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Cortei, Meloni: “In Italia ci sono professionisti del...

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Cortei, Meloni: “In Italia ci sono professionisti del disordine pubblico”

La presidente del Consiglio: "Solidarietà a forze ordine. No lezioni su stato polizia dalla sinistra"

Giorgia Meloni - (Afp)

"Voglio esprimere solidarietà per le nostre forze di polizia, ci sono campagne denigratorie che di tanto in tanto vengono fuori". Così la premier Giorgia Meloni, ospite di 'Dritto e rovescio' su Rete 4, sui quanto è accaduto ai cortei di Pisa e Firenze affermando che in Italia "ci sono dei professionisti del disordine pubblico". "Dal 7 ottobre abbiamo avuto oltre mille manifestazioni a sostegno della Palestina, in Italia il diritto di manifestare viene garantito - sottolinea - Nel 97% dei casi non c'è stato alcun problema, nel 3% ci sono state criticità, e eventualmente le responsabilità si sanzionano".

"Le lezioni sullo stato di polizia dalla sinistra italiana, no. Quando i manganelli volavano alle contestazioni alla Festa dell'Unità andavano bene, e quando si sparava con gli idranti addosso ai lavoratori seduti a terra sono stati tutti zitti. Questa gente le lezioni sulla democrazia non me le venga a fare", ha quindi detto.

Dalle elezioni regionali alle Europee passando per l'Ucraina e la vicenda sul presunto dossieraggio. Sono stati molti gli argomenti toccati da Meloni durante l'inrervista. "Noi vogliamo arrestare i bambini? La sinistra lo vada a dire alla madre del musicista di Napoli, ammazzato per il parcheggio di un motorino", ha detto la premier riferendosi alle misure contenute nel decreto Caimano, parlando di baby gang.

"Con l'elmetto ci dormo anche, perché si sta vedendo di tutto. Quando noi abbiamo vinto le elezioni i nostri avversari scommettevano sul fatto che avremmo fallito, che avremmo affossato il Pnrr e siamo la prima nazione per i progetti attuati... Sta uscendo la natura livorosa dei nostri avversari, da qui alle elezioni accadrà un po' di tutto, a me però interessa il consenso degli elettori", ha quindi affermato Meloni.

"Io cerco di dare risposte ai problemi degli italiani, alla Nazione, loro, a sinistra, si preoccupano di quanto successo 70 anni fa", ha detto ancora aggiungendo: "Farmi dare lezioni da Conte che ha detto che per finire la guerra Zelensky deve mettersi in giacca e cravatta? Anche, no. Non prendo lezioni dall'armocromista di Zelensky".

Quanto alla vicenda del presunto dossieraggio "è molto brutta, semplice da spiegare: alcuni funzionari dello Stato accedono a banche dati con dati sensibili, utilizzate per combattere la mafia, che servono per mandare dossier ai giornali, come a Di Benedetti, per lanciare campagne di fango su politici ritenuti avversari". "Sono metodi che si usano nei regimi, è una cosa gravissima, penso più ampi di quanto stiamo vedendo. Dobbiamo sapere per quali interessi sia fatto", ha aggiunto Meloni chiedendo: "Si deve andare fino in fondo, serve di capire chi sono i mandanti, conoscerne nome e cognome". "Sorprende che qualcuno difenda quanto è accaduto trincerandosi dietro la libertà di stampa", ha affermato quindi.

Parlando poi delle elezioni regionali, Meloni ha detto: "Penso che Marsilio abbia governato bene, noi abbiamo deciso di affrontare la sfida per le infrastrutture in Abruzzo, quando lo abbiamo candidato la prima volta. Si è concentrato su questo, ha lavorato molto su questo tema. Ha costruito 4 nuovi ospedali. Si è occupato di problemi reali". "Si è dimesso da parlamentare per andare in Abruzzo", ha spiegato, replicando alle critiche di chi dice che non è abruzzese. "Lo è da 4 generazioni", ha detto ancora.

