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Politica

Consiglio Ue, revisione di bilancio slitta al 2024

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Paese pronto ad aprire negoziati su bilancio, ma soldi a Kiev linea rossa. Il premier ungherese: "Io solo contro 26". Revisione di bilancio slitta intanto al 2024, niente intesa tra i leader europei

Viktor Orban al Consiglio Ue - Afp

L'apertura dei negoziati per l'adesione dell'Ucraina all'Unione europea è una decisione "sbagliata", che potrebbe avere effetti negativi, ma "le conseguenze finanziarie ed economiche di ciò non saranno pagate dagli ungheresi". Così il primo ministro ungherese Viktor Orban, secondo quanto riportato sui social dal Zoltan Kovacs, segretario di Stato per le comunicazioni dell'Ungheria.

Orban ha sottolineato che questi costi devono essere sostenuti da coloro che hanno preso questa decisione, e che gli Stati membri dell'Ue "stanno cercando freneticamente di muoversi in questa direzione", quindi l'Ungheria ha l'opportunità di avvertire che "questa è una cattiva decisione". Per il capo del governo di Budapest è necessario scongelare "tutti i fondi europei" per l'Ungheria (sono una ventina quelli ancora bloccati) prima di ritirare il veto sui nuovi aiuti all'Ucraina.

"Sono in 26, e io sono solo", si è poi giustificato, parlando questa mattina attraverso la radio pubblica magiara, per non aver posto il veto all'avvio dei negoziati di adesione dell'Ucraina all'Ue nel Consiglio Europeo. "Vogliono dare all’Ucraina attraverso questa decisione l’incoraggiamento necessario per continuare la guerra, e mi hanno chiesto di non ostacolarli in questo", ha aggiunto Orban.

"Ma la loro argomentazione decisiva è stata che l’Ungheria non perde nulla - ha continuato -, se non vogliamo che l’Ucraina diventi membro dell’Unione Europea, allora il Parlamento ungherese la boccerà. E finché la questione non arriva ai Parlamenti, sarà un processo molto, molto lungo e, per come hanno contato loro e per come ho contato io, ci sono circa 75 occasioni in cui il governo ungherese potrà fermare questo processo. Hanno detto che, se durante i negoziati c’è qualcosa che danneggia gli interessi dell’Ungheria, posso interromperlo. Più tardi potremo fermare questo processo, se necessario tireremo il freno a mano", ha concluso.

Ungheria pronta a negoziato su bilancio, ma soldi a Kiev sono 'linea rossa'

L'Ungheria "non ricatta nessuno" e "non vuole uscire dall'Unione europea". Balazs Orban, direttore politico del primo ministro ungherese, fa quindi il punto della situazione a margine dei lavori del Consiglio, dopo la lunga notte di trattative sulla revisione del quadro finanziario pluriennale, finite in una fase di stallo a causa del muro eretto da Budapest, che chiede che i soldi per il sostegno all'Ucraina siano stanziati fuori dal bilancio Ue.

Una richiesta ribadita ancora oggi. "La nostra posizione è che non c'è bisogno di modificare il budget. Se vogliono modificare il budget, allora devono prendere in considerazione quello che l'Ungheria vuole. Abbiamo due linee rosse: i 50 miliardi di budget per l'Ucraina; la modifica del budget in cui si parla della compensazione per l'aumento dei tassi di interesse", ha spiegato lo spin doctor omonimo di Orban. "Siamo pronti ad aprire il negoziato" se le condizioni dell'Ungheria saranno accolte, ha inoltre sottolineato Balazs Orban.

Ieri via libera Ue a colloqui adesione Kiev

Il Consiglio Europeo a sorpresa ieri ha dato il via libera nel tardo pomeriggio ai colloqui di adesione con l'Ucraina e la Moldova, entrambe ex repubbliche socialiste sovietiche. Ha garantito lo status di Paese candidato alla Georgia, altra ex repubblica dell'Urss, che diede i natali a Giuseppe Stalin. E guarda all'avvio dei negoziati di adesione con la Bosnia-Erzegovina, sulla base di un rapporto della Commissione atteso nel marzo 2024. La svolta è arrivata a sorpresa a Bruxelles, in un Consiglio Europeo che nei briefing preparatori era stato invariabilmente descritto come "difficile" e probabilmente molto "lungo".

