

Salute e Benessere
Battaglia (Aism), ‘in neurologia telemedicina...
Battaglia (Aism), ‘in neurologia telemedicina importante ma deve crescere’
All’evento sul progetto EcoSM, ‘apprezzata dai pazienti con sclerosi multipla ma deve crescere’

"La telemedicina è importate per la neurologia, la riabilitazione e l’intervento psicologico e per altri servizi” anche a livello di “strutture territoriali. Ci vuole una collaborazione e scambio di dati tra i collaboratori. Nei pazienti con sclerosi multipla la telemedicina è apprezzata e può essere importante come sperimentato durante il Covid, ma deve crescere perché può risolvere problemi a chi è più lontano o a chi ha bisogno di sentire la vicinanza del neurologo tra una visita e l’altra, che avviene ogni anno o 6 mesi. Ci sono però una serie di difficoltà da superare sia dal punto di vista tecnologico che formativo. Ovviamente la visita tradizionale in presenza deve rimanere, ma la telemedicina può completare e facilitare l’interazione e la gestione di problemi del paziente. Il rapporto in presenza non può essere superato, ma questa della televisita è una modalità apprezzata da più della metà delle persone”. Così Mario Alberto Battaglia, direttore generale Aism e presidente Fism, Fondazione italiana sclerosi multipla, questa mattina a Roma, nella sua relazione all’evento promosso all’interno del progetto EcoSM (Ecosistema digitale di assistenza e monitoraggio del paziente con sclerosi multipla), realizzato grazie alla collaborazione tra la Società italiana di neurologia (Sin), l’Associazione italiana sclerosi multipla (Aism) e Biogen Italia.
“Nel Pdta (percorso diagnostico terapeutico assistenziale, ndr) di Agenas - continua Battaglia - ci siamo confrontati, sia a livello regionale che nazionale, per dire cosa fare in Italia per rispondere ai bisogni delle persone. Auspichiamo interventi nella codificazione e tariffazione delle televisite nelle Regioni; nell’elaborazione di protocolli comuni da integrare nel Pdta, oltre che un piano di formazione per operatori, persone con sclerosi multipla e caregiver".
In riferimento a EcoSM, il residente Aism osserva che “questi progetti permettono alle persone con sclerosi multipla di sedersi al tavolo insieme ai curanti e ai ricercatori e contribuire alla mappatura dei bisogni, ma anche per trovare le soluzioni e aiutare a cambiare la realtà, non solo per la sclerosi multipla, che è paradigmatica per tante altre malattie croniche. E’ giusto - aggiunge Battaglia - quando facciamo l’analisi come fa il ‘Barometro’ ogni anno - che registra come 1 paziente su 2 non è seguito in maniera adeguata - evidenziare il dato di quello che non va, ma dobbiamo anche ricordare che l’Italia ha una rete di centri clinici che possono dare risposte fondamentali, cosa che non avviene in tutti i Paesi. I centri fanno uno forzo per migliorare questa realtà e nascono dalla collaborazione tra neurologi e l’associazione - conclude - con tanti progetti portati avanti”.
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Covid Italia, tornano le mascherine? Il parere degli esperti

Andreoni: "Dove c'è affollamento proteggiamoci tutti". Ciccozzi: "Oggi è essenziale". Bassetti: "Mai più l'obbligo"

