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Taiwan, Sisci: “Con Pechino non vedo tensioni...

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Taiwan, Sisci: “Con Pechino non vedo tensioni eccessivamente preoccupanti”

navi Taiwan

"Non si vedono elementi di tensione eccessivamente preoccupanti" tra Pechino e Taipei alla vigilia del voto a Taiwan, né sembra esserci "alcuno scostamento rispetto a dichiarazioni passate" nella preventiva 'messa in guardia' cinese a Washington in occasione dell'incontro di lavoro tra funzionari della Difesa di Pechino e colleghi americani. A dichiararlo è il sinologo Francesco Sisci, per il quale l'appello a smettere di armare Taiwan, la richiesta di non riconoscerne l'indipendenza e la conferma che non ci sarà alcuna concessione di Pechino su questo "sono di routine: non c'è né in più né in meno rispetto alla posizione cinese del passato". Interessante semmai è il fatto che siano "ripresi i colloqui militari tra Cina e Stati Uniti interrotti da 4 anni, e proprio alla vigilia del voto di Taiwan, come se le parti volessero assicurarsi che non ci sarà escalation e che la situazione bilaterale è sotto controllo".

"Non vedo un eccesso di minaccia rispetto alle altre volte da parte della Cina che certo, continua a mantenere il suo punto, e cioè che una riunificazione con Taiwan dovrà avvenire. Ma non ci sono minacce di uso della forza, né ultimatum temporali: non si sa quando dovrebbe verificarsi questa riunificazione", osserva l'esperto, parlando con l'Adnkronos.

Quanto al voto in programma sabato "vedremo cosa succederà: dovrebbe vincere il candidato del Partito democratico progressista, cioè quello 'più anti-Pechino', ma non sembra che nelle sue carte ci sia la voglia di fare strappi nella forma di una dichiarazione formale di indipendenza. Il punto è che Taiwan è indipendente de facto ma de jure è parte di un'unica Cina quindi se dichiarasse l'indipendenza certamente sarebbe uno strappo", spiega ancora il politologo.

Gli americani comunque, osserva Sisci "hanno dichiarato che non sosterranno una dichiarazione unilaterale di indipendenza formale di Taiwan. Questo, in aggiunta al fatto che in realtà il partito comunista cinese e il Kuomintang - che ha governato l'isola per decenni - sono figli di uno stesso padre, Sun-Yat sen, e hanno rapporti di pace, guerra e colloqui da oltre 100 anni, mi fa pensare che le due parti possano controllare bene le tensioni, quella che si chiama la 'brinkmanship'. Quindi non vedo oggi elementi eccessivamente preoccupanti di tensione", sottolinea.

Molto più preoccupanti intorno alla Cina "sono la questione della Corea del nord, una sorta di mina vagante, quella del mar cinese meridionale e del confine tra Cina e India", sottolinea il politologo. (segue)

"La Corea del nord preoccupa per vari motivi, da ultimo i test missilistici e il fatto che la settimana scorsa abbiamo sparato per due giorni di seguito su alcune isolette al confine con il sud e che abbiano minacciato di non voler subire altre provocazioni". Nel mar cinese meridionale, "con Filippine, Vietnam Malaysia, Indonesia, la flotta americana e ora probabilmente altre unità Nato è meno difficile che ci sia un incidente, perché ci sono tante flotte, tanti problemi e non ci sono protocolli concordati di incontro".

"E poi c'è il confine con l'India, ci sono tremila chilometri di confini non ben delineati su cui ci sono tensioni e ci sono stati scontri molto violenti anche in passato. Tra Cina e India ci sono mille problemi, quello storico con il Pakistan, la presenza maggiore cinese nello Sri Lanka, più di recente la polemica con le Maldive".

"A fine mese - ricorda in conclusione - l'India ospiterà un vertice del Quad, (l'accordo militare tra Stati Uniti, Australia, Giappone e India sostanzialmente in funzione anticinese): bisogna vedere se il Quad farà passi avanti nel coordinamento tra questi paesi e si allargherà magari alla Corea del sud, cosa possibile nel prossimo futuro".

