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Salute e Benessere

Terapia genica, mRna e le sfide per la medicina del futuro....

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Terapia genica, mRna e le sfide per la medicina del futuro. Parla Auricchio, direttore Tigem

Dai progetti dell'Istituto Telethon di Pozzuoli al nodo della sostenibilità delle terapie per i malati rari. Gli studi sul taglia e incolla del Dna, ma anche il lavoro per trovare nuove missioni a 'vecchi' farmaci. "Vogliamo spingere per portare l'innovazione fino al paziente"

Alberto Auricchio da metà aprile è il nuovo direttore dell'Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem)

Era fine gennaio 2024 quando sul 'New York Times' veniva raccontata la storia di Aissam Dam, 11enne cresciuto in un abisso di silenzio che aveva potuto sentire la voce del papà per la prima volta, emozionandosi. Affetto da una forma di sordità ereditaria, Aissam è diventato la prima persona a ricevere negli Stati Uniti la terapia genica per questa patologia. Tutto ciò è stato possibile anche perché dall'altra parte dell'Oceano a diverse migliaia di chilometri di distanza - per la precisione in Italia al Tigem di Pozzuoli (Napoli) - un gruppo di scienziati si è messo al bancone del laboratorio e ha studiato un modo per superare uno dei limiti della terapia genica: l'impossibilità per i piccoli vettori virali utilizzati per il 'trasporto' di impacchettare geni di grandi dimensioni per portarli a destinazione dove dovranno correggere il difetto all'origine della patologia.

Fra quegli scienziati c'era anche Alberto Auricchio, che da metà aprile è il nuovo direttore dell'Istituto Telethon di genetica e medicina (il Tigem, appunto). E superare gli ostacoli e le questioni di 'taglia' che impediscono alla terapia genica in vivo di ampliare i suoi orizzonti è una delle scommesse del centro. Insieme a un'altra frontiera su cui si sta "investendo tanto": l'editing genomico, le famose 'forbici molecolari' per il taglia e incolla del Dna. Un ulteriore filone promettente, spiega ancora Auricchio all'Adnkronos Salute, è quello delle ricerche che puntano a trovare nuove missioni per 'vecchi' farmaci, molecole già approvate per le quali al Tigem si studia un riposizionamento. "Abbiamo gruppi di ricerca che si occupano di capire se farmaci già approvati per alcune malattie possano avere un effetto benefico anche in modelli cellulari di malattie genetiche di nostro interesse. E' il caso di alcune malattie del metabolismo che potrebbero beneficiare di alcune di queste piccole molecole di sintesi chimica. Ci sono diversi farmaci al vaglio, ma tre di questi stiamo considerando di portarli avanti, sottoponendoli a delle prove successive con l'eventualità di arrivare poi ai pazienti".

La ricerca in Istituto, racconta Auricchio, è organizzata in tre aree in cui lavorano gruppi di ricerca indipendenti. "Sono programmi che fondamentalmente ripercorrono i passaggi cruciali della ricerca sulle malattie genetiche. La prima area è 'Medicina genomica', e si occupa di comprendere le basi genetiche delle malattie ereditarie di nostro interesse con degli approcci innovativi di omica (genomica, trascrittomica, proteomica). Poi c'è l'area 'Biologia cellulare delle malattie genetiche' che invece si concentra su quali sono i meccanismi che vengono alterati come conseguenza della mutazione genetica in una specifica malattia. Infine, il terzo programma è quello della 'Terapia molecolare'", che si occupa proprio di sviluppare nuove opzioni terapeutiche, "è un programma principalmente di terapia genica ma anche di terapie farmacologiche", illustra l'esperto.

Si comincia dunque identificando la mutazione genetica, poi si studia il meccanismo della malattia, per poi arrivare alla terapia. Questo lo stato dell'arte oggi. "Da medico pediatra esperto di terapia genica ora vorrei poter fare la differenza su un aspetto: quello di spingere sulla parte traslazionale, cioè cercare di fare uno sforzo all'interno dell'istituto per identificare le scoperte fatte all'interno delle prime due aree, che possano avere maggiori possibilità di trasformarsi in terapie e aiutare anche a sviluppare queste terapie fino alle sperimentazioni cliniche", dice Auricchio.

