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Politica
Conte e le accuse di Meloni sul Mes, ecco la lettera del...
Conte e le accuse di Meloni sul Mes, ecco la lettera del leader M5S a Fontana
La missiva al presidente della Camera in cui si chiede l'istituzione di un Giurì d'onore che si pronunci sulle accuse mosse dalla premier in Aula: "Menzogne dolose, precedente di assoluta gravità". Fontana avvia verifica
![Giuseppe Conte - Fotogramma](https://www.adnkronos.com/resources/0287-19776a82cffd-6871afd91cbe-1000/format/big/conte_camera_fg.jpeg)
"Le dolose menzogne del Presidente del Consiglio nonché deputata Giorgia Meloni hanno offerto" sul Mes e sui trascorsi del governo Conte "una rappresentazione della realtà dei fatti completamente ribaltata. Si tratta di un precedente di assoluta gravità, anche perché queste dichiarazioni sono state rilasciate non nel corso di una festa di partito, ma nell'Aula della Camera, in un contesto istituzionale particolarmente solenne e sono state riprese da tutti gli organi di stampa. Per conseguenza la compromissione dei miei beni morali dell'onore e della reputazione e la falsa ricostruzione del mio operato di Presidente del Consiglio dei Ministri e di deputato in carica appaiono particolarmente rilevanti nell'entità e nella portata diffusiva". Così il leader del M5S Giuseppe Conte, in un passaggio della lunga lettera inviata al presidente della Camera Lorenzo Fontana in cui chiede l'istituzione di un Giurì d'onore che si pronunci sulle accuse mossa da Meloni contro l'ex premier, la scorsa settimana nelle aule di Camera e Senato (QUI LA LETTERA).
"L'asimmetria, in ordine ai poteri e alla potenziale comunicativa, di un Presidente del Consiglio rispetto a un deputato in carica rende ancor più necessario -scrive Conte nella missiva- il Suo intervento per ristabilire e compensare le gravissime ed infondate offese che mi sono state arrecate. Per i motivi summenzionati Le chiedo, pertanto, ai sensi dell'articolo 58 del Regolamento della Camera, di nominare una commissione che giudichi la fondatezza delle gravi accuse a me rivolte, palesemente e dolosamente prive di qualsivoglia fondamento fattuale, temporale, politico e costituzionale".
Per Conte, le parole di Meloni in Aula "non solo" hanno "prodotto effetti lesivi della mia personale onorabilità", ma sono "suscettibili di produrre un'alterazione della fisiologica dialettica dei rapporti tra Governo e Parlamento, con diretto impatto sull'assetto istituzionale del nostro ordinamento democratico e costituzionale". "La sequela di accusa che mi sono state rivolte - scrive ancora il leader M5S, che nella missiva riporta diversi virgolettati della premier in Aula - è davvero impressionante", tanto da essere per Conte "ben oltre la normale dialettica parlamentare".
Meloni, rimarca l'ex premier, "mi ha rivolto, nella sostanza, l'accusa di aver agito in modo fraudolento, al di fuori del mandato parlamentare: è la più grave accusa che mi si possa muovere rispetto alla vicenda in esame, dia dal punto di vista politiche che da un punto di vista istituzionale e costituzionale".
"Ad aggravare la condotta" della premier, per Conte, "è il fatto che queste affermazioni sono state rilasciate in un momento istituzionale di particolare rilievo: durante le comunicazioni che il Presidente del Consiglio in carica offre in Aula, alla Camera dei deputati, alla vigilia di un Consiglio europeo che contemplava all'ordine del giorno questioni molto serie e complesse, che non comprendevano affatto la questione del Mes". Dietro l'operazione, denuncia il presidente pentastellato nella lettera inviata a Fontana, "la deliberata intenzione di disonorare il sottoscritto".
