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Salute e Benessere

Malattie rare, campagna ‘La sclerodermia è anche...

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Malattie rare, campagna ‘La sclerodermia è anche nostra’ apre a cure personalizzate

Integrazione ospedale-territorio con telemedicina e telemonitoraggio per trattamenti a casa

Malattie rare, campagna 'La sclerodermia è anche nostra' apre a cure personalizzate

Accendere i riflettori sulla sclerosi sistemica per fornire ai pazienti informazioni accurate sulla patologia, sui diversi percorsi di cura, non ancora standardizzati e omogenei in tutte le regioni, grazie alle testimonianze degli specialisti e di chi vive la malattia. Con questi obiettivi parte la nuova campagna 'La sclerodermia è anche nostra' (sclerodermia.info) promossa da Gils - Gruppo italiano per la lotta alla sclerodermia, Liss - Lega italiana sclerosi sistemica e Amrer - Associazione malati reumatici Emilia Romagna, con il contributo non condizionato di Italfarmaco.

La sclerosi sistemica (o sclerodermia) - ricorda una nota - è una malattia rara complessa che in Italia interessa quasi 30mila persone, in prevalenza donne. Si manifesta tra i 40 e i 50 anni. La sua forma più grave e invalidante può manifestarsi già tra i 20 e i 25 anni. Colpisce il tessuto connettivo coinvolgendo la pelle, i vasi sanguigni, il cuore, i polmoni, i reni, l'apparato digerente e quello muscoloscheletrico. Telemedicina, telemonitoraggio e integrazione ospedale-territorio rappresentano il futuro dei percorsi di cura personalizzati e sempre più a domicilio.

"Essere parte attiva di questa campagna - afferma Paola Canziani, presidente Gils - per noi significa contribuire ad aiutare i pazienti che ogni giorno, a causa della complessità della malattia, si trovano a fronteggiare difficoltà motorie, pneumologiche, cardiologiche e psicologiche". Con la campagna si può "far emergere con chiarezza - aggiunge Mariabeatrice Elvano, portavoce Liss - la voce dei pazienti e valutare concretamente il pesante coinvolgimento che la malattia implica nella gestione quotidiana della persona e del nucleo familiare". Come osserva Daniele Conti, direttore Amrer, "percorsi precisi di presa in carico dei pazienti che garantiscano un approccio diagnostico-terapeutico in tempi rapidi sono gli elementi fondamentali per aiutare le persone con questa condizione".

Attualmente i percorsi di cura della sclerosi sistemica prevedono una presa in carico a livello ospedaliero. "Presso il nostro centro - spiega Massimo Reta, direttore della Struttura complessa di Medicina interna a indirizzo reumatologico dell'Ospedale Maggiore 'C.A. Pizzardi' di Bologna - i pazienti vengono gestiti in ospedale con l'ausilio di dispositivi indossabili alla presenza di un infermiere o di un medico, affinché possano intervenire in caso di necessità. Oltre ai nostri hub ospedalieri abbiamo a disposizione 16 sedi territoriali, in alcune delle quali abbiamo avviato la sperimentazione della delocalizzazione dei pazienti in carico alla nostra struttura raggiungendo l'obiettivo di permettere ai pazienti di recarsi presso il proprio distretto, diminuendo il tempo di percorrenza dalla propria abitazione al luogo di cura. Un'opzione che ha permesso di aumentare l'aderenza alla terapia".

I pazienti che, per condizioni fisiche e/o per problemi logistici, non riescono a raggiungere la struttura di riferimento possono avere percorsi di cura a domicilio grazie all'integrazione ospedale-territorio e alla telemedicina che consente di monitorare da remoto i pazienti. "Il concetto di casa come primo luogo di cura grazie alla telemedicina deve diventare una realtà - sottolinea Sergio Pillon, vicepresidente Associazione italiana sanità digitale e telemedicina (Aisdet) - Tale procedura rappresenta infatti una grande opportunità, tanto che anche l'Agenzia del farmaco (Aifa) ne ha riconosciuto il valore autorizzando percorsi di domiciliazione per farmaci ospedalieri, secondo la valutazione del medico".

