Italiana, oggi di certo non avrebbe voce, sarebbe considerato, in virtù della sua battaglia di pace, un nemico, e quindi additato come un nemico interno al servizio dello straniero?”

“Noi non possiamo fare finta di niente – ha continuato Buttafuoco – e oggi che la 60/a edizione della Biennale d’Arte trova nel titolo ‘Stranieri Ovunque’ questa vertigine dell’ignoto e ci conduce ben oltre la contemporaneità, ci impone anche di dismettere definitivamente la dimensione internazionale, perché la contemporaneità cede nel qui e ora dell’accadimento che non è evento e quel che ci riguarda è il futuro. L’internazionale, questa parola, riflettiamoci, è come una sorta di centrino dimenticato nel tiretto di un mobile in disuso e tarlato, perché non c’è altro orizzonte che l’universale ed è l’esatta misura che Adriano Pedrosa ha chiamato a Venezia – città unica al mondo dove ogni straniero da sempre trova domicilio: le geografie dimenticate, il ritorno alla ‘res extensa’, il riverbero plurale di una bellezza altrimenti dimenticata, esclusa, cancellata”.

Il presidente della Biennale di Venezia ha ringraziato Adriano Pedrosa perché “nel suo lavoro ha ritrovato la bussola che ci consente di interpretare il paradigma a cui siamo chiamati, che non è quella di un’epoca di cambiamento ma un cambiamento d’epoca. Pedrosa viene dal Sud America e conosce bene la collocazione dei punti cardinali e sa che queste forme, che sono simboli, si sono antropizzati. E lo sappiamo: il nord se ne sta in testa con tanto di cappello e il sud è possibilmente a piedi scalzi. È straniero dunque l’essere straniero tra gli stranieri, a piedi scalzi, è il viandante in cammino tra i percorsi più impervi, è il mendicante i cui stracci spesso servono a nascondere la presenza di un Dio ed è quel nume sconosciuto a se stesso da cui gemma da sempre il rinnovarsi delle stirpi”.

Buttafuoco è poi planato sull’attualità più stringente, sul conflitto tra Israele e Palestina che si è allargato anche all’Iran: “Non possiamo fare finta che non sia successo niente. Il Padiglione di Israele che decide di non aprire, nell’assoluto della verità, capovolge l’atto estremo scelto dell’artista nel mettersi in opera della verità, il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, e questo per dirlo con Magritte, non è un padiglione, è un fatto d’arte. È il genio dell’arte che sa trovare risposta”.

Buttafuoco poi ha fatto salire una stupita emozione nel Teatro dell’Arsenale raccontando l’apologo del gelato, non prima di aver detto: “Senza dimenticare che in questa città, presso la meritoria Fondazione Cini nell’isola di San Giorgio, sovietici e americani si incontravano per scongiurare quella guerra che a farla oggi, immaginarla oggi, è soltanto catastrofe. E non dimentichiamo la vergogna delle università dove è stato censurato il corso di Paolo Nori dedicato a Dostoevskij, perché qui si apre, si riapre, qui non si boicotta nessuno”.

Questo il racconto del gelato recitato con trasporto emotivo dal presidente della Biennale: “In Libano, a Beirut, predicava un tempo l’Imam Musa al-Sadr, ascoltato, adorato, una sorta di Gandhi. Dove arrivava raccoglieva la vibrante presenza di quello spirito e sentimento che è pace: era quello il momento di una guerra terribile che è ancora oggi presente, che non possiamo ignorare e sono giorni in cui, accanto ai combattimenti e ai massacri, si scatena una epidemia. A Beirut era molto amato un gelataio, un gelataio cristiano, amato da tutti, faceva gelati squisiti, ma sapete com’è l’odio, la menzogna, sapete come funziona quello che abbiamo ancora addosso oggi, la propaganda. Comincia a spargersi la voce che sia lui ad aver diffuso l’epidemia, che sia lui l’untore e quindi serpeggia quel sentimento pericoloso per le comunità e per gli stranieri, per lui che è straniero: a poco a poco c’è una tensione così alta che in un venerdì di preghiera l’Imam Musa al-Sadr, ovviamente fatto sparire, sequestrato e cancellato da questa terra, nella sua predica del venerdì infiamma tutti i cuori di amore, di pace, di benedizione, lancia il suo monito e quando alla fine sono tutti presi di vibrante commozione per questa parola ‘su di lui la pace’, al termine del suo sermone, invitando tutti dice ‘e adesso andiamo a prendere tutti un gelato’, e li conduce tutti dal gelataio consegnando a lui, con il suo gesto, l’atto riparatore, la conferma e la consapevolezza che quello straniero trova domicilio nella comunità di tutti nel segno del gelato. E adesso andiamo a prendere tutti il gelato”.

Prima di concludere il suo discorso, Pietrangelo Buttafuoco ha fornito un accenno di quella che sarà la sua Biennale facendo riferimento al suo predecessore: “Il mio grazie va al mio complice, amico, nonché maestro, Roberto Cicutto, della cui semina nel gemmare di tutto io faccio raccolta senza nulla disperdere. Grazie a tutta la squadra della Fondazione la Biennale di Venezia che è innanzitutto per me cattedra di spirito critico, di immaginazione ed è potenza di vivo segno”.

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