Salute e Benessere
Schillaci: “Ssn tra i migliori al mondo ma dopo 45...
Schillaci: “Ssn tra i migliori al mondo ma dopo 45 anni serve revisione”
"La popolazione vive più a lungo ma con malattie cronico-degenerative, usare fondi del Pnrr per investire in prevenzione"
"Io credo che il nostro Ssn, che rimane uno dei migliori del mondo, abbia bisogno di una revisione perché sono passati 45 anni. Nel frattempo è cambiato il mondo della salute, c'è tanta innovazione tecnologica che va seguita, soprattutto c'è una popolazione che per fortuna vive di più ma vive spesso affetta da malattie cronico-degenerative. Per questo motivo bisogna da subito investire in prevenzione, vedere la spesa sanitaria non come una spesa ma come un investimento nel futuro della salute dei cittadini e soprattutto sfruttare al meglio i fondi che ci sono del Pnrr per avere finalmente una medicina territoriale affidabile e puntare sulla telemedicina e su tutto ciò che riguarda le nuove possibili terapie”. Lo ha detto il ministro della Salute Orazio Schillaci a margine dell'evento ''Un grande impegno per la salute", promosso dal ministero della Salute oggi a Bari.
"Sulla sicurezza dei medici e degli operatori sanitari - continua il ministro- siamo già intervenuti lo scorso anno nel cosiddetto Decreto bollette aumentando le pene per chi commette atti violenti contro gli operatori sanitari. Io credo però, e l’ho sempre detto, che non è solo un problema di pene, è un problema culturale. Quando una persona si rivolge a un medico, a un infermiere, deve capire che chi indossa un camice bianco sta offrendo aiuto e cure. Ad allarmare è anche il dato di genere: il 70% delle aggressioni, anche verbali, contro gli operatori sanitari, colpisce le donne. Quindi è qualcosa di inaccettabile, di indicibile che va affrontato, anche dal punto di vista culturale”.
"La carenza di personale - sottolinea il ministro- è un tema sentito nei prossimi tre anni, soprattutto come sapete per quanto riguarda i medici ci sarà la cosiddetta gobba pensionistica. Stiamo lavorando su questo. Vorremmo entro quest’anno abolire il tetto di spesa assunzionale che da anni esiste e che nessuno, da 15 anni ha mai pensato di abolire. Questa è una delle prime intenzioni che abbiamo, sulle quali stiamo lavorando, nel primo giorno che ci siamo insediati al ministero". "Analogo problema, ancora più grave - ha aggiunto Schillaci - se guardate i dati Ocse, riguarda il personale infermieristico che manca non solo in Italia ma anche negli altri Paesi, come il Giappone e gli Stati Uniti. Quindi credo che lì sarà necessario cercare di far venire i professionisti dall'estero" ma "lavorare anche in modo che il mestiere così importante dell'infermiere venga rivalutato, tenendo conto che oggi sono persone che studiano spesso tre anni o cinque anni e che quindi meritano un'attenzione particolare sia in termini economici che in dimensioni lavorative” .
La sanità oggi spesso è una sanità con le luci ombre, non solo in Puglia ma in tante altre Regioni italiane. Quindi io spero vivamente, nell'interesse di tutti i cittadini, che le Regioni che magari facciano di più, riescano a superare questi problemi che ci sono, di natura spesso organizzativa. E ribadisco ovviamente che da parte del Ministero c'è sempre attenzione e disponibilità nell'interesse soprattutto, ripeto, di chi vive in determinate Regioni e dare il supporto qualora richiesto". Conclude Schillaci
“Il pronto soccorso - continua- dall'inizio è stato un oggetto della nostra azione di governo. L'anno scorso, nel decreto Bollette abbiamo aumentato l'indennità per il pronto soccorso” come “un lavoro usurante, questo vuol dire avere ovviamente un vantaggio pensionistico per tutti gli operatori del pronto soccorso. Ma il disagio che si vive al pronto soccorso può essere superato solo rafforzando la medicina territoriale. Bisogna offrire alle cittadine e ai cittadini la possibilità, quando hanno un problema, di non andare solo al pronto soccorso. Su questo ci sono gli investimenti importanti del Pnrr per la medicina territoriale. La sfida è proprio far sì che finalmente possiamo avere una medicina territoriale efficiente, che è stato il vero tallone d'Achille dell'Italia durante la pandemia. Questo ridurrà sicuramente anche l'accesso al pronto soccorso”.
