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Esteri

Gaza, il piano di Israele per gli aiuti via mare

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Partita oggi da Cipro la prima nave. Il carico sarà ispezionato e controllato dallo Shin Bet, il servizio segreto interno israeliano e da funzionari della dogana israeliana dispiegati a Larnaca

Partita da Cipro la prima nave della ong spagnola Open Arms diretta nella Striscia

Israele lavora da tre mesi alla possibilità di inviare gli aiuti umanitari a Gaza via mare. E' quanto sostiene una fonte del governo nel giorno in cui è partita da Cipro la prima nave - quella della ong spagnola Open Arms - diretta nella Striscia, che al Times of Israel spiega come avverrà la distribuzione degli aiuti, una volta che saranno stati ispezionati sull'isola.

Il corridoio marittimo lanciato la settimana scorsa dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e dal presidente cipriota Nikos Christodoulides - che lo aveva proposto un mese fa - è l'opzione preferita da Israele, perché permette di far arrivare aiuti nella Striscia senza dover passare dal territorio dello Stato ebraico. "C'è una sola condizione - dice la fonte - che tutto sia ispezionato e supervisionato e che siamo noi a controllare" i carichi, per fare in modo, per questioni di "sicurezza, che non entri quello che noi non vogliamo". A Larnaca sono volati nei giorni scorsi funzionari del ministero degli Esteri israeliano e del Cogat (che coordina le attività civili nei Territori palestinesi) per ispezionare il porto e valutare insieme alle autorità cipriote come rendere sicuri i carichi destinati a Gaza.

Come funziona

Le navi saranno quindi controllate dallo Shin Bet, il servizio segreto interno israeliano e da funzionari della dogana israeliana dispiegati a Larnaca. Una volta salpate, in attesa che gli Stati Uniti costruiscano un porto temporaneo al largo della Striscia, cosa che richiederà due mesi, le navi attraccheranno a un molo provvisorio allestito a sud di Gaza City da World Central Kitchen, che ha messo insieme gli aiuti caricati sulla Open Arms.

Una volta arrivati, saranno trasferiti in un deposito temporaneo che la ong stra costruendo - all'esterno del quale sono dispiegati soldati israeliani per evitare attacchi - per essere poi mandati alla popolazione palestinese di Gaza. Prima a nord e poi a sud, una volta che il meccanismo sarà ben oliato.

"Il nostro obiettivo è quello di creare un'autostrada marittima di navi e chiatte con milioni di pasti diretti continuamente verso Gaza", hanno dichiarato in un comunicato il fondatore della Wck e chef di fama José Andrés e l'amministratore delegato Erin Gore.

Le forze di difesa israeliane non organizzeranno convogli propri, perché hanno bisogno dei soldati da usare nel conflitto. "Vogliamo fare il massimo possibile - ha sottolineato la fonte, assicurando che non ci saranno limiti di cibo, medicinali e acqua in ingresso - con il numero minimo di uomini, per permettere il massimo degli aiuti umanitari".

La nave di Open Arms diretta a Gaza con un carico di 200 tonnellate di aiuti umanitari è partita oggi, come reso noto dalla ong World Central Kitchen, che ha raccolto gli aiuti destinati alla popolazione palestinese. Il viaggio della nave della organizzazione non governativa spagnola viene usato come 'progetto pilota' in vista dell'apertura di un corridoio marittimo umanitario annunciato nei giorni scorsi a Cipro da von der Leyen.

Sul suo account X, Open Arms ha pubblicato un video che mostra la nave mentre salpa dal porto cipriota di Larnaca. Il viaggio dovrebbe durare due giorni-due giorni in mezzo, in base alle condizioni della navigazione. Per ragioni di sicurezza non è stato riferito dove la nave attraccherà (a Gaza c'è solo un piccolo porto di pescatori che non è adatto ai cargo), mentre non è chiaro come avverrà la distribuzione degli aiuti, anche per evitare assalti e incidenti come quelli dei giorni scorsi.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Esteri

Ucraina, il piano del Cremlino per Mariupol: sarà una...

