

Salute e Benessere
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Indagine, metà giovani non conosce infezioni a trasmissione sessuale
Preservativo poco usato e 6 su 10 si affidano al coito interrotto, 40% anche contro gravidanze indesiderate

Tra i giovani è diffusa una bassa percezione del rischio di contrarre le infezioni sessualmente trasmesse (Ist): più del 50% non sa riconoscerle e il 63,2% dichiara di non aver mai fatto una visita di controllo da un ginecologo o andrologo. E' scarso anche l'uso del preservativo, utilizzato sempre da meno di un giovane su due (43,4%): il 62,5% si affida al coito interrotto e oltre il 39,3% lo ritiene un metodo efficace contro gravidanze indesiderate e Ist. Sono i dati dell'Osservatorio giovani e sessualità realizzato da Durex in collaborazione con skuola.net, che in occasione del World Aids Day del primo dicembre e alla luce dei recenti fatti di cronaca tornano più che mai attuali.
La situazione è allarmante - si legge in una nota - come lo sono le motivazioni che spingono i giovani a non occuparsi della prevenzione, la prima delle quali è il non avvertire il bisogno di test di screening contro le Ist (62%). Di fronte alla fotografia scattata dall'Osservatorio e alla chiara richiesta dei giovani di avere l'educazione sessuale a scuola (94%), Durex ha deciso di proseguire nel suo impegno e di operare in maniera ancora più concreta per garantire ai giovani l'accesso ad interventi di educazione affettiva e sessuale.
Questi dati "sono preoccupanti - commenta Paolo Zotti, amministratore delegato di Reckitt Benckiser Healthcare (Italia) Spa, che commercializza il brand Durex in Italia - e confermano l'importanza e la necessità di consolidare percorsi educativi rivolti ai giovani per aiutarli a vivere una sessualità libera, protetta e consapevole, così da ridurre al minimo il rischio di esposizione a Ist. Durex - aggiunge - sente la propria responsabilità verso la tutela dei più giovani. Proprio in risposta a questa missione abbiamo fortemente voluto realizzare un programma educativo nelle scuole di Milano, chiamato 'A luci accese', che vuole essere un simbolo virtuoso e, un domani, un modello replicabile e scalabile in tutta Italia. Anche attraverso i social e la musica, da sempre un mezzo di comunicazione chiave ed efficace per il nostro brand, abbiamo studiato un progetto a tutto tondo che potesse abbracciare e coinvolgere i ragazzi, sottolineando ancora una volta il nostro impegno".
Oltre al programma di educazione sessuale nelle scuole milanesi, Durex si impegna a parlare ai giovani e alle loro famiglie anche attraverso altri canali: i social, in particolare con una rubrica TikTok interamente dedicata al tema, e in Tv attraverso la partnership con X Factor.
A questo proposito - ricorda la nota - il marchio è anche quest'anno al fianco di X Factor 2023, con l'obiettivo di continuare a sensibilizzare i giovani attraverso il potere comunicativo della musica. In particolare, durante le puntate dello show Sky Original prodotto da Fremantle - tutti i giovedì su Sky e in streaming su Now - sono previsti alcuni momenti dedicati al progetto 'A luci accese'. Il 26 novembre, poi, il brand ha preso parte al Mixtape, un evento esclusivo targato Durex e X Factor, durante il quale è stato presentato il programma di educazione sessuale. Nel corso della serata, si sono esibiti dal vivo tutti i concorrenti in gara nella trasmissione. Infine, alla vigilia del World Aids Day, in occasione della puntata del 30 novembre alle 21.15 su Sky Uno e in streaming su Now (e poi sempre disponibile on demand), verrà fatta una menzione particolare al brand e al programma educativo 'A luci accese', con un riferimento all'importanza della prevenzione nella vita di ciascuno.
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Covid Italia, tornano le mascherine? Il parere degli esperti

Andreoni: "Dove c'è affollamento proteggiamoci tutti". Ciccozzi: "Oggi è essenziale". Bassetti: "Mai più l'obbligo"

