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Ucraina, Stefanini: “In Svizzera non ci sarà la pace,...
Ucraina, Stefanini: “In Svizzera non ci sarà la pace, ma conferenza segnale a Mosca”
Il consigliere dell'Ispi: "Quello che serve a Kiev è una scenografia politica di grande partecipazione internazionale che confermi la statualità e l'indipendenza del Paese".
In Svizzera ci sarà una conferenza di pace sull'Ucraina, "ma la pace non ci sarà". Stefano Stefanini, ex ambasciatore italiano alla Nato e consigliere dell'Ispi, chiarisce subito cosa bisogna o non bisogna aspettarsi dal vertice annunciato per la metà di giugno, sottolineando tuttavia "il segnale che sarà dato a Mosca: quello che il ricorso all'uso della forza non è passato inosservato". "Paradossalmente - ragiona Stefanini, parlando con l'Adnkronos - l'importanza della conferenza sta nell'assenza della Russia e nella partecipazione di molti Paesi", come Cina o India e Brasile, che "hanno accettato di esserci" anche se Mosca non ci sarà.
Questo non significa, sostiene l'ex ambasciatore, che Pechino - dove è stato nei giorni scorsi il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov - o altre capitali "cambieranno la propria posizione rispetto alla guerra solo perché andranno a Lucerna, ma la loro presenza darà comunque un segnale incoraggiante di solidarietà a Kiev".
Ovviamente, secondo Stefanini, dipende anche dal livello di rappresentanza dei Paesi invitati in Svizzera, "quello darà il grado di interesse" della conferenza. Ma "gli svizzeri - ricorda - sono meticolosi e hanno una diplomazia efficace, per cui ad oggi hanno evidentemente buoni elementi per pensare che i Paesi che hanno invitato parteciperanno e che ci potrà essere una buona parola su qualcuno dei punti" del piano di pace del presidente Volodymyr Zelensky.
Per esempio, spiega il consigliere dell'Ispi, potrebbe essere accettata "un'espressione che venga interpretata come un sostegno alla sovranità ed all'integrità territoriale dell'Ucraina, con termini vaghi e un richiamo alla carta delle Nazioni Unite", o ancora "qualche tocco su aspetti umanitari dimenticati, come quello dei bambini ucraini deportati in Russia". Certo, "lo scenario ottimale sarebbe che la conferenza si concludesse con una dichiarazione comune approvata da tutti i partecipanti", è l'auspicio di Stefanini, per il quale comunque quello che all'Ucraina "serve è una scenografia politica di grande partecipazione internazionale che confermi la statualità e l'indipendenza del Paese".
L'ex ambasciatore alla Nato commenta poi gli attacchi martellanti e devastanti dei russi contro le infrastrutture energetiche ucraine di questi giorni e la strategia che potrebbe esserci dietro. "E' difficile capire perché lo stiano facendo ora, alla fine dell'inverno, quando il bisogno di energia è minore - ammette - E' vero che i russi alternano gli obiettivi, una volta sono i porti e Odessa, una volta sono le infrastrutture. Probabilmente tutto questo rientra nella strategia generale di voler piegare la resistenza del popolo ucraino, secondo la logica imperiale per cui oltre che vincere la guerra bisogna assoggettare i popoli".
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TikTok rischia di scomparire dai telefoni americani. Il...
Dopo un mese di stallo, si avvicina il momento clou per TikTok: lo speaker della Camera Mike Johnson ha deciso di inserire la norma che prevede il bando della piattaforma video dagli Stati Uniti (a meno di un disinvestimento dei suoi azionisti cinesi), in un pacchetto di aiuti per Israele e Ucraina, che dovrebbe essere approvato sabato. Il Senato, finora tentennante sulla tagliola nei confronti dell'app usata da 170 milioni di americani, dovrebbe votare rapidamente il pacchetto, e il presidente Joe Biden ha promesso di firmare tutto immediatamente.
Nelle scorse settimane l'attività di lobbying della società, in particolare dell'amministratore delegato Shou Chew, è stata incessante. Molti utenti sono stati bombardati di messaggi sull'app in cui erano incoraggiati a protestare contro i parlamentari per la proposta di legge, che dà a ByteDance, la società che controlla TikTok, quasi un anno (erano sei mesi in una prima versione) per trovare azionisti non basati in Cina cui vendere le proprie quote. Se la cessione non dovesse andare in porto, l'app sparirebbe dagli app store e non potrebbe più essere scaricata dai cittadini americani. Uno dei potenziali compratori che stava mettendo in piedi una cordata è l'ex Segretario al Tesoro Steven Mnuchin.
TikTok, in un post su X mercoledì sera, ha scritto: "Ci dispiace che la Camera dei Rappresentanti stia usando il pretesto di importanti aiuti esteri e umanitari per forzare nuovamente un divieto che calpesterebbe i diritti alla libera espressione di 170 milioni di americani, devasterebbe 7 milioni di imprese e chiuderebbe una piattaforma".