Sulle liste d'attesa, il ministro ricorda: “Intanto dobbiamo avere i dati, dobbiamo sapere con accuratezza, su questo stiamo lavorando con il Ministero, con Agenas per avere finalmente i dati. In questo ci devono aiutare le regioni sul vero tempo di attesa per alcune prestazioni, perché se noi vogliamo agire in maniera efficace dobbiamo capire quali prestazioni in quali siti hanno una lista d'attesa che è inaccettabile”.
Bisogna che “nelle regioni ci sia un unico gruppo di prenotazione regionale - ha ricordato il ministro - che metta insieme la sanità pubblica e la sanità privata convenzionata. Poi è importante, credo, anche la presa in carico del singolo paziente: non deve essere il paziente a cercare la prestazione”. "Infine abbiamo necessità assoluta, in questo forse ci può aiutare anche l'intelligenza artificiale, di avere una migliore appropriatezza prescrittiva, perché - ha concluso - noi dobbiamo fare nei tempi utili gli esami necessari a chi ne ha veramente bisogno”.
Ed ancora, sulla medicina difensiva: “Lo scudo penale è un qualcosa che sicuramente gli operatori sanitari si aspettavano. Io faccio il medico, se a un medico, un infermiere, un operatore sanitario, arriva a un avviso di garanzia, è una tragedia. Oltre a un malessere personale, familiare e spese aggiuntive poi, nel 98% dei casi, le cause penali finiscono in nulla", ma questo avviso "provoca soprattutto spesso un ricorso alla cosiddetta medicina difensiva completamente inutile. Da medico e da ministro che lo scudo penale non toglie nulla ai cittadini, perché i cittadini potranno comunque rivalersi in sede civile. È uno strumento utile soprattutto per i cittadini perché se noi andiamo ad eliminare le prescrizioni inutili ci sono alcuni strumenti che dimostrano che addirittura la medicina difensiva può pesare intorno ai 10 miliardi l'anno: parliamo del 7-9% di quello che è il Fondo Sanitario Nazionale e questo permetterebbe di risolvere, in maniera significativa, quello che sono i problemi della sanità italiana”.
Infine .“Il G7 della salute si svolgerà ad Ancona nella seconda settimana di ottobre. Abbiamo tematiche molto importanti. Intanto daremo spazio anche all'interno del G7 all'intelligenza artificiale che è uno dei topic più importanti. Ci occuperemo di ‘preparedness’, cioè di possibili emergenze perché su questo c'è un lavoro già iniziato nel G7 precedente, che era stato condotto dal Giappone, per far capire come poi i sistemi sanitari siano interconnessi tra di loro: se c'è un'emergenza non può che essere un'emergenza globale”. Tra i temi al centro dell’attenzione spicca “l’antimicrobicoresistenza che è la vera pandemia, non del domani, ma dell'oggi, e sul quale bisogna intervenire e agire rapidamente. E parleremo poi anche di innovazione tecnologica perché è un problema che riguarda sia l'uomo che l'animale. Su questo, ha ricordato il ministro, “l'anno scorso abbiamo messo molti soldi oltre 50 milioni. Questa è la vera sfida da affrontare da subito perché è quella che tanti chiamano la pandemia silente sul quale però dobbiamo avere da subito delle risposte concrete”. A tale proposito il ministro ha ricordato la necessità di “un discorso culturale importante”.
Infine, in chiusura, Schillaci ha richiamato l’attenzione sulla necessità di “fare uno sforzo comune - il governo, le regioni - per dare una risposta ai cittadini”.
Salute e Benessere
In Italia 250mila celiaci, crescono diagnosi e 70% donne
Sono 251mila le persone in Italia con una diagnosi di celiachia, il 70% donne. Nel 2022 sono state registrate 10.210 nuove diagnosi di celiachia. Un dato in crescita rispetto al 2021 (8.582) e al 2020 (7.729) ma ancora minore rispetto al 2019 (11.179). E' la fotografia scattata dalla Relazione al Parlamento (anno 2022) del ministero della Salute. "Dei 251.939 soggetti celiaci il 2% (5.401) ha un’età compresa tra 6 mesi e 5 anni, il 4% (11.066) rientra tra 6 e 9 anni, il 7% (16.463) ha tra i 10 e i 13 anni, l’8% (20.380) ha tra i 14 e i 17 anni, il 67% (168.776) ha tra i 18 e i 59 anni e il restante 12 % (29.853) ha più di 60 anni di età", precisa la Relazione. La spesa per l’erogazione degli alimenti senza glutine in esenzione nel 2022 ha toccato 237,6 mln di euro pari a 943 euro pro capite.
