

Cronaca
Iraq, Trump: “ce ne andremo a breve”
Donald Trump giovedì ha ribadito la sua promessa di ritirare le ultime truppe americane in Iraq, sottolineando che gli Stati Uniti sono pronti a venire in aiuto se l’Iran agisce in modo ostile.
Parlando alla Casa Bianca, durante il suo primo incontro con il primo ministro iracheno, Mustafa Al-Kadhimi, il presidente degli Stati Uniti si è detto impaziente che le truppe statunitensi lascino l’Iraq.
Il Presidente, Donald Trump, ha dichiarato in un’intervista che “ce ne andremo a breve, abbiamo pochi soldati in Iraq – prosegue – ma siamo qui per aiutare, e questo il Primo Ministro lo sa. Se l’Iran dovesse agire in modo ostile, noi saremo lì per aiutare il popolo iracheno“.
Il presidente degli Stati Uniti ha scelto, tuttavia, di non fornire un calendario per il ritiro completo delle truppe statunitensi dall’Iraq.
Inoltre, Donald Trump ha indicato che le compagnie americane stavano già siglando “contratti petroliferi molto importanti” in Iraq.
Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha detto che Washington sta lavorando per ridurre il contingente di truppe statunitensi in Iraq “al livello più basso il prima possibile“.
Sono circa 5.000 i soldati americani di stanza nel Paese, dove sono anche presenti 2.500 soldati della coalizione.
Mustafa Al-Kadhimi, entrato in carica ad aprile dopo mesi di instabilità e cambiamento politico in Iraq, ha dichiarato che Baghdad era in trattative con Ankara su quella che ha descritto come un’implicazione “inaccettabile” Turchia nel nord dell’Iraq.
Cronaca
Impagnatiello, i dubbi degli investigatori dopo la confessione

Qualcosa continua a non tornare nella versione fornita dal barman 30enne sull'omicidio di Giulia Tramontano. Oggi i rilievi nella casa di Senago dove viveva la coppia

C’è qualcosa che continua a non tornare nella versione fornita agli inquirenti da Alessandro Impagnatiello, il barman 30enne in carcere da giovedì scorso per l’omicidio della compagna incinta Giulia Tramontano. L’uomo ha confessato di aver ucciso Giulia, di avere tentato di bruciarne due volte il corpo, che ha nascosto prima in garage e poi in auto e infine, nella notte tra martedì e mercoledì scorso, gettato in un’intercapedine in un’area dismessa. Eppure, quando il cadavere giaceva nella sua auto – stando alla sua ricostruzione – i carabinieri che indagavano sulla scomparsa della 29enne non ne avevano trovato traccia nel bagagliaio della T-Roc, ben visibile dall’esterno, poiché sprovvisto di copertura.
Il copri bagaglio è stato ora sequestrato e proseguono le indagini, coordinate dall’aggiunto Letizia Mannella e dal pm Alessia Menegazzo, anche per capire se effettivamente Impagnatiello – come lui sostiene – abbia agito da solo, dal momento dell’omicidio fino a quello in cui ha gettato il cadavere della compagna.
Oggi alle 12 i carabinieri del Sis del nucleo investigativo entreranno nell’appartamento in cui la coppia viveva in via Novella, a Senago, per effettuare rilievi alla presenza delle parti. Per rappresentare Impagnatiello, il cui legale di fiducia Sebastiano Sartori, ha rinunciato ieri al mandato, è stato nominato un avvocato d’ufficio, dopo non poche difficoltà – a quanto si apprende – a reperirne uno disponibile. Nel frattempo nella giornata appena conclusa gli inquirenti hanno riascoltato tutti i familiari della vittima e anche l’addetto alle pulizie che aveva trovato cenere nella casa di Senago, mentre si continua a cercare il telefono di Giulia, gettato – a quanto racconta Impagnatiello – in un tombino.
Cronaca
Cosenza, crollano solai in palazzo a Corigliano Calabro: un ferito

L'uomo è stato estratto dalle macerie
Crollo di più solai in un edificio di quattro piani nel centro storico di Corigliano Calabro (Cosenza). Sul posto sono al lavoro le squadre dei vigili del fuoco del comando di Cosenza, i distaccamenti di Corigliano Rossano e vigili del fuoco volontari di Trebisacce. Un uomo è stato estratto dalle macerie: ferito ma cosciente è stato affidato al personale sanitario del Suem 118 e poi trasportato in ospedale con l’elisoccorso. Continuano le verifiche sull’eventuale presenza di altri condomini coinvolti e per la messa in sicurezza dei luoghi.
Cronaca
Gratta e Vinci, centrata super vincita da 6 milioni di euro

La vincita top a Torino, è la più alta dell'anno. Protagonista il tagliando 'Vinci in Grande', dal costo di 25 euro

