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Elezioni Usa 2024, Biden troppo vecchio? Dem costretti valutare Piano B
Gli scenari dopo il rapporto del procuratore speciale Robert Hur, che descrive il presidente Usa anziano con problemi di memoria" e "facoltà diminuite"
Finora i democratici si sono sempre rifiutati di discutere un piano B per le prossime elezioni Usa, ma il devastante rapporto del procuratore speciale Robert Hur, che descrive Joe Biden come "un uomo anziano con problemi di memoria" e "facoltà diminuite", li costringe a prenderlo in considerazione. Soprattutto perché, politicamente motivata o no, la descrizione del procuratore repubblicano sembra essere condivisa dall'86% degli elettori americani che, secondo un recente sondaggio Abcnews, ritiene Biden "troppo vecchio" per un secondo mandato alla Casa Bianca.
Il fatto che i democratici, sempre più nel panico, si siano convinti della necessità di avere un piano d'emergenza, non significa che, per le difficoltà procedurali e politiche, sarà facile semplicemente sostituire il presidente, scrive oggi Politico affermando che "la più probabile eventualità è che Biden rimanga nella scheda elettorale".
Questo non toglie che si possano valutare diversi scenari in cui il partito riesca effettivamente a nominare un candidato diverso da Biden alla convention di agosto o persino dopo per competere nelle elezioni di novembre, conclude il sito che racconta, in via ipotetica, come potrebbero svolgersi questi scenari.
BIDEN DECIDE DI LASCIARE DOPO VITTORIA PRIMARIE
La verità è che ogni strategia alternativa per le elezioni 2024 potrà realizzarsi solo se Biden si facesse volontariamente da parte o fosse fisicamente incapacitato. Al momento infatti, nonostante l'ansia crescente all'interno del partito democratico, il presidente guida incontrastato le primarie democratiche, in cui nessun candidato di peso è sceso in campo per sfidare il presidente in carica e dove è impossibile che possa arrivare, a sorpresa, un'alternativa dal momento che sono scaduti i termini per candidarsi alle primarie quasi in tutti gli stati.
A parte un'improvvisa incapacità fisica, o un'altamente improbabile rivolta dei delegati durante la convention, l'unico piano B possibile prevede appunto che Biden rinunci volontariamente. L'81enne presidente è un uomo orgoglioso, con un ego rafforzato dal fatto che, entrato giovane nel Senato, gli è stata negata la presidenza molte volte prima di riuscire finalmente a conquistarla: convincerlo che è in una posizione insostenibile e che deve farsi da parte appare quindi come un'impresa difficilissima.
Secondo Politico, però, esiste un percorso che permetterebbe al presidente di rinunciare con dignità e alle sue condizioni, permettendo, prima di tutto, che concluda, il 4 giugno, il percorso delle primarie da vincitore incontestato degli oltre 1900 delegati. A questo punto dovrebbe essere lui a non accettare la nomination, affidando i delegati ad un altro candidato, magari dicendo di sentirsi pronto ad un secondo mandato pur accogliendo le preoccupazioni degli elettori, rivendicando comunque di lasciare un'economia sul giusto binario e di aver sconfitto una volta Donald Trump.
BATTAGLIA ALLA CONVENTION
Si aprirebbe così un periodo, tra giugno e la convention del 19 agosto a Chicago, in cui si aprirebbe una lotta, senza precedenti in decenni di storia politica americana, tra esponenti democratici per ottenere in questo modo insolito la candidatura alla Casa Bianca. A Biden rimarrebbe un ruolo di kingmaker, essendo ancora lui in controllo dei delegati che - pur non essendo per legge obbligati a sostenere il presidente o qualcuno da lui sostenuto - saranno funzionari politici scelti dalla campagna di Biden e quindi fedeli al presidente.
La questione più spinosa sarebbe - ipotizza ancora Politico in questo suo scenario - quella di Kamala Harris, la vice presidente che ha un tasso di popolarità ancora più basso di quello di Biden e che ha mostrato durante le primarie del 2020 una scarsa capacità in campagna elettorale. Ma l'esclusione della democratica, di madre indiana e di padre afroamericano, potrebbe creare problemi con il voto degli afroamericani.