"In Italia sono oltre 250mila le persone che, a causa della malattia celiaca, sono costrette ad osservare quotidianamente una rigorosa dieta priva di glutine. Nella nostra Nazione la dieta del celiaco è in quota parte finanziata dal Servizio Sanitario Nazionale per l’erogazione gratuita dei prodotti senza glutine. La celiachia in Italia è riconosciuta anche come malattia sociale poiché condiziona il normale inserimento nella vita di gruppo tanto da comprometterne alle volte l’osservanza della dieta. Per prevenire il più possibile situazioni di disagio e agevolare l’accesso sicuro ai servizi di ristorazione collettiva è previsto un ulteriore contributo annuale che le Regioni possono investire per implementare iniziative di formazione per gli operatori del settore alimentare e per consentire l’adeguamento delle mense annesse alle strutture pubbliche". Così il ministro della Salute Orazio Schillaci nel contributo scritto alla Relazione annuale sulla celiachia (anno 2022) al Parlamento.
"Per la celiachia ad oggi non esiste una cura ma le complicanze di una diagnosi tardiva restano importanti - ha ricordato il ministro - per cui nel 2023 il Parlamento italiano ha deciso di investire sulla prevenzione sviluppando un programma di screening nazionale per la popolazione pediatrica. Il presente documento è la sintesi di un anno di prezioso e faticoso lavoro svolto da chi costantemente si batte per la salvaguardia del bene più prezioso: la salute".
Salute e Benessere
Italiani papà più vecchi d’Europa, primo figlio a 36...
Ma la fertilità, spiega la Società italiana di andrologia, ha il suo picco massimo tra i 20 e i 30 anni. E per gli andrologi la paternità ritardata dopo i 45 anni è dannosa per i figli
Diventare papà per la prima volta è un'esperienza che gli uomini italiani spostano sempre più avanti nel tempo, più di quanto si faccia negli altri Paesi europei. I più recenti dati Istat indicano che in Italia si diventa papà mediamente a 35,8 anni, mentre in Francia a 33,9 anni, in Germania a 33,2, in Inghilterra e Galles a 33,7 anni. Un fenomeno sempre più frequente rispetto al passato che riguarderebbe circa il 70% dei nuovi papà italiani: ciò significa che un uomo su 3 è ancora senza figli oltre i 36 anni d'età. A tracciare il quadro, alla vigila della Festa del papà, sono gli esperti della Società italiana di andrologia (Sia) che ricordano l'importanza di anticipare la paternità e, dove non possibile, di preservare la fertilità fin da giovani, soprattutto attraverso un sano stile di vita.
La tendenza a ritardare la paternità, ricordano gli andrologi, non è priva di conseguenze: numerose evidenze scientifiche dimostrano che le caratteristiche funzionali dello spermatozoo, cioè motilità, morfologia e anche i danni al Dna, peggiorano con l'aumentare dell'età. A tutto questo si aggiunge al fatto che con l'avanzare dell'età aumenta il tempo di esposizione agli inquinanti ambientati esterni, come le microplastiche che negli ultimi anni hanno dimostrato essere un problema rilevante per la fertilità maschile. In più i cambiamenti climatici con l'aumento della temperatura globale hanno anch'essi un impatto negativo sulla fertilità maschile, dimostrato dalla riduzione volumetrica dei testicoli nella popolazione generale.
"In Italia - spiega Alessandro Palmieri, presidente Sia e docente di Urologia all'Università Federico II di Napoli - l'età in cui si fa il primo figlio è aumentata di 10 anni, passando dai 25 anni della fine degli anni '90 ai circa 36 attuali, che pongono il nostro Paese in cima alla classifica dell'età media del concepimento in Europa. Un fenomeno che riguarda quasi il 70% dei nuovi papà italiani. Ne consegue" appunto "che un uomo su 3, superata questa soglia, è ancora senza figli. Questo significa che nel giro di pochi decenni si è passati da una situazione nella quale solo una ridotta minoranza arrivava senza figli all'età di 35 anni a una nella quale la maggioranza della popolazione maschile rinvia oltre questa soglia anagrafica la prima esperienza di paternità". La nostra società "sta assegnando alla riproduzione un ruolo tardivo, dimenticando che la fertilità, sia maschile che femminile, ha il suo picco massimo tra i 20 e i 30 anni e che la potenzialità fecondante del maschio è in netto declino".
