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Israele-Hamas, accordo lontano. Netanyahu: “Richieste deliranti”
Il premier oggi non invia nessuna delegazione in Egitto
Israele non tratta in Egitto con Hamas. Il premier Benjamin Netanyahu non invierà oggi nessuna delegazione al tavolo dei colloqui per la tregua e la liberazione degli ostaggi. Mentre la città di Rafah, nella Striscia di Gaza, rimane nel mirino delle forze di difesa israeliane (Idf), scatta il semaforo rosso lungo la strada del dialogo.
Netanyahu considera "delirante" la posizione di Hamas, che chiederebbe lo stop alla guerra, il ritiro di Israele, la ricostruzione di Gaza e la liberazione di detenuti palestinesi. Su queste basi, secondo l'ufficio del primo ministro, non può esserci trattativa: "Al Cairo, Israele non ha ricevuto alcuna nuova proposta da parte di Hamas per il rilascio dei nostri ostaggi. Il primo ministro insiste affinché Israele non si sottometta alle richieste deliranti di Hamas".
"Un cambiamento nelle posizioni di Hamas consentirà di avanzare nei negoziati", si legge nella dichiarazione dell'ufficio di Netanyahu, che, secondo quanto riferito dai media locali, ha rifiutato di inviare una delegazione al Cairo oggi, sostenendo che non ha senso procedere in tal senso finché Hamas non rinuncerà alle sue richieste riguardanti in particolare il rilascio di un gran numero di prigionieri palestinesi.
Lo stallo negoziale è confermato dalle news secondo cui il direttore della Cia, William Burns, il suo collega del Mossad David Barnea e il premier del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani, hanno lasciato il Cairo, come riferisce alla Cnn una fonte diplomatica al corrente dei negoziati. Il dialogo, in ogni caso, non è totalmente interrotto sebbene non siano al momento previsti ulteriori round tra i 'pesi massimi'.
Il Forum delle famiglie degli ostaggi, prigionieri a Gaza dall'attacco portato da Hamas dal 7 ottobre, ha reagito duramente alla notizia, affermando che la decisione è "una condanna a morte" per gli ostaggi rimasti. "Le famiglie degli ostaggi hanno accolto con stupore la decisione di boicottare i negoziati al Cairo - ha affermato in una nota il Forum delle famiglie degli ostaggi e dei dispersi - Sembra che qualcuno dei membri del gabinetto abbia deciso di sacrificare le vite degli ostaggi senza ammetterlo".
In un mosaico sempre più complesso, l'Egitto prova a svolgere l'opera di mediazione lavorando anche in prospettiva. Secondo l'emittente panaraba al-Arabiya, "il Cairo ha informato Israele della necessità di una tregua durante il Ramadan", il mese del digiuno nel mondo islamico che inizierà secondo il calendario lunare il 10 marzo: in teoria, con questa deadline, ci sono 4 settimane per dare un segnale e trovare un punto di intesa almeno parziale. La tv saudita ha inoltre riferito che "funzionari egiziani hanno informato i loro omologhi in Israele della necessità di lavorare per far sì che i negoziati abbiano successo".
Nelle stesse ore, visita a sorpresa in Israele del direttore dell'Fbi, Christopher Wray, che ha incontrato funzionari della sicurezza e dell'intelligence. Nei colloqui si è discusso delle minacce alla sicurezza per Stati Uniti e Israele. Wray "ha sottolineato l'importanza del lavoro fatto dal personale dell'Fbi insieme ai colleghi israeliani per contrastare le minacce poste da Hamas, Hezbollah e Iran e per fornire assistenza alle vittime americane dell'attacco" del 7 ottobre.
Stop alla pericolosa escalation tra Israele e Libano. Lo chiede, nel giorno in cui si sono contate nuove vittime al confine tra i due Paesi, dopo un attacco di Hezbollah e la rappresaglia delle Idf, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, attraverso il suo portavoce. "La recente escalation è pericolosa e deve essere fermata", ha detto, Stephane Dujarric, che cita poi un rapporto di Unifil su "un cambiamento preoccupante negli scontri a fuoco tra le Forze armate israeliane e i gruppi armati in Libano", con attacchi anche "lontane dalla Blue Line", il confine demarcato dall'Onu nel 2000 dopo il ritiro di Israele dal sud del Libano.
