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Salute e Benessere
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Hiv, esperti: “Con nuove terapie più pazienti seguiti sul territorio”
Al webinar: "Con invecchiamento percorso di cura più vicino a casa per maggiore benessere"
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Territorio sempre più protagonista anche per le persone con Hiv. "Stiamo lavorando sull’idea che i pazienti non siano presi in carico completamente dall’ospedale. Dobbiamo saper stratificare, cioè dividere i pazienti semplici, da seguire sul territorio, da quelli con comorbidità dovute all’invecchiamento, che faranno più riferimento ai centri. La sanità sta cambiando e decentralizzare il percorso di cura è importante anche per il benessere del paziente che può essere seguito più vicino a casa, grazie anche a nuove terapie”. Lo ha detto Giuliano Rizzardini, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive Asst Fatebenefratelli Sacco, intervenendo oggi al webinar dal titolo ‘Gestione clinico-assistenziale delle persone con Hiv: quali orizzonti?’, il terzo appuntamento del ciclo ‘Parliamo di Hiv oggi. Per guardare al domani’, promosso da Adnkronos in collaborazione con ViiV Healthcare e disponibile sui canali web e social del Gruppo editoriale.
Alla diretta hanno partecipato anche Andrea Antinori, direttore Uoc Immunodeficienze virali dell'Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma e Lorenzo Badia, infettivologo dell’ambulatorio infettivologico dell’Ausl di Imola. “Gli ultimi dati dell’Istituto superiore di sanità (Iss), dello Spallanzani e del ministero della Salute - spiega Antinori - rilevano che, rispetto all’obiettivo ‘95-95-95’ dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) da raggiungere per il 2025 - 95% di persone diagnosticate, 95% in accesso e cura e 95% con soppressione virologiche - l’Italia è al 94%. Significa che 94 persone con Hiv su 100 sono in soppressione virologica. Il 6% che manca è dovuto essenzialmente alle persone che hanno virus resistente, per le quali servono nuovi farmaci, che sono in arrivo. Un altro problema riguarda la popolazione più fragile tra le persone con Hiv, che si perde al follow up, e che devono essere riagganciate con programmi articolati che interessino aspetti clinici e sociali perchè sono le persone più a rischio di progredire nella malattia”.
Nei prossimi 5-6 anni “ci saranno due improntati novità - afferma Badia - Una popolazione con Hiv più anziana e più persone in terapia con farmaci a lunga durata. La popolazione con Hiv invecchierà, perchè le terapie - che oggi sono anche di una sola compressa al giorno, ndr - hanno reso questa patologia cronica e, contemporaneamente, ci saranno più persone che assumeranno nuove formulazioni iniettive con durata d’azione prolungata. Ci sarà un maggiore lavoro nel centro clinico, per la somministrazione di queste cure long acting. Il territorio dovrà quindi essere più coinvolto per l’aspetto dell’invecchiamento che, nelle persone con Hiv, vanno incontro alle patologie dell’invecchiamento in modo più precoce e più severo, rispetto alla popolazione generale”.
Come ricorda Rizzardini, “quando facciamo una diagnosi precoce e la persona è seguita da un centro e la terapia antiretrovirale è sicuramente efficace. Certo, deve essere assunta per tutta la vita, ma con un’aspettativa di vita sovrapponibile alla popolazione generale. Dobbiamo però lavorare sulla capacità di intercettare il sommerso perchè il percorso è semplice, una volta che è gestito nei centri competenti”. Del resto, “rispetto a 15-20 anni fa il quadro è davvero cambiato - sottolinea - per me è stato un percorso eccezionale, ma dobbiamo avere il coraggio di cambiare i paradigmi seguiti fino ad adesso. Curare il paziente vicino a casa è l’obiettivo dei prossimi 5-6 anni, ma per raggiungere gli obiettivi dell’Oms dobbiamo lavorare sul sommerso, far capire che fare il test non deve mettere vergogna, ma dà vantaggi”.
