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2024 anno con più elezioni di sempre: da Ue a Usa e Russia...

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2024 anno con più elezioni di sempre: da Ue a Usa e Russia in 2 miliardi al voto

Ad aprire l'anno elettorale sarà Taiwan, seguita da Iran e Portogallo. Si vota anche in India e Regno Unito

Cartello indica il seggio elettorale - Afp

Il 2024 sarà l'anno con più elezioni di sempre. Settantasei Paesi, che rappresentano all'incirca il 60% del pil a livello globale e per una popolazione totale di oltre 2 miliardi di persone, porteranno i loro cittadini alle urne. E anche se alcune di queste elezioni sono piuttosto scontate, come l'attesa, nuova vittoria di Vladimir Putin al primo turno delle elezioni presidenziali russe del prossimo marzo, altre, invece, si preannunciano incerte e quindi ancora più decisive: a partire dal prossimo 13 gennaio, quando Cina e Stati Uniti saranno spettatori interessati delle elezioni presidenziali taiwanesi, dove una vittoria del campo "pro-Pechino" potrebbe clamorosamente cambiare lo scenario sullo Stretto. C'è attesa anche per l'esito delle elezioni europee che si svolgeranno a giugno: circa 400 milioni di elettori nei 27 Stati membri sono chiamati infatti alle urne per eleggere il nuovo Parlamento europeo. Il 2024, poi, si chiuderà 'col botto': il 6 novembre si vota negli Stati Uniti per quello che a oggi si preannuncia come un nuovo faccia a faccia tra Joe Biden e Donald Trump.

Taiwan

Prima tappa dell'"anno più elettorale di sempre" - si voterà infatti anche in Iran, Portogallo, India e Regno Unito per citare solo le elezioni più attese - sarà Taiwan, l'isola che la Cina (ma anche l'Occidente) non riconosce come indipendente ma che ogni 4 anni tiene elezioni democratiche per eleggere la propria presidenza. Il 13 gennaio, il "campo verde" del Partito Democratico Progressista (Dpp) proverà a prolungare ulteriormente un dominio politico che perdura dal 2016, anno in cui l'attuale presidentessa uscente Tsai Ing-wen scosse gli equilibri nello Stretto sconfiggendo il "campo blu" pro-Pechino del Partito Nazionalista (Kmt). Il nuovo faccia a faccia si preannuncia più equilibrato dei precedenti: sebbene oltre il 60% della popolazione continui a definirsi "taiwanese" a fronte del solo 3% di "cinesi", i rallentamenti economici degli ultimi anni di governo Tsai hanno favorito un ritorno del Kmt, il cui programma è da molti, soprattutto i cosiddetti "colletti bianchi", percepito come più razionale e sostenibile sul piano economico.

Per il Dpp, il candidato presidente si chiama Lai Ching-te, già vice di Tsai dal 2020 e inviso a Pechino per le sue posizioni ancora più rigide rispetto alla presidenza uscente. I Nazionalisti rispondono con Hou You-Ih, salito alla ribalta da sindaco di Nuova Taipei, e che ha presentato il voto del 13 come una "scelta tra guerra e pace". Tuttavia, le possibilità di un cambio della guardia alla presidenza della "Repubblica di Cina", hanno visto un brusco rallentamento a metà novembre scorso, quando il Kmt non è riuscito a concordarsi con i centristi del "Partito del Popolo Taiwanese" (Tpp) per una candidatura congiunta in chiave anti-Dpp. Nonostante l'indubbio "tifo" da parte di Pechino, per i sondaggi il "campo blu" parte ancora piuttosto indietro rispetto al campo verde, che gode di grande sostegno da parte della quasi totalità dei giovani taiwanesi e ha ottimi rapporti con gli Stati Uniti.

