Malattie rare: mese consapevolezza Fabry, rapper Blind la racconta ai giovani
Aiaf e Chiesi Global Rare Diseases Italia.presentano il brano del rapper Blind ‘Un pezzo di te’
"Ciao mi chiamo Fabry e ti sto osservando mentre stai piangendo…". Sono queste le parole con cui inizia 'Un pezzo di te', brano inedito scritto dal rapper Blind per raccontare la malattia di Anderson-Fabry, una grave e complessa patologia genetica rara che colpisce principalmente il cuore, ma anche reni e cervello, riducendo così l'aspettativa di vita fino a 30 anni. Una canzone emozionale, che infonde coraggio e speranza e che accompagna anche il Fabry Awareness Month, dando così ufficialmente il via alla campagna di sensibilizzazione 'Do Re Mi Fabry', promossa dall'Associazione italiana Anderson-Fabry (Aiaf Aps) con il contributo non condizionato di Chiesi Global Rare Diseases Italia. L'obiettivo è raggiungere attraverso un brano musicale fresco e di impatto un vasto pubblico, soprattutto di giovani, per raccontare cos'è la malattia di Anderson-Fabry e lanciare un messaggio di speranza: far sentire meno sole tutte le persone che convivono con i sintomi di questa patologia genetica rara che spesso è invisibile agli occhi degli altri. (Video)
"Quando si parla di una malattia rara come la malattia di Anderson-Fabry - spiega Stefania Tobaldini, presidente di Aiaf Aps - non è mai semplice trovare le giuste leve comunicative, che consentano di far conoscere la patologia e raccontare in modo adeguato il vissuto delle persone che ne sono colpite. Da sempre la nostra associazione è impegnata nella costruzione di campagne che permettano la divulgazione e la sensibilizzazione su larga scala, specialmente in occasione del Fabry Awarness Month, anche esplorando diversi canali di comunicazione per raggiungere un pubblico significativo. La preziosa collaborazione con Blind quest'anno ci offre la straordinaria opportunità di arrivare anche a un pubblico più giovane attraverso il potente mezzo della musica. Siamo molto emozionati per il lancio di 'Un pezzo di te' e ringraziamo Blind per la sensibilità nei confronti delle persone che convivono con la malattia di Fabry e per aver dato voce a chi, nell'affrontare la malattia, si sente spesso sopraffatto dalle fatiche e dall'indifferenza di chi non ne comprende i sintomi, portando allo stesso tempo un messaggio di fiducia e resilienza".
Il brano, il cui videoclip è visibile sul canale YouTube di Aiaf - riporta una nota - nasce dall'incontro tra Blind e le famiglie Fabry, in occasione di un Campus organizzato dall'Aiaf che si è tenuto a Bologna lo scorso novembre 2023. Il rapper è stato invitato in qualità di ospite per ascoltare le storie dei pazienti, familiari e caregiver da cui trarre spunti per un brano sulla patologia. Un momento unico e speciale di confronto e di condivisione, ricco di emozioni per tutti i partecipanti. Nei mesi successivi l'artista ha avuto modo, con il costante accompagnamento dell'associazione, di dedicarsi alla composizione del brano 'Un pezzo di te'. Un lavoro frutto di studio e immedesimazione che gli ha permesso di cogliere tante piccole sfumature del vissuto dei pazienti, dai sintomi fino alle emozioni più profonde.
"Ciao mi chiamo Fabry e ti sto osservando mentre stai piangendo/e so che riesci a sentirmi/molte volte sai di essere invisibile/mentre tu ci provi/ci riprovi e ci riprovi/tu mi stai lasciando un pezzo di te/ma noi non siamo soli quando siamo fuori/perché tutto cambia ma ora tu lo affronti". Parole tratte dal brano di Blind, che spiega: "Quando mi approccio a un nuovo lavoro cerco di farlo subito mio. Per me è stato fondamentale entrare a contatto con le storie delle persone che vivono con una malattia rara perché mi hanno aiutato a capire meglio quali sono le loro paure, le emozioni che provano nei confronti della malattia e le loro speranze". 'Un pezzo di te' "parla del coraggio di reagire nonostante la propria condizione - prosegue l'autore - e sprona a non sentirsi soli anche se il mondo fuori a volte ti tratta come se fossi invisibile. Spero che il messaggio di questo brano arrivi forte perché a me è arrivato dritto al cuore".