Lo stigma resta “un argomento cruciale in tutta la storia della malattia - ricorda Antinori - Sappiamo che le persone con Hiv in terapia antiretrovirale stabile e viremia soppressa non trasmettono l’infezione. Il rischio di trasmissione, anche attraverso rapporti sessuali non protetti, è pari a zero. Questo - ribadisce - va comunicato perchè è un forte elemento destigmatizzante perchè queste persone non rappresentano più il pericolo di ‘essere fonte di infezione’, come avvertito dai primi anni. Si tratta di capire che in queste persone ci sono i bisogni di chi ha una malattia cronica, come ipertensione e diabete, che non sono gravate da una stigmatizzzazione così forte perché hanno diversi contenuti culturali”. Sulla presa in carico delle persone di nuova diagnosi, “mentre la maggioranza dei pazienti avrà in tempi rapidi la terapia - osserva Badia - è più variabile l’offerta di altri tipi di supporto da parte dei centri. Dopo una diagnosi, il supporto psicologico, ad esempio è utile, ma serve anche un confronto con dei pari per affrontare dubbi e questioni pratiche. Questa è un’opportunità che il nostro centro riesce a dare grazie agli accordi con le associazioni che sono presenti nell’area bolognese”.
Nei prossimi anni “ci sono diverse priorità - sintetizza Antinori - Recuperare le persone che si perdono, le più fragili, che rischiano di non rimanere agganciate al centro di cura: serve uno sforzo, non solo clinico, ma anche sociale e istituzionale. Dobbiamo poi ridurre l’incidenza di nuove diagnosi e la diffusione dell’infezione con la Prep, profilassi pre-esposizione. Servono risorse e una nuova organizzazione dei centri delle malattie infettive per offrirla, ma anche” attivare “i check point delle associazioni dei pazienti. E’ una grande sfida: possiamo fare molto anche nella prevenzione, ma - conclude - deve essere colto dalle istituzioni”.
Salute e Benessere
Covid, con il caldo aumenta rischio per il cuore: cosa fare
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L'analisi e le raccomandazioni del cardiologo Trimarco
![Medici in reparto Covid - Fotogramma](https://www.adnkronos.com/resources/0288-19af443095f8-e228ff6708b3-1000/format/big/covid_ospedale_nuova_fg.jpeg)
Fuoco incrociato sulla salute degli italiani, in particolare dei più fragili. A minacciarli c'è il mix tra caldo e Covid: "L'uno amplifica gli effetti dell'altro e viceversa, con un impatto immediato sui sintomi come mal di testa, fatigue e affanno, e sulla funzionalità del cuore". Lo spiega Bruno Trimarco, docente emerito di Cardiologia all'università Federico II di Napoli. "Il caldo - avverte - ha sicuramente un impatto importante sui pazienti colpiti dal Covid, sia in fase acuta che nel post-infezione, sul cosiddetto Long Covid. Infatti, da un lato le temperature alte amplificano i sintomi dell'infezione, dall'altro possono aumentare lo stress sul cuore, colpito contemporaneamente da un doppio fuoco, il virus e il caldo insieme". Come proteggersi? No agli integratori 'fai te te', sì a docce fresche e bere acqua anche se non si ha sete, ricorda lo specialista.
Chi rischia di più
Le persone più a rischio sono i fragili, come anziani, bambini e malati cronici, già vulnerabili a caldo e Covid singolarmente. "La letteratura scientifica - analizza Trimarco - ha già documentato che il caldo estremo rappresenta un rischio per il cuore, causando dolore al petto, infarti e morte improvvisa. Quando fa troppo caldo, si può assistere a una riduzione dei valori della pressione arteriosa per la dilatazione dei vasi sanguigni e alla perdita di liquidi con una profusa sudorazione che aumenta il pericolo disidratazione. In alcuni pazienti, tuttavia, si verifica un effetto opposto e la pressione arteriosa può aumentare in modo improvviso e incontrollato. Tra i sintomi più comuni possono comparire tachicardie, palpitazioni, vertigini e affanno".