Iran

Il primo marzo sarà il turno dell'Iran. Nell'avvicinamento alle prossime legislative, le sfide principali per il governo saranno il mantenimento della stabilità politica e la stabilizzazione della disastrosa situazione economica ("un decennio in ritardo", a detta dello stesso Ayatollah Khamenei), in particolare l'altissimo tasso di inflazione. I funzionari sono consapevoli che la legittimità del regime si è erosa, soprattutto dopo la brutale repressione dopo la morte di Mahsa Amini dello scorso anno. Il governo vuole evitare di arrivare a un punto di rottura che possa spingere gli iraniani a scendere nuovamente in piazza, ed è concentrato a preservare il suo elettorato di riferimento. Due fazioni di conservatori saranno protagoniste della politica iraniana nel 2024. La prima è il Fronte Paydari (Solidarietà), che sposa visioni più puritane. I suoi membri sono favorevoli a un'economia controllata dallo Stato e dichiarano di impegnarsi per la giustizia sociale, in particolare per eliminare la corruzione e rendere il governo più efficiente. In politica estera sono più "falchi" e vorrebbero un ulteriore avvicinamento alla Cina e alla Russia. Molti membri del gabinetto del Presidente Ebrahim Raisi sono allineati con il Fronte Paydari. La seconda fazione comprende i conservatori tradizionali guidati da Mohammad Baqer Qalibaf, speaker del Parlamento dal 2020. Gli esponenti della fazione Qalibaf tendono a essere più pragmatici e meno ideologici. Molti provengono dalla classe mercantile dei bazaari e sono favorevoli a un settore privato più forte invece che a un'economia controllata dallo Stato. Sono anche più aperti all'impegno con il mondo esterno, compresi i Paesi europei. Alcuni conservatori tradizionali hanno sostenuto l'accordo nucleare del 2015 con le sei maggiori potenze mondiali, ma si sono fatti sentire meno quando la politica interna si è polarizzata e l'Iran è stato isolato per la sua situazione dei diritti umani, il suo controverso programma nucleare e il sostegno alla Russia in Ucraina.

Portogallo

Dopo l'Iran toccherà al Portogallo recarsi alle urne. In seguito alle dimissioni del premier socialista Antonio Costa dopo l'indagine per corruzione, il 6 dicembre è stato sciolto il parlamento portoghese, considerato da molti osservatori come una delle ultime "roccaforti di sinistra" in Europa, e nuove elezioni sono state indette per il prossimo 10 marzo. Sebbene la Costituzione portoghese dia il diritto di nominare un nuovo premier senza indire nuove elezioni, il presidente della Repubblica Rebelo de Sousa ha invece deciso di dare al Partito Socialista di Costa, che controlla la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento, il tempo di trovare un nuovo leader prima che gli elettori si rechino alle urne. Costa ha accettato di rimanere al suo posto come primo ministro ad interim, ma all'interno del suo partito è già iniziata la corsa alla sua successione. A guidarla ci sarà Pedro Nuno Santos, ex segretario generale dell'ala giovanile dei socialisti, che il 17 dicembre ha trionfato nelle primarie socialiste. Santos è stato a lungo considerato una delle figure più promettenti all'interno del partito, ma l'anno scorso è stato costretto a dimettersi dal suo incarico di ministro delle Infrastrutture a seguito di uno scandalo sul dossier di privatizzazione della compagnia aerea statale Tap.Il rinvio delle elezioni consentirà al centrodestra del Partito socialdemocratico di raccogliere consensi tra i cittadini portoghesi, puntando ad ottenere numeri sufficienti per governare senza la necessità di coalizzarsi con l'estrema destra di Chega ("Basta"), terzo alle scorse elezioni e in netta ascesa secondo i primi sondaggi. Il leader socialdemocratico Luís Montenegro ha dichiarato di essere pronto a "ristabilire la fiducia e il prestigio delle istituzioni democratiche". "È possibile avere un Paese in cui non sia necessario immigrare per mancanza di opportunità, di alloggi, di servizi pubblici - ha affermato - è possibile avere un Paese che crea più ricchezza e paga stipendi più alti". Per il leader di Chega, André Ventura, la tornata di marzo rappresenta invece una grande occasione per mettere fine allo storico bipolarismo che contraddistingue la politica portoghese e cavalcare il momento positivo delle destre sovraniste europee.