I campi più promettenti in cui si intravede ulteriore sviluppo? "Ce n'è uno che è relativamente recente ma in enorme espansione: l'editing genomico, sul quale anche noi stiamo facendo un investimento ingente", evidenzia. "Crispr-Cas e nucleasi simili possono andare in maniera molto mirata a tagliare il Dna in punti specifici e poi con interventi diversi si può correggere il Dna nel punto in cui è stato tagliato. Questo editing genomico lo definiamo 'in vivo' e anche la terapia genica che noi facciamo è fatta in vivo, cioè direttamente nel contesto di un tessuto di un paziente. Un esempio di questo approccio è l'editing genomico che facciamo per alcune malattie della retina, per alcune forme di cecità ereditarie che prevedono che gli strumenti per l'editing vengano introdotti attraverso dei vettori per terapia genica direttamente nella retina. Stesso discorso per il fegato. Sono i due organi target e i gruppi di malattie sono la cecità ereditaria e le malattie ereditarie del metabolismo".

Per il resto, continua lo scienziato a capo del Tigem "continuiamo a dedicarci alla terapia genica con delle piattaforme innovative. In altre parole, cerchiamo di sfruttare la nostra esperienza per mettere a punto delle piattaforme di terapia genica che superino alcuni ostacoli. Per esempio, il vettore che oggi in terapia genica si utilizza di più in vivo deriva da un virus che si chiama adeno-associato, è molto efficiente e contenuto in vari prodotti già approvati di terapia genica. Ma uno dei limiti di questo sistema - chiarisce - è che si tratta di una piccola particella che non può contenere grossi pezzi di Dna, è come se fosse un piccolo guscio all'interno del quale è difficile fare impacchettare un grosso pezzo di Dna".

Riuscirci è stata una sfida: "Abbiamo messo a punto delle piattaforme che ci permettono di utilizzare il vettore adeno-associato trasportando geni di grosse dimensioni, le stiamo utilizzando in laboratorio ma una in particolare sta per entrare in clinica per una cecità ereditaria. E' una sperimentazione che stiamo portando avanti in collaborazione con l'università Vanvitelli di Napoli e la Fondazione Telethon l'ha data in licenza a un'azienda americana che si chiama Akouos, di Boston", che l'ha già utilizzata per il caso di Aissam e la sordità ereditaria. Quindi questa realtà Usa ha fatto una sperimentazione "utilizzando una piattaforma che noi abbiamo messo a punto".

Trasportare geni di grandi dimensioni è una delle sfide, "non è l'unico limite - precisa Auricchio - però è un limite importante perché chiaramente se la mutazione" problematica su cui intervenire "è in un gene di grosse dimensioni, e se non c'è una maniera per farlo entrare efficientemente nelle cellule per poter restituire la funzione persa, non si riesce a fare la terapia genica".

MRna e forbici molecolari, le promesse di un inedito 'mix' - Dopo essersi guadagnata fama planetaria con i vaccini Covid, la tecnologia dell'Rna messaggero torna sotto i riflettori, in questi giorni, in una veste inedita: alcuni risultati scientifici hanno infatti acceso la speranza per una futura applicazione nelle malattie rare, la speranza che l'mRna possa realizzare la tanto attesa promessa di generare proteine ​​terapeutiche direttamente nell'organismo. Uno scenario esplorato di recente sulla rivista 'Nature' che ha guardato alle prospettive di questa scoperta da Nobel andando oltre i vaccini, ma evidenziando anche le sfide che restano (natura 'fugace' dell'mRna ed effetti collaterali sono quelle accennate). Sul fronte delle malattie rare, ragiona Auricchio, "ci sono due aspetti nei quali la terapia con mRna può essere utile".

Uno di questi in particolare è di interesse anche per gli scienziati del centro, spiega, cioè l'applicazione dell'Rna alle cosiddette 'forbici molecolari' che si usano per correggere il Dna in un preciso punto con un'operazione di taglia e incolla. Questa strategia potrebbe ovviare a un problema. L'ideale sarebbe che queste forbici molecolari quando hanno esaurito il loro compito svaniscano, non siano più operative. L'Rna in questo potrebbe aiutare, sarebbe strategico per un'attivazione 'a tempo'. "Se è un filone promettente? Assolutamente sì e anche noi al Tigem stiamo cominciando a utilizzare Rna con nanoparticelle proprio per l'editing del genoma al quale siamo interessati".