Revisione di bilancio slitta al 2024

Il confronto tra i leader europei al Consiglio Ue sulla revisione del quadro di bilancio pluriennale si è concluso senza un'intesa nonostante le trattative notturne. "Ventisei" capi di Stato e di governo sono "d'accordo con la negobox", la proposta di compromesso sulla revisione dell'Mff 2021-27 che prevede l'apporto di ulteriore denaro fresco nella misura di 22 mld di euro, un terzo rispetto alla proposta iniziale della Commissione, "in tutte le sue componenti". Tra i 26 un leader, lo svedese Ulf Kristersson, deve "consultare il suo Parlamento, in linea con le sue procedure nazionali", e "un leader", l'ungherese Viktor Orban, "non ha potuto concordare". Lo ha riferito il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, poco prima delle tre di mattina, quando il summit si è interrotto per riprendere stamani alle 10.

"Tutte le priorità sono rispettate: sostegno all'Ucraina, migrazioni, fondo di solidarietà e difesa fanno parte del pacchetto. Torneremo sulla materia all'inizio dell'anno prossimo, per tentare di raggiungere l'unanimità", ha concluso.

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Politica

Gasparri sulla privatizzazione Rai: cosa si può fare e cosa...

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"A viale Mazzini dovrebbero fare una statua a me accanto al cavallo, ho salvato Rai Way dai piani della sinistra"

Gasparri sulla privatizzazione Rai: cosa si può fare e cosa non si farà mai

L’ipotesi di privatizzazione della Rai? “Le norme per farlo esistono da 20 anni, sono nella legge che porta il mio nome. Ma cedere Rai1, Rai2, e Rai3, non accadrà mai”. Esordisce così con l’Adnkronos il senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia. Che, da ministro delle Comunicazioni del governo Berlusconi, preparò il disegno di legge sul sistema radiotelevisivo italiano approvato dal Parlamento nell’aprile 2004. “Ci sono due possibilità: o una quotazione in borsa, e all’epoca la strada fu esplorata tanto che con l’amministratore delegato Flavio Cattaneo andammo a parlarne con i vertici di Borsa Italiana; oppure la cessione di rami d’azienda. Non bisogna dimenticare che la Rai ha più di dieci canali: oltre ai tre generalisti, ci sono quelli dedicati a storia, cinema, bambini, sport… Nulla vieta, se serve fare cassa, di cedere quelli, in tutto o in parte, o magari di fare delle joint venture con altri editori. Non mi pare che la Rai verrebbe meno al suo ruolo di servizio pubblico se Rai YoYo facesse un accordo con una società che produce contenuti per bambini”.

In un articolo del ‘Foglio’ si fa riferimento alla cessione di un 50% della società per abbattere il debito e gli oneri per le casse dello Stato. “Per un simile scenario ci vorrebbe una quotazione. E' vero, non serve avere il 50+1 di una società per controllarla, basta vedere cosa è successo con Enel, Eni e Leonardo. Ma attenzione: per portare in borsa un asset come la Rai bisogna prima valorizzarlo, renderlo appetibile per investitori e risparmiatori. E al momento mi sembra un compito difficile”. Altro discorso la cessione di rami d’azienda. “A viale Mazzini dovrebbero installare una statua dedicata a me, accanto a quella del cavallo. Fui infatti io nel 2001, da ministro, a oppormi all’operazione che era stata predisposta dal precedente governo di sinistra. Il piano era di cedere a una società privata un pezzo di Rai Way, ovvero le antenne e le infrastrutture di trasmissione, ma la Rai in cambio avrebbe avuto solo la minoranza nel consiglio di amministrazione. Dissi di no a questa idea balzana, sollevando grandi polemiche. Invece fu la scelta giusta: Rai Way è stata quotata anni dopo e ha garantito un ricco assegno per le casse pubbliche. Che hanno potuto monetizzare un asset strategico senza però perderne il controllo. Dico strategico perché con il Covid abbiamo avuto la dimostrazione del fatto che lo Stato deve avere il controllo sulle infrastrutture di comunicazione essenziali come quelle televisive. Durante i lockdown internet non arrivava ovunque, ma i canali del digitale terrestre sì, e hanno potuto informare anche quei cittadini che non sono dotati di smartphone o connessione veloce. Ora si parla di una possibile fusione con Ei Tower, su cui viaggiano le tv private. Non ho nulla in contrario, basta che alla fine dell’operazione la maggioranza di controllo resti in mano pubblica”.