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Esteri

Proteste pro Gaza, chiusa sede Sciences Po di Parigi

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Studenti occupano ateneo: sit-in e sciopero della fame da parte di sei studenti “in solidarietà con le vittime palestinesi”

Sciences Po Parigi - (Afp)

 Sospese le lezioni all'università Sciences Po di Parigi, che è rimasta chiusa oggi dopo che gli studenti che manifestano contro Israele e la guerra a Gaza l'hanno occupata. Resta quindi alta la tensione tra l'amministrazione dell'ateneo e la componente studentesca, che spiega: ''I negoziati non stanno facendo progressi''.

Dopo un dibattito interno giovedì mattina sul Medio Oriente, considerato “deludente ma non sorprendente” , gli studenti del comitato palestinese di Sciences Po hanno annunciato ieri un “sit-in pacifico” nell’aula scolastica e l'inizio di uno sciopero della fame da parte di sei studenti “in solidarietà con le vittime palestinesi” .

Ieri sera l'occupazione del campus è stata votata da un centinaio di studenti riuniti in un'assemblea generale. Gli scioperi della fame continueranno fino a quando "non si terrà un voto ufficiale e non anonimo nel consiglio dell'Istituto per l'indagine sui partenariati con le università israeliane ", ha detto Hicham, del comitato Palestina.

"In seguito alla votazione sull'occupazione studentesca, gli edifici in 25, 27, 30, rue Saint-Guillaume e 56, rue des Saints-Pères, rimarranno chiusi venerdì 3 maggio. Vi invitiamo a continuare a lavorare da casa", si legge in un messaggio ai dipendenti inviato dal dipartimento Risorse Umane di Sciences Po.

Nei giorni scorsi la polizia parigina era intervenuta per sgombrare una cinquantina di studenti che si erano accampati all'interno dell'università della Sorbonne. "La polizia ha fermato con la forza gli studenti che si erano accampati, come è successo alla Colombia e a Sciences Po, a sostegno della Palestina", ha scritto su X l'organizzazione Rovolution Permante, pubblicando un video dell'irruzione della polizia nel cortile dell'università parigina.

Prima dell'intervento degli agenti, gli studenti avevano steso una grande bandiera della Palestina, osservando un minuto di silenzio per gli oltre 34mila palestinesi rimasti uccisi nell'offensiva israeliana a Gaza.

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Esteri

Maltempo in Brasile, sono oltre 30 i morti dopo crollo diga

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Ci sono 15mila sfollati e 500mila senza acqua ed elettricità nello stato del Rio Grande do Sul

Maltempo in Brasile, allagamenti - (Afp)

Sono più di 30 i morti accertati e una sessantina le persone che risultano disperse in Brasile dopo il crollo di una diga idroelettrica nel sud a causa delle violente piogge che hanno provocato inondazioni nello stato del Rio Grande do Sul. Crollando, la diga ha infatti provocato un'onda alta due metri. Circa 15mila le persone che sono state costrette a lasciare le loro abitazioni, mentre almeno 500mila sono senza acqua pulite ed elettricità. Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha visitato la regione promettendo aiuto da parte del governo centrale.

Purtroppo le previsioni meteorologiche non sono incoraggiati, con la previsioni di ulteriori piogge che cadranno nella regione.

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Esteri

Israele-Hamas, morto un ostaggio: “Corpo portato a...

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A dare l'annuncio il kibbutz Be'eri: la vittima è Dror Or, 49 anni. I figli rilasciati a novembre, la moglie morta qualche giorno dopo l'attacco

Un cartello con gli ostaggi  - (Afp)

Il kibbutz Be'eri ha annunciato che il suo cittadino Dror Or, 49 anni, è stato ucciso dai miliziani di Hamas durante l'attacco del 7 ottobre e che il suo corpo è trattenuto a Gaza. Finora era stato designato come ostaggio. I suoi due figli, Noam di 17 anni e Alma di 13, erano stati rapiti insieme a lui, ma sono stati rilasciati il 25 novembre come parte di un accordo temporaneo di cessate il fuoco mediato dal Qatar e dagli Stati Uniti tra Hamas e Israele. La moglie di Or, Yonat, era stata invece trovata morta qualche giorno dopo l'attacco del 7 ottobre.

Il fratello maggiore di Noam e Alma, Yahli, è sopravvissuto perché stava partecipando a un programma di volontariato di un anno nel nord di Israele e non era nella sua casa il 7 ottobre.

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