Tornando alle due vie che potrebbe seguire lo sviluppo dell'mRna in ambito di malattie genetiche rare, Auricchio approfondisce: "Da una parte l'mRna può essere utilizzato al posto del Dna. Cioè noi con la terapia genica mettiamo una copia del gene corretto all'interno delle cellule, mentre con la particella lipidica che contiene l'Rna metteremmo l'Rna per quella proteina. Qual è la differenza? Che con la terapia genica, mettendo il Dna, l'espressione della proteina durerà per molti anni o anche a vita. Se invece mettiamo l'Rna questa espressione durerà di meno perché questo verrà tradotto in proteina ma entrambi poi andranno via e non c'è il Dna che supporta la produzione successiva di Rna e proteine".

Questo significa però anche che operazioni di addizione o sostituzione "fatte con Rna per una patologia cronica come le malattie genetiche richiederanno più di una somministrazione. E' un po' un limite rispetto alla terapia genica", riflette Auricchio. Nature riporta il caso di una terapia progettata da Moderna che utilizza la tecnologia dell'mRna per ripristinare la funzione metabolica nelle persone affette da una patologia rara, l'acidemia propionica. Il farmaco che contiene due sequenze di mRna che producono ciascuna parti dell'enzima altrimenti difettoso va somministrato con infusioni ogni 2 o 3 settimane. In un piccolo studio i risultati iniziali appaiono incoraggianti. Andranno ora visti gli esiti di sperimentazioni più ampie.

"L'altro tipo di utilizzo per le malattie genetiche ha a che fare con l'editing del genoma - continua Auricchio - In altre parole se si vuole fare editing genomico e dare Crispr Cas alle cellule per curarle, in vivo o ex vivo che sia, se lo si fa con un vettore virale si avrà Crispr Cas espresso molto a lungo da queste cellule e non è una cosa buona. Perché Crispr Cas è un enzima che una volta che ha fatto la modificazione del Dna, che è una modificazione permanente, potrebbe tranquillamente andar via, scomparire, non c'è necessità che rimanga. Anzi al contrario la sua permanenza potrebbe creare dei danni 'off-target', in contesti che non sono quelli desiderati. Quindi si è pensato che se Crispr Cas lo si dà attraverso Rna questo garantirebbe che venga espresso in una finestra di tempo breve. Per cui fa quello che deve fare e poi l'Rna e la proteina vengono degradati. A mio avviso per le malattie genetiche l'applicazione principe dell'Rna è proprio questa: nel campo del genome editing". Insomma c'è ancora da lavorare, concordano tutti gli esperti. Ma, come afferma su 'Nature' la pioniera delle tecnologia a mRna, il premio Nobel Katalin Karikó, "è un primo passo nella giusta direzione".

Malattie rare e cure a rischio - Ma all'orizzonte non ci sono solo sfide e rebus scientifici. "La sostenibilità dei farmaci per le malattie rare e ultra rare, e in particolare dei prodotti di terapia genica, sta diventando un problema importante per il quale non esiste una soluzione univoca. Da una parte si può intervenire abbattendo i costi dello sviluppo clinico di questi farmaci, dall'altro si possono adottare modelli nuovi a valle dell'approvazione, dopo cioè che un prodotto è andato sul mercato. C'è molta discussione al riguardo, sui modelli da mettere in campo. Gli ingenti fondi messi a disposizione dal Pnrr", Piano nazionale di ripresa e resilienza, "potrebbero essere usati proprio in questa direzione, ma questo è avvenuto solo in parte", spiega Auricchio.

Partiamo dal primo punto, l'abbattimento dei costi di sviluppo: come si fa? "Una possibilità - risponde Auricchio - sono i progetti cosiddetti 'piattaforma', che cioè usano uno stesso approccio, ad esempio lo stesso tipo di vettore per terapia genica, per più malattie contemporaneamente, permettendo di abbattere alcuni costi di sviluppo, seguendo una strategia concordata con le agenzie regolatorie".

"L'altro problema, inaspettato fino a poco fa - continua il direttore del Tigem - è quello osservato in alcuni casi, a valle dell'approvazione, con aziende che dismettono farmaci approvati perché non più sostenibili per loro, considerato il ristretto numero di malati che ne beneficiano. E' stato questo - ricorda - il caso recente di un farmaco di terapia genica che la Fondazione Telethon, in particolare il Tiget, aveva sviluppato per una malattie rara e che è stato dato in licenza ad un'azienda che aveva il compito di produrlo e distribuirlo dopo l'autorizzazione. Questa azienda lo ha poi dismesso e la Fondazione, in maniera coraggiosa ed assolutamente innovativa, si è ripresa in carico il farmaco organizzandone la produzione e distribuzione, e rendendolo quindi disponibile di nuovo ai pazienti. Questa iniziativa ha avuto una grossa risonanza nel mondo scientifico ed anche imprenditoriale. Sebbene la Fondazione stia per seguire lo stesso percorso anche per un secondo prodotto simile, dubito che riesca a farlo per molti altri ancora - osserva Auricchio - essendo una organizzazione non-profit e non un'azienda".