Russia

Da Lisbona a Mosca. Sebbene il risultato sia già ampiamento scritto, anche le elezioni presidenziali russe del prossimo 17 marzo presenteranno diversi motivi d'interesse. Per il 71enne Vladimir Putin la strada verso il quinto mandato presidenziale appare più spianata che mai, ed è resa possibile dalla riforma costituzionale da lui stesso orchestrata nel 2020, che gli tiene aperta la possibilità di governare per altri 12 anni. Per la prima volta, dovrebbero partecipare al voto anche i cittadini dei territori occupati di Donetsk, Luhansk, Zaporizhia e Kherson. L'opposizione all'attuale leader del Cremlino appare piuttosto tiepida, e candidature di dissenso come quella della giornalista 40enne Yekaterina Duntsova, voce pubblicamente critica verso la guerra in Ucraina, vengono respinte ancora prima di cominciare (media statali hanno parlato di "errori nei documenti presentati"). Per il resto la corsa presidenziale di Putin non sembra aver alcun tipo di concorrenza, con leader dell'opposizione come Alexey Navalny, appena "riapparso" in una colonia penale nell'Artico, che stanno scontando lunghe pene detentive e altri importanti critici del Cremlino dietro le sbarre o fuori dal Paese per il rischio di arresto.

India

Nessun Paese porterà al voto più persone dell'India, dove tra aprile e maggio oltre 900 milioni di elettori dovranno scegliere se conferire un terzo mandato al premier Narendra Modi. Si voterà per eleggere i 543 membri del Lok Sabha, il parlamento indiano, e mai come stavolta Modi e il suo Bharatiya Janata Party (Bjp) puntano a consolidare la propria leadership, rinfrancati dai dati nei sondaggi tanto che lo stesso premier ha dichiarato di voler puntare a migliorare gli attuali 303 seggi. Modi, abile catalizzatore del nazionalismo indù, punta ad una netta vittoria anche per respingere le accuse di illiberalismo che hanno messo nel mirino il suo governo: l'India è scesa di 11 posizioni nell'Indice mondiale della libertà di stampa, scendendo al 161° posto su 180 Paesi, a causa della crescente "violenza contro i giornalisti e dei media politicamente di parte". Anche Freedom House ha recentemente declassato il Paese da "libero" a "parzialmente libero"

Mai come stavolta, sarà "Modi contro tutti", o per dirla come vorrebbe l'opposizione, "Modi contro l'India". Ad insidiare il leader del Bjp sarà infatti l'alleanza "India" (Indian National Developmental Inclusive Alliance), guidata dai secolaristi del Congresso Nazionale Indiano (Inc) e composta da 28 partiti che spaziano dal centro alla sinistra più estrema. Resta da stabilire chi sarà il candidato di punta dell'alleanza, ma l'obiettivo principale è chiaro sin da subito: "Dobbiamo restare uniti per salvaguardare la democrazia e la Costituzione", aveva dichiarato il presidente dell'Inc, Mallikarjun Kharge, durante il conclave fondativo dell'alleanza.

