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Salute e Benessere

Ore contate per l’azienda che cura i ‘bimbi...

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Ore contate per l’azienda che cura i ‘bimbi farfalla’, l’appello del paziente uno

Claudio Mantovani: "Porto sulla pelle il senso della missione di Holostem". Nel 2017 ha salvato il piccolo Hassan, bimbo siriano rifugiato in Germania a cui è stato regalata una pelle nuova, grazie a cellule staminali epidermiche corrette dalla terapia genica

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In principio fu Claudio Mantovani, tecnico informatico di Moncalieri (Torino). E' lui il 'paziente 1' di Holostem, l'azienda biotech nata per sviluppare terapie avanzate a base di cellule staminali e impegnata da anni per dare una speranza ai 'bambini farfalla' colpiti da una malattia genetica rara gravissima, l'epidermolisi bollosa (Eb). Oggi che questa realtà, di base a Modena, rischia la liquidazione - restano 3 giorni per salvarla - la sua voce è fra quelle che si sono unite al coro di appelli rivolti al Governo affinché intervenga per fermare il conto alla rovescia. A 53 anni Claudio, affetto da epidermolisi bollosa giunzionale, è la 'prova vivente' di cosa può fare il trattamento che poi nel 2017 ha salvato il piccolo Hassan, bambino siriano rifugiato in Germania a cui è stato regalata una pelle nuova col gene sano, primo intervento salvavita al mondo con cellule staminali epidermiche corrette dalla terapia genica.

Su quei due rettangoli - "15-20 centimetri per 10" - di pelle geneticamente modificata che sono stati usati per trattare la parte del corpo di Claudio dove la malattia si manifestava in forma più severa, cioè le cosce, "non ho più avuto e non ho tuttora alcuna lesione bollosa - racconta all'Adnkronos Salute - Ormai sono 18 anni che su quei rettangoli la sperimentazione ha funzionato e funziona. Ero 35enne quando ho ricevuto il trattamento che ha avuto successo. E oggi è emozionante vedere che, mentre nelle zone vicine la malattia si manifesta, lì è come se ci fosse una barriera oltre la quale non va, un confine dove le bolle si fermano".

"E se a me non ha cambiato la vita, perché ero adulto e si è potuto intervenire dove c'era più necessità, grazie a questo successo è stata salvata la vita al piccolo Hassan", ragiona. Claudio è legato al giovane siriano da un filo invisibile, intessuto dalla ricerca. Lui primo paziente al mondo ad aver dimostrato la fattibilità della terapia genica per l'epidermolisi bollosa, Hassan il bimbo del "'miracolo' scientifico" celebrato da 'Nature', ma anche "la risposta alle domande che come tanti malati rari mi ponevo nei momenti di sconforto, durante le medicazioni più dolorose: perché io? E allora ho visto un senso", racconta. L'intervento che su Claudio ha avuto successo risale al 2005, ma è stato il culmine di un percorso cominciato ben prima. "Conosco Michele De Luca, scienziato pioniere delle cure sviluppate da Holostem, dal 1998 quando ancora lavorava all'Idi di Roma", precisa. E lo scienziato oggi è 'uno di famiglia'. "E' il mio testimone di nozze. Non poteva non essere lui", sorride Claudio, che è sposato da quasi 10 anni con Irene e ha una bimba - "Emanuela, un dono" - che oggi ha 5 anni.

Per tutto quello che ha vissuto, il destino di Holostem tocca il suo cuore. "In questi giorni - riflette Claudio - sentire che per ragioni burocratiche, per ragioni finanziarie, tutto questo lavoro volto alle nuove generazioni e tutta questa ricerca si potrebbero fermare, mi provoca scoramento. Mi chiedo: non è servito a nulla? Certo, anche la sola vita di Hassan per me è valsa la pena. E, a dire la verità, anche se non ci fosse stato lui avrei detto lo stesso, per il viaggio che ho intrapreso. Aver fatto questa esperienza, provato queste emozioni, essere stato parte di tutto questo, è stato quasi un privilegio". Ma, aggiunge, "chiudere Holostem significherebbe negare la terapia a tutti i bambini farfalla che sperano. Provo stupore, perché penso: noi siamo malati rari, ma non invisibili".

Destini rari che si intrecciano. Claudio l'ha anche incontrato Hassan, una volta a Modena. "Quasi casualmente. Lui era lì per un controllo e anche io. E' stato commovente abbracciarlo - dice - E rivedere in questi giorni il video di un'intervista fatta al suo papà mi ha toccato di nuovo. Mi sono immedesimato da padre anche io. Questo bimbo era spacciato, è stato tenuto praticamente in coma farmacologico, con nessuna speranza di vita normale. Adesso può giocare, correre con gli amici", può non medicarsi tutti i giorni.

