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Cronaca

‘Sordità pandemia silenziosa’, 7 milioni di...

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‘Sordità pandemia silenziosa’, 7 milioni di italiani con problemi udito, il 30% è over 70

Esperti SIOeChCf–Siaf: "Troppe patologie trascurate, serve nuovo approccio assistenziale"

Sordità, la pandemia silenziosa - (Fotogramma)

I problemi dell'udito interessano 7 milioni di italiani (quasi il 12% della popolazione). In 3 casi su 10, hanno più di 70 anni. Spesso dovute a malattie trascurate, le patologie auricolari possono essere curate, se diagnosticate in tempo, e per questo serve un nuovo approccio assistenziale basato su prevenzione, visite specialistiche e nuove linee guida. Sono alcuni dei temi affrontati oggi a Roma nel corso della conferenza stampa 'Sordità: una pandemia silenziosa', organizzata in occasione della terza giornata nazionale SIOeChCf–Siaf di sensibilizzazione sulle malattie dell'orecchio e disturbi uditivi, su iniziativa della Società italiana di otorinolaringoiatria e chirurgia cervico-facciale (SIOeChCF) e della Società italiana di audiologia e foniatria (Siaf).

L'iniziativa, che si è svolta in condivisione d'intenti con la Giornata mondiale dell'udito istituita dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), è stata occasione per abbattere lo stigma e la ritrosia che circonda la perdita di udito (ipoacusia), promuovendo un cambiamento di prospettiva sulla cura dell'udito e incoraggiando un approccio proattivo. La salute dell'udito è infatti una priorità riconosciuta della salute pubblica e c'è bisogno di aumentare la consapevolezza riguardo alla sua importanza. Spesso - sottolineano gli esperti - si pensa alla perdita di udito come a una malattia da curare con apparecchi acustici a prescindere dalla causa. Ma non è così. La perdita di udito è in realtà un sintomo di diverse condizioni patologiche che possono essere risolte se diagnosticate in tempo, ma che diventano permanenti se trascurate. Per questo, al primo segnale, è assolutamente necessario farsi visitare da un medico otorinolaringoiatra o da un medico audiologo: le uniche figure che possono diagnosticare la tipologia del problema e individuare la cura corretta.

La sordità può essere causata da una serie di condizioni. "Si va dalle malattie genetiche ed ereditarie come l'otosclerosi - spiega Giovanni Danesi, già presidente di SIOeChCf - alle otiti croniche sia dell'infanzia che dell'adulto, che devono essere tempestivamente trattate onde prevenire un decadimento neurale dell'udito, alle patologie infettive virali e non, come la meningite che può portare a sordità e che deve essere trattata tempestivamente prima che la coclea venga ossificata, fino alle patologie tumorali benigne come i tumori del nervo acustico".

Queste patologie "devono essere oggetto di sorveglianza continua mediante campagne di screening o di sensibilizzazione collettiva - evidenzia Danesi - affinché una diagnosi precoce sia possibile, trattandosi di condizioni tempo-dipendenti. Proprio dalla mancanza di un corretto inquadramento diagnostico e terapeutico nasce l'esorbitante costo sociale della sordità - calcolabile in circa 36 miliardi di euro all'anno - e dovuta a costi assistenziali, disabilità e assistenza relativa, accompagnamento del paziente con ritardo cognitivo, astensione dal lavoro, costi sanitari e riabilitativi e relativo indotto".

Come conferma Domenico Cuda, direttore dell'Unità operativa di Otorinolaringoiatria all'ospedale di Piacenza ex presidente della SIOeChCf, "molte persone arrivano tardivamente alla diagnosi con conseguenze non sempre rimediabili. Altre persone, invece, adottano soluzioni non appropriate rischiando di lasciare non diagnosticate malattie potenzialmente gravi". Sono "numeri sempre più in crescita - aggiunge Sara Ghiselli, specialista in audiologia e foniatria, dirigente del dipartimento ospedaliero di otorinolaringoiatria, Ambulatorio Centro impianti uditivi dell'Ospedale 'Guglielmo da Saliceto' di Piacenza - Stiamo affrontando una pandemia le cui conseguenze includono una diminuzione della socialità, del benessere e delle capacità cognitive, con il rischio di deterioramento mentale negli anziani e ritardi nello sviluppo linguistico nei bambini. Parliamo di pandemia 'silenziosa' non solo perché si tratta di deficit dell'udito, ma anche perché si riferisce a patologie trascurate che richiedono attenzione urgente da parte delle istituzioni".