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La città, nelle mani russe dal maggio di due anni fa e indissolubilmente legata all'assedio dell'acciaieria Azovstal, ora vede spuntare 'Gli appartamenti di Putin' per le vacanze

Macerie del teatro di Mariupol - Fotogramma /Ipa

Da 'città martire' a località turistica. E' il piano messo a punto dal Cremlino per Mariupol, la città dell'Ucraina meridionale quasi completamente distrutta dai bombardamenti e caduta nelle mani dei russi nel maggio di due anni fa. Ora, secondo quanto riporta il corrispondente locale di Bfmtv, Mosca - malgrado la città sia indissolubilmente associata al drammatico assedio all'acciaieria Azovstal - intende farne un luogo di vacanze e ha già avviato un piano di ricostruzione dei suoi quartieri e del centro storico da finalizzare entro il 2035.

Nelle strade di Mariupol, riporta l'emittente francese, sono già stati realizzati degli appartamenti completamente bianchi, ribattezzati 'Gli appartamenti di Putin'. Si tratte di case che sono state ricostruite molto rapidamente dopo l'assedio con l'obiettivo di mostrare agli abitanti che la situazione sta migliorando. Secondo le Nazioni Unite, quando Mariupol cadde, il 90% dei suoi edifici residenziali era stato distrutto o danneggiato.

La scommessa degli acquirenti russi: tra 10 anni sarà meta per le vacanze

Oltre alla russificazione della città, il Cremlino vuole fare di Mariupol, situata sulla riva del Mar d’Azov, una vera e propria località balneare. Questo progetto ha avuto già l'effetto di far registrare un forte aumento dei prezzi degli immobili. Perché queste nuove unità abitative non vengono consegnate agli abitanti che ne hanno bisogno, ma vengono acquistate da russi che scommettono sul fatto che forse tra 10 anni Mariupol sarà una città meta di vacanze come tante altre.

Uno di loro ha rilasciato un'intervista alla Bbc lo scorso agosto. "Ho acquistato una proprietà. Mariupol diventerà una bellissima città", spiegava Vladimir, originario della città di Murmansk, nella regione dell'Artico. "L'importante è che la città sia in riva al mare", ha aggiunto, spiegando all'epoca di aver investito grazie ai prezzi decisamente bassi. Secondo i media britannici, decine di persone hanno pubblicato annunci sul social network VKontakte in cui affermano di cercare un immobile a Mariupol. Ma un'inchiesta del Financial Time ha messo in luce tutti i difetti della ricostruzione ordinata da Putin, denunciando come gli abitanti vivano in condizioni deplorevoli, in "case costruite a metà", "appartamenti pericolosi con perdite d'acqua" e dove "i lavori di ristrutturazione sono stati pasticciati".

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Esteri

Ucraina, anche l’Estonia valuta l’invio di...

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Il governo di Tallin sta "seriamente" valutando l'ipotesi per "ruoli non di combattimento" ma nelle "retrovie" in modo da poter liberare truppe ucraine da inviare al fronte

Soldati in Ucraina - Fotogramma /Ipa

Non solo la Lituania, c'è un altro paese pronto a inviare soldati in Ucraina. Anche il governo dell'Estonia sta infatti "seriamente" valutando la possibilità di inviare truppe nella parte occidentale del Paese per dei ruoli non di combattimento, nelle "retrovie" in modo da poter liberare truppe ucraine da inviare al fronte in un momento cruciale della guerra.

La Russia ha lanciato un'offensiva nella regione di Kharkiv, con l'obiettivo di creare una zona cuscinetto per isolare i propri territori dagli attacchi di Kiev. L'obiettivo di Mosca è anche spingere l'Ucraina a riposizionare uomini e mezzi attualmente schierati sul fronte orientale, che diventerebbe più attaccabile dagli invasori.

La posizione estone è stata illustrata al portale Breaking Defense da Madis Roll, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Alar Karis: per quanto Tallinn preferirebbe fare qualsiasi mossa nell'ambito di una piena missione Nato - "per mostrare una più ampia forza combinata e determinazione" - non si esclude la possibilità di partecipare ad una coalizione più piccola.

Lituania e soldati a Kiev, cosa ha detto la premier

Il messaggio dell'Estonia arriva a pochi giorni dal segnale inviato da un altro paese baltico. La premier della Lituania Ingrida Simonyte aveva reso noto l'8 maggio scorso di essere pronta a inviare i suoi militari in missione di addestramento in Ucraina. La presa di posizione del paese baltico era arrivata malgrado le minacce di Mosca: il ministero della Difesa aveva infatti annunciato esercitazioni nucleari tattiche ordinate da Vladimir Putin in risposta alle dichiarazioni sull'invio di truppe da parte di Emmanuel Macron.