"Con la campagna 'Do Re Mi Fabry', attraverso il linguaggio universale della musica vogliamo parlare con un tono nuovo della malattia di Anderson-Fabry, favorendo uno scambio comunicativo profondo tra chi convive con la patologia, i famigliari e coloro che invece non la conoscono - dichiara Alessandra Vignoli, Head of Mediterranean Cluster di Chiesi Global Rare Diseases - Come azienda, ci impegniamo a sostenere la comunità delle persone che vivono con una malattia rara e di chi se ne prende cura, con progettualità che utilizzano un linguaggio universale come quello della musica. In questo modo possiamo raccontare storie di speranza, di sfide e di trionfi, e promuovere una maggiore empatia e accettazione della patologia".
La malattia di Fabry è una patologia genetica rara che fa parte di un gruppo di patologie chiamate malattie da accumulo lisosomiale. In particolare, è causata dalla carenza totale o parziale dell'enzima lisosomiale alfa-galattosidasi A, necessario per la degradazione di alcuni lipidi di cui il più rappresentato è lo sfingolipide chiamato globotriaosilceramidere, abbreviato come GL-3 o Gb3. L'accumulo di Gb3 nei tessuti viscerali e nell'endotelio vascolare di tutto l'organismo può comportare danni a livello renale, cardiaco e del sistema nervoso centrale tali da compromettere qualità e aspettativa di vita. I sintomi sono dolori, anche molti forti, agli arti (acroparestesie dolorose), febbre, stanchezza e intolleranza agli sforzi, al caldo e al freddo eccessivi, talvolta anche disturbi dell'udito e della vista, sintomi non specifici che rendono piuttosto difficile la diagnosi che può arrivare in età adulta, anche con grande ritardo. Per la conferma diagnostica non invasiva di malattia di Fabry sono fondamentali il dosaggio enzimatico dell'alfa-galattosidasi A e il test genetico basato sul sequenziamento del gene Gla.
Salute e Benessere
“Farmaco contro il cancro inaccessibile, mio padre in...
“Due anni fa, a mio padre è stato diagnosticato un cancro alla prostata metastatico. Dopo cicli di chemioterapia, radioterapia e un intervento chirurgico, la malattia è progredita in modo aggressivo. L’ultima speranza per fermarne l’evoluzione risiede nella terapia radiometabolica con Lutezio-177 Psma, un farmaco approvato dall’Ue, dall’Aifa e dall’Ema. Tuttavia, in Italia questo farmaco, sebbene approvato, rimane di fatto inaccessibile per molti pazienti”. A lanciare l’appello è Alessandra Marenga per il padre Giuseppe, “un medico chirurgo d’urgenza del Policlinico Umberto I (Roma) e docente universitario dell’Università La Sapienza”. La volontà è “portare alla ribalta una questione che riguarda non solo la nostra famiglia, ma anche tanti altri malati oncologici in Italia”.
“Il trattamento in Italia – ricostruisce la figlia – è disponibile solo attraverso o trial clinici (gratuiti, sperimentazioni su un farmaco non sperimentale) oppure con costi proibitivi che devono essere anticipati interamente (oltre 130.000 euro per sei sedute), e nel contempo i tempi di attesa per l’approvvigionamento del farmaco da parte degli ospedali possono arrivare a 4-5 settimane, un lasso di tempo insostenibile per pazienti nelle condizioni critiche di mio padre”, precisa Alessandra. Pertanto “abbiamo deciso di avviare la terapia in Austria, a Innsbruck, dove i costi sono più bassi (15.000 euro per seduta) e il trattamento verrà iniziato con urgenza il 16 dicembre. Per coprire le spese, abbiamo aperto un crowdfunding” su GoFundMe.
“Tuttavia – osserva Marenga – questa situazione mette in evidenza delle problematiche più ampie: il paradosso di un farmaco approvato che rimane ‘sperimentale’ in Italia; l’onere economico e burocratico che grava sulle famiglie, anche per diritti sanciti dall’Unione europea, come l’assistenza sanitaria transfrontaliera; le tempistiche incompatibili con le esigenze dei malati oncologici in stato avanzato. La nostra famiglia ha esaurito i risparmi e si trova a fronteggiare non solo la malattia, ma anche un sistema che rende difficile accedere all’unica terapia salvavita che rimane”.
“Il caso di mio padre – continua la figlia – è emblematico: un uomo che ha dedicato la sua vita alla sanità pubblica, sostenendo il diritto universale alla cura, oggi si vede costretto a chiedere aiuto per accedere a un trattamento che gli spetterebbe di diritto”.