Tornando ai dati, Nicola Quaranta, presidente Siaf, ricorda che "il 30% dei soggetti oltre i 70 anni presenta una perdita uditiva" e, citando studi recenti, ricorda che "la perdita uditiva in età adulta rappresenta un rilevante fattore di rischio, modificabile per lo sviluppo del decadimento cognitivo nell'anziano. La diagnosi e il trattamento precoce dell'ipoacusia mediante protesi acustica e impianto cocleare possono rallentare e prevenire il decadimento cognitivo dell'anziano". Attualmente "l'ipoacusia colpisce oltre 1,5 miliardi di persone, ovvero il 20% della popolazione mondiale", rimarca Stefano Berrettini, Università di Pisa, ex presidente Siaf, riportando i dati del recente 'Word report on hearing' dell'Oms del 2021.

Anche se "nella maggior parte dei casi si tratta di forme lievi - continua Berrettini - una parte sostanziale dei pazienti, circa 430 milioni, presenta una ipoacusia moderata, grave o profonda che, se non adeguatamente gestita, può avere un impatto negativo sulla capacità di svolgere le attività quotidiane e sulla qualità della vita". Un deficit uditivo in età infantile, "se non diagnosticato e trattato precocemente e adeguatamente, può avere conseguenze negative sullo sviluppo delle abilità uditive e del linguaggio, ma anche sugli apprendimenti, sullo sviluppo psicologico e globale del bambino, con inevitabili future ripercussioni sull'inserimento sociale e lavorativo". In particolare, l'ipoacusia colpisce "1-2 neonati su mille, ma la prevalenza sale di 10-20 volte se consideriamo" quelli che hanno avuto "un ricovero in terapia intensiva neonatale. Dai 5 ai 9 anni la prevalenza sale all'1,5% e all'1,7% tra i 9 e 14 anni. Oggi, grazie allo screening audiologico neonatale, i bambini con deficit uditivi possono avere uno sviluppo linguistico e globale che si avvicina molto a quello dei coetanei normoudenti".

Il presidente SIOeChF, Piero Nicolai, sottolinea l'impegno della società scientifica "nell'organizzazione di iniziative nelle quali si sensibilizza l'opinione pubblica nei confronti delle tante patologie che gli specialisti del settore affrontano. Non trattare la sordità in età avanzata aumenta di più di 5 volte il rischio di demenza in questi pazienti". Sull'importanza della gestione della sordità nell'ambito geriatrico, l'ex presidente della Società italiana di geriatria ospedaliera e territoriale (Sigot), Alberto Pilotto, richiama l'importanza, negli anziani, di "includere" nella "valutazione multifunzionale anche la valutazione dell'udito".

In chiusura, Cuda ha sollevato la questione cruciale dell'istituzione di un Osservatorio nazionale sulla sordità, affermando che "dobbiamo prestare attenzione ai dati e ai trend in crescita e affrontare con competenza specialistica il problema dell'ipoacusia. Attualmente, si osserva una mancanza di consapevolezza e un'incoerenza nella diagnosi e nella gestione della perdita uditiva. L'istituzione di un Osservatorio nazionale sulla sordità, che riunisca periodicamente non solamente i professionisti ma tutti gli stakeholders coinvolti, potrebbe garantire una gestione adeguata di questa sfida in continua evoluzione". Alla conferenza stampa, in sala Nassyria hanno partecipato anche la senatrice Elena Murelli, componente Commissione Affari sociali, che ha introdotto per un saluto da remoto l'onorevole Marcello Gemmato, sottosegretario di Stato alla Salute, e i sentori Giovanni Satta, Orfeo Mazzella, entrambi membri della X Commissione permanente, insieme all'onorevole Ilenia Malavasi, componente della XII Commissione della Camera Affari sociali.