La linea Macron, il 'no' dell'Italia all'invio di truppe

Il presidente francese, dopo le prime esternazioni di febbraio, negli ultimi giorni è tornato a prospettare l'ipotesi di inviare soldati in Ucraina se la Russia dovesse sfondare la linea del fronte e se Kiev dovesse chiedere apertamente il sostegno diretto dei partner occidentali: si tratta di due condizioni, ha evidenziato Macron, che allo stato attuale non si sono concretizzate.

In una intervista al Financial Times, Simonyte ha spiegato che "se pensassimo solo alla risposta di Mosca, non invieremmo nulla. Una settimana sì e una no, si sente parlare di attacchi nucleari contro qualcosa". L'Ucraina non ha chiesto alla Lituania come ad altri Paesi in modo ufficiale di poter ricevere soldati di Paesi alleati sul suo territorio.

Numerosi paesi hanno intanto detto e ribadito che non invieranno personale militare in Ucraina. L'Italia ha chiarito ripetutamente la propria posizione in relazione al dibattito. "Non manderemo nessun militare italiano in Ucraina. Ho appena terminato una riunione con tutti i nostri ambasciatori delle aree di crisi: Ucraina, Medio Oriente, Mar Rosso. Ho ribadito la nostra posizione in difesa dell’indipendenza territoriale dell’Ucraina ma non siamo in guerra con la Russia", ha detto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

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Esteri

Gaza, Usa: “Nessun genocidio”. Ma Casa Bianca...

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Il consigliere per la Sicurezza Nazionale Sullivan: "Stato ebraico deve fare di più per proteggere i civili. Operazione a Rafah? Sarebbe un errore"

Il consigliere per la Sicurezza Nazionale Usa, Jake Sullivan - Fotogramma /Ipa

Gli Usa credono che "Israele possa e debba fare di più per proteggere la vita di civili innocenti", ma non credono "che quello che sta succedendo a Gaza sia un genocidio". Così il consigliere per la Sicurezza Nazionale, Jake Sullivan, durante un briefing in cui ha ricostruito per punti la posizione dell'amministrazione Biden sul conflitto a Gaza, ricordando che gli Stati Uniti hanno "fermamente e pubblicamente respinto" le accuse di genocidio.

Sullivan ha ricordato che la guerra è iniziata a causa degli attacchi del 7 ottobre di Hamas, "gruppo terroristico che ha come obiettivo di distruggere Israele", e che gli israeliani hanno un "peso insolito e senza precedenti in questa guerra, perché Hamas usa ospedali, scuole e altre infrastrutture civili per usi militari ed ha costruito tunnel sotto aree civili, mettondo così in civili in mezzo al fuoco".

Questo non toglie ad Israele "la responsabilità di fare tutto il possibile per proteggere civili innocenti", ha detto ancora Sullivan sottolineando che per i civili palestinesi "questa guerra è un inferno, il livello di morte e trauma che stanno subendo è inimmaginabile, la loro pena e sofferenza sono immense, nessun civile dovrebbe subirle. Il presidente - ha spiegato ancora - ha questo nei suoi pensieri ogni giorno".

"Errore lanciare operazione a Rafah

"Continuiamo a credere che sia un errore lanciare un'operazione militare di vasta scala nel cuore di Rafah, operazione che esporrebbe al rischio un grande numero di civile senza un guadagno strategico", ha ribadito Sullivan.

Nel criticare la scelta strategica di Israele di attaccare Rafah, Sullivan ha poi ricordato che i militari israeliani sono già entrati a Gaza City ed altri centri della Striscia "e si sono visti sempre i terroristi uscire dalle macerie perché secondo noi non c'è integrazione sufficiente tra piano militare e piano politico".

"Siamo preoccupati per questo - ha aggiunto il consigliere per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, che più volte nel corso del briefing ha ribadito il "ferreo" sostegno di Washington all'alleato israeliano - abbiamo sollevato queste preoccupazioni, non con rancore, ma perché vogliamo vedere guerra concludersi con successo, vogliamo vedere Hamas sconfitta, vogliamo vedere i suoi leader consegnati alla giustizia".

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