Con l'avanzare dell'età, sottolinea Palmieri, "la fertilità diminuisce perché anche gli spermatozoi 'invecchiano' e bisogna insegnare alle giovani generazioni l'importanza di una fertilità sana al momento giusto che va preservata fin da giovani". Per questo la Sia, in collaborazione con l'Istituto di Farmacologia clinica dell'Università degli studi di Catanzaro, ha sviluppato un nuovo integratore con effetti positivi sulla salute maschile in generale, compresa la fertilità.
"Lo scopo della medicina moderna non è solo quello di curare, ma soprattutto di prevenire e da questo concetto - illustra Tommaso Cai direttore dell'Unità operativa di urologia dell'ospedale di Trento e segretario della Sia - nasce il composto chiamato Drolessano, un mix di 7 sostanze naturali, due delle quali hanno specifici effetti sulla fertilità maschile. Si tratta dell'escina estratta dai semi e dal guscio dell'ippocastano, un potente antiossidante utile nel preservare la fertilità, ma anche per prevenire i sintomi della prostatite cronica, patologia questa che anch'essa implicata nella riduzione della fertilità maschile". L'altra sostanza alleata della fertilità maschile "è il licopene, un nutriente presente nei pomodori, che secondo uno studio dell'Università di Sheffield, pubblicato sull''European Journal of Nutrition', potrebbe aumentare la qualità dello sperma e contrastare l'infertilità maschile, proteggendo dagli effetti dannosi dei radicali liberi", spiega Cai.
Paternità dopo i 45 anni? Dannoso per i figli
Ma non è tutto. Gli uomini che ritardano la paternità, soprattutto dopo i 45 anni, non solo devono affrontare problemi di fertilità ma possono mettere a rischio anche la salute dei figli, mettono in guardia gli esperti della Società italiana di andrologia.
"Mentre si sa che per le donne dopo i 35 anni possono esserci cambiamenti fisiologici che influiscono sul concepimento, gravidanza e salute del bambino - spiega ancora Cai - la maggior parte degli uomini invece non è consapevole dell’impatto dell’età dovuto non solo al calo naturale del testosterone, ma anche alla perdita di ‘forma fisica’ degli spermatozoi che può portare anche a cambiamenti nello sperma che vengono trasmessi da genitori a figli nel loro Dna. È ben documentato che concepire in età avanzata comporta il rischio che il bambino nasca o sviluppi nel tempo problemi di salute".
Secondo uno studio pubblicato su Nature, ogni anno in più del padre comporterebbe un incremento di 1,51 nuove mutazioni genetiche nei figli, il 25% in più rispetto a quelle che dipendono dalla madre. Un altro studio, pubblicato sempre su Nature, suggerisce che i figli di padri anziani hanno un rischio più alto di autismo e schizofrenia nei figli. "In definitiva, così come la fertilità femminile - conclude Alessandro Palmieri, presidente Sia e docente di Urologia alla Università Federico II di Napoli - anche quella maschile, è tempo-dipendente. È dunque fondamentale sfatare il mito dell’uomo fertile a tutte le età e promuovere invece strategie di informazione, prevenzione e preservazione della fertilità maschile, cominciando dalla giovane età, poiché una volta instaurati i danni non sono reversibili".
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Chi sarà il nuovo presidente Aifa? L’identikit
Parla Guido Rasi che ha guidato l'agenzia italiana e quella europea: "Non serve uno scienziato da Nobel, un accademico. C'è bisogno, e subito, di un super tecnico. Uno dell'ambiente". Sarà donna? "L'importante è che sia la persona giusta, in tempi rapidi"
Era il 22 febbraio quando il virologo Giorgio Palù, da appena un paio di settimane confermato alla presidenza della nuova Aifa, sbatteva la porta dell'Agenzia italiana del farmaco dimettendosi fra le polemiche. E' passato quasi un mese e il sostituto ancora manca. Tanti rumor, ma di fatto nessun nome. Perché? Quale figura si sta cercando? E dove? Guido Rasi, professore di microbiologia all'università di Roma Tor Vergata, già direttore generale dell'ente regolatorio nazionale e per due volte direttore esecutivo dell'Agenzia europea del farmaco Ema, interpellato dall'Adnkronos Salute traccia un identikit del presidente ideale per l'Aifa e invita a far presto: "Non c'è bisogno di uno scienziato da Nobel", un super accademico, spiega. "Serve piuttosto una persona con un solidissimo background farmaceutico-regolatorio e una consuetudine assoluta con l'inglese". E "serve subito", ammonisce Rasi, perché in Europa i dossier 'caldi' sono tanti e "l'Italia deve poter pesare ai tavoli internazionali".