Esteri
Ucraina-Russia, Putin e il pressing su Trump: Mosca vuole...
Il Cremlino punta a ottenere impegni vincolanti dall'Alleanza Atlantica: Kiev non deve entrare. Zelensky: "Putin vuole manipolare Trump"
Vladimir Putin vuole negoziare con Donald Trump garanzie formalizzate dalla Nato perché l'Ucraina non entri a farne parte e l'Alleanza non sia in Ucraina, elementi cruciali dell'architettura di sicurezza in Europa voluta da Mosca. Mentre da Washington a Mosca rimbalzano messaggi con prove di dialogo per porre fine alla guerra, il rischio è quello di una Terza guerra mondiale, come scrive l'analista russa Tatyana Stanovaya, considerata bene informata sulle politiche del Cremlino, in un post su Twitter.
La considerazione è legata alle ultime esternazioni di Putin, che ha parlato della controparte americana come di un uomo "pragmatico" e "intelligente" e ha ribadito la sua disponibilità a negoziare con lui "con tranquillità" di tutti i dossier di interesse a Stati Uniti e Russia.
Il vice ministro degli Esteri, Viktor Grushko, ha ribadito la richiesta di Mosca per "garanzie inviolabili" per escludere una futura adesione di Kiev alla Nato, aggiungendo però - dichiarazione "più significativa da parte di un rappresentante russo sui colloqui Putin-Trump" - che Mosca "insisterà che questo sia adottato come politica dalla stessa Nato".
In sostanza, secondo la fondatrice di RPolitik, si torna al contenuto delle richieste della Russia nei negoziati con gli Stati Uniti fra dicembre 2021 e gennaio 2022. Nessun ultimatum diretto questa volta, piuttosto la nuova tattica di blandire Trump e fare leva sulle sue ambizioni. "Ma l'obiettivo principale è sempre lo stesso: Putin non è interessato a garanzie da parte di Kiev o di Washington. Persegue impegni vincolanti da parte della Nato. Nel 2021 la Russia aveva cercato di imporre questi impegni ai diversi Paesi membri".
"Allora Putin aveva anticipato che se non ci fosse stata una risposta a queste richieste, la Russia avrebbe invaso l'Ucraina. Ora la posta in gioco è ancora più alta: Putin considera la possibilità di non riuscire ad arrivare a un accordo come un rischio diretto di una Terza guerra mondiale. Non è solo retorica. Indica la gravità della situazione", conclude.
I segnali di Trump e Putin
Il quadro viene completato anche dalle dichiarazioni che Trump e Putin diffondono ormai quotidianamente in una partita a scacchi giocata a distanza. Non passa inosservata la stoccata che il presidente americano riserva a Volodymyr Zelensky: il presidente ucraino "non è un angelo", dice Trump a Fox News, e "ha risposto a una potenza molto più grande, molto più forte: non avrebbe dovuto farlo perché avremmo potuto trovare un accordo" prima della guerra. L'assonanza con le parole che la Tass attribuisce a Putin a stretto giro è notevole.
Per Putin, la "crisi ucraina" sarebbe stata evitata se a Trump non fosse stata "rubata la vittoria" nelle elezioni 2020. Elogi per il "pragmatico" presidente americano, quindi, e nuove accuse a Zelensky. Il presidente ucraino, ricorda il Cremlino, ha varato "un decreto che proibisce" di negoziare con l'attuale leadership russa: "Kiev sta allegramente succhiando miliardi di dollari" ma non ha fretta di cancellare il decreto che, secondo Mosca, ostacola il dialogo. Saranno "gli sponsor di Kiev", dice Putin, a rimuovere il divieto. E lo sponsor principale, ovviamente, è a Washington.
Zelensky assiste, non in silenzio. Per il presidente ucraino, Putin sta cercando di "manipolare" Trump. "Vuole manipolare il desiderio del presidente degli Stati Uniti di raggiungere la pace", dice Zelensky in un videomessaggio condiviso sui social media. "Sono sicuro che nessuna manipolazione russa avrà successo", aggiunge.