Con il Covid che torna a correre, dopo l'Austria anche l'Italia deve rimettere le mascherine? E' la domanda che in queste ore viene posta a infettivologi ed epidemiologi di casa nostra e il sì degli esperti all'uso del dispositivo di protezione è pressoché unanime anche se non come obbligo imposto.
Andreoni
"Siamo in un momento di grande circolazione di agenti infettivi respiratori, dall'influenza al Covid, e nei luoghi a maggior rischio la mascherina ha dimostrato di essere un efficace sistema di protezione per i fragili, ma non solo. Ecco quindi, anche seguendo l'esempio dell'Austria, direi che è fortemente consigliato l'uso della Ffp2 soprattutto in ospedale e nelle Rsa, dove sarei anche per l'obbligo di indossarla", dice all'Adnkronos Salute Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e professore di Malattie infettive all'Università Tor Vergata di Roma, intervenendo su quanto deciso in Austria dove il ministro della Sanità ha raccomandato l'uso delle mascherine negli ospedali, ma anche sui mezzi di trasporto pubblici più affollati.
Secondo Andreoni, "la mascherina non è un grosso sacrificio per gli italiani. Non stiamo parlando di reintrodurre il Green pass o l'isolamento dei positivi, ma di usare il buon senso civico. Dove c'è affollamento proteggiamoci tutti - conclude - perché così salvaguardiamo noi stessi, ma anche gli anziani e i fragili".
Ciccozzi
Stessa raccomandazione arriva da Massimo Ciccozzi, responsabile dell'Unità di Statistica medica ed Epidemiologia della Facoltà di Medicina e chirurgia del Campus Bio-Medico di Roma. "Risulterà impopolare, ma oggi la mascherina risulta essenziale e la raccomanderei sui mezzi di trasporto, tutti nessuno escluso, e poi negli ospedali e nelle Rsa. Consiglio di usare la Ffp2 quando andiamo a trovare i nostri cari anziani, anche se vaccinati. Preciso però che deve essere solo e unicamente una raccomandazione, nessun obbligo", afferma all'Adnkronos.
Bassetti
"Raccomandare non vuol dire obbligare - sottolinea anche Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova -. Noi in Italia siamo stati obbligati a seguire troppe misure: mascherine, lockdown, Green pass. Mi sembra ragionevole oggi, in un momento in cui in Austria sta circolando il Covid, raccomandare l'uso della mascherina sui mezzi pubblici. Negli ospedali in Italia la mascherina è ancora obbligatoria se si è a contatto con i fragili. Raccomandare la mascherina in alcuni contesti di particolare affollamento può essere ragionevole, ma dire che da domani tutti devono usarla non deve più accadere", afferma all'Adnkronos.
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Malattie rare, campagna ‘La sclerodermia è anche...

Integrazione ospedale-territorio con telemedicina e telemonitoraggio per trattamenti a casa

