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Iran: “Non diamo armi agli Houthi”. Dai ribelli Yemen nuovo lancio missili in Mar Rosso
I combattenti hanno lanciato sei missili balistici antinave nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden
L'Iran non fornisce armi ai miliziani yemeniti Houthi. Lo ha dichiarato l'ambasciatore iraniano presso le Nazioni Unite Amir Saeid Iravani nel corso di un'intervista alla Nbc respingendo le accuse in tal senso. Il diplomatico ha invece ammesso che l'Iran ha armato Hamas e altri miliziani palestinesi, ma ''non li stiamo dirigendo''.
Teheran, ha proseguito, non ha avuto alcun ruolo nell'attacco dello scorso 7 ottobre contro il sud di Israele. "Non abbiamo preso parte a questa decisione. E' stata una decisione palestinese ed è stata messa in atto dai palestinesi. Noi non abbiamo alcun ruolo in questo", ha detto Iravani, aggiungendo: ''Non vogliamo una crisi nella regione''.
Rispetto ai rapporti con Teheran, l'ambasciatore ha detto di ritenere che ''il linguaggio della minaccia non funzionerà con l'Iran'', meglio ''il linguaggio della cooperazione e del rispetto. Se pensate che l'Iran abbia paura delle minacce vi sbagliate completamente''.
Houthi lanciano 6 missili balistici contro navi nel Mar Rosso
Intanto i combattenti Houthi nello Yemen ieri hanno lanciato sei missili balistici antinave contro navi nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden. Lo ha reso noto su X il Comando Centrale degli Stati Uniti (Centcom). Tre razzi sono stati puntati contro la MV Star Nasia, che navigava sotto bandiera delle Isole Marshall ma di proprietà greca. Due esplosioni si sono verificate vicino al mercantile. Si sono registrati lievi danni ma nessun ferito. "La MV Star Nasia rimane idonea alla navigazione e prosegue verso la sua destinazione", ha affermato il Centcom.
Altri tre missili antinave lanciati dallo Yemen hanno puntato la nave mercantile di proprietà del Regno Unito MV Morning Tide. Sono atterrati in mare, vicino all'imbarcazione, e non sono stati segnalati danni o vittime.
Esteri
Proteste pro Gaza, chiusa sede Sciences Po di Parigi
Studenti occupano ateneo: sit-in e sciopero della fame da parte di sei studenti “in solidarietà con le vittime palestinesi”
Sospese le lezioni all'università Sciences Po di Parigi, che è rimasta chiusa oggi dopo che gli studenti che manifestano contro Israele e la guerra a Gaza l'hanno occupata. Resta quindi alta la tensione tra l'amministrazione dell'ateneo e la componente studentesca, che spiega: ''I negoziati non stanno facendo progressi''.
Dopo un dibattito interno giovedì mattina sul Medio Oriente, considerato “deludente ma non sorprendente” , gli studenti del comitato palestinese di Sciences Po hanno annunciato ieri un “sit-in pacifico” nell’aula scolastica e l'inizio di uno sciopero della fame da parte di sei studenti “in solidarietà con le vittime palestinesi” .
Ieri sera l'occupazione del campus è stata votata da un centinaio di studenti riuniti in un'assemblea generale. Gli scioperi della fame continueranno fino a quando "non si terrà un voto ufficiale e non anonimo nel consiglio dell'Istituto per l'indagine sui partenariati con le università israeliane ", ha detto Hicham, del comitato Palestina.
"In seguito alla votazione sull'occupazione studentesca, gli edifici in 25, 27, 30, rue Saint-Guillaume e 56, rue des Saints-Pères, rimarranno chiusi venerdì 3 maggio. Vi invitiamo a continuare a lavorare da casa", si legge in un messaggio ai dipendenti inviato dal dipartimento Risorse Umane di Sciences Po.
Nei giorni scorsi la polizia parigina era intervenuta per sgombrare una cinquantina di studenti che si erano accampati all'interno dell'università della Sorbonne. "La polizia ha fermato con la forza gli studenti che si erano accampati, come è successo alla Colombia e a Sciences Po, a sostegno della Palestina", ha scritto su X l'organizzazione Rovolution Permante, pubblicando un video dell'irruzione della polizia nel cortile dell'università parigina.
Prima dell'intervento degli agenti, gli studenti avevano steso una grande bandiera della Palestina, osservando un minuto di silenzio per gli oltre 34mila palestinesi rimasti uccisi nell'offensiva israeliana a Gaza.
Esteri
Maltempo in Brasile, sono oltre 30 i morti dopo crollo diga
Ci sono 15mila sfollati e 500mila senza acqua ed elettricità nello stato del Rio Grande do Sul
Sono più di 30 i morti accertati e una sessantina le persone che risultano disperse in Brasile dopo il crollo di una diga idroelettrica nel sud a causa delle violente piogge che hanno provocato inondazioni nello stato del Rio Grande do Sul. Crollando, la diga ha infatti provocato un'onda alta due metri. Circa 15mila le persone che sono state costrette a lasciare le loro abitazioni, mentre almeno 500mila sono senza acqua pulite ed elettricità. Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha visitato la regione promettendo aiuto da parte del governo centrale.
Purtroppo le previsioni meteorologiche non sono incoraggiati, con la previsioni di ulteriori piogge che cadranno nella regione.
Esteri
Israele-Hamas, morto un ostaggio: “Corpo portato a...
A dare l'annuncio il kibbutz Be'eri: la vittima è Dror Or, 49 anni. I figli rilasciati a novembre, la moglie morta qualche giorno dopo l'attacco
Il kibbutz Be'eri ha annunciato che il suo cittadino Dror Or, 49 anni, è stato ucciso dai miliziani di Hamas durante l'attacco del 7 ottobre e che il suo corpo è trattenuto a Gaza. Finora era stato designato come ostaggio. I suoi due figli, Noam di 17 anni e Alma di 13, erano stati rapiti insieme a lui, ma sono stati rilasciati il 25 novembre come parte di un accordo temporaneo di cessate il fuoco mediato dal Qatar e dagli Stati Uniti tra Hamas e Israele. La moglie di Or, Yonat, era stata invece trovata morta qualche giorno dopo l'attacco del 7 ottobre.
Il fratello maggiore di Noam e Alma, Yahli, è sopravvissuto perché stava partecipando a un programma di volontariato di un anno nel nord di Israele e non era nella sua casa il 7 ottobre.