Anche Claudio è stato 'bambino farfalla'. Da piccolo i genitori "hanno sempre cercato di minimizzare quelle che erano le rinunce" che doveva fare. "Ero vivace - ricorda - per esempio volevo giocare nella squadra di calcio dell'oratorio, e mi facevano provare. Ho capito da solo che il calcio era meglio vederlo che praticarlo. O ancora, quando mio fratello andava a sciare, io volevo andare con lui. E allora mio papà si era inventato delle calotte di gesso per minimizzare un po' il trauma dello scarpone" a contatto con la pelle delicata. "Quindi ci andavo, e sì, mi riempivo di bolle. Anche oggi cerco di condurre una vita più 'normale' che posso, anche se la malattia sta andando avanti".

Della sua infanzia Claudio ricorda anche gli sforzi dei suoi per trovare una risposta alla sua malattia. "Negli anni '70 non è che ci fossero poli come Holostem. Si girava l'Italia o l'Europa. Quando si sentiva che c'era qualche specialista della pelle da qualche parte, si partiva. Anche a costo, come è successo a volte, di incontrare dei ciarlatani. E quindi", valigia alla mano e via. Destinazione "Zurigo, Parigi, Padova", elenca. "Fortunatamente oggi ci sono dei centri di riferimento".

Riguardo al suo percorso con De Luca, Claudio dà un valore importante a tutto, anche al primo tentativo di trattarlo, che è fallito. "Perché poi sono state affinate le tecniche e si è fatto tesoro anche dell'insuccesso - sottolinea -. Stavolta l'eccellenza è in Italia, è il nostro Paese ad essere arrivato prima, perché perdere tutto questo? Ci lamentiamo dei cervelli in fuga, non facciamoli scappare via noi. Se non ci fossero intoppi di questo tipo, la ricerca andrebbe avanti più veloce e magari le generazioni a seguire vedranno debellata una malattia come l'Eb, che può essere devastante. Non lasciamo morire Holostem - è l'appello di Claudio - anche per il bene del Paese".

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Ai cattivo pediatra, non riconosce i bimbi con ritardo di...

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Foto di repertorio - FOTOGRAMMA

L'intelligenza artificiale ha tante doti che possono e potranno rivelarsi utili in medicina, ma al momento mostra parecchie lacune quando si misura con questioni pediatriche come il sospetto di un ritardo di sviluppo nei bambini. A mettere alla prova ChatGpt, chatbot basato su Ai e apprendimento automatico, è uno studio presentato al Meeting Pas - Pediatric Academic Societies 2024, che si apre oggi a Toronto in Canada. Le performance di ChatGpt sono state valutate da medici certificati che per ora bocciano l'Ai nei panni di pediatra.

I ricercatori hanno esaminato come ChatGpt ha risposto a 108 preoccupazioni espresse da genitori che temevano un ritardo di sviluppo del loro bimbo, confrontando anche i responsi dell'Ai con quelli del medico in carne e ossa. E' risultato che "ChatGpt raramente classificava un caso come anomalo", dando ragione alle "preoccupazioni dei pediatri secondo cui" oggi "lo strumento non è preparato per essere affidabile" nella valutazione dei "modelli comportamentali dei bambini".

Rispetto ai medici umani, nel 36% dei casi l'intelligenza artificiale si è mostrata meno preoccupata di avere davanti un bimbo con possibile ritardo dello sviluppo. Solo nel 5% dei casi l'Ai ha espresso preoccupazioni maggiori, ma i pediatri veri hanno identificato circa il 30% in più di possibili ritardi di sviluppo rispetto a ChatGpt. Complessivamente, nel 41% dei casi l'intelligenza artificiale è arrivata a conclusioni diverse dal pediatra vero rispetto a un sospetto ritardo dello sviluppo. Ai e medici sono stati in disaccordo soprattutto quando gli elementi che preoccupavano i genitori erano di tipo sociale, emotivo e comportamentale, piuttosto che fisico, e quando riguardavano bambini maggiori di un anno.

"Gli strumenti di intelligenza artificiale come ChatGpt possono fornire informazioni accurate ai genitori riguardo allo sviluppo del loro bambino, ma non si comportano ancora come i medici" quando vengono chiamati a "determinati compiti", afferma Joseph G. Barile, assistente di ricerca presso il Cohen Children's Medical Center, Usa, l'autore che ha illustrato la ricerca al congresso.