Fontana avvia verifica
"In riferimento alla richiesta di istituzione di un giurì d'onore presentata da Giuseppe Conte, il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, come da prassi, ha dato indicazione di svolgere la verifica in ordine ai presupposti regolamentari necessari per dare riscontro all’istanza formulata”. Così, in una nota, la Presidenza della Camera dei deputati.
Politica
Gasparri sulla privatizzazione Rai: cosa si può fare e cosa...
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"A viale Mazzini dovrebbero fare una statua a me accanto al cavallo, ho salvato Rai Way dai piani della sinistra"
![Gasparri sulla privatizzazione Rai: cosa si può fare e cosa non si farà mai](https://www.adnkronos.com/resources/028f-1b762149555d-ff8b94576863-1000/format/big/gasparri.jpeg)
L’ipotesi di privatizzazione della Rai? “Le norme per farlo esistono da 20 anni, sono nella legge che porta il mio nome. Ma cedere Rai1, Rai2, e Rai3, non accadrà mai”. Esordisce così con l’Adnkronos il senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia. Che, da ministro delle Comunicazioni del governo Berlusconi, preparò il disegno di legge sul sistema radiotelevisivo italiano approvato dal Parlamento nell’aprile 2004. “Ci sono due possibilità: o una quotazione in borsa, e all’epoca la strada fu esplorata tanto che con l’amministratore delegato Flavio Cattaneo andammo a parlarne con i vertici di Borsa Italiana; oppure la cessione di rami d’azienda. Non bisogna dimenticare che la Rai ha più di dieci canali: oltre ai tre generalisti, ci sono quelli dedicati a storia, cinema, bambini, sport… Nulla vieta, se serve fare cassa, di cedere quelli, in tutto o in parte, o magari di fare delle joint venture con altri editori. Non mi pare che la Rai verrebbe meno al suo ruolo di servizio pubblico se Rai YoYo facesse un accordo con una società che produce contenuti per bambini”.
In un articolo del ‘Foglio’ si fa riferimento alla cessione di un 50% della società per abbattere il debito e gli oneri per le casse dello Stato. “Per un simile scenario ci vorrebbe una quotazione. E' vero, non serve avere il 50+1 di una società per controllarla, basta vedere cosa è successo con Enel, Eni e Leonardo. Ma attenzione: per portare in borsa un asset come la Rai bisogna prima valorizzarlo, renderlo appetibile per investitori e risparmiatori. E al momento mi sembra un compito difficile”. Altro discorso la cessione di rami d’azienda. “A viale Mazzini dovrebbero installare una statua dedicata a me, accanto a quella del cavallo. Fui infatti io nel 2001, da ministro, a oppormi all’operazione che era stata predisposta dal precedente governo di sinistra. Il piano era di cedere a una società privata un pezzo di Rai Way, ovvero le antenne e le infrastrutture di trasmissione, ma la Rai in cambio avrebbe avuto solo la minoranza nel consiglio di amministrazione. Dissi di no a questa idea balzana, sollevando grandi polemiche. Invece fu la scelta giusta: Rai Way è stata quotata anni dopo e ha garantito un ricco assegno per le casse pubbliche. Che hanno potuto monetizzare un asset strategico senza però perderne il controllo. Dico strategico perché con il Covid abbiamo avuto la dimostrazione del fatto che lo Stato deve avere il controllo sulle infrastrutture di comunicazione essenziali come quelle televisive. Durante i lockdown internet non arrivava ovunque, ma i canali del digitale terrestre sì, e hanno potuto informare anche quei cittadini che non sono dotati di smartphone o connessione veloce. Ora si parla di una possibile fusione con Ei Tower, su cui viaggiano le tv private. Non ho nulla in contrario, basta che alla fine dell’operazione la maggioranza di controllo resti in mano pubblica”.
Politica
La Rai privatizzata e il dossier nomine. Sergio in ascesa,...
