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Crosetto: “No a ritorno leva obbligatoria ma ragionare su periodi volontari e forze riserva”
Il ministro della Difesa è intervenuto al Forum Adnkronos al Palazzo dell'Informazione
"I tempi che viviamo e che vivremo ci chiederanno sempre di più forze armate professionali, formate, che sappiano che la vita militare non è una scelta facile e mette in conto anche di perdere la vita. Non è una cosa da leva obbligatoria". Lo ha detto il ministro della Difesa, Guido Crosetto, intervenuto al Forum Adnkronos al Palazzo dell'Informazione. "Ripristinare la leva avrebbe poi un costo enorme. Non è stato mai quantificato ma sarebbe di diversi miliardi, e in un bilancio come il nostro dove li trovi?".
Crosetto ha ricordato invece che quella relativa a un periodo di servizio "su base volontaria è un'ipotesi su cui Camera e Senato stanno lavorando con diverse proposte su cui si potrebbe fare un ragionamento. E su cui innestare un altro ragionamento che va fatto, che è quello della riserva. Paesi come la Svizzera, ad esempio, hanno una riserva di forze armate che hanno fatto un percorso e che si attivano in caso di necessità. Come è successo in Israele di recente. Pensando a una riserva - ha aggiunto Crosetto - credo che si possa attingere a qualcuno che ha già una predisposizione, la prima riserva potrebbe essere quella di pensare a chi è già formato come le forze di polizia, anche lì su base volontaria. E' un processo in corso: la Difesa, dopo quello che è successo in Ucraina e in Medio Oriente, evolve".
Quanto all'Ue, "per parlare di esercito comune europeo bisognerebbe parlare di qualcosa di diverso dalle forze armate nazionali. Per costruirlo ci vogliono 25-30 anni. Qual è il modo più semplice per avere forze armate europee? E' usare il sistema della Nato: tu hai forze italiane, spagnole, francesi, inglesi e le rendi interoperabili, cioè insegni loro a lavorare insieme come se fossero la stessa cosa. Con lo stesso modo con cui hai costruito la Nato costruisci le forze armate europee, che alla fine avendo un unico centro di comando e controllo sono in grado di muoversi come se fossero una cosa sola".
"Non è un esercito europeo, è la somma degli eserciti nazionali per fare un pilastro di difesa europea che poi si integra in quello della Nato. E' molto più veloce, non hai bisogno di cambiare completamente l'organizzazione anche perché i tempi non ti concedono 20 anni", ha aggiunto il ministro.
Politica
Meloni oggi a Gedda, resta aperto caso Santanchè:...
La presidente del Consiglio attesa a bordo della nave Amerigo Vespucci, dove saluterà l'equipaggio dello storico veliero. La ministra del Turismo: "Assolutamente tranquilla"
Prima missione di Giorgia Meloni nella terra di Mohammad bin Salman. La presidente del Consiglio è arrivata nella seconda città più grande dell'Arabia Saudita, dopo la capitale Riad, per un tour a bordo della nave scuola Amerigo Vespucci: la premier saluterà l'equipaggio dello storico veliero, partito da Genova il 1° luglio 2023 per un giro del mondo lungo due anni in cui ha visitato 5 continenti e 30 Paesi toccando 35 porti, prima del suo rientro nel Mediterraneo.
Gedda sarà ricordata come una sorta di 'snodo' di questa fase politica per il governo Meloni. Da qui, infatti, il 27 gennaio passerà anche il ministro del Turismo Daniela Santanchè, al centro delle polemiche dopo il rinvio a giudizio nell'ambito dell'inchiesta sui conti di Visibilia Editore che sta facendo traballare la sua poltrona. Dopo aver incrociato la premier Meloni giovedì in Cdm, ieri Santanchè ha parlato della sua vicenda a margine dell'inaugurazione del Motor Bike a Verona: "Mai nessuno mi ha chiesto di fare un passo indietro. Io ho sempre detto che sono assolutamente tranquilla perché so come sono le questioni nel merito. Ho sempre detto che, per quanto riguarda questo rinvio a giudizio sulle false comunicazioni, non mi sarei dimessa", ha rimarcato l'imprenditrice ed esponente di Fratelli d'Italia, negando di aver avuto un confronto con Meloni sul tema.