La premier ha parlato anche del caso Chico Forti. I familiari "hanno atteso tanto, ho lavorato in silenzio su queste cose, ho chiesto di pazientare", quello su Chico Forti "è stato uno degli obiettivi che mi sono data. Una delle emozioni più belle, ora c'è un iter complesso, per far sì che dopo 24 anni di detenzione possa vedere la sua famiglia".

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Politica

Gasparri sulla privatizzazione Rai: cosa si può fare e cosa...

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"A viale Mazzini dovrebbero fare una statua a me accanto al cavallo, ho salvato Rai Way dai piani della sinistra"

Gasparri sulla privatizzazione Rai: cosa si può fare e cosa non si farà mai

L’ipotesi di privatizzazione della Rai? “Le norme per farlo esistono da 20 anni, sono nella legge che porta il mio nome. Ma cedere Rai1, Rai2, e Rai3, non accadrà mai”. Esordisce così con l’Adnkronos il senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia. Che, da ministro delle Comunicazioni del governo Berlusconi, preparò il disegno di legge sul sistema radiotelevisivo italiano approvato dal Parlamento nell’aprile 2004. “Ci sono due possibilità: o una quotazione in borsa, e all’epoca la strada fu esplorata tanto che con l’amministratore delegato Flavio Cattaneo andammo a parlarne con i vertici di Borsa Italiana; oppure la cessione di rami d’azienda. Non bisogna dimenticare che la Rai ha più di dieci canali: oltre ai tre generalisti, ci sono quelli dedicati a storia, cinema, bambini, sport… Nulla vieta, se serve fare cassa, di cedere quelli, in tutto o in parte, o magari di fare delle joint venture con altri editori. Non mi pare che la Rai verrebbe meno al suo ruolo di servizio pubblico se Rai YoYo facesse un accordo con una società che produce contenuti per bambini”.

In un articolo del ‘Foglio’ si fa riferimento alla cessione di un 50% della società per abbattere il debito e gli oneri per le casse dello Stato. “Per un simile scenario ci vorrebbe una quotazione. E' vero, non serve avere il 50+1 di una società per controllarla, basta vedere cosa è successo con Enel, Eni e Leonardo. Ma attenzione: per portare in borsa un asset come la Rai bisogna prima valorizzarlo, renderlo appetibile per investitori e risparmiatori. E al momento mi sembra un compito difficile”. Altro discorso la cessione di rami d’azienda. “A viale Mazzini dovrebbero installare una statua dedicata a me, accanto a quella del cavallo. Fui infatti io nel 2001, da ministro, a oppormi all’operazione che era stata predisposta dal precedente governo di sinistra. Il piano era di cedere a una società privata un pezzo di Rai Way, ovvero le antenne e le infrastrutture di trasmissione, ma la Rai in cambio avrebbe avuto solo la minoranza nel consiglio di amministrazione. Dissi di no a questa idea balzana, sollevando grandi polemiche. Invece fu la scelta giusta: Rai Way è stata quotata anni dopo e ha garantito un ricco assegno per le casse pubbliche. Che hanno potuto monetizzare un asset strategico senza però perderne il controllo. Dico strategico perché con il Covid abbiamo avuto la dimostrazione del fatto che lo Stato deve avere il controllo sulle infrastrutture di comunicazione essenziali come quelle televisive. Durante i lockdown internet non arrivava ovunque, ma i canali del digitale terrestre sì, e hanno potuto informare anche quei cittadini che non sono dotati di smartphone o connessione veloce. Ora si parla di una possibile fusione con Ei Tower, su cui viaggiano le tv private. Non ho nulla in contrario, basta che alla fine dell’operazione la maggioranza di controllo resti in mano pubblica”.

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La Rai privatizzata e il dossier nomine. Sergio in ascesa,...