Dal canto suo, anche Covid ai associa a sintomi comuni a quelli scatenati dal caldo, come astenia, nebbia cerebrale, affanno e mal di testa. "Inoltre - evidenzia il cardiologo - sappiamo che Covid-19 innesca una serie di processi infiammatori che colpiscono le cellule endoteliali, cioè le cellule che rivestono l'interno del cuore e dei vasi sanguigni. Tra gli effetti prodotti ci sono stress ossidativo, infiammazione, alterazione dei battiti, compromissione della capacità di pompare il sangue e l'ossigeno agli altri tessuti. Gli studi suggeriscono che le persone con Covid, rispetto ai non infettati, corrono un rischio del 55% maggiore di subire un evento cardiovascolare grave come infarto, ictus o morte. Hanno anche più probabilità di manifestare altri problemi al cuore come aritmie o miocardite, ossia infiammazione del muscolo cardiaco".
I rimedi
Per scongiurare gli effetti della combo caldo-Covid servono contromisure. Quali? "No a integratori 'fai da te', sì a docce o bagni freschi e al consumo 'programmato' di acqua: impegnarsi cioè a bere almeno un litro e mezzo d'acqua durante la giornata anche se non si ha la sensazione di sete", raccomanda Trimarco.
"Stanchezza e debolezza, sintomi comuni al Covid e a un eccesso di caldo - osserva il cardiologo - possono indurre a fare incetta di integratori. Ma la stragrande maggioranza sono inutili, almeno contro il Covid. Uno studio che abbiamo pubblicato sulla rivista 'eClinicalMedicine' promuove un mix di sostanze naturali, composto da arginina e vitamina C. L'arginina è un aminoacido prodotto naturalmente dall'organismo, che stimola la produzione di ossido nitrico, sostanza chiave per una corretta funzione vascolare. La vitamina C, invece, grazie a una nanotecnologia che ne ottimizza l'assorbimento senza effetti collaterali, antagonizza lo stress ossidativo e migliora il rimodellamento vascolare con effetti benefici sulla funzionalità cardiaca e a cascata su tutto l'organismo".
Altri consigli: evitare di uscire se positivi al Covid, sia per evitare di contagiare gli altri sia per tenersi al riparo dal caldo esterno; mantenere la casa fresca, sfruttando l'aria notturna per rinfrescarla, e durante il giorno usando tapparelle o persiane e spegnendo quanti più dispositivi elettrici possibile; usare abiti e lenzuola leggeri e larghi; evitare bevande zuccherate, alcoliche o contenenti caffeina che possono peggiorare i sintomi e interagire con i farmaci in uso.
Salute e Benessere
Caldo africano, nuova ondata sull’Italia: oggi 12...
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Nelle prossime ore allerta super caldo ai massimi livelli: le città interessate
![Super caldo a Roma - Fotogramma](https://www.adnkronos.com/resources/028f-1b76948389d7-928a70d280ca-1000/format/big/caldo_roma_fontana_fg.jpeg)
L'allerta super caldo tornerà nelle prossime ore ai livelli massimi. Se oggi, sabato 27 luglio, nessuna città è ancora da bollino rosso, per domani - domenica 27 - saranno di nuovo sei i capoluoghi interessati dal gradino più alto dell'allerta.
Dodici, intanto, le città con bollino arancione di oggi, segnalate nel bollettino sulle ondate di calore del ministero della Salute: si tratta di Firenze, Frosinone, Palermo, Perugia, Rieti e Roma, Bologna, Bolzano, Brescia, Latina, Pescara e Viterbo.
Domenica bollente, tornano i bollini rossi
Domenica 28 luglio saranno quindi 6 le città italiane da bollino rosso per il rischio di ondate di calore: massima allerta su Firenze, Frosinone, Palermo, Perugia, Rieti e Roma.