Insomma, il dibattito resta aperto. E per quanto riguarda i finanziamenti alla ricerca, ammette lo scienziato, "la situazione nel nostro Paese non è rosea, l'Italia non è un Paese che investe in ricerca e non offre possibilità di accedere a fondi in maniera programmata e competitiva. Al Tigem siamo fortunati - evidenzia il direttore - in quanto applichiamo a fondi che la Fondazione Telethon ci mette a disposizione dopo una valutazione rigorosa fatta da una commissione internazionale di esperti. Inoltre ci impegniamo nel procurarci fondi esterni, soprattutto provenienti dalla Comunità europea. Negli anni siamo diventati sempre più efficaci in questo senso grazie al nostro Ufficio scientifico che supporta i nostri ricercatori nella stesura dei progetti di ricerca. In particolare i grant della Comunità europea 'a cordata', che prevedono la partecipazione allo stesso grosso progetto di più ricercatori di diverse nazioni europee. Siamo stati anche bravi ad assicurarci i prestigiosi e competitivi fondi dell'Erc (European Research Council): ad oggi al Tigem abbiamo vinto 16 finanziamenti dell'Erc, un numero non comune considerate le dimensioni del nostro istituto".

"Stiamo parlando comunque di fondi adatti a portare avanti ricerca di base e preclinica. Ma non quella ricerca traslazionale, che prevede poi uno sviluppo clinico. In quel caso - conclude Auricchio - bisogna trovare dei modelli diversi. Uno che la Fondazione ha recentemente adottato è la partnership con il fondo di investimento Sofinnova-Telethon che ha selezionato alcune delle ricerche fatte all'interno dell'ecosistema Telethon, principalmente Tigem a Napoli e Tiget a Milano, e ha investito creando delle spin-off, cioè delle piccole biotech che hanno spesso questo obiettivo di portare in clinica alcune delle nostre ricerche più avanzate, utilizzando fondi e competenze che non sono tipici di ambienti di ricerca accademica".

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Ai cattivo pediatra, non riconosce i bimbi con ritardo di...

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Foto di repertorio - FOTOGRAMMA

L'intelligenza artificiale ha tante doti che possono e potranno rivelarsi utili in medicina, ma al momento mostra parecchie lacune quando si misura con questioni pediatriche come il sospetto di un ritardo di sviluppo nei bambini. A mettere alla prova ChatGpt, chatbot basato su Ai e apprendimento automatico, è uno studio presentato al Meeting Pas - Pediatric Academic Societies 2024, che si apre oggi a Toronto in Canada. Le performance di ChatGpt sono state valutate da medici certificati che per ora bocciano l'Ai nei panni di pediatra.

I ricercatori hanno esaminato come ChatGpt ha risposto a 108 preoccupazioni espresse da genitori che temevano un ritardo di sviluppo del loro bimbo, confrontando anche i responsi dell'Ai con quelli del medico in carne e ossa. E' risultato che "ChatGpt raramente classificava un caso come anomalo", dando ragione alle "preoccupazioni dei pediatri secondo cui" oggi "lo strumento non è preparato per essere affidabile" nella valutazione dei "modelli comportamentali dei bambini".

Rispetto ai medici umani, nel 36% dei casi l'intelligenza artificiale si è mostrata meno preoccupata di avere davanti un bimbo con possibile ritardo dello sviluppo. Solo nel 5% dei casi l'Ai ha espresso preoccupazioni maggiori, ma i pediatri veri hanno identificato circa il 30% in più di possibili ritardi di sviluppo rispetto a ChatGpt. Complessivamente, nel 41% dei casi l'intelligenza artificiale è arrivata a conclusioni diverse dal pediatra vero rispetto a un sospetto ritardo dello sviluppo. Ai e medici sono stati in disaccordo soprattutto quando gli elementi che preoccupavano i genitori erano di tipo sociale, emotivo e comportamentale, piuttosto che fisico, e quando riguardavano bambini maggiori di un anno.

"Gli strumenti di intelligenza artificiale come ChatGpt possono fornire informazioni accurate ai genitori riguardo allo sviluppo del loro bambino, ma non si comportano ancora come i medici" quando vengono chiamati a "determinati compiti", afferma Joseph G. Barile, assistente di ricerca presso il Cohen Children's Medical Center, Usa, l'autore che ha illustrato la ricerca al congresso.

