Politica
Armi all’Ucraina, opposizioni divise. Passano mozioni...
Armi all’Ucraina, opposizioni divise. Passano mozioni Pd e Iv-Az, Conte: “M5S eccezione”
'Fronda' Dem a Camera e Senato, ma per Schlein conta il voto compatto sulla risoluzione Pd a differenza della spaccatura di un anno fa
Sia alla Camera che al Senato sono passate le risoluzioni di maggioranza, Pd e Azione-Iv sull'Ucraina. Tutte per continuare il sostegno, anche militare, a Kiev. Con Giuseppe Conte che ha buon gioco a definire i 5 Stelle "un'eccezione", unici a votare "no all'invio di ulteriori forniture militari per l'Ucraina" insieme a Alleanza Verdi-Sinistra. Ma il racconto della giornata per le opposizioni non si riassume solo nelle diverse posizioni su Kiev.
Ci sono Azione e Iv che, pur avendo una linea coincidente con il Pd sull'Ucraina, attaccano i Dem per essersi astenuti sulla risoluzione M5S che chiedeva lo stop all'invio di armi. "Il Pd cede ai diktat di Conte anche in politica estera", attacca Carlo Calenda. "Non è vero - ribatte Peppe Provenzano, responsabile Esteri dem - quel punto è decaduto e non è stato votato. Quindi nessuna astensione sullo stop alle armi. Dal Terzo polo bugie e ricostruzioni surreali".
E pure nello stesso Pd nei voti si è materializzata una dialettica, con una 'fronda' sia alla Camera che al Senato: alcuni parlamentari non hanno seguito le indicazioni del gruppo di astenersi su tutte le altre mozioni presentate, ma hanno votato a favore del punto (si è votato per parti separate) dell'invio di armi contenuto nelle risoluzioni di maggioranza e di Azione-Iv.
A Montecitorio lo ha fatto per "una questione di coerenza col passato" l'ex-ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, e poi Lia Quartapelle e Marianna Madia. Stesso film a palazzo Madama dove a 'smarcarsi' sono stati in 5: Dario Parrini, Filippo Sensi, Simona Malpezzi, Valeria Valente e Pier Ferdinando Casini. Susanna Camusso, invece, non ha votato, né le altre mozioni né soprattutto quella del Pd.
Elly Schlein alla Camera con i suoi non si mostra preoccupata dalla 'fronda' tra i suoi parlamentari in quanto non hanno votato in dissenso dalla linea dem: il sostegno militare era contenuto anche nella mozione Pd. E semmai rivendica come, rispetto al passato, tutti abbiano votato compattamente il dispositivo del Pd mentre l'ultima volta sull'Ucraina c'erano stati voti in dissenso con le astensioni di Laura Boldrini, Arturo Scotto e Nico Stumpo mentre Paolo Ciani aveva addirittura votato contro.
Non la pensano così dalle parti dell'ex-Terzo Polo dove da Azione e Iv si accusa il Pd di incoerenza. Davide Faraone, parla di "fritto misto del Pd: il gruppo di Elly Schlein si astiene sia sulla mozione di IV-Az-Piu' Europa che su quella del M5S che chiede lo stop dell'invio di armi. In pratica sostengono una posizione (molto simile alla nostra, tanto che noi l'abbiamo votata) e l'esatto contrario".
Politica
Gasparri sulla privatizzazione Rai: cosa si può fare e cosa...
"A viale Mazzini dovrebbero fare una statua a me accanto al cavallo, ho salvato Rai Way dai piani della sinistra"
L’ipotesi di privatizzazione della Rai? “Le norme per farlo esistono da 20 anni, sono nella legge che porta il mio nome. Ma cedere Rai1, Rai2, e Rai3, non accadrà mai”. Esordisce così con l’Adnkronos il senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia. Che, da ministro delle Comunicazioni del governo Berlusconi, preparò il disegno di legge sul sistema radiotelevisivo italiano approvato dal Parlamento nell’aprile 2004. “Ci sono due possibilità: o una quotazione in borsa, e all’epoca la strada fu esplorata tanto che con l’amministratore delegato Flavio Cattaneo andammo a parlarne con i vertici di Borsa Italiana; oppure la cessione di rami d’azienda. Non bisogna dimenticare che la Rai ha più di dieci canali: oltre ai tre generalisti, ci sono quelli dedicati a storia, cinema, bambini, sport… Nulla vieta, se serve fare cassa, di cedere quelli, in tutto o in parte, o magari di fare delle joint venture con altri editori. Non mi pare che la Rai verrebbe meno al suo ruolo di servizio pubblico se Rai YoYo facesse un accordo con una società che produce contenuti per bambini”.