In particolare, rimarca l'esperto, "questo studio indica che i pediatri sono più convinti di ChatGpt quando si tratta di definire alcuni ritardi dello sviluppo come anomali".

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Cure palliative pediatriche, torna il Giro d’Italia...

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Domani a Roma la presentazione della terza edizione - Il tour al via dall'11 maggio al 16 giugno lungo tutta la Penisola

Cure palliative pediatriche, torna il Giro d'Italia per dar voce alle Cpp

Domani, sabato 4 maggio, alle 16 a Roma sul Ponte delle Musica, sarà presentata la terza edizione del Giro d'Italia delle cure palliative pediatriche. L'evento, patrocinato dal Comune di Roma, vedrà la partecipazione di Alessandra Locatelli, ministro per le Disabilità, e Alessandro Onorato, assessore allo Sport, turismo, moda e grandi eventi di Roma Capitale, e avrà come testimonial d'eccezione l'ex campione della nazionale di rugby italiana Andrea Lo Cicero. Dopo il grande successo delle prime due edizioni - che hanno visto la presenza di circa 35mila partecipanti, con più di 100 eventi in 17 regioni italiane e il coinvolgimento di oltre 200 associazioni - il 2024 si annuncia ancora più̀ denso di eventi. Obiettivo della terza edizione è promuovere lo sviluppo delle Reti di cure palliative pediatriche (Cpp) coinvolgendo la società civile e sensibilizzando i professionisti sociosanitari e le istituzioni al fine di renderle operative in tutte le Regioni.

"Questa iniziativa - dichiara Onorato - è molto nobile e sono contento di partecipare. In Italia sono 30mila i minori che hanno bisogno di cure palliative pediatriche ed è necessario sensibilizzare le persone sul tema. E non c'è modo migliore di farlo attraverso lo sport, veicolo ideale per diffondere le sane abitudini di vita e spingere le persone a prendersi cura di loro stesse. Salute e attività sportiva vanno di pari passo. Complimenti anche per l'idea di abbinare un messaggio così importante a una pedalata in questo scenario suggestivo".

La Rete di Cpp - riporta una nota - è un modello organizzativo previsto dalla legge 38/2010 che definisce attori e servizi per garantire la miglior qualità di vita possibile al minore con patologia inguaribile ad alta complessità assistenziale e alla sua famiglia. "Molteplici sono i bisogni a cui è necessario dare risposte corrette e adeguate. Nessuno da solo può fornirle tutte - sottolinea Silvia Lefebvre d'Ovidio, presidente della Fondazione Maruzza - Per questo è importante operare insieme favorendo la creazione e lo sviluppo delle reti. La disponibilità̀ di accesso ai servizi di Cpp in Italia è quanto mai eterogenea, con aree in cui l'organizzazione è carente o del tutto assente. Questo provoca un senso di smarrimento e di abbandono che impedisce ai piccoli pazienti di andare a scuola, praticare uno sport e condividere momenti di socialità, esperienze che sono uno stimolo importante e necessario di crescita e di confronto, e danno significato alla vita".

Lo studio PalliPed, recentemente pubblicato sull''Italian Journal of Pediatrics' - si legge nella nota - offre una panoramica sullo stato dell'arte dei servizi specialistici di Cpp in Italia, concentrandosi sulle strutture e le risorse dei 19 centri mappati di 12 regioni e 2 province autonome. Sono invece 7 le Regioni che hanno dichiarato di non avere centri o strutture dedicate ai servizi specialistici di Cpp. Per quanto riguarda le risorse impiegate nei centri, l'indagine rivela come il personale non sia sufficiente a coprire la richiesta: sono infatti 115 gli infermieri, 55 i medici, 31 gli assistenti sociali, 27 gli psicologi e 13 i fisioterapisti che lavorano in Cpp. Peraltro, alcune non dedicate a tempo pieno e spesso disponibili solo al bisogno o su base volontaria. E' emerso, inoltre, che il 77% degli infermieri non ha una formazione specifica, che solo 54% dei medici e il 30% degli psicologi ha conseguito un master degree in Cpp.