Gli esperti di sicurezza nazionale ritengono TikTok uno strumento di propaganda e di raccolta massiccia di dati a uso e consumo del governo cinese. Alcuni parlamentari, come il libertario Rand Paul, sono convinti che una simile legge sarebbe giudicata incostituzionale dalla Corte Suprema. Donald Trump, che da presidente aveva per primo provato a costringere ByteDance a disinvestire da TikTok, ha nel frattempo cambiato idea. I maligni sostengono che il ripensamento è legato a uno dei più importanti donatori repubblicani, Jeff Yass, che ha investito 22 milioni nella società che si è appena fusa con Trump Media, e allo stesso tempo è azionista di ByteDance. Ma una maggioranza bipartisan, come la commissione che un mese fa ha votato 50 a 0 per portare il disegno di legge al voto dell'aula, si è ormai allineata alle preoccupazioni della Casa Bianca e dell'intelligence.
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L’Iran ha finanziato Hamas con 200 milioni. Le prove...
Il quotidiano inglese pubblica le lettere indirizzate al capo di Hamas che rivelano flussi milionari da dieci anni a questa parte
Durante le operazioni militari a Gaza, l'esercito israeliano ha trovato una serie di lettere indirizzate a Yahya Sinwar, il capo di Hamas nella regione, che rivelano dettagliati flussi di finanziamento da parte dell'Iran al gruppo combattente palestinese. Queste lettere, una delle quali datata 2020 e l'altra del 2021, documentano trasferimenti finanziari significativi, evidenziando la persistente dipendenza di Hamas dai fondi iraniani per le sue operazioni. Lo rivela il Times di Londra, che pubblica anche le lettere.
Il documento più recente dettaglia i pagamenti effettuati in seguito alla cosiddetta "Operazione Spada di Gerusalemme", con somme che ammontano a decine di milioni di dollari. In particolare, dopo il conflitto del 2021, l'Iran ha trasferito 58 milioni di dollari a Hamas, oltre ad altre somme minori destinate sia all'apparato militare che a quello politico del gruppo. Questi fondi sarebbero stati consegnati in contanti a Beirut da ufficiali della Guardia Repubblicana iraniana e poi trasferiti a Gaza attraverso una rete di cambiavalute.
La lettera più vecchia, al contrario, risale al periodo di un altro conflitto tra Israele e Hamas, tra il 2014 e il 2020, durante il quale sono stati trasferiti un totale di 154 milioni di dollari. Questi fondi erano apparentemente destinati direttamente a figure chiave di Hamas, compreso Sinwar, oltre a finanziare le operazioni militari durante il conflitto.
Il ritrovamento di queste lettere fornisce una chiara testimonianza del sostegno continuativo dell'Iran a Hamas, nonostante le numerose dichiarazioni internazionali e le sanzioni. La documentazione suggerisce una relazione intricata e dettagliata tra il gruppo combattente palestinese e i suoi finanziatori in Iran, con implicazioni significative per la stabilità regionale.
Esteri
Iran, fonti Usa: “improbabile” attacco Israele...
Lo riferisce AbcNews. I preparativi di un attacco sarebbero stati avviati e sospesi già due volte
È improbabile che Israele effettui un attacco contro l'Iran prima della fine delle celebrazioni della Pasqua ebraica, che iniziano nella serata di lunedì 22 aprile e si concluderanno nella serata del 30. A riportare la notizia, attribuendola ad un alto funzionario statunitense, è AbcNews. La stessa fonte citata dall'emittente parla di uno stato di massima allerta in Iran per il rischio di un attacco.
Preparati della risposta israeliana avviati e sospesi due volte
Sempre secondo quanto riferito ad AbcNews da tre fonti israeliane, Tel Aviv ha avviato, quindi interrotto i preparativi per l'attacco di rappresaglia contro l'Iran in almeno due occasioni nelle notti della scorsa settimana.
Il gabinetto di guerra israeliano ha valutato una serie di risposte, dall'attacco ai 'proxy' iraniani nella regione, ma non sul suolo iraniano, a un potenziale attacco informatico, hanno riferito le stesse fonti ad Abc.
Fonti Egitto: "Sì da Usa ad attacco Rafah in cambio di rinuncia ad apio attacco Iran
Intanto secondo quanto scrive la pubblicazione qatarina Al-Araby Al-Jadeed, citato dal Times of Israel, attribuendo la dichiarazione ad un funzionario del Cairo, gli Stati Uniti avrebbero accettato il piano israeliano per un'operazione a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, in cambio della rinuncia da parte dello stato ebraico a sferrare un attacco di ampia portata in Iran per rappresaglia contro l'attacco iraniano a Israele.
"L'amministrazione americana ha mostrato di accettare il piano precedentemente presentato dal governo di occupazione per quanto riguarda l'operazione militare a Rafah, in cambio della rinuncia a un attacco su larga scala contro l'Iran", scrive Al-Araby Al-Jadeed, citato dal Times of Israel, attribuendo la dichiarazione ad un funzionario del Cairo, secondo il quale sarebbero in corso i preparativi per consentire all'Egitto di far fronte a qualsiasi possibile impatto della prevista operazione.