In un articolo del ‘Foglio’ si fa riferimento alla cessione di un 50% della società per abbattere il debito e gli oneri per le casse dello Stato. “Per un simile scenario ci vorrebbe una quotazione. E' vero, non serve avere il 50+1 di una società per controllarla, basta vedere cosa è successo con Enel, Eni e Leonardo. Ma attenzione: per portare in borsa un asset come la Rai bisogna prima valorizzarlo, renderlo appetibile per investitori e risparmiatori. E al momento mi sembra un compito difficile”. Altro discorso la cessione di rami d’azienda. “A viale Mazzini dovrebbero installare una statua dedicata a me, accanto a quella del cavallo. Fui infatti io nel 2001, da ministro, a oppormi all’operazione che era stata predisposta dal precedente governo di sinistra. Il piano era di cedere a una società privata un pezzo di Rai Way, ovvero le antenne e le infrastrutture di trasmissione, ma la Rai in cambio avrebbe avuto solo la minoranza nel consiglio di amministrazione. Dissi di no a questa idea balzana, sollevando grandi polemiche. Invece fu la scelta giusta: Rai Way è stata quotata anni dopo e ha garantito un ricco assegno per le casse pubbliche. Che hanno potuto monetizzare un asset strategico senza però perderne il controllo. Dico strategico perché con il Covid abbiamo avuto la dimostrazione del fatto che lo Stato deve avere il controllo sulle infrastrutture di comunicazione essenziali come quelle televisive. Durante i lockdown internet non arrivava ovunque, ma i canali del digitale terrestre sì, e hanno potuto informare anche quei cittadini che non sono dotati di smartphone o connessione veloce. Ora si parla di una possibile fusione con Ei Tower, su cui viaggiano le tv private. Non ho nulla in contrario, basta che alla fine dell’operazione la maggioranza di controllo resti in mano pubblica”.
Politica
La Rai privatizzata e il dossier nomine. Sergio in ascesa,...
Gli uffici di Viale Mazzini da mesi preparano il terreno per una possibile assunzione a tempo indeterminato del direttore generale
L’ipotesi di una privatizzazione della Rai, che oggi è tornata nel dibattito politico, ha fatto molto rumore a Viale Mazzini, rimettendo in moto un progetto che è sul tavolo da circa 30 anni, con altrettante declinazioni e ipotesi. Staccare un solo canale? Tenere Rai1, Rai2 e Rai3 ma cedere tutti gli altri, in blocco o creando delle joint venture con altri editori e produttori? Fare una ‘bad company’ da lasciare in mano pubblica, con i programmi del servizio pubblico che hanno minore ritorno commerciale, mentre una ‘newco’ con i pezzi più pregiati potrebbe essere messa sul mercato? I rumor sono ripartiti a partire dall’articolo di prima pagina del “Foglio” di oggi, che parlava della cessione di un 50% degli asset della tv e radio pubblica.
Come sottolinea Claudio Cerasa, la privatizzazione sarebbe una grande mossa politica, soprattutto in risposta a chi accusa la premier di aver messo in piedi ‘TeleMeloni’. Il problema è che il nuovo assetto sarebbe accolto con ostilità da Mediaset e gruppo Cairo: con l’abbandono dei tetti pubblicitari, la Rai privata sottrarrebbe inserzionisti agli altri broadcaster.
Il dossier è complicato inoltre dal rinnovo dei vertici: mercoledì 31 luglio il parlamento potrebbe (potrebbe) finalmente votare i componenti del cda che sostituiranno gli attuali, scaduti da due mesi. Nel frattempo sono arrivate le dimissioni della presidente Marinella Soldi (che non aveva alcuna possibilità di riconferma) e si aspetta la nomina dei nuovi membri votare al suo posto Simona Agnes, in quota Forza Italia.
Il rischio è però che anche l’appuntamento di mercoledì non sia risolutivo e che tutto slitti a settembre. Anzi a ottobre, mese in cui è attesa la sentenza del Tar sul ricorso contro l’attuale procedura di selezione per il cda. Sarebbe infatti inutile trovare l’accordo per poi rischiare di dover ripartire da capo con la scelta dei candidati.
Lo stallo sul rinnovo si spiega con le tensioni tra Lega e Fratelli d’Italia. Il partito della premier vorrebbe promuovere Giampaolo Rossi, attuale direttore generale, ad amministratore delegato. I salviniani temono però che una mossa simile darebbe troppo potere agli alleati di governo, e finora hanno preso tempo, sapendo di non poter imporre un nome alternativo. Nel frattempo, risalgono le quotazioni di Roberto Sergio, attuale ad, che non avendo appartenenze (se non quella, filosofica, alla regola democristiana) è l’unico nome in grado di tutelare tutte le parti in causa.
Una conferma di Sergio per il prossimo mandato potrebbe scatenare una reazione negativa di Rossi? Non necessariamente: l’Adnkronos può confermare che negli uffici della Rai da mesi si studia il modo per consolidare il suo ruolo in azienda, ad esempio con un’assunzione a tempo indeterminato nel ruolo di direttore generale, così da non essere più in balìa delle tempeste politiche ma in grado di restare a lungo ai vertici di un’azienda con cui in questi anni ha creato un rapporto sempre più stretto.
Politica
Giovanni Toti si è dimesso, Liguria alle urne entro 90...
Il governatore ha inviato una lettera all'ufficio protocollo della Regione
Con una lettera fatta pervenire all'ufficio protocollo della Regione Liguria il presidente Giovanni Toti ha rassegnato le sue irrevocabili dimissioni. L'addio del presidente comporta automaticamente lo scioglimento della del Consiglio ligure. Nuove elezioni dovranno avvenire entro 90 giorni.