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Politica

Pd-M5S, Schlein spinge per intesa e Conte è freddo

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La segretaria dem: "Accordo possibile su temi". L'ex premier: "Tra noi non pregiudizi ma ostacoli"

Giuseppe Conte e Elly Schlein

Lei parla di "convergenze". Lui di "ostacoli da rimuovere". E sta un po' tutta qui la sintesi del faccia a faccia oggi alla Camera tra Elly Schlein e Giuseppe Conte in occasione della presentazione del libro di Roberto Speranza. Un incontro che è stato preceduto ieri da una rottura pesante tra i due sulla Rai. E nella giornata di martedì alla sala Regina a Montecitorio l'attenzione era tutta per le reazioni dei due post strappo. C'è la stretta di mano ai favore dei fotografi. C'è qualche battuta. C'è la riconferma da parte di Conte di un confronto aperto: "Non ci vediamo da 6 mesi? Ma no, io ed Elly ci sentiamo spesso. Ci incontriamo e parliamo, non lo diciamo ai giornali". Ma poi quando il dibattito verte sulla costruzione di una coalizione alternativa alla destra, la piega della discussione va tutta in salita.

Parte Speranza che pur mettendo agli atti che l'incertezza di Conte tra Trump e Biden gli "ha fatto rizzare i capelli", torna a spingere sulla necessità dell'intesa. Il Conte 2 è la dimostrazione che è possibile. "Noi abbiamo governato insieme il paese e non possiamo far passare la linea che un'alternativa non c'è e il mio impegno va in questa direzione". E anche Schlein lo rimarca: "Quella esperienza", con la gestione della pandemia, "ci dice delle cose che possiamo fare insieme come opposizioni: la scuola, la sanità, la casa. Davanti a quello che stanno facendo non è vero che l'alternativa non c'è''.

Insiste la segretaria Pd: "Ci sono sicuramente delle ferite da ricucire, io sono nuova ma non faccio che incontrare gente che mi dice 'costruite l'alternativa'. Io penso che questa responsabilità ce l'abbiamo. Le differenze tra noi'' e i 5 Stelle ''ci sono, ma molti sono i punti di convergenza su una visione del futuro del paese. Lavoriamo con pazienza sui temi. E io sono convinta che su tanti temi è possibile trovare l'accordo". E cita il centrodestra: "Nonostante le scelta sbagliate del governo Meloni, loro una coalizione ce l'hanno. Sono divisi, ma anche dove si spaccano, riescono a ricompattarsi".

Ma Conte più che "convergenze" vede "ostacoli": "Da parte nostra, e spero che lo stesso valga anche per il Pd, non c’è nessun atteggiamento pregiudiziale, però ci sono spesso degli ostacoli da rimuovere nel costruire progetti solidi coerenti”. Il leader M5S ribalta la battuta di Speranza sui 'capelli dritti' (ribadendo tra l'altro la sua posizione di 'equidistanza'): "Roberto prima ha iniziato con una provocazione su Trump e Biden, ha detto che gli si sono rizzati i capelli. Ma mi si sono rizzati i capelli pure a me a scoprire un Pd bellicista che non mi aspettavo".

E incalza: "Mi si sono rizzati i capelli a vedere un Pd che ha rinnegato l'esperienza della transizione ecologica mettendoci il dito nell'occhio con l'inceneritore". E qui Schlein si è un po' agitata sulla sedia. "A ognuno si rizzano i capelli. Ma qui siamo per fare un ragionamento serio. Non è che qui ci mettiamo d'accordo e si vince. La nostra responsabilità, ne abbiamo il tempo, deve essere costruire un progetto" che consenta "il giorno dopo" le elezioni di "sapere cosa fare".