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Gli uffici di Viale Mazzini da mesi preparano il terreno per una possibile assunzione a tempo indeterminato del direttore generale
![La Rai privatizzata e il dossier nomine. Sergio in ascesa, Rossi stabilizzato?](https://www.adnkronos.com/resources/028f-1b761220d127-96aa2395eeb0-1000/format/big/agenzia_fotogramma_fgr4137909_pr_.jpeg)
L’ipotesi di una privatizzazione della Rai, che oggi è tornata nel dibattito politico, ha fatto molto rumore a Viale Mazzini, rimettendo in moto un progetto che è sul tavolo da circa 30 anni, con altrettante declinazioni e ipotesi. Staccare un solo canale? Tenere Rai1, Rai2 e Rai3 ma cedere tutti gli altri, in blocco o creando delle joint venture con altri editori e produttori? Fare una ‘bad company’ da lasciare in mano pubblica, con i programmi del servizio pubblico che hanno minore ritorno commerciale, mentre una ‘newco’ con i pezzi più pregiati potrebbe essere messa sul mercato? I rumor sono ripartiti a partire dall’articolo di prima pagina del “Foglio” di oggi, che parlava della cessione di un 50% degli asset della tv e radio pubblica.
Come sottolinea Claudio Cerasa, la privatizzazione sarebbe una grande mossa politica, soprattutto in risposta a chi accusa la premier di aver messo in piedi ‘TeleMeloni’. Il problema è che il nuovo assetto sarebbe accolto con ostilità da Mediaset e gruppo Cairo: con l’abbandono dei tetti pubblicitari, la Rai privata sottrarrebbe inserzionisti agli altri broadcaster.
Il dossier è complicato inoltre dal rinnovo dei vertici: mercoledì 31 luglio il parlamento potrebbe (potrebbe) finalmente votare i componenti del cda che sostituiranno gli attuali, scaduti da due mesi. Nel frattempo sono arrivate le dimissioni della presidente Marinella Soldi (che non aveva alcuna possibilità di riconferma) e si aspetta la nomina dei nuovi membri votare al suo posto Simona Agnes, in quota Forza Italia.
Il rischio è però che anche l’appuntamento di mercoledì non sia risolutivo e che tutto slitti a settembre. Anzi a ottobre, mese in cui è attesa la sentenza del Tar sul ricorso contro l’attuale procedura di selezione per il cda. Sarebbe infatti inutile trovare l’accordo per poi rischiare di dover ripartire da capo con la scelta dei candidati.
Lo stallo sul rinnovo si spiega con le tensioni tra Lega e Fratelli d’Italia. Il partito della premier vorrebbe promuovere Giampaolo Rossi, attuale direttore generale, ad amministratore delegato. I salviniani temono però che una mossa simile darebbe troppo potere agli alleati di governo, e finora hanno preso tempo, sapendo di non poter imporre un nome alternativo. Nel frattempo, risalgono le quotazioni di Roberto Sergio, attuale ad, che non avendo appartenenze (se non quella, filosofica, alla regola democristiana) è l’unico nome in grado di tutelare tutte le parti in causa.
Una conferma di Sergio per il prossimo mandato potrebbe scatenare una reazione negativa di Rossi? Non necessariamente: l’Adnkronos può confermare che negli uffici della Rai da mesi si studia il modo per consolidare il suo ruolo in azienda, ad esempio con un’assunzione a tempo indeterminato nel ruolo di direttore generale, così da non essere più in balìa delle tempeste politiche ma in grado di restare a lungo ai vertici di un’azienda con cui in questi anni ha creato un rapporto sempre più stretto.
Politica
Giovanni Toti si è dimesso, Liguria alle urne entro 90...
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Il governatore ha inviato una lettera all'ufficio protocollo della Regione
Con una lettera fatta pervenire all'ufficio protocollo della Regione Liguria il presidente Giovanni Toti ha rassegnato le sue irrevocabili dimissioni. L'addio del presidente comporta automaticamente lo scioglimento della del Consiglio ligure. Nuove elezioni dovranno avvenire entro 90 giorni.