Diverso il discorso per quanto riguarda l'altra inchiesta, quella sulla cassa integrazione Covid: "Capisco che ha delle implicazioni politiche", ha spiegato Santanchè, ribadendo la sua intenzione di fare un passo indietro in caso di rinvio a giudizio per quel filone di indagine. Il ministro ha inoltre aggiunto che i suoi rapporti con Meloni restano "quelli di sempre": "Sono assolutamente tranquilla... non patteggerò mai, andrà fino in fondo", ha promesso. Insomma, tra l'insofferenza che inizia a serpeggiare in FdI - dove ci si attende una scelta definitiva di Santanchè per chiudere il caso - e il pressing delle opposizioni che chiedono a gran voce le dimissioni di Santanchè, il nodo resta sul tavolo.
Meloni al momento resta concentrata sulla missione in Arabia, di cui ha parlato anche l'emittente locale saudita Al Arabiya, secondo cui la presidente del Consiglio terrà nella giornata di domenica colloqui con il principe ereditario bin Salman nella storica città di Al-Ula per "discutere opportunità di cooperazione" tra Roma e Riad.
"I due Paesi - ricorda la tv - intrattengono strette relazioni che risalgono al 1932, quando l'Italia fu tra i primi Paesi a stabilire relazioni diplomatiche con l'Arabia Saudita e aprì un consolato italiano a Gedda. Nel 1933 fu firmato un accordo di cooperazione tra i due Paesi". "Da allora - prosegue l'emittente saudita - le relazioni politiche ed il dialogo tra le leadership dei due paesi sono proseguiti con visite reciproche per migliorare le relazioni in diversi campi", portando ''il volume degli scambi commerciali bilaterali nel 2023 a circa 10,796 miliardi di dollari".
Proprio una decina di giorni fa, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha sottoscritto a Riad con il ministro saudita dell'Energia Abdulaziz Bin Salman Al-Saud un memorandum d'intesa per la cooperazione nel settore energetico. L'accordo, che ha validità di cinque anni, punta a rafforzare la cooperazione su transizione e sicurezza energetica, tenendo conto degli obiettivi di Parigi e dell'Agenda 2030.
Politica
La Russa e la ‘riforma del burraco’:...
Il presidente del Senato torna a parlare della sua revisione delle regole del gioco di carte per renderlo più amichevole e meno competitivo
Il burraco è solo un gioco. Ignazio La Russa, presidente del Senato, porta avanti la 'riforma' del celeberrimo gioco, troppo spesso condito da liti e tensioni. "La mia rra una uscita ironica, uno scherzo, ma vedo che è diventata una cosa seria...", dice il presidente del Senato a 'Un giorno da pecora, su Rai Radio 1, tornando sulla sua proposta di introdurre un "burraco friendly" perché "oltre a quello serio dove vedo un po' tutti arrabbiati, serve un gioco meno competitivo, più amichevole".
Il presidente del Senato ci tiene a "chiarire": "Non voglio cambiare le regole attuali, ma voglio aggiungerne delle altre, perché quando si gioca a burraco vorrei si recuperasse la voglia di stare insieme. Il concetto base era: cerchiamo di considerarlo un gioco e non uno sport competitivo. Poi, chi vuole considerarlo uno sport dove competere, continui pure a farlo" ma bisogna dare la possibilità a chi non è d'accordo a "giocare solo per divertirsi''.
La Russa precisa che "non vuole provocare uno scisma vero e proprio, ma fare una cosa tipo l'Inter che nacque da una costola del Milan... So che Scandroglio ha aperto una mail dove proporrà un nuovo regolamento tenendo conto della mia proposta. Io non aderirò ma chi vuole può farlo..".
L'ex ministro della Difesa del governo Berlusconi spiega di "non giocare mai in coppia con la moglie", altrimenti finisce per litigare perché lui "si distrae". E rivela di aver giocato una partita, invece, con Giorgia Meloni ma risale a oltre due anni fa: "L'ultima volta che ho giocato con la Meloni erano i primissimi giorni della legislatura...". Il presidente del Senato confida che la "Santanchè gioca spesso a burraco, in coppia con il compagno: sono molto bravi...".