Con il Covid che torna a correre, dopo l'Austria anche l'Italia deve rimettere le mascherine? E' la domanda che in queste ore viene posta a infettivologi ed epidemiologi di casa nostra e il sì degli esperti all'uso del dispositivo di protezione è pressoché unanime anche se non come obbligo imposto.
Andreoni
"Siamo in un momento di grande circolazione di agenti infettivi respiratori, dall'influenza al Covid, e nei luoghi a maggior rischio la mascherina ha dimostrato di essere un efficace sistema di protezione per i fragili, ma non solo. Ecco quindi, anche seguendo l'esempio dell'Austria, direi che è fortemente consigliato l'uso della Ffp2 soprattutto in ospedale e nelle Rsa, dove sarei anche per l'obbligo di indossarla", dice all'Adnkronos Salute Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e professore di Malattie infettive all'Università Tor Vergata di Roma, intervenendo su quanto deciso in Austria dove il ministro della Sanità ha raccomandato l'uso delle mascherine negli ospedali, ma anche sui mezzi di trasporto pubblici più affollati.
Secondo Andreoni, "la mascherina non è un grosso sacrificio per gli italiani. Non stiamo parlando di reintrodurre il Green pass o l'isolamento dei positivi, ma di usare il buon senso civico. Dove c'è affollamento proteggiamoci tutti - conclude - perché così salvaguardiamo noi stessi, ma anche gli anziani e i fragili".
Ciccozzi
Stessa raccomandazione arriva da Massimo Ciccozzi, responsabile dell'Unità di Statistica medica ed Epidemiologia della Facoltà di Medicina e chirurgia del Campus Bio-Medico di Roma. "Risulterà impopolare, ma oggi la mascherina risulta essenziale e la raccomanderei sui mezzi di trasporto, tutti nessuno escluso, e poi negli ospedali e nelle Rsa. Consiglio di usare la Ffp2 quando andiamo a trovare i nostri cari anziani, anche se vaccinati. Preciso però che deve essere solo e unicamente una raccomandazione, nessun obbligo", afferma all'Adnkronos.
Bassetti
"Raccomandare non vuol dire obbligare - sottolinea anche Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova -. Noi in Italia siamo stati obbligati a seguire troppe misure: mascherine, lockdown, Green pass. Mi sembra ragionevole oggi, in un momento in cui in Austria sta circolando il Covid, raccomandare l'uso della mascherina sui mezzi pubblici. Negli ospedali in Italia la mascherina è ancora obbligatoria se si è a contatto con i fragili. Raccomandare la mascherina in alcuni contesti di particolare affollamento può essere ragionevole, ma dire che da domani tutti devono usarla non deve più accadere", afferma all'Adnkronos.
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Malattie rare, campagna ‘La sclerodermia è anche...

Integrazione ospedale-territorio con telemedicina e telemonitoraggio per trattamenti a casa