Il mese di giugno è iniziato alla grande per gli appassionati dei Gratta e Vinci. E’ stata centrata la più alta vincita dell’anno da 6 milioni di euro con il ‘Gratta e Vinci’: una super vincita, segnala l’agenzia Agimeg, ha aperto il mese. Protagonista il tagliando ‘Vinci in Grande’, dal costo di 25 euro e che permette la più alta vincita possibile per quanto riguarda i ‘Gratta e Vinci’.
Nel tagliando ‘Vinci in Grande’ sono previste le seguenti modalità di premio: se nell’area ‘I tuoi numeri’ trovi, una o più volte, uno o più ‘Numeri vincenti’ vinci il premio o la somma dei premi corrispondenti; se trovi il numero ‘Bonus X10’ vinci 10 volte il premio corrispondente. Se sotto ‘Numero Jolly €100’, ‘Numero Jolly €250’ o ‘Numero Jolly €500’ trovi uno dei ‘Numeri vincenti’ vinci rispettivamente €100, €250 o €500.
‘Gioco Bonus’: se sotto le stelle ‘Bonus €100’, ‘Bonus €200’, ‘Bonus €250’, ‘Bonus €400’ o ‘Bonus €500’ trovi il simbolo della ‘banconota’ vinci rispettivamente €100, €200, €250, €400 o €500. Il ‘Vinci in Grande’ permette la più alta vincita in assoluto – sottolinea Agimeg – per questo tipo di gioco e precisamente 6 milioni di euro. E la vincita top è stata centrata nella Tabaccheria Svizzera, di Corso Svizzera 43/c a Torino. Si tratta della più alta vincita dell’anno per quanto riguarda i Gratta e Vinci.
Cronaca
Giulia Tramontano, legale famiglia: “Ora chiedono di vivere il lutto”

L'avvocato Cacciapuoti: "Oggi ulteriormente sentite la sorella e la mamma per nuovi approfondimenti investigativi. Piena fiducia nella magistratura"

La famiglia di Giulia Tramontano è “grata alla stampa e all’opinione pubblica che dalla prima ora si sono spesi, come anche le forze dell’ordine, a partire dai carabinieri della stazione di Senago”, ma “chiedono di avere la possibilità di essere il più sereni possibile e di vivere il dolore e il lutto, in relazione al quale dovranno soffrire ancora lungamente, anche semplicemente per dare una degna sepoltura alla loro Giulia”. Così il legale della famiglia Tramontano, Giovanni Cacciapuoti, al termine dell’incontro in procura a Milano con la pm Alessia Menegazzo che segue le indagini sull’omicidio.
Per quanto riguarda i rilievi tecnici previsti nei prossimi giorni e l’autopsia sul corpo di Giulia, fissata per venerdì “ci affidiamo ai consulenti della procura e alle forze di polizia giudiziaria, abbiamo piena fiducia nella magistratura”, ha detto l’avvocato Cacciapuoti ricordando che i parenti di Giulia “hanno cominciato a sospettare sin dalla prima ora che qualcosa non andasse. La famiglia, conoscendo Giulia e la condizione che viveva di donna gravida di sette mesi” sapeva che “difficilmente avrebbe fatto perdere le tracce di sé in maniera volontaria”. Per questo “qualcosa li aveva insospettiti e sono stati reattivi nel dare un contributo dalla prima ora alle investigazioni”, ha sottolineato ancora il legale riferendo che “oggi sono state ulteriormente sentite la sorella e la mamma per nuovi approfondimenti investigativi”.
Cronaca
Caso Montante, l’ex sindaco Campisi: “Vita infernale coi paladini antimafia”

L'ex sindaco di Caltanissetta depone al maxiprocesso, l'imprenditore non rinuncia alla prescrizione