Regno Unito

C'è già una data di scadenza per l'attuale Camera dei comuni inglese, che verrà sciolta al più tardi il 17 dicembre 2024. Per questo motivo, il premier Rishi Sunak ha fatto sapere di voler andare a nuove elezioni entro la fine dell'anno, anche se la data rimane ancora da stabilire. Sunak, che punterà sui risultati della crescita economica, il successo del suo progetto per l'invio dei richiedenti asilo in Ruanda e la popolarità del suo stile politico, dovrà tuttavia affrontare sfide su tutti e tre i fronti: con la Banca d'Inghilterra che prevede una stagnazione economica, il piano per il Ruanda che rischia di essere messo a repentaglio sul piano politico e legale e il crollo della popolarità dei Tory nei sondaggi d'opinione. I Tory infatti, al potere dal 2010, sono da tempo dati in netto svantaggio rispetto ai laburisti, la principale forza d'opposizione. Ciò è dovuto principalmente alla peggiore crisi del costo della vita degli ultimi decenni e alle sanguinose lotte intestine che hanno portato a ben cinque premier diversi dal voto sulla Brexit del 2016. Per i laburisti, la cui crescita è probabilmente più figlia degli autogol Tory che di un vero entusiasmo per la loro proposta politica, l'obiettivo è portare il nuovo leader Keir Starmer a diventare il prossimo premier. La posta in gioco sia per Sunak che per Starmer è alta: le elezioni generali previste per il 2024 potrebbero vedere i laburisti tornare al potere per la prima volta dal 2010 o aprire la strada a un periodo di governo dei Tory che durerà quasi due decenni. Se il primo ministro riuscirà a portare il suo partito a un'altra vittoria, il Regno Unito potrebbe avere un'amministrazione guidata dai conservatori potenzialmente fino al 2029, superando i 18 anni di governo di Margaret Thatcher e John Major. La chiave per Sunak è capire se riuscirà a presentarsi come candidato del "cambiamento", nonostante rappresenti un partito al potere da oltre un decennio, e a convincere gli elettori di avere una visione nuova per il Paese dopo il caos delle amministrazioni di Boris Johnson e Liz Truss. Starmer spera di fermarlo ma, dopo la batosta del 2019, i laburisti partono con uno svantaggio significativo in termini di seggi a Westminster, nonostante i successi nelle elezioni parziali e il vantaggio nei sondaggi.

Unione Europea

Tra il 6 e il 9 giugno 2024 si voterà in tutti i Paesi dell'Ue per eleggere i 720 membri del nuovo Parlamento (15 deputati in più rispetto ai 705 attuali). Le "europee" si svolgono ogni cinque anni nell'arco di quattro giorni e sono considerate il più grande voto transnazionale del mondo: oltre 400 milioni di elettori di diverse nazionalità saranno chiamati a votare. Il ricambio dei deputati coinvolgerà anche i vertici della Commissione e del Consiglio europeo, il che significa che i posti attualmente occupati da Ursula von der Leyen e Charles Michel potrebbero passare di mano. Von der Leyen non ha ancora confermato la propria candidatura per un secondo mandato quinquennale, mentre a Michel la legge vieta di continuare a guidare il Consiglio europeo, poiché la carica è limitata a due mandati consecutivi di 2,5 anni ciascuno. Secondo le prime proiezioni di Europe Elects, il centro-destra del Partito Popolare Europeo (Ppe) potrebbe perdere qualche seggio, ma è favorito per restare la formazione più numerosa, seguito dal gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D). Un grande tema delle europee sarà l'ascesa della destra sovranista di Identità e Democrazia (Id), già salita al terzo posto nei sondaggi e ulteriormente rinfrancata dal trionfo di Geert Wilders in Olanda. Inseguono i liberali di Renew Europe (Re) e il Gruppo dei Conservatori e dei Riformisti Europei (Ecr). L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, la crisi del costo della vita, le forniture energetiche, il cambiamento climatico e la migrazione sono i temi principali in vista del voto del prossimo giugno.

Stati Uniti

A chiudere l'anno più elettorale di sempre sarà l'attesissimo voto statunitense. In attesa delle primarie repubblicane e democratiche, il cui primo round andrà in scena già a gennaio, tutto lascia pensare che il 5 novembre sarà nuovamente corsa a due tra Biden e Trump, in un remake del voto 2020 il cui risultato fu a lungo contestato dal magnate newyorchese. Per il 77enne Trump, che ha annunciato la sua nuova candidatura oltre un anno fa, c'è grande fiducia di poter essere ancora l'uomo forte della politica americana. L'ex presidente è saldamente al comando non solo nei sondaggi verso le primarie del Gop senza aver partecipato ad alcun dibattito pubblico (seguono Ron De Santis e Nikki Haley), ma anche nelle previsioni verso la sfida a Biden del prossimo novembre, dove sarebbe già in significativo vantaggio in 5 dei 6 Stati decisivi. Per l'82enne Biden, che punta a diventare il più anziano di sempre a vincere le elezioni americane (il record è già suo dal 2020), il tema della campagna elettorale verso novembre appare già chiaro e analogo a quello vincente di quattro anni fa: fermare Trump e la sua minaccia alla democrazia. D'altronde, lo stesso leader originario della Pennsylvania ha ammesso che "probabilmente non si sarebbe ricandidato se non ci fosse stato Trump dall'altra parte". Da settimane i rumor parlano di un leader dem frustrato dal proprio calo di popolarità a seguito anche della complessa gestione del conflitto palestinese, per cui sarà importante monitorare i movimenti diplomatici di Washington dei prossimi mesi inevitabilmente condizionati dal voto del prossimo novembre.