Esteri
Attesa per liberazione 4 soldatesse: lista Hamas rischia di...
Karina Ariev, Daniella Gilboa, Naama Levy e Liri Albag hanno riabbracciato i familiari. Netanyahu: "Bentornate a casa". Israele ferma ritorno sfollati in nord Gaza. Media: "In corso trattative per rilascio Arbel Yehud prima di sabato prossimo"
Sono state liberate da Hamas le 20enni Karina Ariev, Daniella Gilboa, Naama Levy e la 19enne Liri Albag. I quattro ostaggi israeliani, dopo essere stati trasferiti alla Croce rossa e consegnati alle truppe dell'Idf nella Striscia di Gaza, hanno potuto riabbracciare i loro familiari in Israele.
Le quattro soldatesse, rilasciate dopo 477 giorni di prigionia, erano salite su un palco allestito in piazza Palestina a Gaza City, dove è avvenuto il loro rilascio (VIDEO). Le giovani erano arrivate in piazza a bordo di 5 suv senza insegne. Sul palco erano stati fatti salire anche i rappresentanti della Croce rossa, dove apparentemente avevano firmato dei documenti in vista del rilascio degli ostaggi.
This is the moment 🫶
— Israel Defense Forces (@IDF) January 25, 2025
Welcome home Liri, Daniella, Karina and Naama. 🇮🇱 pic.twitter.com/1DAbWX9Ix4
Rilasciati 200 prigionieri palestinesi
Israele dal canto suo ha rilasciato in cambio 200 prigionieri palestinesi, in base all'accordo di cessate il fuoco di Gaza, riferisce la tv di stato egiziana Qahera, precisando che i prigionieri si trovano sul lato egiziano del valico di Rafah, al confine con la Striscia di Gaza.
"Dopo il disbrigo delle pratiche necessarie nelle prigioni e l'approvazione delle autorità politiche, tutti i terroristi sono stati rilasciati dalle prigioni di Ofer e Ktziot", si legge nella dichiarazione.
Israele ha affermato che i palestinesi condannati per l'omicidio di israeliani dovrebbero essere deportati definitivamente se liberati in base all'accordo di cessate il fuoco e rilascio degli ostaggi, e non sarebbe loro consentito di tornare alle proprie case in Cisgiordania o a Gaza.
Netanyahu: "Bentornate a casa"
"Bentornate a casa!", scrive in un post su X il premier israeliano Benjamin Netanyahu che aggiunge: "Insieme a tutto il popolo d'Israele, io e mia moglie vi abbracciamo con tutto il cuore! Continueremo a lavorare per riportare a casa tutti i nostri rapiti".
Chi sono le 4 soldatesse rilasciate
Le 4 soldatesse, tra le sette rapite dall'unità di sorveglianza delle Idf presso la base militare di Nahal Oz durante il massacro guidato da Hamas del 7 ottobre 2023, avevano il compito di analizzare in tempo reale le immagini delle telecamere collocate lungo il confine di Gaza. Sono state rapite dai miliziani di Hamas che avevano fatto irruzione nella base uccidendo 52 soldati israeliani. Con loro era stata sequestrata anche una quinta soldatessa, Agam Berger, di cui però non si hanno più notizie.
Media: "In corso trattative per rilascio Arbel Yehud prima di sabato prossimo"
Intanto sono in corso trattative tra Israele e i mediatori per verificare se la donna civile tenuta in ostaggio Arbel Yehud possa essere rilasciata prima di sabato prossimo. Lo riporta l'emittente pubblica israeliana Kan.
Israele ha affermato che Hamas ha violato l'accordo liberando le soldatesse prima delle prigioniere ancora in vita, e ha affermato che ai palestinesi non sarà consentito di tornare nel nord di Gaza finché non saranno presi accordi per il rilascio della Yehud.
Un funzionario israeliano ha detto a Kan che agli abitanti di Gaza sarà permesso di tornare nella Striscia settentrionale se la Yehud verrà liberata nei prossimi giorni.