"Indubbiamente - premette l'esperto - ha sorpreso tutti il comportamento di Palù, imprevedibile e forse anche non molto responsabile, considerando che credo sapesse fin dall'inizio come stavano le cose". Detto questo, guardando al futuro, chi 'salverà' l'Aifa? "Il mio personale parere - risponde Rasi - è che il ruolo di presidente Aifa, soprattutto per come lo ha disegnato la riforma dell'agenzia, richieda un profilo molto specifico per un lavoro altrettanto specifico. Sicuramente una competenza clinica sarebbe molto utile, però bisogna focalizzarsi più sul lavoro che il presidente Aifa è chiamato a fare quotidianamente".
Qual è? "La determinazione del rapporto beneficio-rischio dei nuovi farmaci la fa l'Ema", ricorda l'ex direttore, quindi questo lavoro all'Aifa è 'risparmiato'. Il presidente entra in gioco "dopo che la Cse", la nuova Commissione unica scientifica ed economica, "ha valutato l'opportunità dell'entrata in commercio di un farmaco sul territorio nazionale, se rimborsarlo, quale tipo di rimborso dargli e quali indicazioni fornire per il suo impiego nella pratica clinica. L'ultimo check", la parola finale, "spetta al Consiglio di amministrazione e al suo presidente". E in un Cda in cui "tutti sono nuovi, bravi ma inesperti della materia, almeno il presidente deve esserlo. Deve essere una guida", sostiene l'ex Dg. Di più: "E' chiamato ad agire anche sviluppando una visione strategica" su questioni molto tecniche. Rasi fa degli esempi: "Gli toccherà valutare se la definizione di innovazione vigente sia ancora attuale; preparare una strategia per le terapie avanzate, che non abbiamo; capire se la Legge 648, che norma fra le altre cose l'uso compassionevole dei farmaci, vada ancora bene".
Un requisito chiave su cui insiste il docente di Tor Vergata è la competenza linguistica. Il presidente dell'Aifa "deve essere una persona che abbia un'assoluta dimestichezza con l'inglese e che lo parli correntemente, perché il rappresentante legale di Aifa siede nel Cda di Ema e questo è strategico", precisa Rasi che sul tema si toglie qualche 'sassolino' dalla scarpa: "Gli ultimi tre direttori generali" in Europa "non ci sono andati o non ci andavano quasi mai, e questo ha prodotto un danno molto grosso perché molte normative fondamentali sono state scritte o impostate senza che l'Aifa abbia avuto una gran voce in capitolo. Dossier chiave, su cui sarebbe stato bene che l'Italia pesasse invece di trovarsi a 'rincorrere' disposizioni magari più convenienti per altri Paesi, mentre il nostro era assente al tavolo delle trattative".
Ecco perché la figura che l'esperto ha in mente "deve conoscere molto bene l'argomento tecnico-regolatorio e avere grande familiarità con il network europeo, perché in questo anno avremo la nuova legge farmaceutica, la riforma dell'Ema, il regolamento sulla valutazione clinica congiunta Jca", elenca Rasi. "Il presidente Aifa dovrà essere presente - avverte - e portare posizioni italiane molto chiare, molto nette e molto ben elaborate". In definitiva "non serve uno scienziato da Nobel, un teorico magari bravissimo, ma senza esperienza del mondo regolatorio e delle leggi farmaceutiche internazionali. Serve un tecnico con un'esperienza scientifica-regolatoria inattaccabile - ribadisce - che sia persona rispettata o che si fa rispettare in Europa. Idealmente qualcuno che è già stato in Aifa o che ci sta attualmente, oppure che abbia lavorato a stretto contatto con i comitati Aifa". Insomma "una persona dell'ambiente".
Uomo o donna come le ultime indiscrezioni facevano sperare? "Io di donne veramente brave, che corrispondono bene alla descrizione che ho fatto - replica l'ex numero uno dell'Ema - ne conosco tante. Se troviamo la figura giusta in una donna, sarebbe ovviamente un bel segnale. Però l'Aifa, che in ogni caso ha al suo interno tante dirigenti di grandissimo livello - chiosa Rasi - ha bisogno di una guida adeguata a prescindere dal genere. Il profilo giusto, in tempi molto rapidi".