Attualmente possono essere presi in carico al di fuori dell'ospedale i pazienti monitorati da anni, per i quali la terapia è stata ormai ben identificata e in cui, in definitiva, viene rilevata una buona aderenza ai percorsi di cura proposti. "Siamo consapevoli che la gestione delocalizzata dei pazienti rappresenti un'importantissima opportunità in termini di miglioramento della qualità di vita - precisa Oscar Massimiliano Epis, direttore della Struttura complessa di Reumatologia dell'Asst Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano - ma allo stato attuale la domiciliazione, per esempio, non può essere applicata a tutti e in ogni caso è necessario avviare un percorso assistenziale che preveda la loro presa in carico grazie all'aiuto degli infermieri di famiglia oppure presso le case di comunità, essendo la terapia infusionale una terapia che necessita del controllo di un sanitario".

A tale proposito, "i progressi raggiunti negli ultimi anni - evidenzia Antonino Mazzone, direttore del Dipartimento Area medica dell'Asst Ovest Milanese - ci hanno permesso di passare dalla necessità di una gestione al letto del paziente alla possibilità di utilizzare un dispositivo indossabile e un sensore per controllare i parametri a distanza, permettendo così non solo una maggiore mobilità del paziente, ma anche, laddove i requisiti lo consentissero, una presa in carico domiciliare. Questo 'nuovo' percorso terapeutico consente una gestione più confortevole, un vero modello di integrazione tra l'ospedale e il territorio, favorito dalla tecnologia. Una piccola, ma sostanziale rivoluzione nell'approccio alla malattia, che permetterebbe di monitorare il paziente a distanza e di incidere positivamente sulla qualità di vita dello stesso".

Identificare la sclerosi sistemica può essere complesso in ragione delle molteplici manifestazioni della malattia e dei differenti organi che può coinvolgere. "Oggi, grazie ai criteri di classificazione Vedoss (Very Early Diagnosis of Ssc, ovvero diagnosi molto precoce di sclerosi sistemica) e Acr/Eular del 2013 - rimarca Marco Matucci-Cerinic, professore ordinario di Reumatologia dell'Università Vita-Salute San Raffaele - abbiamo la possibilità di identificare la sclerodermia in modo tempestivo anche nelle fasi più precoci ed avviarli in un percorso di approfondimento in modo da decidere una terapia che porti rapidamente a una remissione" da monitorare nel tempo. "Una diagnosi precoce seguita da un piano terapeutico tempestivo e appropriato - conclude - ottimizza la risposta del paziente, rallentando l'evoluzione della malattia e riducendo la possibilità che si creino danni tissutali a livello cardiaco, polmonare, renale e gastrointestinale".

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Salute e Benessere

Covid, con il caldo aumenta rischio per il cuore: cosa fare

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L'analisi e le raccomandazioni del cardiologo Trimarco

Medici in reparto Covid - Fotogramma

Fuoco incrociato sulla salute degli italiani, in particolare dei più fragili. A minacciarli c'è il mix tra caldo e Covid: "L'uno amplifica gli effetti dell'altro e viceversa, con un impatto immediato sui sintomi come mal di testa, fatigue e affanno, e sulla funzionalità del cuore". Lo spiega Bruno Trimarco, docente emerito di Cardiologia all'università Federico II di Napoli. "Il caldo - avverte - ha sicuramente un impatto importante sui pazienti colpiti dal Covid, sia in fase acuta che nel post-infezione, sul cosiddetto Long Covid. Infatti, da un lato le temperature alte amplificano i sintomi dell'infezione, dall'altro possono aumentare lo stress sul cuore, colpito contemporaneamente da un doppio fuoco, il virus e il caldo insieme". Come proteggersi? No agli integratori 'fai te te', sì a docce fresche e bere acqua anche se non si ha sete, ricorda lo specialista.