Accendere i riflettori sulla sclerosi sistemica per fornire ai pazienti informazioni accurate sulla patologia, sui diversi percorsi di cura, non ancora standardizzati e omogenei in tutte le regioni, grazie alle testimonianze degli specialisti e di chi vive la malattia. Con questi obiettivi parte la nuova campagna 'La sclerodermia è anche nostra' (sclerodermia.info) promossa da Gils - Gruppo italiano per la lotta alla sclerodermia, Liss - Lega italiana sclerosi sistemica e Amrer - Associazione malati reumatici Emilia Romagna, con il contributo non condizionato di Italfarmaco.
La sclerosi sistemica (o sclerodermia) - ricorda una nota - è una malattia rara complessa che in Italia interessa quasi 30mila persone, in prevalenza donne. Si manifesta tra i 40 e i 50 anni. La sua forma più grave e invalidante può manifestarsi già tra i 20 e i 25 anni. Colpisce il tessuto connettivo coinvolgendo la pelle, i vasi sanguigni, il cuore, i polmoni, i reni, l'apparato digerente e quello muscoloscheletrico. Telemedicina, telemonitoraggio e integrazione ospedale-territorio rappresentano il futuro dei percorsi di cura personalizzati e sempre più a domicilio.
"Essere parte attiva di questa campagna - afferma Paola Canziani, presidente Gils - per noi significa contribuire ad aiutare i pazienti che ogni giorno, a causa della complessità della malattia, si trovano a fronteggiare difficoltà motorie, pneumologiche, cardiologiche e psicologiche". Con la campagna si può "far emergere con chiarezza - aggiunge Mariabeatrice Elvano, portavoce Liss - la voce dei pazienti e valutare concretamente il pesante coinvolgimento che la malattia implica nella gestione quotidiana della persona e del nucleo familiare". Come osserva Daniele Conti, direttore Amrer, "percorsi precisi di presa in carico dei pazienti che garantiscano un approccio diagnostico-terapeutico in tempi rapidi sono gli elementi fondamentali per aiutare le persone con questa condizione".
Attualmente i percorsi di cura della sclerosi sistemica prevedono una presa in carico a livello ospedaliero. "Presso il nostro centro - spiega Massimo Reta, direttore della Struttura complessa di Medicina interna a indirizzo reumatologico dell'Ospedale Maggiore 'C.A. Pizzardi' di Bologna - i pazienti vengono gestiti in ospedale con l'ausilio di dispositivi indossabili alla presenza di un infermiere o di un medico, affinché possano intervenire in caso di necessità. Oltre ai nostri hub ospedalieri abbiamo a disposizione 16 sedi territoriali, in alcune delle quali abbiamo avviato la sperimentazione della delocalizzazione dei pazienti in carico alla nostra struttura raggiungendo l'obiettivo di permettere ai pazienti di recarsi presso il proprio distretto, diminuendo il tempo di percorrenza dalla propria abitazione al luogo di cura. Un'opzione che ha permesso di aumentare l'aderenza alla terapia".
I pazienti che, per condizioni fisiche e/o per problemi logistici, non riescono a raggiungere la struttura di riferimento possono avere percorsi di cura a domicilio grazie all'integrazione ospedale-territorio e alla telemedicina che consente di monitorare da remoto i pazienti. "Il concetto di casa come primo luogo di cura grazie alla telemedicina deve diventare una realtà - sottolinea Sergio Pillon, vicepresidente Associazione italiana sanità digitale e telemedicina (Aisdet) - Tale procedura rappresenta infatti una grande opportunità, tanto che anche l'Agenzia del farmaco (Aifa) ne ha riconosciuto il valore autorizzando percorsi di domiciliazione per farmaci ospedalieri, secondo la valutazione del medico".
Attualmente possono essere presi in carico al di fuori dell'ospedale i pazienti monitorati da anni, per i quali la terapia è stata ormai ben identificata e in cui, in definitiva, viene rilevata una buona aderenza ai percorsi di cura proposti. "Siamo consapevoli che la gestione delocalizzata dei pazienti rappresenti un'importantissima opportunità in termini di miglioramento della qualità di vita - precisa Oscar Massimiliano Epis, direttore della Struttura complessa di Reumatologia dell'Asst Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano - ma allo stato attuale la domiciliazione, per esempio, non può essere applicata a tutti e in ogni caso è necessario avviare un percorso assistenziale che preveda la loro presa in carico grazie all'aiuto degli infermieri di famiglia oppure presso le case di comunità, essendo la terapia infusionale una terapia che necessita del controllo di un sanitario".
A tale proposito, "i progressi raggiunti negli ultimi anni - evidenzia Antonino Mazzone, direttore del Dipartimento Area medica dell'Asst Ovest Milanese - ci hanno permesso di passare dalla necessità di una gestione al letto del paziente alla possibilità di utilizzare un dispositivo indossabile e un sensore per controllare i parametri a distanza, permettendo così non solo una maggiore mobilità del paziente, ma anche, laddove i requisiti lo consentissero, una presa in carico domiciliare. Questo 'nuovo' percorso terapeutico consente una gestione più confortevole, un vero modello di integrazione tra l'ospedale e il territorio, favorito dalla tecnologia. Una piccola, ma sostanziale rivoluzione nell'approccio alla malattia, che permetterebbe di monitorare il paziente a distanza e di incidere positivamente sulla qualità di vita dello stesso".
Identificare la sclerosi sistemica può essere complesso in ragione delle molteplici manifestazioni della malattia e dei differenti organi che può coinvolgere. "Oggi, grazie ai criteri di classificazione Vedoss (Very Early Diagnosis of Ssc, ovvero diagnosi molto precoce di sclerosi sistemica) e Acr/Eular del 2013 - rimarca Marco Matucci-Cerinic, professore ordinario di Reumatologia dell'Università Vita-Salute San Raffaele - abbiamo la possibilità di identificare la sclerodermia in modo tempestivo anche nelle fasi più precoci ed avviarli in un percorso di approfondimento in modo da decidere una terapia che porti rapidamente a una remissione" da monitorare nel tempo. "Una diagnosi precoce seguita da un piano terapeutico tempestivo e appropriato - conclude - ottimizza la risposta del paziente, rallentando l'evoluzione della malattia e riducendo la possibilità che si creino danni tissutali a livello cardiaco, polmonare, renale e gastrointestinale".
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Ai aiuta a predire rischio suicidio adolescenti, studio...


