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Piano Mattei per l’Africa, Meloni traccia la rotta: al via con 5,5 miliardi

La premier vince la 'diffidenza' dell'Unione africana: dopo il gelo iniziale, la 'pace' con il vertice Italia-Africa definito dall'Ua un "successo sia nella forma che nel contenuto, ora da concretizzare"

Giorgia Meloni al vertice Italia-Africa in Senato - Fotogramma

Cinque miliardi e mezzo. E' la dotazione iniziale del Piano Mattei per l'Africa, il progetto a cui lavora il governo Meloni sin dal suo insediamento. Di questi, "circa 3 miliardi" arriveranno "dal fondo italiano per il clima e 2,5 miliardi e mezzo dal fondo per la Cooperazione allo sviluppo", e poi altre risorse "tra crediti, operazioni a dono e garanzie". Giorgia Meloni 'ufficializza' il Piano ispirato a Enrico Mattei nell'Aula del Senato, l'emiciclo di Palazzo Madama che ieri si è colorato d'Africa accogliendo i leader arrivati da ben 25 Paesi, 57 delegazioni all'attivo. E' il giorno in cui la presidente del Consiglio, al fianco dei vertici europei, punta ad accendere i riflettori su Roma segnando un "cambio di passo", con un "modello di cooperazione da estendere" per consentire all'Africa "di competere ad armi pari".

La rotta tracciata per il Piano Mattei: i progetti, le missioni, i 5 punti chiave

La presidente del Consiglio traccia la rotta del Piano a cui il governo lavora illustrando all'emiciclo alcuni dei progetti pilota, tasselli da mettere insieme in un puzzle che "seguirò personalmente", assicura. Tra questi un grande centro di formazione professionale sull'energia rinnovabile in Marocco, progetti sull'istruzione in Tunisia, iniziative per promuovere e migliorare la sanità in Costa d'Avorio.

E ancora progetti in Algeria, Mozambico, Egitto, Repubblica del Congo, Etiopia e Kenya. Le missioni "partiranno già dalle prossime settimane", e si snoderanno lungo 5 traiettorie: istruzione e formazione, agricoltura, salute energia e acqua. Ma non si tratta di un progetto "calato dall'alto", una "scatola chiusa" - ci tiene a puntualizzare Meloni - è "aperto alla condivisione" per permettere davvero il cambio di passo a cui aspira, necessario anche per frenare ondate migratorie senza precedenti: "Bisogna garantire il diritto a non dover essere costretti a emigrare", ribadisce ancora una volta Meloni, ricalcando una sua vecchia convinzione.

Meloni gelata dall'Unione Africana: "Noi non consultati". Poi la 'pace' con la premier

Eppure il presidente della Commissione dell'Unione africana a cui passa la parola inizialmente la gela. "Avremmo auspicato di essere consultati", dice infatti Moussa Faki invitando a "passare dalle parole ai fatti: non ci possiamo più accontentare di promesse, spesso non mantenute". Meloni non riesce a celare uno sguardo di stupore e sorpresa. L'Ua non sembra portarle fortuna.

Poco prima, accogliendo tra gli altri Faki, la premier gli aveva stretto la mano a favore di fotografi e cameramen con una battuta: 'È quello vero', aveva sorriso ironizzando sulla telefonata fake di settembre scorso, con cui il duo comico russo aveva bucato la sicurezza di Palazzo Chigi. I lavori vanno avanti per l'intera giornata, tra sessioni e serrati bilaterali. Al termine, con Azali Assoumani, presidente dell'Unione Africana al suo fianco, la presidente del Consiglio si dice convinta che il vertice "è una scommessa vinta, lo dico senza timore di smentita". E il leader dell'Ua conferma: "Mi congratulo con il primo ministro e le autorità italiane per il successo del vertice, sia nella forma che nel contenuto. Ora non resta che renderlo concreto".

"Sulla concretezza sono assolutamente d'accordo, è la ragione per la quale abbiamo voluto raccontare questa idea del Piano Mattei partendo da progetti specifici. Il tema della condivisione probabilmente può nascere da lì, nel senso che può essere sembrata una cosa chiusa e invece non lo è. Il vertice è fondamentale per condividere non solo la strategia ma anche la definizione finale del progetto. Ma potrei aver fatto io l'errore di essere troppo concreta e di aver dato l'impressione che fosse definito", le parole di Meloni al termine del vertice rispondendo a una domanda su Faki in conferenza stampa.