"Continuiamo a fare progressi nell'attuazione dell'accordo per il ritorno degli ostaggi e stiamo aspettando l'arrivo di altri ostaggi nel prossimo futuro. Hamas non ha rispettato il suo accordo di dare priorità al ritorno degli ostaggi civili. Insisteremo affinché Arbel Yehoud ritorni, così come Shiri e i figli della famiglia Bibas, per i quali siamo gravemente preoccupati", ha dichiarato il portavoce delle Idf, Daniel Hagari.
"Agam Berger è ancora tenuta prigioniera da Hamas - ha aggiunto Hagari - Ci impegniamo a riportarla indietro e ad assicurare il ritorno di tutti gli ostaggi. I genitori stanno incontrando le loro figlie al centro di accoglienza di Re'im. Abbiamo completato i preparativi per il loro ritorno. Da lì, proseguiranno con i loro genitori verso l'ospedale. La mattina del 7 ottobre, le soldatesse hanno agito coraggiosamente contro il nemico. Molte sono cadute nella feroce battaglia: abbracciamo le famiglie e siamo al loro fianco".
Hamas: "Yehoud è viva, sarà rilasciata la prossima settimana"
Yehoud è ancora viva e verrà rilasciata la prossima settimana, ha dichiarato un alto funzionario di Hamas. Da parte sua, Israele ha chiesto garanzie per il rilascio della donna e non solo una dichiarazione generica di Hamas sulla questione. Una delle richieste dello Stato Ebraico è che Hamas fornisca una prova che la Yehoud sia ancora in vita e che dimostri la propria capacità di organizzarne il rilascio.
Nuova lista ostaggi ha rischiato di far saltare accordo
L'elenco dei nomi comunicati ha messo a rischio l'accordo. Tel Aviv ha sostenuto che l'annuncio di Hamas sulle soldatesse viola l'intesa che prevede che siano rilasciate prima le civili e non le militari così come è accaduto nel primo scambio di domenica scorsa in cui hanno tre donne hanno potuto riabbracciare i loro familiari.
Israele, tuttavia, ha accettato la lista, ritenendo che la violazione non fosse abbastanza grave da far fallire l'accordo. Oltre a cinque soldatesse di sorveglianza, ci sono due ostaggi civili di sesso femminile nella lista originale dei 33 che dovrebbero essere rilasciati nella prima fase dell'accordo di cessate il fuoco: Arbel Yehud, 29 anni, e Shiri Silberman Bibas, 33 anni. Anche i due figli di Bibas, Ariel e il piccolo Kfir, e suo marito Yarden sono nella lista dei 33 da liberare.
Secondo Channel 12 all'origine di quanto accaduto ci sarebbe una disputa interna ad Hamas. L'ala della Jihad islamica palestinese a Gaza si sarebbe opposta alla liberazione di Arbel Yehud. La cittadina tedesco-israeliana ha compiuto 29 anni a Gaza e doveva essere rilasciata domenica scorsa, nel primo scambio tra ostaggi e detenuti palestinesi, ma è stata sostituita da Hamas all'ultimo minuto. Al suo posto, domenica è stata infatti rilasciata Emily Damari con doppia cittadinanza israeliana e britannica.
Esteri
Usa, Hegseth confermato capo del Pentagono: decisivo voto...
Tre senatori repubblicani hanno votato contro la scelta di Trump
Il Senato degli Stati Uniti ha confermato di misura l'ex conduttore di Fox News Pete Hegseth come capo del Pentagono, nonostante le accuse di abuso di alcol, molestie sessuali e altri timori sulla sua capacità di guidare l'esercito più potente del mondo.
Tre senatori repubblicani hanno votato contro la scelta di Donald Trump come segretario della Difesa, con un pareggio 50-50 che ha costretto JD Vance a esprimere il voto decisivo. Il risultato ha evidenziato le preoccupazioni su Hegseth, che assumerà la guida del Pentagono mentre la guerra infuria in Ucraina, il Medio Oriente è instabile nonostante i cessate il fuoco in Libano e a Gaza e Trump sta ampliando il ruolo dell'esercito nella sicurezza al confine tra Stati Uniti e Messico.
Poco dopo la sua conferma, Trump ha scritto sulla sua piattaforma social Truth: "Congratulazioni a Pete Hegseth. Sarà un grande Segretario della Difesa!".