Israele, attacco a Gaza durerà fino a gennaio 2024: lo scenario
Per indebolire Hamas non basterà il mese di dicembre. Gli Usa premono: ridurre le vittime civili
L'attacco di Israele nel sud della Striscia di Gaza durerà diverse settimane e solo a gennaio 2024, probabilmente, si trasformerà in un'operazione di intensità inferiore con raid localizzati per colpire obiettivi specifici di Hamas. E' lo scenario che delineano fonti degli Stati Uniti alla Cnn.
Un membro dell'amministrazione di Joe Biden, in particolare, esprime preoccupazione per i possibili sviluppi nelle prossime settimane. Washington ha avvertito Israele in maniera "netta" e "diretta": le forze di difesa (Idf) non possono utilizzare nuovamente le strategie impiegate nell'offensiva nel nord della Striscia di Gaza e devono agire per ridurre al minimo le vittime civili.
Le parole del segretario alla Difesa, Lloyd Austin, sono state esplicite: Israele "può vincere in una guerriglia urbana solo se protegge i civili". Il sostegno americano "non è in discussione" ma Israele rischia di trasformare "una vittoria tattica in una sconfitta strategica" se non si adopererà maggiormente per proteggere la popolazione.
Il pressing statunitense, osserva la Cnn sulla base di informazioni provenienti dall'amministrazione Biden, si sviluppa attraverso 'consigli' forniti dietro le quinte e non con messaggi pubblici. La risposta di Israele, in linea di massima, non cambia: l'obiettivo rimane Hamas, che va colpito per evitare che i miliziani siano in grado di replicare un attacco come quello attuato il 7 ottobre. Tale obiettivo, secondo una fonte a cui fa riferimento l'emittente americana, non può essere raggiunto entro la fine dell'anno: per questo, gli Stati Uniti si aspettano "una campagna più lunga".
Biden: "Stop alla tregua è colpa di Hamas"
Nelle ultime ore, il presidente Biden ha ribadito la posizione di Washington: se la tregua è saltata, la colpa è di Hamas. "Fatemi essere chiaro: è stato il rifiuto di Hamas di rilasciare le giovani donne rimaste in ostaggio che ha rotto l'accordo e messo fine alla pausa nei combattimenti", ha detto a Boston, sottolineando che "queste donne e tutti gli altri tenuti in ostaggio da Hamas devono essere rilasciati immediatamente. Non ci fermeremo fino a quando non avremo riportato a casa ognuno di loro, e sarà un lungo processo".
Ricordando di avere "passato ore con i negoziatori del Qatar e gli altri per sostenere ed estendere l'accordo", Biden ha rivendicato di "aver fatto uscire più cento ostaggi", ma il rifiuto di Hamas di liberare "le donne civili, tra i 20 e i 39 anni, ha bloccato la tregua".
Biden ha definito "sconvolgenti" i racconti che continuano ad arrivare sulle violenze sessuali compiute dai miliziani di Hamas sulle donne durante gli attacchi del 7 ottobre. Violenze che il presidente americano ha invitato a condannare "senza equivoci e senza eccezioni" rivolgendosi a "governi, organizzazioni internazionali, società civile e mondo imprenditoriale".
"Sin dall'inizio abbiamo avuto notizie del fatto che Hamas ha usato lo stupro per terrorizzare donne e ragazze durante gli attacchi del 7 ottobre - ha detto il presidente americano parlando oggi a Boston - nelle ultime settimane, sopravvissute e testimoni degli attacchi hanno condiviso racconti orribili di una crudeltà inimmaginabile. Notizie di donne ripetutamente stuprate, di corpi mutilati mentre erano ancora vive, di cadaveri dissacrati. I terroristi di Hamas hanno inflitto così tanto dolore e sofferenza a donne e ragazze e poi le hanno uccise. E' sconvolgente".
"Mettere fine alla violenza contro le donne e alle aggressioni sessuali è stata una delle missioni della mia vita - ha continuato Biden - ma il mondo non può guardare dall'altra parte davanti a quello che sta succedendo. Spetta a tutti noi, governi, organizzazioni internazionali, società civile e imprenditoriale, condannare con forza le violenze sessuali dei terroristi di Hamas. Senza equivoci, senza eccezioni".
Esteri
Taiwan ‘mai così accerchiata’, decine di navi...
"Circa 90" unità della Marina e della Guardia Costiera di Pechino restano nelle acque della cosiddetta prima catena di isola
Decine di unità navali cinesi intorno a Taiwan, mai da anni una flotta di una simile portata intorno a Taipei. La denuncia è arrivata dalle autorità dell'isola, di fatto indipendente, ma che Pechino considera una "provincia ribelle" da "riunificare". "Circa 90" unità della Marina e della Guardia Costiera restano nelle acque della cosiddetta prima catena di isole, ha detto un ufficiale di Taiwan all'agenzia Afp in un momento di allerta per possibili giochi di guerra cinesi in risposta alla prima visita all'estero del presidente di Taiwan, William Lai (Lai Ching-te), che nei giorni scorsi ha anche fatto tappe alle Hawaii e a Guam suscitando le ire di Pechino.