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Esteri

Russia, la nuova era di Putin: lo zar punta tutto sulla...

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Quali saranno i nuovi passi del presidente? Le sfide e gli obiettivi dopo la quinta rielezione secondo il Moscow Times

Manifestazione contro Vladimir Putin - Afp

E ora? La rielezione di Vladimir Putin alla guida della Russia non è mai stata in dubbio. Ma una volta svanita la fanfara del plebiscito organizzato, ci si chiede quali saranno i suoi nuovi passi. Fonti del Cremlino, citate da Moscow Times, raccontano di un Putin deciso a consolidare la sua eredità storica e quella di un regime la cui natura si sta trasformando con "la guerra che sta diventando la sua ragion d'essere".

Un altro obiettivo, nota la fonte, sarà assicurare la sicurezza personale del leader e la sua famiglia. Una esigenza che si adatta anche alla definizione della nuova ideologia di stato incentrata attorno al concetto della famiglia, in un'accezione conservatrice e gerarchica. "La famiglia si combina con il concetto di famiglia criminale- nota la fonte, sottolineando l'aspetto mafioso del regime -, questa è una immagine molto chiara della fazione che governa la Russia. Significa che c'è un arbitro supremo che dispensa titoli e beni. L'intera macchina politica russa funziona così".

Tuttavia, se è stato relativamente facile organizzare un plebiscito, il consolidamento del regime non è esente da sfide impegnative. La logica della guerra presuppone che il pubblico venga mobilitato per un sostegno attivo. Ma "un tentativo di controllare e di interferire nelle vite private delle persone, cosa che il regime finora non ha fatto, potrebbe incontrare una resistenza di massa e richiedere maggiore violenza per reprimerla", nota una fonte.

Inoltre Putin dovrà garantirsi la lealtà di una nuove coorte di imprenditori che gli sono debitori, in un processo già iniziato ma non privo di rischi. Ed infine, nota una fonte vicino al governo, vi sono le incognite economiche. Dietro la fanfara dei successi dell'economia di guerra, vi sono i rischi del surriscaldamento dell'economia e della scarsità di forza lavoro. "Ma anche con tutti questi problemi, il regime di Putin potrebbe sopravvivere in una condizione di degrado per altri 30 anni", afferma la fonte, sottolineando che il leader del Cremlino non smetterà di "assegnare risorse alla guerra".

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Esteri

Russia, i prossimi 6 anni con Putin presidente: 5 scenari...

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Le ipotesi sul destino del Paese. Lo scenario meno probabile? La rivolta democratica

Manifestazione per la vittoria di Putin dopo le elezioni in Russia - Afp

La vittoria di Vladimir Putin non è mai stata in dubbio, dato il contesto in cui si sono svolte le elezioni. Ma non così il futuro della Russia nei prossimi sei anni di mandato. Il sito Politico traccia cinque scenari possibili entro il 2030, da quello meno probabile di un ampio movimento per la democrazia a quello di una lunga vita del regime. Ma anche questo viene dato solo al 45-50% di possibilità, perché la guerra in Ucraina ha portato a una situazione interna più instabile: dalla scorsa estate abbiamo assistito alla fallita rivolta del capo della Wagner, Yevgeny Perigozin, a proteste in luoghi remoti come il Bashkortostan o le sollevazioni antisemite nella repubblica russa del Daghestan, con le forze di sicurezza prese di sorpresa. Per questo, l'Occidente farebbe bene a prepararsi a diverse possibilità.