Gli altri possibili candidati alternativi sono tutti esponenti che, pur non nascondendo delle personali aspirazioni, si sono mostrati sempre leali nei confronti di Biden, come i governatori di California e Illinois, Gavin Newsom e J.B. Pritzker, impegnati a sostenere ed appoggiare la campagna del presidente. Un altro nome molto papabile sarebbe quello di Gretchen Whitmer, governatrice del Michigan, grande alleata di Biden, tanto da essere vice presidente della sua campagna, e nemica di Trump, che ha assunto una grande popolarità durante lo scontro con l'estrema destra dello stato durante la pandemia.
Politico non prende in considerazione la voce, che circola da settimane tra esponenti di estrema destra e siti conservatori, di un piano di Barack Obama per sostituire Biden con Michelle Obama, l'ex first lady che non ha mai fatto mistero - ricordando in molti in questi giorni - di non avere nessuna intenzione di fare politica. Quello che è certo è che in questo scenario a Chicago si svolgerebbe una convention piena di colpi di scena, continua Politico suggerendo che potrebbero avere un ruolo importante nella scelta del nuovo candidato i cosiddetti "superdelegati", i funzionari ed ex leader di partito il cui voto si aggiunge a quello dei delegati eletti ed il cui ruolo, in quanto voce delle elite, era stato messo in discussione dopo le recenti convention.
RINUNCIA BIDEN DOPO LA CONVENTION
Politico prende in analisi anche un altro, molto più caotico, scenario. Quello in cui Biden non fa un passo indietro, viene nominato candidato alla convention ma poi per qualche motivo è incapacitato a partecipare alle elezioni. Che cosa succederebbe? Le regole della convention prevedono che in caso "di morte, dimissioni o incapacità" del candidato il presidente del partito deve "comunicarlo alla leadership democratica del Congresso, all'associazione dei governatori democratici ed ai membri del Comitato Nazionale democratico" che dovranno scegliere un nuovo candidato.
Potrebbero scegliere Harris - che intanto sarebbe stata confermata candidata alla vice presidente - e quindi dovrebbero poi designare un nuovo veep. Un'uscita di scena così ritardata di Biden sarebbe un incubo non solo politico ma anche logistico per gli Stati, alcuni dei quali iniziano ad inviare le schede per il voto dei militari all'estero qualche settimana dopo la convention, e poco dopo avviano anche il voto per posta o in anticipo per gli elettori americani. Il Minnesota e il South Dakota, per esempio, iniziano il voto in anticipo il 20 settembre.
Esteri
Trump, ordine per desecretare file omicidi Kennedy e Martin...
"Tutto sarà rivelato", dice il presidente degli Stati Uniti
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per la declassificazione dei file relativi agli omicidi del presidente John F. Kennedy, di suo fratello Bobby Kennedy, e del leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, Martin Luther King Jr. "Questa è una cosa grossa. La gente lo sta aspettando da decenni. Tutto sarà rivelato", ha detto Trump ai giornalisti mentre firmava l'ordine nello Studio Ovale della Casa Bianca.
John Fitzgerald Kennedy è stato ucciso a Dallas, in Texas, il 22 novembre 1963. Suo fratello Bobby è stato ucciso a Los Angeles il 6 giugno 1968. Martin Luther King, invece, è stato ucciso il 4 aprile 1968 a Memphis, in Tennessee.
Trump ha firmato anche un provvedimento di grazia per 23 manifestanti anti-aborto che, ha riferito la Casa Bianca, erano stati perseguiti giuridicamente sotto l'amministrazione del suo predecessore Joe Biden. "Non avrebbero dovuto essere perseguiti. Molti di loro sono anziani", ha detto Trump ai giornalisti nello Studio Ovale. "È un grande onore firmare questo documento", ha detto.
Le domande dei cronisti toccano diversi argomenti. Il Medio Oriente "è un posto insidioso. Vedremo" se la tregua a Gaza regge. "Se succede qualcosa, non saranno contenti", ha detto riferendosi a Hamas.
Esteri
Thailandia, da oggi i matrimoni Lgbt+ sono legali: nozze di...