"Avere dei dati aggiornati relativi allo stato dell'arte delle Cpp in Italia, di come funzionano i servizi/strutture dedicate, delle risorse disponibili nonché della numerosità e tipologia di pazienti seguiti è fondamentale ed inderogabile per poter proporre ed organizzare azioni/interventi migliorativi - afferma Franca Benini, responsabile del Centro regionale veneto di terapia del dolore e cure palliative pediatriche, Dipartimento Salute della donna e del bambino Aou - interventi che possano portare ad un cambiamento di vita e di assistenza reale e proficuo per i pazienti e le loro famiglia".

Proprio in quest'ottica la Fondazione Maruzza - riferisce la nota - ha dato avvio a una seconda fase del progetto PalliPed, fase che si propone di monitorare in tempo reale l'evoluzione organizzativa delle Reti/Servizi di Cpp nelle diverse regioni italiane e della loro capacità di dare risposte appropriate alla moltitudine di bisogni che la malattia inguaribile in ambito pediatrico innesca. I dati di tale ricognizione saranno disponibili entro il primo semestre dell'anno in corso.

Il Giro d'Italia delle cure palliative pediatriche si svolgerà̀ dall'11 maggio al 16 giugno su tutta la Penisola (https://www.girocurepalliativepediatriche.it/), con eventi di carattere sportivo, scientifico, istituzionale, culturale e ricreativo per dare voce alle Cpp. Quest'anno il tema dell'iniziativa è 'Ciascuno a suo Nodo, insieme siamo Rete'. Verranno infatti esplorati 'nodi' necessari a costruire la rete assistenziale in grado di dare risposte efficaci ai bisogni dei bambini malati inguaribili e delle loro famiglie.

Le cure palliative pediatriche sono un approccio assistenziale in grado di garantire ai minori affetti da malattie inguaribili e alle loro famiglie la miglior qualità̀ di vita possibile, attraverso il lavoro di professionisti specializzati che si prendono cura dei bambini, preferibilmente a domicilio, sostenendo le famiglie in tutte le fasi della malattia, alleviando sofferenze fisiche, psicologiche, emotive e spirituali. Non solo: tali cure si occupano di un'ampia varietà̀ di patologie, molte delle quali rare o senza diagnosi, la cui natura specifica determina il tipo di progetto assistenziale per il singolo paziente e tutto il suo nucleo familiare.

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Aviaria: in Usa positivo 1 campione di latte su 5,...

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L'esperta: "Non sappiamo come le mucche si trasmettono l'infezione e se potrebbe esserci un contagio asintomatico"

Produzione di latte - FOTOGRAMMA

"La settimana scorsa la Food and Drug Administration ha pubblicato alcuni risultati allarmanti sulla diffusione dell'epidemia di influenza aviaria H5N1 tra le mucche da latte. Si è scoperto che 1 campione su 5 di latte prelevato dai negozi conteneva frammenti virali dell'influenza. Ma non c'è motivo di smettere di consumare il latte pastorizzato, perché questo processo uccide i batteri e i virus. Questo vuol dire che anche il formaggio e lo yogurt a base di latte pastorizzato sono sicuri. Naturalmente, solo perché il latte rimane sicuro da bere non significa che l'influenza aviaria non sia una potenziale minaccia per la salute umana". A fare il punto, rispondendo anche ad alcune domande dei lettori proprio sul consumo del latte e il rischio di contaminazioni da H5N1, è Leana S. Wen, professoressa del Milken Institute School of Public Health della George Washington University.

E' la stessa esperta a ribadire che, rispetto al latte, "non modificherò il mio consumo e non consiglio nemmeno ad altri di farlo". Sul tema del latte artificiale, invece, chiarisce che "la Fda ha testato diversi campioni di prodotti venduti al dettaglio e non ha trovato frammenti del virus dell'influenza aviaria".

Sulla pericolosità del virus e il rischio di un salto finale nell'uomo, Wen ricorda che "la diffusione dell'H5N1 dagli uccelli ai mammiferi è stata documentata da tempo", anche se "non avevamo mai osservato in precedenza un'epidemia di questa portata tra i mammiferi". I funzionari sanitari "non sanno come le mucche si trasmettono reciprocamente il virus e se potrebbe esserci una trasmissione asintomatica. E si teme - prosegue la docente - che alcune aziende agricole potrebbero non collaborare con le linee guida federali per testare e isolare i capi contagiati". In conclusione, secondo Wen "dovremmo tenere presente che non si sono ancora verificati casi di trasmissione da uomo a uomo durante questa epidemia di influenza aviaria. E rimango fiduciosa sul fatto che, nel caso in cui l'influenza aviaria diventasse la prossima pandemia, le autorità federali abbiano un piano per la produzione e la distribuzione di cure e vaccini".

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