“Il fatto che mio padre Giuseppe non possa richiedere l’anticipo del Tfs perché l’Inps ha esaurito i fondi, e che la famiglia debba restare senza reddito per almeno 55 giorni tra il termine del lavoro e il primo percepimento della pensione, evidenzia le criticità del sistema che quindi priva Giuseppe di accedere all’unica e ultima terapia di cui necessita”, rimarca Alessandra Marenga. E poi “il fatto che i tempi burocratici di richiesta dell’assistenza transfrontaliera siano lunghi, per i quali Giuseppe intanto deve cominciare la terapia con le sue risorse. Sono tutti problemi di enorme portata”. Problemi che la figlia solleva, non solo per suo padre.
“Sta suscitando una certa apprensione l’appello lanciato dalla figlia di Giuseppe Marenga, docente universitario dell’Università Sapienza e medico del Policlinico Umberto I di Roma, che ha aperto un crowdfunding per sostenere le cure del padre, malato di cancro alla prostata metastatico”, scrivono in una nota i deputati del Movimento 5 Stelle Andrea Quartini e Gaetano Amato. “L’ultima speranza per fermare l’evoluzione della malattia risiede nella terapia radiometabolica con Lutezio-177 Psma, un farmaco approvato dall’Ue, dall’Ema e dall’Aifa, ma che in Italia attende ancora il completamento dell’iter del costo e rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale, diventando di fatto inaccessibile per molti pazienti. Il trattamento è disponibile con certezza solo affrontando costi proibitivi, pari a oltre 130mila euro per sei sedute, che devono essere anticipati interamente”, affermano.
“E allo stesso tempo, l’attesa per l’approvvigionamento del farmaco da parte degli ospedali possono arrivare a 4-5 settimane. Un tempo insostenibile per i pazienti, che a volte, come nel caso del professor Marenga, si vedono costretti a recarsi all’estero con molta fretta, non riuscendo quindi nemmeno a ottenere il riconoscimento dell’assistenza sanitaria transfrontaliera, che consentirebbe un supporto finanziario dell’Asl sui viaggi e sui costi delle terapie – rimarcano i deputati M5S – Abbiamo presentato un’interpellanza al ministro della Salute Schillaci per spingerlo a intervenire sul caso del professor Marenga e di tutti gli altri cittadini italiani che si trovano nella sua situazione, potenziando l’accessibilità alla terapia necessaria, accelerando i tempi del riconoscimento dell’assistenza sanitaria transfrontaliera e valutando se in questo genere di casi sia possibile garantire le necessarie cure con oneri a carico dei bilanci delle Regioni”.
Salute e Benessere
Test per mutazioni genetiche nel cancro del colon-retto, al...
Per tutto il mese di dicembre, iniziativa promossa da EuropaColon Italia Aps
In Italia nel 2023 ci sono state circa 50.500 nuove diagnosi di tumore colorettale e nel 30% circa dei casi la malattia si è manifestata in presenza di metastasi a distanza al fegato e ai polmoni; ed è proprio in questi casi che i test molecolari sono indispensabili, perché consentono di analizzare le caratteristiche genetiche del tumore e pianificare, quindi, un trattamento personalizzato. Determinante la prevenzione: 'Ci sono test che fanno perdere tempo. Altri invece te lo fanno guadagnare'. Questo è il messaggio chiave che EuropaColon Italia Aps, con il supporto non condizionante di Pierre Fabre Pharma, diffonderà sui suoi canali social ufficiali (in primis Facebook e YouTube, oltre a X) in occasione della campagna di sensibilizzazione denominata 'The Infinite Test'. Una campagna per far conoscere alla più ampia popolazione i test per l’individuazione di mutazioni genetiche nei tumori del colon-retto metastatici e che si svolgerà per tutto il mese di dicembre attraverso i principali social media. Su Facebook e Twitter con #CampagnaTheInfiniteTest #testmutazionigenetiche.
Una diagnosi di tumore del colon-retto metastatico è una notizia molto dolorosa sia per i pazienti che per i loro familiari ma oggi, grazie ai progressi della ricerca medica, è possibile affrontare un percorso di cura con schemi terapeutici personalizzati basati proprio sull'individuazione di mutazioni molecolari 'bersaglio' contro cui indirizzare farmaci mirati, nel pieno rispetto della medicina personalizzata. La campagna, attraverso i classici giochi passatempo che circolano nei social media, si propone di attirare l'attenzione degli utenti mettendoli alla prova con quiz divertenti studiati apposta per la campagna. Il gioco sarà il veicolo che porterà a rivelare il messaggio chiave: l'importanza dei test molecolari per l’individuazione delle mutazioni genetiche nei tumori del colon-retto metastatici. L’obiettivo è raggiungere quante più persone possibili, tramite il meccanismo semplice ma coinvolgente denominato 'infinite test', trasformando ciascuno di noi in ambasciatore della campagna grazie alla condivisione dell’iniziativa con familiari e amici.