Accendere i riflettori sulla sclerosi sistemica per fornire ai pazienti informazioni accurate sulla patologia, sui diversi percorsi di cura, non ancora standardizzati e omogenei in tutte le regioni, grazie alle testimonianze degli specialisti e di chi vive la malattia. Con questi obiettivi parte la nuova campagna 'La sclerodermia è anche nostra' (sclerodermia.info) promossa da Gils - Gruppo italiano per la lotta alla sclerodermia, Liss - Lega italiana sclerosi sistemica e Amrer - Associazione malati reumatici Emilia Romagna, con il contributo non condizionato di Italfarmaco.
La sclerosi sistemica (o sclerodermia) - ricorda una nota - è una malattia rara complessa che in Italia interessa quasi 30mila persone, in prevalenza donne. Si manifesta tra i 40 e i 50 anni. La sua forma più grave e invalidante può manifestarsi già tra i 20 e i 25 anni. Colpisce il tessuto connettivo coinvolgendo la pelle, i vasi sanguigni, il cuore, i polmoni, i reni, l'apparato digerente e quello muscoloscheletrico. Telemedicina, telemonitoraggio e integrazione ospedale-territorio rappresentano il futuro dei percorsi di cura personalizzati e sempre più a domicilio.
"Essere parte attiva di questa campagna - afferma Paola Canziani, presidente Gils - per noi significa contribuire ad aiutare i pazienti che ogni giorno, a causa della complessità della malattia, si trovano a fronteggiare difficoltà motorie, pneumologiche, cardiologiche e psicologiche". Con la campagna si può "far emergere con chiarezza - aggiunge Mariabeatrice Elvano, portavoce Liss - la voce dei pazienti e valutare concretamente il pesante coinvolgimento che la malattia implica nella gestione quotidiana della persona e del nucleo familiare". Come osserva Daniele Conti, direttore Amrer, "percorsi precisi di presa in carico dei pazienti che garantiscano un approccio diagnostico-terapeutico in tempi rapidi sono gli elementi fondamentali per aiutare le persone con questa condizione".
Attualmente i percorsi di cura della sclerosi sistemica prevedono una presa in carico a livello ospedaliero. "Presso il nostro centro - spiega Massimo Reta, direttore della Struttura complessa di Medicina interna a indirizzo reumatologico dell'Ospedale Maggiore 'C.A. Pizzardi' di Bologna - i pazienti vengono gestiti in ospedale con l'ausilio di dispositivi indossabili alla presenza di un infermiere o di un medico, affinché possano intervenire in caso di necessità. Oltre ai nostri hub ospedalieri abbiamo a disposizione 16 sedi territoriali, in alcune delle quali abbiamo avviato la sperimentazione della delocalizzazione dei pazienti in carico alla nostra struttura raggiungendo l'obiettivo di permettere ai pazienti di recarsi presso il proprio distretto, diminuendo il tempo di percorrenza dalla propria abitazione al luogo di cura. Un'opzione che ha permesso di aumentare l'aderenza alla terapia".
I pazienti che, per condizioni fisiche e/o per problemi logistici, non riescono a raggiungere la struttura di riferimento possono avere percorsi di cura a domicilio grazie all'integrazione ospedale-territorio e alla telemedicina che consente di monitorare da remoto i pazienti. "Il concetto di casa come primo luogo di cura grazie alla telemedicina deve diventare una realtà - sottolinea Sergio Pillon, vicepresidente Associazione italiana sanità digitale e telemedicina (Aisdet) - Tale procedura rappresenta infatti una grande opportunità, tanto che anche l'Agenzia del farmaco (Aifa) ne ha riconosciuto il valore autorizzando percorsi di domiciliazione per farmaci ospedalieri, secondo la valutazione del medico".
Attualmente possono essere presi in carico al di fuori dell'ospedale i pazienti monitorati da anni, per i quali la terapia è stata ormai ben identificata e in cui, in definitiva, viene rilevata una buona aderenza ai percorsi di cura proposti. "Siamo consapevoli che la gestione delocalizzata dei pazienti rappresenti un'importantissima opportunità in termini di miglioramento della qualità di vita - precisa Oscar Massimiliano Epis, direttore della Struttura complessa di Reumatologia dell'Asst Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano - ma allo stato attuale la domiciliazione, per esempio, non può essere applicata a tutti e in ogni caso è necessario avviare un percorso assistenziale che preveda la loro presa in carico grazie all'aiuto degli infermieri di famiglia oppure presso le case di comunità, essendo la terapia infusionale una terapia che necessita del controllo di un sanitario".
A tale proposito, "i progressi raggiunti negli ultimi anni - evidenzia Antonino Mazzone, direttore del Dipartimento Area medica dell'Asst Ovest Milanese - ci hanno permesso di passare dalla necessità di una gestione al letto del paziente alla possibilità di utilizzare un dispositivo indossabile e un sensore per controllare i parametri a distanza, permettendo così non solo una maggiore mobilità del paziente, ma anche, laddove i requisiti lo consentissero, una presa in carico domiciliare. Questo 'nuovo' percorso terapeutico consente una gestione più confortevole, un vero modello di integrazione tra l'ospedale e il territorio, favorito dalla tecnologia. Una piccola, ma sostanziale rivoluzione nell'approccio alla malattia, che permetterebbe di monitorare il paziente a distanza e di incidere positivamente sulla qualità di vita dello stesso".
Identificare la sclerosi sistemica può essere complesso in ragione delle molteplici manifestazioni della malattia e dei differenti organi che può coinvolgere. "Oggi, grazie ai criteri di classificazione Vedoss (Very Early Diagnosis of Ssc, ovvero diagnosi molto precoce di sclerosi sistemica) e Acr/Eular del 2013 - rimarca Marco Matucci-Cerinic, professore ordinario di Reumatologia dell'Università Vita-Salute San Raffaele - abbiamo la possibilità di identificare la sclerodermia in modo tempestivo anche nelle fasi più precoci ed avviarli in un percorso di approfondimento in modo da decidere una terapia che porti rapidamente a una remissione" da monitorare nel tempo. "Una diagnosi precoce seguita da un piano terapeutico tempestivo e appropriato - conclude - ottimizza la risposta del paziente, rallentando l'evoluzione della malattia e riducendo la possibilità che si creino danni tissutali a livello cardiaco, polmonare, renale e gastrointestinale".
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Ai aiuta a predire rischio suicidio adolescenti, studio...