Il Piano "concreto" di Meloni da discutere con l'Ue

Di concretezza e pragmatismo parla a più riprese Meloni. "Dopo questo vertice, i bilaterali di domani (oggi, ndr), e un ampio lavoro di scambio e condivisione - illustra a fine giornata - convocheremo la Cabina di regia, per la stesura definitiva e far partire in modo operativo le prime squadre, e per essere concreti immediatamente". "Non ho - mette in chiaro - la pretesa di affrontare il tema da sola", all'Africa "serve l'Europa".

Ma per lei "a partire da oggi possiamo fare la differenza", e il fatto che il vertice Italia-Africa dia il via alla presidenza italiana del G7 dà la misura, rimarca, della centralità che il governo attribuisce al continente africano. Il Piano Mattei ne è la prova. Ma un "piano così ambizioso non potrà funzionare senza il coinvolgimento di tutto il sistema-Paese nel suo complesso, a partire dalla cooperazione allo sviluppo e dal settore privato che è fondamentale coinvolgere nella nostra strategia".

Per questo, spiega, "abbiamo intenzione di creare entro l'anno un nuovo strumento finanziario per agevolare insieme a Cassa depositi e prestiti gli investimenti del settore privato nei progetti del piano Mattei". E non è un caso che a Palazzo Madama trovino spazio non solo le istituzioni, gli Stati africani, l'Europa, ma anche i vertici delle più grandi partecipate di Stato: dall'Eni all'Enel, da Snam a Leonardo, solo per citarne alcune.

Opposizione all'attacco: "Grande bluff". Renzi: "Premier ringrazi Descalzi"

Intanto attacca l'opposizione, divisa al suo interno delle fibrillazioni legate alla Rai ma unita nell'affondo sul Piano Mattei: "Un grande bluff", attaccano all'unisono. Con l'unico distinguo di Matteo Renzi, che tuttavia non appare meno pungente: "Ringrazi Descalzi - la invita infatti il leader di Iv-: Se il vertice Italia Africa non è fallito, è solo merito suo".

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Gasparri sulla privatizzazione Rai: cosa si può fare e cosa...

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"A viale Mazzini dovrebbero fare una statua a me accanto al cavallo, ho salvato Rai Way dai piani della sinistra"

Gasparri sulla privatizzazione Rai: cosa si può fare e cosa non si farà mai

L’ipotesi di privatizzazione della Rai? “Le norme per farlo esistono da 20 anni, sono nella legge che porta il mio nome. Ma cedere Rai1, Rai2, e Rai3, non accadrà mai”. Esordisce così con l’Adnkronos il senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia. Che, da ministro delle Comunicazioni del governo Berlusconi, preparò il disegno di legge sul sistema radiotelevisivo italiano approvato dal Parlamento nell’aprile 2004. “Ci sono due possibilità: o una quotazione in borsa, e all’epoca la strada fu esplorata tanto che con l’amministratore delegato Flavio Cattaneo andammo a parlarne con i vertici di Borsa Italiana; oppure la cessione di rami d’azienda. Non bisogna dimenticare che la Rai ha più di dieci canali: oltre ai tre generalisti, ci sono quelli dedicati a storia, cinema, bambini, sport… Nulla vieta, se serve fare cassa, di cedere quelli, in tutto o in parte, o magari di fare delle joint venture con altri editori. Non mi pare che la Rai verrebbe meno al suo ruolo di servizio pubblico se Rai YoYo facesse un accordo con una società che produce contenuti per bambini”.

In un articolo del ‘Foglio’ si fa riferimento alla cessione di un 50% della società per abbattere il debito e gli oneri per le casse dello Stato. “Per un simile scenario ci vorrebbe una quotazione. E' vero, non serve avere il 50+1 di una società per controllarla, basta vedere cosa è successo con Enel, Eni e Leonardo. Ma attenzione: per portare in borsa un asset come la Rai bisogna prima valorizzarlo, renderlo appetibile per investitori e risparmiatori. E al momento mi sembra un compito difficile”. Altro discorso la cessione di rami d’azienda. “A viale Mazzini dovrebbero installare una statua dedicata a me, accanto a quella del cavallo. Fui infatti io nel 2001, da ministro, a oppormi all’operazione che era stata predisposta dal precedente governo di sinistra. Il piano era di cedere a una società privata un pezzo di Rai Way, ovvero le antenne e le infrastrutture di trasmissione, ma la Rai in cambio avrebbe avuto solo la minoranza nel consiglio di amministrazione. Dissi di no a questa idea balzana, sollevando grandi polemiche. Invece fu la scelta giusta: Rai Way è stata quotata anni dopo e ha garantito un ricco assegno per le casse pubbliche. Che hanno potuto monetizzare un asset strategico senza però perderne il controllo. Dico strategico perché con il Covid abbiamo avuto la dimostrazione del fatto che lo Stato deve avere il controllo sulle infrastrutture di comunicazione essenziali come quelle televisive. Durante i lockdown internet non arrivava ovunque, ma i canali del digitale terrestre sì, e hanno potuto informare anche quei cittadini che non sono dotati di smartphone o connessione veloce. Ora si parla di una possibile fusione con Ei Tower, su cui viaggiano le tv private. Non ho nulla in contrario, basta che alla fine dell’operazione la maggioranza di controllo resti in mano pubblica”.