"La prognosi a lungo a termine e le prospettive di guarigione anche in caso di tumore del colon-retto al IV stadio, nel corso degli ultimi anni, sono significativamente migliorate grazie alla disponibilità di trattamenti all'avanguardia come l'immunoterapia e la target therapy, che a loro volta si basano su test che permettono di definire i tumori attraverso il loro profilo genetico e molecolare”, sottolinea il presidente di EuropaColon Italia Aps Roberto Persiani, professore associato di Chirurgia Generale presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma e Responsabile dell'Uos di Chirurgia Mininvasiva presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, insieme a Laura Lorenzon, componente del Consiglio direttivo di EuropaColon Italia Aps e Dirigente Medico della Uoc di Chirurgia Generale presso la Fondazione Policlinico Gemelli.
“La malattia metastatica rappresenta una delle sfide più complesse per i medici, che si trovano ad affrontare non un unico tumore al colon-retto, ma una varietà di tumori con caratteristiche e risposte terapeutiche differenti. – commenta Charles Henri Bodin, Ceo Pierre Fabre Pharma in Italia – È fondamentale che le aziende farmaceutiche continuino a investire nella ricerca di terapie innovative capaci di colpire target specifici. Questi target devono essere identificati attraverso test molecolari, i cui risultati devono però arrivare tempestivamente, soprattutto nei casi di malattia avanzata.”
I “test infiniti” saranno disponibili sul sito www.infinitetest.it per tutta la durata della campagna invece sul sito www.europacolon.it rimarrà sempre attiva la pagina di approfondimento sui test molecolari per l’individuazione di mutazioni genetiche sui tumori colorettali con tutte le informazioni utili per pazienti, caregivers e tutti coloro che desiderano un approfondimento.
Salute e Benessere
Allarme cardiobesità, chili di troppo causa di oltre metà...
Girovita conta più del peso
I chili di troppo hanno un forte impatto sulla nostra salute, soprattutto di quella del cuore che rischia di più se l’eccesso di peso perdura nel tempo: il peso è responsabile di oltre la metà delle malattie cardiache. Ma più della bilancia conta il grasso viscerale che è possibile misurare con l’indice di rotondità, dato dal rapporto tra misura del girovita e altezza, e che potrebbe essere un fattore predittivo del rischio cardiovascolare. Lo ricordano gli esperti della Società italiana di cardiologia (Sic), riuniti a Roma dal da oggi al 15 dicembre per l’85º congresso nazionale. L'invito è 'dare peso al peso' e considerare l’impatto della bilancia sullo stato di salute generale e del cuore in particolare, tanto strettamente correlati da essere definiti con il solo termine di 'cardiobesità'.
Infarto e ictus, ma anche scompenso cardiaco e fibrillazione atriale dipendono direttamente dai chili in eccesso che affliggono 4 italiani su 10 obesi o in sovrappeso, spesso per molti anni, con una probabilità maggiore di sviluppare complicanze cardiovascolari per ogni anno vissuto con un eccesso ponderale. Gli obesi presentano un rischio di fibrillazione atriale di quasi il 50% più alto rispetto agli individui normopeso, del 64% di andare incontro a infarto e ictus e del 30% di sviluppare scompenso cardiaco. Un quadro complessivo allarmante che ha spinto la Società europea di cardiologia a collocare l’Italia, nel recente documento di consenso sulla prevenzione cardiovascolare, tra i Paesi a rischio intermedio, anziché basso, come Francia e Spagna, proprio per i tassi di sovrappeso e obesità più elevati della media europea, con il 33% degli italiani in sovrappeso e il 12%, circa 6 milioni, obesi.
"Oggi parliamo ormai di cardiobesità per sottolineare lo stretto e pericoloso legame tra eccesso ponderale ed eventi cardiovascolari. In quest’ottica va condannato il body shaming ma non va ‘normalizzata’ l’obesità perché è una malattia cronica di per sé che causa l’insorgenza di oltre la metà delle malattie cardiache, come amplificatore del rischio cardiovascolare sia in modo mediato che diretto", dichiara Pasquale Perrone Filardi, presidente Sic e direttore della scuola di specializzazione in malattie dell’apparato cardiovascolare dell’Università Federico II di Napoli.