Chi rischia di più

Le persone più a rischio sono i fragili, come anziani, bambini e malati cronici, già vulnerabili a caldo e Covid singolarmente. "La letteratura scientifica - analizza Trimarco - ha già documentato che il caldo estremo rappresenta un rischio per il cuore, causando dolore al petto, infarti e morte improvvisa. Quando fa troppo caldo, si può assistere a una riduzione dei valori della pressione arteriosa per la dilatazione dei vasi sanguigni e alla perdita di liquidi con una profusa sudorazione che aumenta il pericolo disidratazione. In alcuni pazienti, tuttavia, si verifica un effetto opposto e la pressione arteriosa può aumentare in modo improvviso e incontrollato. Tra i sintomi più comuni possono comparire tachicardie, palpitazioni, vertigini e affanno".

Dal canto suo, anche Covid ai associa a sintomi comuni a quelli scatenati dal caldo, come astenia, nebbia cerebrale, affanno e mal di testa. "Inoltre - evidenzia il cardiologo - sappiamo che Covid-19 innesca una serie di processi infiammatori che colpiscono le cellule endoteliali, cioè le cellule che rivestono l'interno del cuore e dei vasi sanguigni. Tra gli effetti prodotti ci sono stress ossidativo, infiammazione, alterazione dei battiti, compromissione della capacità di pompare il sangue e l'ossigeno agli altri tessuti. Gli studi suggeriscono che le persone con Covid, rispetto ai non infettati, corrono un rischio del 55% maggiore di subire un evento cardiovascolare grave come infarto, ictus o morte. Hanno anche più probabilità di manifestare altri problemi al cuore come aritmie o miocardite, ossia infiammazione del muscolo cardiaco".

I rimedi

Per scongiurare gli effetti della combo caldo-Covid servono contromisure. Quali? "No a integratori 'fai da te', sì a docce o bagni freschi e al consumo 'programmato' di acqua: impegnarsi cioè a bere almeno un litro e mezzo d'acqua durante la giornata anche se non si ha la sensazione di sete", raccomanda Trimarco.

"Stanchezza e debolezza, sintomi comuni al Covid e a un eccesso di caldo - osserva il cardiologo - possono indurre a fare incetta di integratori. Ma la stragrande maggioranza sono inutili, almeno contro il Covid. Uno studio che abbiamo pubblicato sulla rivista 'eClinicalMedicine' promuove un mix di sostanze naturali, composto da arginina e vitamina C. L'arginina è un aminoacido prodotto naturalmente dall'organismo, che stimola la produzione di ossido nitrico, sostanza chiave per una corretta funzione vascolare. La vitamina C, invece, grazie a una nanotecnologia che ne ottimizza l'assorbimento senza effetti collaterali, antagonizza lo stress ossidativo e migliora il rimodellamento vascolare con effetti benefici sulla funzionalità cardiaca e a cascata su tutto l'organismo".

Altri consigli: evitare di uscire se positivi al Covid, sia per evitare di contagiare gli altri sia per tenersi al riparo dal caldo esterno; mantenere la casa fresca, sfruttando l'aria notturna per rinfrescarla, e durante il giorno usando tapparelle o persiane e spegnendo quanti più dispositivi elettrici possibile; usare abiti e lenzuola leggeri e larghi; evitare bevande zuccherate, alcoliche o contenenti caffeina che possono peggiorare i sintomi e interagire con i farmaci in uso.

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Caldo africano, nuova ondata sull’Italia: oggi 12...

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Nelle prossime ore allerta super caldo ai massimi livelli: le città interessate

Super caldo a Roma - Fotogramma

L'allerta super caldo tornerà nelle prossime ore ai livelli massimi. Se oggi, sabato 27 luglio, nessuna città è ancora da bollino rosso, per domani - domenica 27 - saranno di nuovo sei i capoluoghi interessati dal gradino più alto dell'allerta.

Dodici, intanto, le città con bollino arancione di oggi, segnalate nel bollettino sulle ondate di calore del ministero della Salute: si tratta di Firenze, Frosinone, Palermo, Perugia, Rieti e Roma, Bologna, Bolzano, Brescia, Latina, Pescara e Viterbo.