Politica
Una sola donna alla Consulta? L’ex presidente...
"I nomi ci sono, una maggiore presenza femminile potrebbe essere utile"
Il Parlamento in seduta comune per eleggere i giudici della Corte Costituzionale si riunirà giovedì prossimo. E' rebus sui nomi in quota Fi ed 'indipendente' a parte le candidature almeno apparentemente blindate e convenute di Francesco Saverio Marini (in quota Fdi) e di Massimo Luciani (in quota Pd). Ma c'è un'altra 'presunta' certezza legata al 'colore' delle quote nello scenario spartitorio su cui si sarebbero accordate le forze politiche 2+1+1 (due giudici alla maggioranza, uno all'opposizione ed uno indipendente): in base alla regola stabilita un posto, quello del tecnico, andrebbe ad una donna. Qualche tentativo di colorare di rosa altre caselle è stato approcciato qua e là dalle forze politiche, ma si è risolto in una velleità, sgonfiatasi subito a conferma della regola.
Perché allora soltanto una casella su quattro è stata concessa alle donne, dal momento che tra l'altro a palazzo della Consulta solo 3 su 11 giudici costituzionali sono donne? "Se non vengono candidate è perché prevalgono logiche clientelari e non di merito. Oggi i nomi ci sono e non ci sono alibi come magari potevano esserci ai miei tempi. Io potrei farle almeno una decina di nomi di eccellenti costituzionaliste. Qualcuno faccia mea culpa", risponde senza mezzi termini all'Adnkronos il presidente emerito della Corte costituzionale Antonio Baldassarre, giudice costituzionale dal 1986 al 1995 di un Collegio di soli uomini.
"Il problema è la sensibilità di chi sceglie, che spesso opta per un meccanismo clientelare, per giuristi che lavorano accanto o a fianco dei partiti o ancor peggio opta per parlamentari la cui esperienza giuridica non va oltre quella elementare di un avvocato... Per fortuna adesso hanno un po' sfoltito... - chiosa -. E per fortuna il presidente della Repubblica nomina ogni tanto qualcuno che sta in disparte rispetto ai partiti. Però è troppo poco per compensare questa lacuna".
Al momento, sono tre le donne giudici costituzionali in carica a Palazzo della Consulta: due sono state nominate dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella (Emanuela Navarretta nel settembre 2020; Antonella Sciarrone Alibrandi nel novembre 2023); ed una, Maria Rosaria San Giorgio, dalla Corte di cassazione nel dicembre 2020. Non andrebbero progressivamente riequilibrate le quote? "Io non ne farei questione di sesso: alla Corte dovrebbero andare massimi esperti di diritto, come Luciani... Da questo punto di vista uomini o donne non importa. Per il resto, parlando del mio settore, il diritto costituzionale, ci sono anche professoresse universitarie valenti...". "Ed hanno già dato prova del loro valore alla Corte donne molto capaci: Sciarra una delle più brave nel diritto del lavoro, di Marta (Cartabia - ndr) non parlo perché è stata la mia assistente...", aggiunge il costituzionalista.
E allora quale è il problema? "Il problema è che non rientrano nella logica clientelare e che questa classe politica non riesce a capire la distinzione fra competente e incompetente, fra bravo e somaro. Sbagliando. Perché la Corte costituzionale è uno dei pochi collegi in cui si discute veramente e potrei portarle esempi e testimonianze che se c'è uno valido si impone con la forza della competenza e del diritto; e che è controproducente giocare agli orticelli. Io ricordo che ai miei tempi c'erano giudici validissimi, come Ugo Spagnoli designato dal Parlamento, altri un po' meno. Questi ultimi - ricorda il presidente emerito - facevano sempre la figura dei 'peracottari', nessuno li stava ad ascoltare e questo non giova al partito che li designa".
Il Parlamento quindi porti 4 donne alla Corte? "Quattro no, perché ci sono anche uomini di altissimo spessore - precisa Baldassarre - Ma bilanci, questo sì. Non mancano le bravi e capaci e una maggiore presenza femminile a Palazzo della Consulta potrebbe essere utile al Collegio anche perché - conclude - le donne hanno più degli uomini una intuizione spiccata, che nel diritto è una capacità importante". (di Roberta Lanzara)