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Gli uffici di Viale Mazzini da mesi preparano il terreno per una possibile assunzione a tempo indeterminato del direttore generale

La Rai privatizzata e il dossier nomine. Sergio in ascesa, Rossi stabilizzato?

L’ipotesi di una privatizzazione della Rai, che oggi è tornata nel dibattito politico, ha fatto molto rumore a Viale Mazzini, rimettendo in moto un progetto che è sul tavolo da circa 30 anni, con altrettante declinazioni e ipotesi. Staccare un solo canale? Tenere Rai1, Rai2 e Rai3 ma cedere tutti gli altri, in blocco o creando delle joint venture con altri editori e produttori? Fare una ‘bad company’ da lasciare in mano pubblica, con i programmi del servizio pubblico che hanno minore ritorno commerciale, mentre una ‘newco’ con i pezzi più pregiati potrebbe essere messa sul mercato? I rumor sono ripartiti a partire dall’articolo di prima pagina del “Foglio” di oggi, che parlava della cessione di un 50% degli asset della tv e radio pubblica.

Come sottolinea Claudio Cerasa, la privatizzazione sarebbe una grande mossa politica, soprattutto in risposta a chi accusa la premier di aver messo in piedi ‘TeleMeloni’. Il problema è che il nuovo assetto sarebbe accolto con ostilità da Mediaset e gruppo Cairo: con l’abbandono dei tetti pubblicitari, la Rai privata sottrarrebbe inserzionisti agli altri broadcaster.

Il dossier è complicato inoltre dal rinnovo dei vertici: mercoledì 31 luglio il parlamento potrebbe (potrebbe) finalmente votare i componenti del cda che sostituiranno gli attuali, scaduti da due mesi. Nel frattempo sono arrivate le dimissioni della presidente Marinella Soldi (che non aveva alcuna possibilità di riconferma) e si aspetta la nomina dei nuovi membri votare al suo posto Simona Agnes, in quota Forza Italia.

Il rischio è però che anche l’appuntamento di mercoledì non sia risolutivo e che tutto slitti a settembre. Anzi a ottobre, mese in cui è attesa la sentenza del Tar sul ricorso contro l’attuale procedura di selezione per il cda. Sarebbe infatti inutile trovare l’accordo per poi rischiare di dover ripartire da capo con la scelta dei candidati.

Lo stallo sul rinnovo si spiega con le tensioni tra Lega e Fratelli d’Italia. Il partito della premier vorrebbe promuovere Giampaolo Rossi, attuale direttore generale, ad amministratore delegato. I salviniani temono però che una mossa simile darebbe troppo potere agli alleati di governo, e finora hanno preso tempo, sapendo di non poter imporre un nome alternativo. Nel frattempo, risalgono le quotazioni di Roberto Sergio, attuale ad, che non avendo appartenenze (se non quella, filosofica, alla regola democristiana) è l’unico nome in grado di tutelare tutte le parti in causa.

Una conferma di Sergio per il prossimo mandato potrebbe scatenare una reazione negativa di Rossi? Non necessariamente: l’Adnkronos può confermare che negli uffici della Rai da mesi si studia il modo per consolidare il suo ruolo in azienda, ad esempio con un’assunzione a tempo indeterminato nel ruolo di direttore generale, così da non essere più in balìa delle tempeste politiche ma in grado di restare a lungo ai vertici di un’azienda con cui in questi anni ha creato un rapporto sempre più stretto.

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Giovanni Toti si è dimesso, Liguria alle urne entro 90...

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Il governatore ha inviato una lettera all'ufficio protocollo della Regione

Con una lettera fatta pervenire all'ufficio protocollo della Regione Liguria il presidente Giovanni Toti ha rassegnato le sue irrevocabili dimissioni. L'addio del presidente comporta automaticamente lo scioglimento della del Consiglio ligure. Nuove elezioni dovranno avvenire entro 90 giorni.

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