In particolare, rimarca l'esperto, "questo studio indica che i pediatri sono più convinti di ChatGpt quando si tratta di definire alcuni ritardi dello sviluppo come anomali".

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Cure palliative pediatriche, torna il Giro d’Italia...

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Domani a Roma la presentazione della terza edizione - Il tour al via dall'11 maggio al 16 giugno lungo tutta la Penisola

Cure palliative pediatriche, torna il Giro d'Italia per dar voce alle Cpp

Domani, sabato 4 maggio, alle 16 a Roma sul Ponte delle Musica, sarà presentata la terza edizione del Giro d'Italia delle cure palliative pediatriche. L'evento, patrocinato dal Comune di Roma, vedrà la partecipazione di Alessandra Locatelli, ministro per le Disabilità, e Alessandro Onorato, assessore allo Sport, turismo, moda e grandi eventi di Roma Capitale, e avrà come testimonial d'eccezione l'ex campione della nazionale di rugby italiana Andrea Lo Cicero. Dopo il grande successo delle prime due edizioni - che hanno visto la presenza di circa 35mila partecipanti, con più di 100 eventi in 17 regioni italiane e il coinvolgimento di oltre 200 associazioni - il 2024 si annuncia ancora più̀ denso di eventi. Obiettivo della terza edizione è promuovere lo sviluppo delle Reti di cure palliative pediatriche (Cpp) coinvolgendo la società civile e sensibilizzando i professionisti sociosanitari e le istituzioni al fine di renderle operative in tutte le Regioni.

"Questa iniziativa - dichiara Onorato - è molto nobile e sono contento di partecipare. In Italia sono 30mila i minori che hanno bisogno di cure palliative pediatriche ed è necessario sensibilizzare le persone sul tema. E non c'è modo migliore di farlo attraverso lo sport, veicolo ideale per diffondere le sane abitudini di vita e spingere le persone a prendersi cura di loro stesse. Salute e attività sportiva vanno di pari passo. Complimenti anche per l'idea di abbinare un messaggio così importante a una pedalata in questo scenario suggestivo".

La Rete di Cpp - riporta una nota - è un modello organizzativo previsto dalla legge 38/2010 che definisce attori e servizi per garantire la miglior qualità di vita possibile al minore con patologia inguaribile ad alta complessità assistenziale e alla sua famiglia. "Molteplici sono i bisogni a cui è necessario dare risposte corrette e adeguate. Nessuno da solo può fornirle tutte - sottolinea Silvia Lefebvre d'Ovidio, presidente della Fondazione Maruzza - Per questo è importante operare insieme favorendo la creazione e lo sviluppo delle reti. La disponibilità̀ di accesso ai servizi di Cpp in Italia è quanto mai eterogenea, con aree in cui l'organizzazione è carente o del tutto assente. Questo provoca un senso di smarrimento e di abbandono che impedisce ai piccoli pazienti di andare a scuola, praticare uno sport e condividere momenti di socialità, esperienze che sono uno stimolo importante e necessario di crescita e di confronto, e danno significato alla vita".

Lo studio PalliPed, recentemente pubblicato sull''Italian Journal of Pediatrics' - si legge nella nota - offre una panoramica sullo stato dell'arte dei servizi specialistici di Cpp in Italia, concentrandosi sulle strutture e le risorse dei 19 centri mappati di 12 regioni e 2 province autonome. Sono invece 7 le Regioni che hanno dichiarato di non avere centri o strutture dedicate ai servizi specialistici di Cpp. Per quanto riguarda le risorse impiegate nei centri, l'indagine rivela come il personale non sia sufficiente a coprire la richiesta: sono infatti 115 gli infermieri, 55 i medici, 31 gli assistenti sociali, 27 gli psicologi e 13 i fisioterapisti che lavorano in Cpp. Peraltro, alcune non dedicate a tempo pieno e spesso disponibili solo al bisogno o su base volontaria. E' emerso, inoltre, che il 77% degli infermieri non ha una formazione specifica, che solo 54% dei medici e il 30% degli psicologi ha conseguito un master degree in Cpp.