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Cronaca

Sanità, Fism: “Mancanza di tempo e risorse ostacoli...

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L'impegno della Federazione italiana società medico-scientifiche a condividere i risultati della survey con l'Iss

Sanità, Fism:

Complessità metodologica, mancanza di tempo, carenza di risorse economiche, difficoltà a collaborare con altre società scientifiche sembrano essere gli ostacoli più frequenti incontrati dalle società medico-scientifiche nell'elaborazione di linee guida e buone pratiche cliniche. E' quanto emerge dal workshop 'Linee guida, buone pratiche assistenziali', che ha preceduto l'apertura del convegno 'Dalla multidisciplinarietà alla prescrizione unica', prima tappa degli Stati generali per il '40esimo anniversario Fism, Federazione italiana delle società medico-scientifiche' a Roma.

All'incontro - riporta una nota - Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ha illustrato la metodologia per l'elaborazione delle linee guida e best practice ai sensi della legge 24/2017 e degli standard adottati dall'Istituto superiore di sanità, rilevando le barriere che ne rallentano la produzione e l'adozione, ma evidenziando anche valore e limiti delle buone pratiche clinico-assistenziali che potrebbero essere integrate nell'aggiornamento della norma. Nicoletta Gandolfo, presidente eletto della Sirm (Società italiana di radiologia medica e interventistica) 2025-2026, nonché delegata a supporto del Tavolo tecnico per le linee guida presso l'Iss, ha riferito sui lavori in atto da parte della Commissione e sui criteri di priorità che vengono adottati per la scelta della formulazione delle linee guida. Il presidente della Fism, Loreto Gesualdo, ha poi condotto il dibattito tra relatori e partecipanti delle società scientifiche.

Nell'ottica di una collaborazione istituzionale sempre più ampia, Gesualdo e Cartabellotta hanno confermato al presidente dell'Iss Rocco Bellantone, intervenuto alla tavola rotonda su Dm70 e Dm77, che i risultati della survey condotta sulle linee guida e buone pratiche cliniche sarà messa a disposizione dell'Istituto superiore di sanità nell'ottica di una collaborazione istituzionale sempre più ampia.

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Cronaca

Epatiti A,B, C ed E: quale è in crescita e quale no, i dati

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Nel 2023 notificati complessivamente 529 casi al sistema di sorveglianza

Laboratorio analisi - Afp)

Nel 2023 in Italia sono aumentati leggermente i casi di epatite A, B ed E, mentre sono risultati in calo quelli di epatite C. E' quanto emerge dai dati del bollettino del sistema di sorveglianza Seieva (Sistema epidemiologico integrato delle epatiti virali acute), coordinato dall'Istituto superiore di sanità. Per queste tre forme di epatite, sono stati complessivamente 529 i casi segnalati.

Epatite A

Nel dettaglio, per l'epatite A lo scorso sono stati notificati al Seieva 267 casi, con trend in aumento rispetto all'anno precedente. Le Regioni che hanno registrato un numero maggiore di casi sono state Lombardia (55), Toscana (43), Emilia Romagna (29), Marche (28) e Lazio (27). Le fasce d'età maggiormente colpite sono state quelle adulte: 35-54 (25,1% dei casi) e 25-34 anni (19,1%). I casi pediatrici sono stati 45, in lieve aumento rispetto all'anno precedente quando erano stati 37. La maggioranza dei casi si è verificata in donne (59%). I fattori di rischio più frequentemente segnalati sono stati consumo di molluschi crudi o poco cotti contaminati dal virus (nel 35,5% dei casi), viaggi in zone endemiche (31,9%), rapporti sessuali fra uomini (24,6%) e consumo di frutti di bosco (17,4%).