La giornata di domani si annuncia dunque la più 'bollente' di una settimana che non ha fatto registrare prima città da bollino rosso. Fra i 27 capoluoghi monitorati dal sistema di sorveglianza ministeriale, oltre ai 6 con allerta 3, il livello massimo di rischio, il 28 luglio si contano 13 bollini arancioni (livello 2): a Bologna, Bolzano, Brescia, Campobasso, Latina, Milano, Napoli, Pescara, Torino, Trieste, Venezia, Verona e Viterbo. Bollino giallo (rischio 1) per Ancona, Bari, Cagliari, Catania, Civitavecchia, Genova, Messina e Reggio Calabria. Nessun bollino verde (rischio 0).
Salute e Benessere
Alzheimer, Ema blocca farmaco Lecanemab: “Rischio di...
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"In particolare il frequente verificarsi di anomalie nell'imaging correlate all'amiloide (Aria), che comportano gonfiore e potenziali sanguinamenti nel cervello dei pazienti che lo hanno ricevuto"
![Riproduzioni del cervello - FOTOGRAMMA](https://www.adnkronos.com/resources/028f-1b75fb877550-e313388a5cd3-1000/format/big/germany_parti_del_cervello_di_albert_einstein_in_mostra_al_westphalian_museum_of_natural_history_.jpeg)
No dell'Agenzia europea del farmaco Ema a una terapia anti Alzheimer. Il Comitato tecnico per i medicinali a uso umano dell'ente regolatorio Ue, "Chmp, ha raccomandato di non concedere l'autorizzazione all'immissione in commercio per Leqembi* (lecanemab), un farmaco destinato al trattamento della malattia di Alzheimer", informa l'Ema nel resoconto dell'ultima riunione del Chmp (22-25 luglio).
"Il comitato - si legge - ha ritenuto che l'effetto osservato di Leqembi sul ritardo del declino cognitivo non controbilancia il rischio di eventi collaterali gravi associati al medicinale, in particolare il frequente verificarsi di anomalie nell'imaging correlate all'amiloide (Aria), che comportano gonfiore e potenziali sanguinamenti nel cervello dei pazienti che hanno ricevuto Leqembi".
Alzheimer Europe esprime "rammarico" e "profonda delusione" per il parere negativo formulato dal Comitato tecnico Chmp dell'Agenzia europea del farmaco Ema . Il no dell'Ema, che riguarda Ue, Islanda, Liechtenstein e Norvegia, sottolinea l'associazione in una nota, "significa che gli europei con malattia di Alzheimer in fase iniziale non avranno accesso alle opzioni terapeutiche disponibili per i pazienti negli Stati Uniti e in altri Paesi".
"Le persone che vivono con la malattia di Alzheimer e le loro famiglie nutrivano grandi speranze e aspettative riguardo all'introduzione di nuove opzioni terapeutiche in Europa", scrive Alzheimer Europe, ricordando che la Fda statunitense ha concesso l'approvazione a lecanemab un anno fa, nel luglio 2023, dopo che un comitato consultivo ha riconosciuto in modo unanime l'efficacia clinica del farmaco per il quale le principali assicurazioni Usa, fra cui Medicare, hanno garantito "un'ampia copertura" nei pazienti idonei a riceverlo. Hanno dato il via libera al trattamento anche le autorità regolatorie di Giappone (25 settembre 2023), Cina (3 gennaio), Corea del Sud (27 maggio), Hong Kong (11 luglio) e Israele (12 luglio), elenca l'associazione, mentre in Europa si attendono ancora i pronunciamenti degli enti regolatori svizzero e britannico, che Alzheimer Europe auspica positivi.
"Le persone affette da malattia di Alzheimer in Europa saranno escluse dall'accesso a lecanemab senza poter compiere scelte individuali basate su un'analisi personale del profilo rischi-benefici", rimarca l'associazione. La speranza di Alzheimer Europe è che "i risultati dal mondo reale raccolti dal registro imposto dalla Fda, o dagli studi in corso su lecanemab forniranno le evidenze scientifiche necessarie affinché i regolatori Ue riconsiderino la loro posizione".