Il ministero della Difesa di Taipei ha inoltre denunciato di aver rilevato in 24 ore la presenza di 47 velivoli militari cinesi nei pressi dell'isola, il numero più alto dal record del 15 ottobre, quando ne vennero segnalati 153, una 'risposta' della Cina a un discorso di Lai, che la Repubblica Popolare considera un "pericoloso separatista".
Ieri, contestualmente all'avvio di manovre da parte di Taiwan, il ministero degli Esteri di Pechino aveva ripetuto che la Cina avrebbe "difeso con fermezza" la sua sovranità.
Secondo il ministero della Difesa di Taiwan, il numero di unità navali cinesi nelle acque intorno a Taiwan è superiore a quello della 'rappresaglia' di Pechino per la visita a Taipei, nel 2022, di Nancy Pelosi, all'epoca speaker della Camera Usa.
Per Sun Li-fang, portavoce del ministero della Difesa, "si può affermare che l'entità di queste forze marittime è tale da superare le quattro esercitazioni fatte dal 2022". Stando alle denunce di Taipei, questa volta "sono incluse" non solo forze del "Comando del Teatro orientale, ma anche dei Comandi dei Teatri settentrionale e meridionale".
Per ora non ci sono stati annunci da parte dell'Esercito popolare di liberazione o dei media ufficiali del gigante asiatico riguardo un ulteriore aumento dell'attività militare nel Mar cinese orientale, nello Stretto di Taiwan o nel Mar cinese meridionale.
Esteri
Siria, Trump ha già rimpiazzato Biden? Il tycoon detta la...
Il presidente eletto, dopo la visita a Parigi con gli incontri con i leader internazionali, ha di fatto preso il controllo del proscenio globale
Almeno sulla Siria, il presidente Usa uscente Joe Biden sembra ormai aver ceduto il posto prima del tempo al successore Donald Trump. Ritardando di quasi un giorno dai fatti l'intervento sulla fine del regime di Assad, il dem ha di fatto lasciato che il tycoon dettasse la linea americana sulla crisi a Damasco. Ma non solo. Il presidente eletto continua ormai da giorni, attraverso una valanga di messaggi sui social, sia a dispensare possibili soluzioni alla guerra tra Ucraina e Russia che, più in generale, a lasciar intendere quella che poi sarà la politica estera americana della nuova era.
Di fronte all'inarrestabile avanzata verso la capitale siriana, spiega infatti il New York Times, l'amministrazione Biden ha trasmesso messaggi ai gruppi ribelli che hanno guidato l'offensiva. E lo ha fatto, spiega il quotidiano citando funzionari statunitensi e turchi, usando canali diplomatici, militari e d'intelligence turchi per inviare messaggi tesi inizialmente a dire "cosa non fare", in primis non coinvolgere lo Stato Islamico nell'offensiva, nel quadro dell'obiettivo di arrivare ad una transizione pacifica in questo "momento di opportunità storica". Ma, dopo il ritardo nell'intervenire sugli ultimi sviluppi di politica estera, a poco più di un mese dall'inaugurazione del 20 gennaio gli occhi di tutti sembrano ora già puntati su Trump. Che con la visita di sabato a Parigi ha di fatto preso il controllo del proscenio globale con gli incontri con leader internazionali.
Biden cede, Trump già presidente
Insomma, ancora una volta il tycoon si conferma una forza che sovverte le consuetudini politiche americane, infrangendo la tradizione che vuole che ci sia, tra elezioni e insediamento, un solo presidente. Ora questo presidente sembra sia lui, osserva il Wall Street Journal, notando come questo sia avvenuto anche perché Biden ha ceduto i riflettori, aspettando praticamente 24 ore prima di intervenire sulla Siria.
Il silenzio del presidente in carica è risaltato ancora di più nel contrasto con il lungo e articolato post con cui Trump, poco prima di sedersi sabato scorso all'Eliseo con Volodymyr Zelensky e Emmanuel Macron, legava apertamente l'imminente caduta di Assad alla guerra in Ucraina, dicendo che la prima sarebbe stata la "cosa migliore" per la Russia "troppo occupata in Ucraina dove ha perso 600mila militari".
Ma soprattutto diceva che gli "Stati Uniti non devono farsi coinvolgere" nel "caos in Siria", perché "non è la nostra battaglia". E poi domenica, dopo la fuga di Assad, un altro post per dire che la Russia "non ha più interesse a proteggerlo" ed ancora, chiaramente, il link con il conflitto ucraino: "Hanno perso interesse in Siria per l'Ucraina, una guerra che non sarebbe dovuta iniziare e che potrebbe andare avanti per sempre".