E questo vale pure per le regionali, dove ancora in Piemonte e Basilicata non c'è ancora sentore di un accordo Pd-M5S. "Ci stiamo lavorando e l'obiettivo è ritrovarsi in progetti condivisi, solidi e coerenti. Dobbiamo essere convincenti per i cittadini, credibili, solo così si vince", argomenta Conte. Schlein è più impaziente a giudicare dalla battuta in inglese: "Quando di chiude? Come dicono gli inglesi 'the sooner, the better'". Ovvero 'prima è, meglio è'. Finisce il dibattito, altra stretta di mano e Conte salutando Schlein ironizza: "Allora ci vediamo tra 6 mesi?...". Poi ognuno per la sua via, nessuna chiacchiera post dibattito.

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Politica

Gasparri sulla privatizzazione Rai: cosa si può fare e cosa...

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"A viale Mazzini dovrebbero fare una statua a me accanto al cavallo, ho salvato Rai Way dai piani della sinistra"

Gasparri sulla privatizzazione Rai: cosa si può fare e cosa non si farà mai

L’ipotesi di privatizzazione della Rai? “Le norme per farlo esistono da 20 anni, sono nella legge che porta il mio nome. Ma cedere Rai1, Rai2, e Rai3, non accadrà mai”. Esordisce così con l’Adnkronos il senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia. Che, da ministro delle Comunicazioni del governo Berlusconi, preparò il disegno di legge sul sistema radiotelevisivo italiano approvato dal Parlamento nell’aprile 2004. “Ci sono due possibilità: o una quotazione in borsa, e all’epoca la strada fu esplorata tanto che con l’amministratore delegato Flavio Cattaneo andammo a parlarne con i vertici di Borsa Italiana; oppure la cessione di rami d’azienda. Non bisogna dimenticare che la Rai ha più di dieci canali: oltre ai tre generalisti, ci sono quelli dedicati a storia, cinema, bambini, sport… Nulla vieta, se serve fare cassa, di cedere quelli, in tutto o in parte, o magari di fare delle joint venture con altri editori. Non mi pare che la Rai verrebbe meno al suo ruolo di servizio pubblico se Rai YoYo facesse un accordo con una società che produce contenuti per bambini”.

In un articolo del ‘Foglio’ si fa riferimento alla cessione di un 50% della società per abbattere il debito e gli oneri per le casse dello Stato. “Per un simile scenario ci vorrebbe una quotazione. E' vero, non serve avere il 50+1 di una società per controllarla, basta vedere cosa è successo con Enel, Eni e Leonardo. Ma attenzione: per portare in borsa un asset come la Rai bisogna prima valorizzarlo, renderlo appetibile per investitori e risparmiatori. E al momento mi sembra un compito difficile”. Altro discorso la cessione di rami d’azienda. “A viale Mazzini dovrebbero installare una statua dedicata a me, accanto a quella del cavallo. Fui infatti io nel 2001, da ministro, a oppormi all’operazione che era stata predisposta dal precedente governo di sinistra. Il piano era di cedere a una società privata un pezzo di Rai Way, ovvero le antenne e le infrastrutture di trasmissione, ma la Rai in cambio avrebbe avuto solo la minoranza nel consiglio di amministrazione. Dissi di no a questa idea balzana, sollevando grandi polemiche. Invece fu la scelta giusta: Rai Way è stata quotata anni dopo e ha garantito un ricco assegno per le casse pubbliche. Che hanno potuto monetizzare un asset strategico senza però perderne il controllo. Dico strategico perché con il Covid abbiamo avuto la dimostrazione del fatto che lo Stato deve avere il controllo sulle infrastrutture di comunicazione essenziali come quelle televisive. Durante i lockdown internet non arrivava ovunque, ma i canali del digitale terrestre sì, e hanno potuto informare anche quei cittadini che non sono dotati di smartphone o connessione veloce. Ora si parla di una possibile fusione con Ei Tower, su cui viaggiano le tv private. Non ho nulla in contrario, basta che alla fine dell’operazione la maggioranza di controllo resti in mano pubblica”.

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Politica

La Rai privatizzata e il dossier nomine. Sergio in ascesa,...