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La Rai privatizzata e il dossier nomine. Sergio in ascesa,...

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Gli uffici di Viale Mazzini da mesi preparano il terreno per una possibile assunzione a tempo indeterminato del direttore generale

La Rai privatizzata e il dossier nomine. Sergio in ascesa, Rossi stabilizzato?

L’ipotesi di una privatizzazione della Rai, che oggi è tornata nel dibattito politico, ha fatto molto rumore a Viale Mazzini, rimettendo in moto un progetto che è sul tavolo da circa 30 anni, con altrettante declinazioni e ipotesi. Staccare un solo canale? Tenere Rai1, Rai2 e Rai3 ma cedere tutti gli altri, in blocco o creando delle joint venture con altri editori e produttori? Fare una ‘bad company’ da lasciare in mano pubblica, con i programmi del servizio pubblico che hanno minore ritorno commerciale, mentre una ‘newco’ con i pezzi più pregiati potrebbe essere messa sul mercato? I rumor sono ripartiti a partire dall’articolo di prima pagina del “Foglio” di oggi, che parlava della cessione di un 50% degli asset della tv e radio pubblica.

Come sottolinea Claudio Cerasa, la privatizzazione sarebbe una grande mossa politica, soprattutto in risposta a chi accusa la premier di aver messo in piedi ‘TeleMeloni’. Il problema è che il nuovo assetto sarebbe accolto con ostilità da Mediaset e gruppo Cairo: con l’abbandono dei tetti pubblicitari, la Rai privata sottrarrebbe inserzionisti agli altri broadcaster.

Il dossier è complicato inoltre dal rinnovo dei vertici: mercoledì 31 luglio il parlamento potrebbe (potrebbe) finalmente votare i componenti del cda che sostituiranno gli attuali, scaduti da due mesi. Nel frattempo sono arrivate le dimissioni della presidente Marinella Soldi (che non aveva alcuna possibilità di riconferma) e si aspetta la nomina dei nuovi membri votare al suo posto Simona Agnes, in quota Forza Italia.

Il rischio è però che anche l’appuntamento di mercoledì non sia risolutivo e che tutto slitti a settembre. Anzi a ottobre, mese in cui è attesa la sentenza del Tar sul ricorso contro l’attuale procedura di selezione per il cda. Sarebbe infatti inutile trovare l’accordo per poi rischiare di dover ripartire da capo con la scelta dei candidati.

Lo stallo sul rinnovo si spiega con le tensioni tra Lega e Fratelli d’Italia. Il partito della premier vorrebbe promuovere Giampaolo Rossi, attuale direttore generale, ad amministratore delegato. I salviniani temono però che una mossa simile darebbe troppo potere agli alleati di governo, e finora hanno preso tempo, sapendo di non poter imporre un nome alternativo. Nel frattempo, risalgono le quotazioni di Roberto Sergio, attuale ad, che non avendo appartenenze (se non quella, filosofica, alla regola democristiana) è l’unico nome in grado di tutelare tutte le parti in causa.

Una conferma di Sergio per il prossimo mandato potrebbe scatenare una reazione negativa di Rossi? Non necessariamente: l’Adnkronos può confermare che negli uffici della Rai da mesi si studia il modo per consolidare il suo ruolo in azienda, ad esempio con un’assunzione a tempo indeterminato nel ruolo di direttore generale, così da non essere più in balìa delle tempeste politiche ma in grado di restare a lungo ai vertici di un’azienda con cui in questi anni ha creato un rapporto sempre più stretto.

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Giovanni Toti si è dimesso, Liguria alle urne entro 90...

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Il governatore ha inviato una lettera all'ufficio protocollo della Regione

Con una lettera fatta pervenire all'ufficio protocollo della Regione Liguria il presidente Giovanni Toti ha rassegnato le sue irrevocabili dimissioni. L'addio del presidente comporta automaticamente lo scioglimento della del Consiglio ligure. Nuove elezioni dovranno avvenire entro 90 giorni.

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