Per ogni 2 anni in più vissuti con peso extra rischio più alto del 7%
L’eccesso adiposo, continua Perrone Filardi, "non solo potenzia i fattori di rischio tradizionali come pressione alta, colesterolo, trigliceridi e diabete di tipo 2, ma comporta anche un incremento dell’infiammazione generale e del grasso viscerale con l’irrigidimento delle arterie (aterosclerosi) che possono aumentare il rischio di coaguli di sangue e causare ictus". Anche la durata dell’obesità pesa sul cuore "proprio a causa della progressiva calcificazione coronarica e convivere con i chili in eccesso per decenni, ma anche solo per qualche anno, può fare la differenza per la salute di arterie e coronarie", afferma Ciro Indolfi, past-president della Sic e professore straordinario di Cardiologia all’Università della Calabria di Cosenza .
Infatti, "per ogni 2 anni vissuti in condizioni di obesità, aumenta del 7% il rischio e la mortalità per malattie cardiovascolari, come infarto e ictus", come emerge da una review pubblicata di recente su Frontiers in Cardiovascular Medicine, condotta dall’Università Sapienza e dall’Irccs San Raffaele di Roma, nella quale si fanno riferimento ai dati relativi a 5036 individui di età compresa tra i 28 e i 62 anni, seguiti e monitorati per rischio cardiovascolare ogni 2 anni, per oltre 30 anni. "È importante sottolineare, però, che basta un calo di peso di 1 kg su 10 per ridurre del 21% il rischio di eventi cardiovascolari maggiori nei successivi 10 anni", afferma Francesco Barillà, presidente della Fondazione Cuore siamo Noi della Sic. A confermarlo, uno studio pubblicato su The Lancet Diabetes & Endocrinology condotto su circa 5 mila pazienti con età compresa tra 45 e 76 anni.
“Si tratta di un obiettivo realistico che può rientrare tra i buoni propositi per il nuovo anno – aggiunge -, perché perdere anche solo il 10% del proprio peso permette a chi ha un po’, o tanti chili di troppo, di raggiungere una condizione di 'fitness metabolico', cioè di migliorare o riequilibrare tutta una serie di alterazioni conseguenti all’eccesso di peso, come glicemia, trigliceridi e grassi nel sangue che si traducono in una riduzione del rischio cardiovascolare”.
Indice di rotondità è in grado di prevedere il rischio cardiovascolare
Anche la distribuzione del grasso corporeo conta ."Più esposti a rischio cardiovascolare i soggetti a 'mela', che accumulano il grasso sull’addome, con girovita superiore agli 88 centimetri nelle donne e ai 102 centimetri negli uomini, rispetto a chi è a 'pera', con deposito di grasso su fianchi e cosce. Ma, per la salute del cuore, il girovita deve essere, soprattutto, circa la metà dell’altezza, un rapporto misurato dall’indice di 'rotondità' (Bri – Body Roundness Index) che, offrendo informazioni più precise rispetto all’indice di massa corporea proprio perché considera, grazie alla curva ellittica personale anche il grasso dell’addome, è in grado di prevedere il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari", spiega Perrone Filardi.
A dirlo è una ricerca pubblicata sul Journal of American Heart Association e condotta dal Centre for Diseases, Control and Prevention dell’Università di Nanchino su quasi 10.000 persone, con età media di 58 anni all’inizio dell’osservazione, durata sei anni. Sono state rilevate le misurazioni e dettagliati i cambiamenti delle variazioni dell’ovale tra pancetta e altezza dei partecipanti. Dall’analisi dei dati è emerso che, rispetto al gruppo con livelli di Bri bassi, il rischio di malattie cardiovascolari con livello di Bri moderato aumenta del 22% e sale addirittura al 55% nei gruppi con livello di Bri alto. "Tanto più la misura del girovita si avvicina all’altezza, tanto maggiore sarà la 'rotondità' e, di conseguenza, più alto il rischio cardiovascolare. Ad esempio, se un individuo è alto 170 centimetri e il suo girovita supera i 110 centimetri, il Bri sarà elevato e il rischio cardiovascolare risulterà raddoppiato rispetto a quello di un individuo con Bri normale", evidenzia Barillà.
L’obesità, hanno ricordato gli esperti, oggi può considerarsi 'trattabile', grazie a nuove classi di farmaci che si sono rivelati, o si potrebbero rivelare, molto efficaci non solo sulla perdita di peso, ma anche sulla riduzione dell’incidenza di infarto ictus e dei fattori di rischio cardiovascolari. Tra questi è da poco disponibile in Italia tirzepatide, tra gli ultimi trattamenti più promettenti, recentemente autorizzato da Aifa contro l’obesità associata a diabete di tipo due.