Le Regioni con più casi

Per l'epatite B sono stati segnalati 153 nuovi casi, in lieve aumento rispetto al 2022 quando erano stati 109. Le Regioni che hanno segnalato la maggior parte dei casi sono Emilia Romagna (33), Lombardia (31) e Toscana (21). Più colpite le persone di età compresa fra i 35 e i 54 anni (il 46,4% dei casi rientrava in questa fascia d'età) e la fascia 55-64 anni (24,8%). L'età mediana è di 53 anni (range 17-89). Come negli anni passati, si osserva una maggior percentuale di casi nei maschi (78,4%). I fattori di rischio più frequentemente indicati sono l'esposizione a trattamenti di bellezza quali manicure, piercing e tatuaggi (38% dei casi), le cure odontoiatriche (28,7%) e comportamenti sessuali a rischio (25,2%); l'esposizione nosocomiale (ospedalizzazione, intervento chirurgico, emodialisi o trasfusione di sangue) è riportata dal 19,9% dei casi.

Epatite C

Sono stati 51 i nuovi casi di epatite C acuta nel 2023 - riporta ancora l'Iss - 4 in meno di quelli registrati nel 2022. Le Regioni con il maggior numero di casi sono state Lombardia (33,3%), Lazio (25,5%) e Veneto (9,8%). Più colpiti gli uomini (72,5% dei casi) e la fascia d'età 35-54 (52,4%), in linea con le osservazioni degli anni precedenti. Il fattore di rischio di maggiore importanza è stato il ricorso a trattamenti estetici (manicure/pedicure, piercing e tatuaggi), riportato dal 40,4% dei casi, che ha superato per la prima volta negli ultimi anni l'esposizione nosocomiale (29,4%), negli anni scorsi principale fattore di rischio. L'uso di droghe è stato registrato nel 27,1% del campione, il ricorso a trattamenti odontoiatrici nel 23,9%. L'esposizione sessuale (partner sessuali multipli o mancato uso del profilattico in corso di rapporti occasionali) si osserva in 16 persone fra quelle con età superiore ai 15 anni.

Epatite E

Per l'epatite E sono stati notificati 58 casi, registrati principalmente in Lazio (20,7%), Lombardia (17,2%), Emilia Romagna (15,5%), Umbria (10,3 %) e Abruzzo (10,3%). Dato che il numero di casi supera lievemente quello di casi con epatite acuta C, la E risulta essere stata nel 2023 la terza causa più frequente in Italia di epatite virale. In linea con quanto osservato negli anni precedenti, l'infezione ha riguardato per lo più soggetti maschi (70,7%) e nel 96,5% dei casi con età maggiore di 34 anni; 20 casi si sono verificati in soggetti anziani ( età maggiore di 64 anni). Quattro dei casi registrati avevano fatto un viaggio in area endemica e in particolare in Costa d'Avorio, India, Malawi e Sudafrica, mentre 54 (93,1%) sono casi autoctoni. Per quanto riguarda i fattori di rischio, più della metà dei casi (53,1%) ha riferito di aver consumato carne di maiale cruda o poco cotta. Il 10,2% ha invece riferito il consumo di carne di cinghiale cruda o poco cotta.

Iss: per epatite D ancora pochi test, farne di più per curare meglio

Fare più test per l'epatite D per curarla meglio. E' l'indicazione dell'Istituto superiore della sanità, che a questa infezione dedica un focus nel bollettino del sistema di sorveglianza Seieva (Sistema epidemiologico integrato delle epatiti virali acute).

Il virus dell'Epatite Delta (Hdv) - si ricorda - è un virus satellite che può coinfettare o sovrainfettare persone colpite anche da epatite B. In Italia, la prevalenza di nei pazienti HBsAg positivi (ovvero con infezione da epatite B) è stimata tra il 4,5% e il 13,0%, e la sovrainfezione con Hdv causa una più rapida progressione nella cirrosi, un aumento significativo del rischio di sviluppo di epatocarcinoma, scompenso epatico, necessità di trapianto e aumento della mortalità.

