Salute e Benessere
Allergia al nickel in aumento, l’immunologo...
Allergia al nickel in aumento, l’immunologo “nuoce al 10% della popolazione”
Mauro Minelli propone una guida per affrontare questa malattia, imparare a conviverci e riconoscere i fasi miti
"L'allergia al Nichel è una patologia sempre più diffusa e parte della responsabilità è da imputare all'inquinamento che immette nell'aria e nei terreni metalli potenzialmente allergizzanti, tra i quali certamente il nichel. Qualche tempo fa ci era quasi del tutto indifferente. Oggi, invece, il nichel è, per l’uomo, uno degli indiziati più subdoli in diversi problemi di salute, arrivando a nuocere a circa il 10% della popolazione. Ma ci si può convivere, diffidando dai tanti falsi miti, e superando le prime difficoltà". Lo spiega all'Adnkronos Salute l'immunologo Mauro Minelli, immunologo e responsabile per il Sud della Fondazione di Medicina personalizzata (Fmp).
"Non solo nichel, certo, anche mercurio, cobalto, cromo, cadmio. Tutti i metalli, entrando in contatto con il corpo, possono provocare danni più o meno visibili. A causarne la propagazione contribuiscono molto le industrie, le auto, in buona sostanza tutte le fonti inquinanti che immettono nell'aria che respiriamo e depositano nei terreni nei quali vengono coltivati i cibi, sostanze dannose per l'uomo - avverte Minelli - I sintomi sono alle volte visibili altre subdoli. A livello cutaneo l'allergia al nichel si presenta con eritemi, eruzioni eczematose, pomfi e vescicole in tutto il corpo. Altri sintomi, invece, riguardano l'apparato gastrointestinale (gonfiore e dolori addominali, stipsi o diarrea, disturbi digestivi); si potranno avvertire, inoltre, stanchezza cronica, dolori articolari e muscolari quasi fosse una fibromialgia, mal di testa, febbricola. Nei casi più complessi si parla di Snas, Sindrome sistemica da allergia al nichel".
"Convivere con questa allergia, inizialmente, è molto complicato. Occorre prestare attenzione ai detergenti utilizzati, sia per il corpo che per la casa, al makeup, alle stoviglie, agli indumenti e al cibo. Questo ultimo aspetto è particolarmente complicato da gestire, perché la gamma di alimenti poveri di nichel è ridotta al punto da indurre chi è allergico ad abituarsi ad una alimentazione diversa e apparentemente meno varia. Questo non significa perdere il gusto della buona tavola, ma imparare ad adattare le ricette agli alimenti consentiti", avverte Minelli.
'Il paziente dovrebbe seguire sempre scrupolosamente la dieta e lo stile di vita nichel free'
"È bene ricordare che l'allergia al nichel segue percorsi diversi da quelli dell’allergia ai pollini o agli acari della polvere, manifestando solitamente i propri effetti con azione immunologica ritardata anche di molte ore rispetto al contatto fisico o alimentare con il metallo allergizzante, ciò che può giustificare una reazione prodotta da un qualche alimento che magari, in un primo momento, si pensava di aver ben tollerato. E’ questa - suggerisce l'immunologo - la ragione per la quale un cioccolatino ingerito oggi potrà sortire i suoi effetti, talvolta anche particolarmente duri, nei giorni successivi. Ciò deve indurre il paziente a seguire sempre scrupolosamente la dieta e lo stile di vita nichel free così da preservare il suo organismo da reazioni successive".
Cosa evitare. "Tutti gli oggetti contenenti parti metalliche laddove non espressamente indicato 'nichel tested': monete, collane, orologi, anelli, orecchini, piercing, cinture, fibbie, bottoni, parti metalliche di occhiali, scarpe, pentole, chiavi, ecc, gli indumenti di colore nero e, come detto, alcuni alimenti - elenca Minelli - Da evitare cacao, cioccolato, mais, avena, grano saraceno, cereali integrali, frutta secca, tè, bevande in barattolo, aringhe affumicate, cozze, ostriche, crostacei, gran parte della frutta tranne gli agrumi, le banane e le mele; soia, legumi, pomodori, lattuga, cipolle, asparagi, spinaci, funghi, cibi in scatola, margarina.