"Avere dei dati aggiornati relativi allo stato dell'arte delle Cpp in Italia, di come funzionano i servizi/strutture dedicate, delle risorse disponibili nonché della numerosità e tipologia di pazienti seguiti è fondamentale ed inderogabile per poter proporre ed organizzare azioni/interventi migliorativi - afferma Franca Benini, responsabile del Centro regionale veneto di terapia del dolore e cure palliative pediatriche, Dipartimento Salute della donna e del bambino Aou - interventi che possano portare ad un cambiamento di vita e di assistenza reale e proficuo per i pazienti e le loro famiglia".

Proprio in quest'ottica la Fondazione Maruzza - riferisce la nota - ha dato avvio a una seconda fase del progetto PalliPed, fase che si propone di monitorare in tempo reale l'evoluzione organizzativa delle Reti/Servizi di Cpp nelle diverse regioni italiane e della loro capacità di dare risposte appropriate alla moltitudine di bisogni che la malattia inguaribile in ambito pediatrico innesca. I dati di tale ricognizione saranno disponibili entro il primo semestre dell'anno in corso.

Il Giro d'Italia delle cure palliative pediatriche si svolgerà̀ dall'11 maggio al 16 giugno su tutta la Penisola (https://www.girocurepalliativepediatriche.it/), con eventi di carattere sportivo, scientifico, istituzionale, culturale e ricreativo per dare voce alle Cpp. Quest'anno il tema dell'iniziativa è 'Ciascuno a suo Nodo, insieme siamo Rete'. Verranno infatti esplorati 'nodi' necessari a costruire la rete assistenziale in grado di dare risposte efficaci ai bisogni dei bambini malati inguaribili e delle loro famiglie.

Le cure palliative pediatriche sono un approccio assistenziale in grado di garantire ai minori affetti da malattie inguaribili e alle loro famiglie la miglior qualità̀ di vita possibile, attraverso il lavoro di professionisti specializzati che si prendono cura dei bambini, preferibilmente a domicilio, sostenendo le famiglie in tutte le fasi della malattia, alleviando sofferenze fisiche, psicologiche, emotive e spirituali. Non solo: tali cure si occupano di un'ampia varietà̀ di patologie, molte delle quali rare o senza diagnosi, la cui natura specifica determina il tipo di progetto assistenziale per il singolo paziente e tutto il suo nucleo familiare.

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Aviaria: in Usa positivo 1 campione di latte su 5,...

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L'esperta: "Non sappiamo come le mucche si trasmettono l'infezione e se potrebbe esserci un contagio asintomatico"

Produzione di latte - FOTOGRAMMA

"La settimana scorsa la Food and Drug Administration ha pubblicato alcuni risultati allarmanti sulla diffusione dell'epidemia di influenza aviaria H5N1 tra le mucche da latte. Si è scoperto che 1 campione su 5 di latte prelevato dai negozi conteneva frammenti virali dell'influenza. Ma non c'è motivo di smettere di consumare il latte pastorizzato, perché questo processo uccide i batteri e i virus. Questo vuol dire che anche il formaggio e lo yogurt a base di latte pastorizzato sono sicuri. Naturalmente, solo perché il latte rimane sicuro da bere non significa che l'influenza aviaria non sia una potenziale minaccia per la salute umana". A fare il punto, rispondendo anche ad alcune domande dei lettori proprio sul consumo del latte e il rischio di contaminazioni da H5N1, è Leana S. Wen, professoressa del Milken Institute School of Public Health della George Washington University.

E' la stessa esperta a ribadire che, rispetto al latte, "non modificherò il mio consumo e non consiglio nemmeno ad altri di farlo". Sul tema del latte artificiale, invece, chiarisce che "la Fda ha testato diversi campioni di prodotti venduti al dettaglio e non ha trovato frammenti del virus dell'influenza aviaria".

Sulla pericolosità del virus e il rischio di un salto finale nell'uomo, Wen ricorda che "la diffusione dell'H5N1 dagli uccelli ai mammiferi è stata documentata da tempo", anche se "non avevamo mai osservato in precedenza un'epidemia di questa portata tra i mammiferi". I funzionari sanitari "non sanno come le mucche si trasmettono reciprocamente il virus e se potrebbe esserci una trasmissione asintomatica. E si teme - prosegue la docente - che alcune aziende agricole potrebbero non collaborare con le linee guida federali per testare e isolare i capi contagiati". In conclusione, secondo Wen "dovremmo tenere presente che non si sono ancora verificati casi di trasmissione da uomo a uomo durante questa epidemia di influenza aviaria. E rimango fiduciosa sul fatto che, nel caso in cui l'influenza aviaria diventasse la prossima pandemia, le autorità federali abbiano un piano per la produzione e la distribuzione di cure e vaccini".

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