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Politica

La Rai privatizzata e il dossier nomine. Sergio in ascesa,...

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Gli uffici di Viale Mazzini da mesi preparano il terreno per una possibile assunzione a tempo indeterminato del direttore generale

La Rai privatizzata e il dossier nomine. Sergio in ascesa, Rossi stabilizzato?

L’ipotesi di una privatizzazione della Rai, che oggi è tornata nel dibattito politico, ha fatto molto rumore a Viale Mazzini, rimettendo in moto un progetto che è sul tavolo da circa 30 anni, con altrettante declinazioni e ipotesi. Staccare un solo canale? Tenere Rai1, Rai2 e Rai3 ma cedere tutti gli altri, in blocco o creando delle joint venture con altri editori e produttori? Fare una ‘bad company’ da lasciare in mano pubblica, con i programmi del servizio pubblico che hanno minore ritorno commerciale, mentre una ‘newco’ con i pezzi più pregiati potrebbe essere messa sul mercato? I rumor sono ripartiti a partire dall’articolo di prima pagina del “Foglio” di oggi, che parlava della cessione di un 50% degli asset della tv e radio pubblica.

Come sottolinea Claudio Cerasa, la privatizzazione sarebbe una grande mossa politica, soprattutto in risposta a chi accusa la premier di aver messo in piedi ‘TeleMeloni’. Il problema è che il nuovo assetto sarebbe accolto con ostilità da Mediaset e gruppo Cairo: con l’abbandono dei tetti pubblicitari, la Rai privata sottrarrebbe inserzionisti agli altri broadcaster.

Il dossier è complicato inoltre dal rinnovo dei vertici: mercoledì 31 luglio il parlamento potrebbe (potrebbe) finalmente votare i componenti del cda che sostituiranno gli attuali, scaduti da due mesi. Nel frattempo sono arrivate le dimissioni della presidente Marinella Soldi (che non aveva alcuna possibilità di riconferma) e si aspetta la nomina dei nuovi membri votare al suo posto Simona Agnes, in quota Forza Italia.

Il rischio è però che anche l’appuntamento di mercoledì non sia risolutivo e che tutto slitti a settembre. Anzi a ottobre, mese in cui è attesa la sentenza del Tar sul ricorso contro l’attuale procedura di selezione per il cda. Sarebbe infatti inutile trovare l’accordo per poi rischiare di dover ripartire da capo con la scelta dei candidati.

Lo stallo sul rinnovo si spiega con le tensioni tra Lega e Fratelli d’Italia. Il partito della premier vorrebbe promuovere Giampaolo Rossi, attuale direttore generale, ad amministratore delegato. I salviniani temono però che una mossa simile darebbe troppo potere agli alleati di governo, e finora hanno preso tempo, sapendo di non poter imporre un nome alternativo. Nel frattempo, risalgono le quotazioni di Roberto Sergio, attuale ad, che non avendo appartenenze (se non quella, filosofica, alla regola democristiana) è l’unico nome in grado di tutelare tutte le parti in causa.

Una conferma di Sergio per il prossimo mandato potrebbe scatenare una reazione negativa di Rossi? Non necessariamente: l’Adnkronos può confermare che negli uffici della Rai da mesi si studia il modo per consolidare il suo ruolo in azienda, ad esempio con un’assunzione a tempo indeterminato nel ruolo di direttore generale, così da non essere più in balìa delle tempeste politiche ma in grado di restare a lungo ai vertici di un’azienda con cui in questi anni ha creato un rapporto sempre più stretto.

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Politica

Giovanni Toti si è dimesso, Liguria alle urne entro 90...

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Il governatore ha inviato una lettera all'ufficio protocollo della Regione

Con una lettera fatta pervenire all'ufficio protocollo della Regione Liguria il presidente Giovanni Toti ha rassegnato le sue irrevocabili dimissioni. L'addio del presidente comporta automaticamente lo scioglimento della del Consiglio ligure. Nuove elezioni dovranno avvenire entro 90 giorni.

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