'Un allergia che si cura con indicazioni minuziose e a misura di paziente'
Come diagnosticarlo. "L’accertamento della allergia sistemica al nichel si articola attraverso una serie di passaggi diagnostici sequenziali che prevedono, anzitutto, l’esecuzione di un patch-test (applicazione di apparato testante costituito da un supporto adesivo sul quale viene posizionato il solfato di nickel, da rimuovere 48-72 ore dopo la sua applicazione) - osserva l'esperto - A seguito della riscontrata sensibilizzazione allergica cutanea al nickel, il paziente, dopo avere condotto per un tempo congruo una dieta restrittiva a basso contenuto di nickel, in ambiente protetto e a cura di personale esperto viene sottoposto a Tso (Test di stimolazione orale), praticato in doppio cieco vs placebo, utilizzando dosi crescenti del metallo".
Come curare l'allergia. "In favore dei pazienti con Snas, opportunamente e correttamente diagnosticati, potrà e dovrà essere impostato un trattamento personalizzato che dovrà soprattutto fondarsi su una competente gestione delle problematiche nutrizionali, spesso difficili da gestire in assenza di indicazioni minuziose e a misura di paziente'.
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Covid, aumenta rischio cardiovascolare nei 3 anni dopo...
Lo studio condotto dall'Irccs San Raffaele in collaborazione con La Sapienza e Federico II
L'aumento del rischio cardiovascolare che si registra per i pazienti Covid-19 potrebbe non essere limitato alla fase acuta dell'infezione, ma estendersi nel tempo, almeno per 3 anni. Sono questi i risultati dello studio, pubblicato su 'Cardiovascular Research', condotto dai ricercatori dell'Irccs San Raffaele di Roma in collaborazione con colleghi delle università di Roma Sapienza e Federico II di Napoli. L'indagine è stata realizzata su un campione di circa 229mila pazienti, tra cui circa 32mila che hanno avuto una diagnosi molecolare di Covid-19, in una regione - la Campania - a rischio cardiovascolare moderato secondo la classificazione europea Score.
Rischio infarto e ictus
Diversi studi, su un numero limitato di persone ospedalizzate, hanno dimostrato che l'infezione da Sars-CoV-2 è molto spesso associata allo sviluppo di eventi cardiovascolari e cerebrovascolari. L'importanza di questo nuovo lavoro sta nel fatto che prende in esame una popolazione reale di grandi dimensioni. Coinvolge infatti persone provenienti da un database dei medici di medicina generale della Asl 1 di Napoli, seguite per 3 anni, durante la pandemia nel periodo 2020-22, e confrontate con una popolazione pre-pandemia derivata dallo stesso database nel periodo 2017-19. "I risultati hanno dimostrato che il gruppo infettato dal virus ha avuto circa il doppio dei casi di infarto del miocardio, ictus cerebrale, scompenso cardiaco, fibrillazione atriale e miopericarditi", ha spiegato Massimo Volpe, responsabile del Centro per la diagnosi e cura dell'ipertensione arteriosa e delle complicanze cardiovascolari del San Raffaele, tra i firmatari dello studio.
Un rischio aumentato, insomma, che "nella popolazione colpita dal virus pandemico si protrae per almeno 3 anni. La rilevante ricaduta clinica e sociale impone quindi un'attenzione particolare nei confronti dei soggetti colpiti dal Covid-19 che devono essere seguiti nel tempo, per il possibile sviluppo di malattie cardiovascolari", ha aggiunto Volpe. I ricercatori, in base ai risultati dello studio, invitano quindi alla pianificazione di un follow-up più lungo per i pazienti con Covid-19, per prevenire e gestire tempestivamente possibili eventi cardiovascolari e cerebrovascolari gravi.
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Ospedale del futuro, Petralia (Fiaso): “Con...
Al congresso Aiic, 'digitalizzazione e Ai per una presa in cura unitaria'
Il futuro dei nostri ospedali "parte qui e ora, da ciascuno di noi che ci aspettiamo di essere presi in cura, prima ancora che essere curati. Gli ospedali non sono stati sempre soltanto luoghi di auspicabile guarigione, di cura di malattie, ma sono nati come luoghi di accoglienza, di ospitalità per viandanti e pellegrini. Con l'avanzare della tecnologia e della scienza sono diventati percorsi, spazi, prospettive di presa in carico e di cura", e in questo "un ruolo importante è giocato dalla digitalizzazione e dall'intelligenza artificiale". Così Paolo Petralia, vicepresidente vicario Fiaso e direttore generale Asl 4 Liguria, questa mattina a Roma, ha descritto l'evoluzione dell'assistenza ospedaliera al Convegno nazionale dell'Associazione italiana ingegneri clinici (Aiic) in corso nella Capitale fino a sabato.