Domenica bollente, tornano i bollini rossi

Domenica 28 luglio saranno quindi 6 le città italiane da bollino rosso per il rischio di ondate di calore: massima allerta su Firenze, Frosinone, Palermo, Perugia, Rieti e Roma.

La giornata di domani si annuncia dunque la più 'bollente' di una settimana che non ha fatto registrare prima città da bollino rosso. Fra i 27 capoluoghi monitorati dal sistema di sorveglianza ministeriale, oltre ai 6 con allerta 3, il livello massimo di rischio, il 28 luglio si contano 13 bollini arancioni (livello 2): a Bologna, Bolzano, Brescia, Campobasso, Latina, Milano, Napoli, Pescara, Torino, Trieste, Venezia, Verona e Viterbo. Bollino giallo (rischio 1) per Ancona, Bari, Cagliari, Catania, Civitavecchia, Genova, Messina e Reggio Calabria. Nessun bollino verde (rischio 0).

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Alzheimer, Ema blocca farmaco Lecanemab: “Rischio di...

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"In particolare il frequente verificarsi di anomalie nell'imaging correlate all'amiloide (Aria), che comportano gonfiore e potenziali sanguinamenti nel cervello dei pazienti che lo hanno ricevuto"

Riproduzioni del cervello - FOTOGRAMMA

No dell'Agenzia europea del farmaco Ema a una terapia anti Alzheimer. Il Comitato tecnico per i medicinali a uso umano dell'ente regolatorio Ue, "Chmp, ha raccomandato di non concedere l'autorizzazione all'immissione in commercio per Leqembi* (lecanemab), un farmaco destinato al trattamento della malattia di Alzheimer", informa l'Ema nel resoconto dell'ultima riunione del Chmp (22-25 luglio).

"Il comitato - si legge - ha ritenuto che l'effetto osservato di Leqembi sul ritardo del declino cognitivo non controbilancia il rischio di eventi collaterali gravi associati al medicinale, in particolare il frequente verificarsi di anomalie nell'imaging correlate all'amiloide (Aria), che comportano gonfiore e potenziali sanguinamenti nel cervello dei pazienti che hanno ricevuto Leqembi".

Alzheimer Europe esprime "rammarico" e "profonda delusione" per il parere negativo formulato dal Comitato tecnico Chmp dell'Agenzia europea del farmaco Ema . Il no dell'Ema, che riguarda Ue, Islanda, Liechtenstein e Norvegia, sottolinea l'associazione in una nota, "significa che gli europei con malattia di Alzheimer in fase iniziale non avranno accesso alle opzioni terapeutiche disponibili per i pazienti negli Stati Uniti e in altri Paesi".

"Le persone che vivono con la malattia di Alzheimer e le loro famiglie nutrivano grandi speranze e aspettative riguardo all'introduzione di nuove opzioni terapeutiche in Europa", scrive Alzheimer Europe, ricordando che la Fda statunitense ha concesso l'approvazione a lecanemab un anno fa, nel luglio 2023, dopo che un comitato consultivo ha riconosciuto in modo unanime l'efficacia clinica del farmaco per il quale le principali assicurazioni Usa, fra cui Medicare, hanno garantito "un'ampia copertura" nei pazienti idonei a riceverlo. Hanno dato il via libera al trattamento anche le autorità regolatorie di Giappone (25 settembre 2023), Cina (3 gennaio), Corea del Sud (27 maggio), Hong Kong (11 luglio) e Israele (12 luglio), elenca l'associazione, mentre in Europa si attendono ancora i pronunciamenti degli enti regolatori svizzero e britannico, che Alzheimer Europe auspica positivi.

"Le persone affette da malattia di Alzheimer in Europa saranno escluse dall'accesso a lecanemab senza poter compiere scelte individuali basate su un'analisi personale del profilo rischi-benefici", rimarca l'associazione. La speranza di Alzheimer Europe è che "i risultati dal mondo reale raccolti dal registro imposto dalla Fda, o dagli studi in corso su lecanemab forniranno le evidenze scientifiche necessarie affinché i regolatori Ue riconsiderino la loro posizione".

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