Scenario 1, la democrazia

Fiorisce la democrazia (probabilità 5-10%). Come ha dimostrato la caduta del comunismo in Europa orientale nel 1989, i regimi totalitari possono crollare rapidamente davanti a movimenti democratici. La morte di Alexei Navalny, trasformato in un martire, può creare slancio, combinato con altre proteste, come quella delle mogli dei soldati mandati a combattere in Ucraina. Ma senza Navalny la Russia perde una figura carismatica come Nelson Mandela in Sudafrica e Vaclav Havel in Cecoslovacchia, mentre la maggioranza dei russi continuano a sostenere "passivamente se non attivamente" la "disastrosa guerra" in Ucraina.

Secondo Politico, tale scenario potrebbe essere propiziato da una vittoria dell'Ucraina. In questo caso l'Occidente dovrebbe evitare troppi entusiasmi, non riporre tutte le speranze in un solo leader, sollevare le sanzioni solo in cambio di riforme. E intanto coltivare i rapporti con ex repubbliche sovietiche come Moldova e Armenia.

Scenario 2, la disintegrazione della Russia

Disintegrazione della Russia (10-15% probabilità). Di fronte ad una guerra devastante in Ucraina, con centinaia di migliaia di morti insensate al fronte, la gente potrebbe rivoltarsi in massa e rovesciare il regime. Lo stato centrale potrebbe allora disgregarsi lungo linee etniche, sprofondando nel caos e la violenza, come già successe nella guerra civile seguita al crollo dell'impero zarista. Senza dimenticare la disgregazione dell'Urss.

Dopo tutto la Russia è un conglomerato di 21 repubbliche. E la scintilla potrebbe scoppiare in Cecenia, magari con la morte del già malato leader Ramzan Khadirov, fra i Tatari, i Sakha siberiani, fra le minoranze etniche di aree remote con un alto tasso di morti in guerra, maggiore di quello dei cittadini di etnia russa.

Per ora il regime di Putin mantiene il controllo, ma per quanto poco probabile, tale scenario non può essere completamente escluso e l'Occidente dovrebbe mantenersi flessibile a riguardo, puntando anche su chi in Russia può salvaguardare l'arsenale nucleare.

Scenario 3, la sollevazione nazionalista

Sollevazione nazionalista (15-20% di probabilità). Prigozhin è stato fatto fuori, ma tutti gli ingredienti che hanno alimentato la sua fallita marcia su Mosca sono ancora presenti: frustrazione per i pasticci della guerra in Ucraina, gli uomini e i mezzi militari persi nel pantano del conflitto, l'ineguaglianza sociale che rafforza il populismo. Tuttavia, secondo Politico, è difficile trovare un altro personaggio come Prigozhin, dotato di una sua forza privata. Inoltre Putin vira sempre più verso un nazionalismo "fascista" e "sarà difficile scavalcarlo a destra". Se un leader nazionalista dovesse riuscire a sostituire Putin, l'Occidente dovrebbe rafforzare le sanzioni e i rapporti di sicurezza con i paesi vicini alla Russia, Ucraina in primis, mettendo in opera una politica di contenimento.

Scenario 4, il reset tecnocratico

Reset tecnocratico (20-25% di probabilità). Ciò potrebbe accadere con la morte di Putin. Oppure se un gruppo di alti funzionari, di fronte alle conseguenze economiche della guerra in Ucraina, o la forte crescita del numero di perdite militari, riuscisse a destituire Putin, come accadde nel 1964 con Nikita Kruscev. Il nuovo governo non sarebbe per forza democratico, ma formato da tecnocratici educati in Occidente pronti a tornare allo "status quo ante bellum".