Caduta di Assad grande opportunità per Trump, l'analisi
Nonostante quindi i suoi proclami apparentemente isolazionistici, Trump ha nella caduta di Assad, e la presa di potere da parte di fazioni sunnite, una grande opportunità: "L'America ha sempre voluto un Stato guidato dai sunniti a Damasco per danneggiare l'Iran. E la Russia. E ora lo ha avuto, quindi perché mordere la mano che volevi?", afferma Joshua Landis, capo del Center for Middle East Studies dell'università dell'Oklahoma, spiegando a Politico come si sia di fronte ad una cambiamento drastico di tutti gli equilibri in Medio Oriente.
A chi gli ricorda che fu proprio l'amministrazione Trump a mettere Hayat Tahrir al-Sham (Hts), nella lista delle organizzazioni terroristiche nel 2018, con una taglia da 10 milioni di dollari sulla testa del suo leader Abu Mohammed al-Jawlani, Landis risponde che gli Usa dovranno fare una nuova considerazione. "Jolani ha detto chiaramente che non c'è posto per l'estremismo in Siria, che vuole essere amico di tutti, che gli unici nemici sono Iran, Hezbollah e Assad", aggiunge.
Insomma, sta dicendo tutte le cose giuste e Washington deve decidere se credergli o no, ma "se non dichiara guerra all'America e dice che sta cercando di costruire un governo e dare da mangiare alla popolazione in modo da far tornare i rifugiati, gli Usa saranno in una posizione negativa se non faranno i conti con questo", argomenta Landis confermando che il leader delle forze anti-Assad "sta già cercando un dialogo con il governo americano".
E, conclude l'analista, "ci sono molte persone a Washington che stanno lavorando per toglierlo dalla lista dei terroristi. Il Washington Institute for Near East Policy ha diverse persone che stanno sostenendo a gran voce che gli Usa dovrebbero riconsiderare Jawlani, un moderato che ha fatto molte cose buone".
Esteri
Siria, finite le ricerche a Sednaya: nel carcere...
Non sono stati trovati altri detenuti nel complesso simbolo della brutalità del regime. Il leader dei ribelli al Jawlani: "Presto i nomi di chi ha torturato i siriani"
Finite le ricerche nel famigerato carcere 'mattatoio' di Sednaya, a nord di Damasco. Lo hanno reso noto i caschi bianchi, precisando che non sono stati trovati altri detenuti nel complesso, divenuto simbolo della brutalità del regime di Bashar al Assad.
“La ricerca non ha portato alla luce alcuna area non aperta o nascosta all'interno della struttura”, ha reso noto l'organizzazione di difesa civile siriana in un comunicato, precisando di aver completato una ricerca sistematica del vasto complesso, cercando celle segrete, scantinati nascosti e controllando i cortili e le aree circostanti della prigione, dopo che gli insorti entrati domenica all'alba a Damasco hanno aperto i cancelli del carcere.
Cinque squadre, tra cui due unità cinofile della polizia K9, sono state coinvolte nella ricerca di ingressi, uscite, pozzi di ventilazione, sistemi fognari, tubature dell'acqua, telecamere di sorveglianza. Nonostante gli sforzi, non sono state individuate aree nascoste o sigillate. “Condividiamo la profonda delusione delle famiglie delle migliaia di persone ancora disperse e il cui destino rimane sconosciuto”, hanno dichiarato i Caschi Bianchi.
Circa 150.000 persone in totale sono state imprigionate nella struttura, che è nota tra i siriani come il “mattatoio” per le brutalità e le torture commesse anche contro migliaia di civili arrestati solo perché oppositori del regime.
"Presto i nomi di chi ha torturato siriani"
Il nuovo governo di transizione a Damasco diffonderà presto una lista di ex funzionari del regime "coinvolti nelle torture al popolo siriano",ha intanto annunciato il leader dei ribelli Mohammed al Jawlani su Telegram, dove si firma con il suo vero nome, Ahmed al Sharaa: "Offriremo ricompense a chiunque fornisca informazioni sugli ufficiali dell'esercito e della sicurezza coinvolti in crimini di guerra".
"Non esiteremo - ha aggiunto il leader di Hayat Tahrir al Sham (Hts), entrato domenica a Damasco - a ritenere responsabili i criminali, gli assassini, gli ufficiali coinvolti nelle torture al popolo siriano. Perseguiremo i criminali di guerra e chiederemo la loro consegna ai Paesi nei quali sono fuggiti". Poi, al Jawlani ha ribadito "l'impegno alla tolleranza verso coloro i quali non hanno le mani macchiate del sangue del popolo siriano e abbiamo concesso l'amnistia a quanti erano in servizio obbligatorio".