Si tratta di "un modello di ospedale che sempre di più va verso il territorio - continua Petralia - e di territorio che va verso l'ospedale in una logica di circolarità e non di esclusività", che supera il concetto di "integrazione ospedale-territorio. Abbiamo bisogno di parlare di un percorso per le persone, di una presa in cura unitaria e che vada dall'ospedale al setting assistenziale intermedio e al domicilio, in una logica di continuità di assistenza e cura". Oltre ad essere un luogo "bello", nell'ospedale del futuro "non si è costretti a dover condividere la camera con altre persone e, grazie alla tecnologia", ci sarà "la virtualizzazione dei posti letto - spiega l'esperto - e non sarà più necessario dover dormire in ospedale per essere curati" perché, con la condivisione dei dati, "l'assistenza sarà fornita al bisogno, a domicilio". A livello tecnologico, "l'intelligenza artificiale potrà affiancare e sostenere gli operatori, ma anche i pazienti nell'esperienza di permanenza in ospedale per ottenere risposte che sono avanzate dal punto di vista dei contenuti clinici, ma anche sostenibili e gradevoli dal punto di vista della modalità con cui vengono erogati".
A fronte di un patrimonio edilizio ospedaliero spesso obsoleto, "possiamo immaginare, nel tempo, di riuscire" a lavorare per trasformare gli edifici attuali in "building adeguati in termini di struttura - conclude Petralia - che risparmino energia, che siano green, automatizzati, efficienti dal punto di vista dei percorsi, ma anche degli spostamenti, in una logica che dal monoblocco ritorna a padiglioni piccoli, immersi nel verde, capaci di essere flessibili nel loro utilizzo, come la pandemia ci ha insegnato".
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Ospedale del futuro, l’esperto: “Flessibile,...
Al congresso Aiic, 'organizzazione per intensità di cura'
"L'ospedale del futuro dovrà essere flessibile, modulare - anche perché, ci ha insegnato il Covid, ci può essere necessaria una riconfigurazione rapida dei posti letto - molto digitale, con intelligenza artificiale, senza reparti, con pochi professionisti" supportati al meglio, "in modo che il lavoro che adesso viene fatto da tanti in futuro venga fatto da pochi, e accogliente", con "tanto verde". Lo ha detto Giovanni Guizzetti, ingegnere clinico e direttore sociosanitario Asst Ovest Milanese, intervenendo questa mattina alla sessione dedicata all'ospedale del futuro, durante il Convegno nazionale dell'Associazione italiana ingegneri clinici (Aiic), a Roma fino al 18 maggio.
"Per capire quale possa essere il futuro dell'ospedale - continua Guizzetti - dobbiamo capire qual sarà il futuro di tutte le assistenze sanitarie del cittadino e, quindi, anche come si arriverà alla trasformazione della sanità domiciliare e la sanità territoriale. L'ospedale del futuro dovrebbe essere un ospedale in cui, ad esempio, il paziente cronico non accede, se non in casi rarissimi". Tra le novità più importanti, spicca il fatto che non ci sarà una differenziazione fra un reparto e l'altro, ma in base all'intensità di cura. E servirà più contatto con la natura, quindi aree verdi, perché "questo, è dimostrato ampiamente, contribuisce anche al maggior benessere del paziente". Nell'ospedale del futuro "ci saranno molte camere singole", almeno la metà dei posti letto, "non solo per un maggiore comfort del paziente - precisa Guizzetti - ma anche perché questo permette di controllare meglio le infezioni ospedaliere. Soprattutto sarà un ospedale molto digitale, in cui le applicazioni di intelligenza artificiale senz'altro supporteranno tutto il processo di diagnosi e cura. Si è citato addirittura un ospedale senza posti letto, perché l'ospedale diventa il concentratore della sanità domiciliare, di pazienti che sono monitorati a casa loro e gestiti centralmente da una struttura in cui, professionisti multidisciplinari, gestiscono il paziente che si trova, invece, a domicilio".
La trasformazione "in realtà è già in corso - avvisa l'esperto - Non ce ne stiamo accorgendo, ma nel mondo ci sono già degli esempi. In Italia abbiamo tanti, troppi ospedali piccoli, che costano molti soldi di gestione e non permettono agli ospedali più avanzati di poter essere adeguatamente supportati. Certo, resta la necessità di avere una prossimità dell'ospedale, ma se consideriamo" l'evoluzione tecnologica e l'aumento "dei trasporti con mezzi a guida autonoma", è facile intuire che "anche l'accesso al luogo di cura, anche in modo autonomo", sarà una realtà.