Potrebbero essere liberati prigionieri politici, magari anche restituite all'Ucraina le aree occupate nel Donbass (ma non la Crimea). Putin per ora mantiene saldo il controllo sul governo, ma se ciò dovesse accadere l'Occidente dovrebbe essere molto prudente, ricordando le illusioni di altri "reset" del passato. Naturalmente le riforme in senso democratico andrebbero incoraggiate con il sollevamento di sanzioni, ma sempre tenendo conto che ogni miglioramento potrebbe essere solo temporaneo.

Scenario 5, lunga vita a Putin

Lunga vita a Putin (45-50% di probabilità). Al momento sembra l'ipotesi più probabile: con la morte di Navalny l'opposizione è nel caos, l'economia ha retto alle sanzioni e il peggio della guerra in Ucraina potrebbe essere alle spalle, specie se gli Stati Uniti rimarranno reticenti ad armare Kiev.

Il 72enne Putin potrebbe dunque reggere fino al 2030 e magari anche oltre. Ma anche se Putin mantiene un saldo controllo del potere, "l'economia sta chiaramente volgendo a stagnazione e inflazione crescente. Intanto in Ucraina, i passi falsi di Putin hanno portato ad uno sconvolgente numero di perdite. Ciascuno di questi fatti basterebbe a minacciare un leader, non importa quanto autoritario".

L'Occidente, conclude Politico, deve aumentare in ogni modo la pressione sul regime di Putin. Rafforzare le sanzioni, anche contro chi, come gi Emirati Arabi Uniti, aiuta Mosca ad aggirarle. Rendere più efficaci il tetto ai prezzi del petrolio e confiscare i beni congelati della Banca centrale russa. Incoraggiare sviluppi democratici e rafforzare la partnership con i paesi alla periferia russa. Ma prima di tutto bisogna essere consapevoli che, "finché Putin è al potere la guerra non provocata in Ucraina continuerà, con la minaccia di un più ampio conflitto". L'Occidente "dovrebbe usare ogni strumento possibile per costringere i russi, sia al Cremlino che nel popolo, a capire quanto loro, e noi, staremmo meglio se Putin non fosse più al potere".

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Esteri

Gaza, Biden contro attacco Israele a Rafah: “Un...

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Il primo ministro israeliano Netanyahu ha accettato di inviare un team a Washington per discutere sulla questione

Fuga dei civili a Gaza (Afp)

Attaccare Rafah per Biden sarebbe "un errore" che porterebbe "più caos a Gaza". E' quanto ha detto il consigliere per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, parlando della telefonata tra Biden e Netanyahu. Il primo ministro israeliano ha accettato l'invito del presidente Usa di ospitare "un team" da Gerusalemme a Washington con cui dialogare sulla questione. "Joe Biden ha rigettato l'idea che sollevare dubbi sull'operazione a Rafah vuol dire sollevare dubbi sull'obiettivo della sconfitta di Hamas" ha riferito Sullivan. E nella telefonata, che ha avuto un tono "di colloquio di lavoro", Biden ha insistito sul fatto che ci sono "modi alternativi" per ottenere gli stessi obiettivi e questi verranno presentati alla delegazione israeliana.

"Israele deve fare di più per gli aiuti umanitari a Gaza"

"Israele ha la responsabilità di facilitare l'arrivo di aiuti a Gaza e può fare di più" ha detto ancora il consigliere per la Sicurezza Nazionale, Jake Sullivan. "E' una priorità urgente", ha aggiunto sottolineando che bisogna "inondare" di aiuti Gaza con tutti i mezzi e risolvere "le difficoltà" che si presentano "per portare gli aiuti dentro Gaza".

"Ucciso il numero tre di Hamas, Marwan Issa: lo confermiamo"

"Il numero tre di Hamas, Marwan Issa, è stato ucciso in un'operazione israeliana la scorsa settimana, il resto dei leader si nascondono, probabilmente nel profondo della rete di tunnel di Hamas, e la giustizia arriverà anche per loro" ha detto il consigliere per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca. "Israele ha compiuto progressi significativi contro Hamas: ha distrutto un numero significativo di battaglioni e ucciso migliaia di combattenti, compresi alcuni comandanti".

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