Analizzando i dati provenienti dalla sorveglianza Seieva, l'esecuzione del test per la rilevazione dell'Hdv tra i casi di epatite acuta nonA-nonE o sconosciuta è definito "certamente insufficiente": la percentuale di casi testati rimane al di sotto del 50% durante tutto il periodo di osservazione (1991-2023). In generale, l'andamento della percentuale di testati è altalenante, con valori tra il 40% e il 50% negli anni '90, che negli anni successivi scendono fino a sotto il 30% (indice di una minore attenzione verso la problematica) e solo negli ultimi anni risalgono. La proporzione di soggetti testati per IgM anti-Hdv è passata dal 35,4% nel 2019 al 48,8% nel 2023. Complessivamente, come ci si attendeva, nel periodo compreso fra il 1991 e il 2023 le persone HBsAg positive, tra i casi di epatite acuta nonA-nonE, sono state testate con maggiore frequenza rispetto a quelle negative (42,9% contro 34,5%).

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Leucemia linfatica cronica, ok Aifa a rimborso...

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Formulazione più facile da deglutire e meglio tollerata semplifica terapia in pazienti con Llc, spesso over 70

Leucemia linfatica cronica, ok Aifa a rimborso acalabrutinib in compresse

L'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha approvato la rimborsabilità della nuova formulazione in compresse di acalabrutinib per pazienti con leucemia linfatica cronica (Llc) sia di nuova diagnosi sia precedentemente trattati. La dose raccomandata è di 100 mg due volte al giorno (intervallo di dose di 12 ore).

La Llc, la più frequente fra le leucemie negli adulti (30% delle diagnosi) nel mondo occidentale - è stato ricordato durante un media tutorial, oggi a Milano - colpisce ogni anno circa 3mila italiani. Uno dei maggiori ostacoli al trattamento di questi pazienti, che in genere ricevono la diagnosi dopo i 70 anni e spesso presentano una o più comorbidità, è individuare opzioni terapeutiche efficaci e tollerate per la gestione a lungo termine della neoplasia ematologica.

La terapia mirata acalabrutinib in capsule è già stata approvata dall'Aifa nel 2021. Nella nuova formulazione in compresse, acalabrutinib presenta un volume ridotto del 50%, rendendo così più facile la deglutizione. Inoltre può essere somministrato con agenti che riducono l'acidità gastrica, come gli inibitori della pompa protonica, senza comprometterne l'assorbimento, e può essere assunto con o senza cibo. In questo modo, diventa più semplice la gestione e l'adesione alla terapia, a vantaggio dei pazienti trattati. Sono state dimostrate con uno studio clinico la pari efficacia e sicurezza delle due formulazioni e, grazie a questa approvazione, un maggior numero di pazienti potrà beneficiare di acalabrutinib.

"Nella leucemia linfatica cronica i linfociti B, che hanno acquisito specifiche alterazioni molecolari e generano una condizione di immunodeficienza che predispone alle infezioni, crescono in numero eccessivo nel sangue, nel midollo osseo e nei tessuti linfatici, che di conseguenza aumentano di volume determinando linfoadenopatie e splenomegalia - spiega Gianluca Gaidano, professore ordinario di Malattie del sangue al Dipartimento di Medicina traslazionale dell'Università del Piemonte Orientale e direttore della Struttura complessa a direzione universitaria di Ematologia dell'Azienda ospedaliero-universitaria Maggiore della Carità di Novara - Aumentando il numero dei linfociti, resta meno spazio a disposizione per i globuli bianchi sani, i globuli rossi e le piastrine, che diminuiscono. Il calo dei globuli rossi determina anemia, mentre, a causa del minor numero di piastrine, il sangue non coagula normalmente, con tendenza a emorragie ed ematomi. La malattia ha un andamento clinico molto eterogeneo: la maggioranza dei pazienti non presenta sintomi, arriva alla diagnosi in seguito a controlli eseguiti per altri motivi e rimane stabile per molto tempo senza necessità di terapia. Possono trascorrere diversi anni prima della comparsa di sintomi evidenti. I trattamenti sono necessari quando i globuli bianchi tendono a crescere molto rapidamente o quando i valori di globuli rossi e piastrine scendono sotto i livelli di allerta. Anche linfonodi o milza molto grandi richiedono un intervento terapeutico".