La Thailandia è diventato il primo Paese nel sudest asiatico ad approvare la legge sui matrimoni omosessuali
Sono almeno duecento le coppie gay che si stanno riunendo nel centro commerciale Siam Paragon a Bangkok per contrarre matrimonio dopo l'entrata in vigore della legge che legalizza le nozze tra persone dello stesso sesso. La Thailandia diventa così il primo Paese nel sudest asiatico ad approvare la legge sui matrimoni omosessuali, terzo in Asia dopo il Nepal e Taiwan.
"La bandiera arcobaleno sventola alta sulla Thailandia", si tratta di "un successo collettivo" ha affermato il primo ministro Paetongtarn Shinawatra a Davos, dove si trova per partecipare al World Economic Forum. "Questa legge sull'uguaglianza dei matrimoni segna l'inizio di una maggiore consapevolezza della società thailandese nei confronti della diversità di genere e della nostra accoglienza di tutti, indipendentemente dall'orientamento sessuale, dalla razza o dalla religione: tutti hanno diritto a uguali diritti e dignità", ha aggiunto.
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Una grande vittoria per la comunità Lgbtq+ thailandese, che da oltre vent'anni lotta per il riconoscimento dei propri diritti. In base alla legge, approvata dal Parlamento thailandese e avallata dal re, le coppie dello stesso sesso possono ora registrare i propri matrimoni con pieni diritti legali, finanziari e medici. Vengono anche riconosciuti i diritti di adozione ed eredità. Un tappeto arcobaleno è stato srotolato nel centro commerciale di Siam Paragon per accogliere le coppie di tutte le età e di tutte le estrazioni sociali, tra cui un agente di polizia che si è presentato in uniforme con la sua compagna.
"La Thailandia potrebbe diventare un modello per il mondo in questo ambito", ha affermato Kittinun Daramadhaj, avvocato e presidente della Rainbow Sky Association of Thailand. "In Thailandia esiste una vera uguaglianza nei matrimoni", ha aggiunto. Il partito al governo di Srettha, Pheu Thai, ha sostenuto il disegno di legge sul matrimonio omosessuale.
Esteri
Trump e la grazia per gli assalitori del Congresso:...
Il neo presidente ha liberato 1500 persone condannate o incriminate per i fatti del 6 gennaio 2021
Dalla Casa Bianca riconquistata Donald Trump riscrive la storia e afferma che il 6 gennaio 2021, quando migliaia di suoi sostenitori assaltarono e misero a ferro a fuoco il Congresso, aggredendo e ferendo decine di poliziotti e terrorizzando per ore deputati e senatori, vi furono solo "minimi incidenti". E la sua decisione di firmare la grazia per 1500 dei condannati e incriminati per quell'assalto, anche chi ha aggredito poliziotti e i leader delle milizie di estrema destra condannati per sedizione, difende le ragioni di quella che definisce una 'protesta'.
"Stavano protestando contro il voto perché sapevano che le elezioni erano truccate, e uno dovrebbe poter protestare contro il voto", ha detto ai microfoni di Sean Hannity di Fox News. "La maggior parte delle persone erano assolutamente innocenti - ha continuando parlando dei graziati - hanno scontato, in modo orribile, lunghe sentenze. Sarebbe molto complicato andare a vedere, sapete di quante persone parliamo? 1500".
Il riferimento è al fatto che, prima dell'insediamento, era stato detto che per i provvedimenti di grazia si sarebbe valutato caso per caso e che chi aveva commesso azioni di violenza "ovviamente" non sarebbe stato perdonato, come aveva detto il vice presidente DJ Vance. Ma, secondo la ricostruzione di Axios, Trump si sarebbe spazientito di fronte l'idea di una disamina caso per caso perché voleva una misura di massimo impatto nel primo giorno alla Casa Bianca, dicendo "al diavolo, rilasciateli tutti".
Anche riguardo alle aggressioni ai poliziotti, Trump, che è stato eletto con un programma di tolleranza zero verso ogni tipo di violenza contro le forze dell'ordine, ha minimizzato: "erano incidenti minimi, ma sono stati ingigantiti da un paio di tizi falsi che erano sempre sulla Cnn", ha detto riferendosi alle centinaia di video che mostrano le aggressioni dei rivoltosi agli agenti. "Avevamo 1500 persone che soffrivano e queste sono un sacco di persone", ha concluso, affermando che i processi sono stati "un imbroglio politico, e sapete cosa in quelle persone, non dico in ogni singolo caso, c'era molto patriottismo".