L’intelligenza artificiale può aiutare a predire i fattori di rischio del suicidio negli adolescenti. E' quanto emerge da uno studio dell'ospedale pediatrico Meyer di Firenze e dell'università del capoluogo toscano, pubblicato su 'Science Progress', che ha identificato due nuovi fattori predittivi del rischio suicidario nei bambini under 12, evidenziando che l’uso dell’intelligenza artificiale può essere di supporto ai medici per valutare il rischio suicidario. Si tratta di un primo studio multidisciplinare, che apre la strada a possibili nuovi impieghi dell’intelligenza artificiale a supporto di una disciplina delicata come la neuropsichiatria. Lo studio è stato condotto da medici e ingegneri: coinvolto il team di Psichiatria dell’Infanzia e dell’adolescenza del Meyer, guidato da Tiziana Pisano all’interno del Centro di eccellenza di Neuroscienze diretto da Renzo Guerrini, insieme a colleghi del laboratorio congiunto T3Ddy - del quale sono responsabili Monica Carfagni per l’Università di Firenze e l’ingegnere Kathleen McGreevy per Meyer - e a Giovanni Castellini, professore associato di Psichiatria dell'università di Firenze.
Lo studio osservazionale retrospettivo - riferisce una nota - ha analizzato i dati relativi a 237 pazienti ricoverati al Meyer per comportamenti e pensieri suicidari dal 2016 al 2020. Obiettivo: identificare, a ritroso, quali fossero state le prime 'spie', i fattori predittivi, del rischio suicidario, in questi pazienti. Per ciascuno di loro sono stati raccolti dati epidemiologici e psicopatologici e sono stati divisi in due gruppi: quelli che avevano mostrato una vera e propria volontà suicidaria (ad alto potenziale di rischio per la salute fisica), e quelli che invece avevano manifestato una ideazione suicidaria meno strutturata. Qui sono entrati in campo l’intelligenza artificiale e la statistica: i dati sono stati organizzati e analizzati con modelli matematici e statistici ('metodo delle reti neurali', 'random forest' e 'test del chi-quadro di Pearson').
Il risultato ha evidenziato due nuovi fattori statisticamente correlati ad un aumento del rischio di comportamenti suicidari nei bambini under 12: una precedente diagnosi di disturbo oppositivo provocatorio e una precedente diagnosi di disturbo esplosivo intermittente. Non solo: lo studio ha evidenziato che il cosiddetto 'comportamento di volontà suicida' (quello per cui il paziente non mostra una reale ideazione suicidaria, ma lancia attraverso questo comportamento una richiesta d’aiuto) è un fattore di rischio importante e fino ad ora sottostimato.
Il modello predittivo messo a punto dal tandem Meyer-Unifi potrà dunque essere uno strumento in più per identificare precocemente 'segnali d’allarme' nei giovani e giovanissimi, anche in quei casi considerati prima a basso rischio. E siccome, come ricorda anche l’Oms - prosegue la nota - i comportamenti suicidari mostrano una progressione (è cioè più probabile che il suicidio venga portato a termine se ci sono già stati comportamenti precedenti o tentativi autolesionistici) questo strumento potrà essere un supporto utile per mettere in moto azioni preventive e interventi terapeutici precoci.
"Questo primo studio è molto promettente perché ci fa pensare che l’intelligenza artificiale possa dimostrarsi uno strumento in più da affiancare alla valutazione clinica dei pazienti, che non potrà ovviamente mai essere sostituita", spiega Tiziana Pisano. "Avere nuovi strumenti per valutare precocemente i rischi per la salute neuropsichiatrica di adolescenti e bambini è fondamentale e sappiamo che il suicidio, tra i giovanissimi, è un’emergenza pubblica: i dati che abbiamo preso in analisi mostrano che il tasso di ospedalizzazione per comportamenti e pensieri suicidari tra il 2016 e il 2020 è passato dal 27,69 al 45,28% e il trend purtroppo è tuttora in aumento".