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Gli uffici di Viale Mazzini da mesi preparano il terreno per una possibile assunzione a tempo indeterminato del direttore generale

La Rai privatizzata e il dossier nomine. Sergio in ascesa, Rossi stabilizzato?

L’ipotesi di una privatizzazione della Rai, che oggi è tornata nel dibattito politico, ha fatto molto rumore a Viale Mazzini, rimettendo in moto un progetto che è sul tavolo da circa 30 anni, con altrettante declinazioni e ipotesi. Staccare un solo canale? Tenere Rai1, Rai2 e Rai3 ma cedere tutti gli altri, in blocco o creando delle joint venture con altri editori e produttori? Fare una ‘bad company’ da lasciare in mano pubblica, con i programmi del servizio pubblico che hanno minore ritorno commerciale, mentre una ‘newco’ con i pezzi più pregiati potrebbe essere messa sul mercato? I rumor sono ripartiti a partire dall’articolo di prima pagina del “Foglio” di oggi, che parlava della cessione di un 50% degli asset della tv e radio pubblica.

Come sottolinea Claudio Cerasa, la privatizzazione sarebbe una grande mossa politica, soprattutto in risposta a chi accusa la premier di aver messo in piedi ‘TeleMeloni’. Il problema è che il nuovo assetto sarebbe accolto con ostilità da Mediaset e gruppo Cairo: con l’abbandono dei tetti pubblicitari, la Rai privata sottrarrebbe inserzionisti agli altri broadcaster.

Il dossier è complicato inoltre dal rinnovo dei vertici: mercoledì 31 luglio il parlamento potrebbe (potrebbe) finalmente votare i componenti del cda che sostituiranno gli attuali, scaduti da due mesi. Nel frattempo sono arrivate le dimissioni della presidente Marinella Soldi (che non aveva alcuna possibilità di riconferma) e si aspetta la nomina dei nuovi membri votare al suo posto Simona Agnes, in quota Forza Italia.

Il rischio è però che anche l’appuntamento di mercoledì non sia risolutivo e che tutto slitti a settembre. Anzi a ottobre, mese in cui è attesa la sentenza del Tar sul ricorso contro l’attuale procedura di selezione per il cda. Sarebbe infatti inutile trovare l’accordo per poi rischiare di dover ripartire da capo con la scelta dei candidati.

Lo stallo sul rinnovo si spiega con le tensioni tra Lega e Fratelli d’Italia. Il partito della premier vorrebbe promuovere Giampaolo Rossi, attuale direttore generale, ad amministratore delegato. I salviniani temono però che una mossa simile darebbe troppo potere agli alleati di governo, e finora hanno preso tempo, sapendo di non poter imporre un nome alternativo. Nel frattempo, risalgono le quotazioni di Roberto Sergio, attuale ad, che non avendo appartenenze (se non quella, filosofica, alla regola democristiana) è l’unico nome in grado di tutelare tutte le parti in causa.

Una conferma di Sergio per il prossimo mandato potrebbe scatenare una reazione negativa di Rossi? Non necessariamente: l’Adnkronos può confermare che negli uffici della Rai da mesi si studia il modo per consolidare il suo ruolo in azienda, ad esempio con un’assunzione a tempo indeterminato nel ruolo di direttore generale, così da non essere più in balìa delle tempeste politiche ma in grado di restare a lungo ai vertici di un’azienda con cui in questi anni ha creato un rapporto sempre più stretto.

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Politica

Giovanni Toti si è dimesso, Liguria alle urne entro 90...

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Il governatore ha inviato una lettera all'ufficio protocollo della Regione

Con una lettera fatta pervenire all'ufficio protocollo della Regione Liguria il presidente Giovanni Toti ha rassegnato le sue irrevocabili dimissioni. L'addio del presidente comporta automaticamente lo scioglimento della del Consiglio ligure. Nuove elezioni dovranno avvenire entro 90 giorni.

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