Oltre ai sintomi, si devono considerare "le conseguenze emotive, sociali e funzionali del convivere con una patologia cronica. Da qui il ruolo sempre più centrale della qualità di vita - sottolinea Rosalba Barbieri, vice presidente Ail, Associazione italiana contro leucemie linfomi e mieloma - Anche coloro che presentano sintomi e che, quindi, richiedono un trattamento, oggi possono condurre una vita normale grazie alle terapie innovative che devono essere effettuate nei centri specializzati di ematologia". Barbieri evidenzia inoltre che "un bisogno e un diritto dei pazienti è l'accesso rapido e uniforme all'innovazione su tutto il territorio nazionale. L'impegno di Ail si concretizza nel sostegno al paziente e ai caregiver in tutto il percorso di cura, a partire dal momento della diagnosi, anche fornendo informazioni sulla patologia".

Il trattamento della Llc, illustra Gaidano, "include diverse opzioni terapeutiche, dagli inibitori di Btk agli inibitori del Bcl2. Inoltre non prevede più la chemioterapia, con vantaggi importanti per i pazienti. Acalabrutinib appartiene alla classe degli inibitori di Btk, che ha rivoluzionato la cura della malattia. Il farmaco ha evidenziato un beneficio significativo in termini di efficacia e tollerabilità a lungo termine, tanto nel trattamento in prima linea quanto nella malattia recidivante o refrattaria".

In base ai dati dello studio di fase 3 Elevate-TN, condotto su 535 pazienti non trattati in precedenza - dettaglia una nota - a un follow-up di 6 anni acalabrutinib, in combinazione con un anticorpo monoclonale (obinutuzumab) o in monoterapia, ha dimostrato un miglioramento della sopravvivenza libera da progressione (Pfs) rispetto alla chemio-immunoterapia (obinutuzumab e clorambucile), indipendentemente dalla presenza di caratteristiche genetiche sfavorevoli.

"Nello studio - rimarca Gaidano - i regimi contenenti acalabrutinib hanno migliorato la Pfs rispetto alla chemio-immunoterapia. Con il regime di chemio-immunoterapia si è registrata una mediana di Pfs pari a 27,8 mesi, non raggiunta invece con acalabrutinib in monoterapia o in combinazione con obinutuzumab. A 6 anni di follow-up, il 78% e il 62% dei pazienti trattati rispettivamente con acalabrutinib più obinutuzumab o con acalabrutinib in monoterapia era vivo senza progressione di malattia, rispetto al 17% con la chemio-immunoterapia. Analogamente, con acalabrutinib sono stati registrati tassi di risposta clinica e tassi di risposta completa significativamente più elevati". E nello studio di fase 3 Ascend, condotto su 310 pazienti con Llc recidivante o refrattaria, acalabrutinib ha ridotto il rischio di progressione della malattia o morte del 69% rispetto al braccio di controllo (rituximab combinato con idelalisib o bendamustina).

"Lavoriamo ogni giorno per rendere disponibili trattamenti sempre più mirati, efficaci e con il miglior profilo di tollerabilità possibile - dichiara Paola Morosini, Medical Affairs Head Oncology AstraZeneca - La qualità di vita dei pazienti è una priorità per la ricerca di AstraZeneca. Acalabrutinib è una molecola di nuova generazione, che nasce da anni di ricerca, e ora è disponibile nella formulazione in compresse che, grazie alle innovazioni di cui abbiamo parlato, consentirà a un maggior numero di pazienti di beneficiare di questa terapia. Il nostro ampio programma di sviluppo comprende oltre 25 studi clinici riguardanti monoterapie e terapie di combinazione su diverse forme di tumori ematologici. Il nostro obiettivo è contribuire a migliorare il percorso di cura di pazienti affetti da neoplasie ematologiche, divenendo punto di riferimento in quest’area terapeutica".

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