L’intelligenza artificiale può aiutare a predire i fattori di rischio del suicidio negli adolescenti. E' quanto emerge da uno studio dell'ospedale pediatrico Meyer di Firenze e dell'università del capoluogo toscano, pubblicato su 'Science Progress', che ha identificato due nuovi fattori predittivi del rischio suicidario nei bambini under 12, evidenziando che l’uso dell’intelligenza artificiale può essere di supporto ai medici per valutare il rischio suicidario. Si tratta di un primo studio multidisciplinare, che apre la strada a possibili nuovi impieghi dell’intelligenza artificiale a supporto di una disciplina delicata come la neuropsichiatria. Lo studio è stato condotto da medici e ingegneri: coinvolto il team di Psichiatria dell’Infanzia e dell’adolescenza del Meyer, guidato da Tiziana Pisano all’interno del Centro di eccellenza di Neuroscienze diretto da Renzo Guerrini, insieme a colleghi del laboratorio congiunto T3Ddy - del quale sono responsabili Monica Carfagni per l’Università di Firenze e l’ingegnere Kathleen McGreevy per Meyer - e a Giovanni Castellini, professore associato di Psichiatria dell'università di Firenze.
Lo studio osservazionale retrospettivo - riferisce una nota - ha analizzato i dati relativi a 237 pazienti ricoverati al Meyer per comportamenti e pensieri suicidari dal 2016 al 2020. Obiettivo: identificare, a ritroso, quali fossero state le prime 'spie', i fattori predittivi, del rischio suicidario, in questi pazienti. Per ciascuno di loro sono stati raccolti dati epidemiologici e psicopatologici e sono stati divisi in due gruppi: quelli che avevano mostrato una vera e propria volontà suicidaria (ad alto potenziale di rischio per la salute fisica), e quelli che invece avevano manifestato una ideazione suicidaria meno strutturata. Qui sono entrati in campo l’intelligenza artificiale e la statistica: i dati sono stati organizzati e analizzati con modelli matematici e statistici ('metodo delle reti neurali', 'random forest' e 'test del chi-quadro di Pearson').
Il risultato ha evidenziato due nuovi fattori statisticamente correlati ad un aumento del rischio di comportamenti suicidari nei bambini under 12: una precedente diagnosi di disturbo oppositivo provocatorio e una precedente diagnosi di disturbo esplosivo intermittente. Non solo: lo studio ha evidenziato che il cosiddetto 'comportamento di volontà suicida' (quello per cui il paziente non mostra una reale ideazione suicidaria, ma lancia attraverso questo comportamento una richiesta d’aiuto) è un fattore di rischio importante e fino ad ora sottostimato.
Il modello predittivo messo a punto dal tandem Meyer-Unifi potrà dunque essere uno strumento in più per identificare precocemente 'segnali d’allarme' nei giovani e giovanissimi, anche in quei casi considerati prima a basso rischio. E siccome, come ricorda anche l’Oms - prosegue la nota - i comportamenti suicidari mostrano una progressione (è cioè più probabile che il suicidio venga portato a termine se ci sono già stati comportamenti precedenti o tentativi autolesionistici) questo strumento potrà essere un supporto utile per mettere in moto azioni preventive e interventi terapeutici precoci.
"Questo primo studio è molto promettente perché ci fa pensare che l’intelligenza artificiale possa dimostrarsi uno strumento in più da affiancare alla valutazione clinica dei pazienti, che non potrà ovviamente mai essere sostituita", spiega Tiziana Pisano. "Avere nuovi strumenti per valutare precocemente i rischi per la salute neuropsichiatrica di adolescenti e bambini è fondamentale e sappiamo che il suicidio, tra i giovanissimi, è un’emergenza pubblica: i dati che abbiamo preso in analisi mostrano che il tasso di ospedalizzazione per comportamenti e pensieri suicidari tra il 2016 e il 2020 è passato dal 27,69 al 45,28% e il trend purtroppo è tuttora in aumento".