(dall’inviata Elvira Terranova) – Con voce pacata ma ferma l’ex sindaco di Caltanissetta Michele Campisi ripete più volte di avere vissuto, tra il 2009 e il 2014, una “vita infernale”, dopo avere annunciato di volere creare una associazione antiracket a Caltanissetta. Durante la sua deposizione al ‘maxiprocesso’ che vede alla sbarra l’ex presidente degli industriali siciliani Antonello Montante, accusato di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e accesso abusivo al sistema informatico, l’ex sindaco ha ricordato il periodo in cui si trovò “in piena solitudine” contro “i paladini dell’antimafia” che venivano “elogiati dai magistrati”. E ricorda, in particolare, un aneddoto, quando cioè voleva creare una associazione antiracket intitolata al giudice Rosario Livatino, ucciso dalla mafia. “Avevano dato la loro adesione una ventina di imprenditori e avevo annunciato che il Comune si sarebbe costituito parte civile in tutti i processi di mafia”, spiega Campisi.
“All’uscita del pontificale il questore di allora Marino mi disse che avrei dovuto rinviare l’avvio dell’associazione perché non erano arrivati a controllare una persona – dice ancora l’ex sindaco – Io tolsi questo signore e costituimmo l’associazione Rosario Livatino con l’autorizzazione alla famiglia. Uno solo era di Caltanissetta, le altre persone tra San Cataldo e Niscemi. Da quel momento ebbi due mesi di vita infernale. Fui convocato in prefettura e si fece una riunione e venne addirittura Tano Grasso, c’erano tanti giornalisti. C’era Alfonso Cicero, non ricordo se c’era pure Montante, probabilmente c’era, e poi Marco Venturi (oggi uno dei più grandi accusatori di Montante ndr) e Ivan Lo Bello. Fui fatto nero in quella circostanza perché – non si capiva perché – non potevo costituire quella associazione. Fui convocato dal prefetto Petrucci. Il prefetto mi disse, dopo che eravamo rimasti soli, ‘Lei è una persona onesta vada avanti’. In quella riunione emerse che era stata costituita un’associazione antiracket a Caltanissetta ma c’era un solo associato e questo signore era presente alla riunione sembrerebbe, ma io non ne ho visti, che era stata costituita prima. Io dissi che ce ne potevano essere anche mille”.
Poi l’ex sindaco di Caltanissetta aggiunge: “Ricordo che a ogni inaugurazione dell’anno giudiziario, per cinque volte di seguito, quando ero sindaco, si diceva sempre che dovevamo seguire il percorso di legalità che stavano tracciando quelli di Confindustria. Se io fossi stato accanto a loro, forse sarebbe andata diversamente. Il vento in poppa era quello in quel momento…”. E ancora: “Non c’era un passaggio in cui i procuratori non esaltassero i ‘paladini dell’antimafia’. Io volevo un sostegno forte della magistratura, ma mi trovavo sempre più solo”. “Si parlava di una forza politica importante che era composta dal gruppo dei ‘legalisti’, che rano Montante, Venturi e Romano (l’imprenditore ndr)”.
Sempre oggi è stato sentito, come teste, anche un ispettore della Guardia di Finanza di Caltanissetta, Vincenzo Daniele, che nel 2009, dopo una segnalazione, aveva avviato degli accertamenti su operazioni sospette riguardanti l’imprenditore Pasquale Giorgio, amico dell’imprenditore Antonello Montante. In particolare le Fiamme gialle sospettavano operazioni di riciclaggio dell’imprenditore con il Venezuela. Ma dopo alcuni mesi, il maggiore Ettore Orfanello, che guidava le Fiamme gialle, chiese notizie sull’indagine facendo capire ai suoi sottoposti che quell’accertamento “andava archiviato”. Orfanello è tra gli imputati del processo. ”Qualche tempo l’inizio degli accertamenti – racconta l’ispettore della Gdf interrogato dal pm Maurizio Bonaccorso- il maggiore Orfanello mi chiese come andava l’indagine e io risposi che dagli accertamenti bancari stavamo accertando le operazioni sospette, di riciclaggio. Lui mi disse che ci voleva il reato presupposto e io risposi che lo avremmo trovato, ma lui con tutto un discorso mi fece capire che avrebbe voluto archiviare la pratica e dopo tre giorni fui trasferito alla compagnia di Caltanissetta e non ne seppi più nulla”.
“Vidi dopo qualche mese un pacco sopra la scrivania dell’ufficio comando e allora capii che quel pacco che riguardava l’indagine su Giorgio stava andando all’archivio”, ha proseguito il finanziere sollecitato dalle domande del pm Bonaccorso.
In apertura di udienza è stato reso noto al Presidente Francesco D’Arrigo che l’ex presidente degli industriali siciliani Antonello Montante non rinuncia alla prescrizione, scattata nelle scorse settimane per un reato. Ad annunciarlo in aula, a inizio udienza, è stato il suo legale, l’avvocato Giuseppe Panepinto. Invece, un altro imputato, Letterio Romeo, ufficiale dell’Arma dei carabinieri, attraverso il suo legale, l’avvocato Giuseppe Dacquì, è l’unico imputato a rinunciare alla prescrizione nell’ambito del processo al cosiddetto ‘cerchio magico’ di Montante. Che anche oggi, nel giorno del suo sessantesimo compleanno, è assente.
Nella scorsa udienza era stato il Presidente del Tribunale, Francesco D’Arrigo a parlare della prescrizione su alcuni reati e aveva chiesto ai legali degli imputati e alle parti civili di effettuare le dovute verifiche. Per Montante era subentrata la prescrizione per il capo di imputazione H, cioè la truffa in concorso, insieme con l’ex assessora regionale all’Industria Linda Vancheri e con l’imprenditore Carmelo Turco. La prescrizione riguarda anche l’imputato Salvatore Calì per il capo J, cioè per favoreggiamento, ma anche Carlo La Rotonda e lo stesso Calì per il capo L, cioè la simulazione di reato. Inoltre, prescritto anche il capo M per Letterio Romeo, cioè il falso.
Nel ‘processone’ di Caltanissetta, che si celebra presso l’aula bunker del carcere Malaspina, sono imputati, oltre all’ex paladino dell’antimafia Antonello Montante, ex presidente di Confindustria Sicilia, l’ex presidente della Regione Rosario Crocetta, gli ex assessori Linda Vancheri e Mariella Lo Bello, l’ex commissario Irsap Maria Grazia Brandara, gli imprenditori Giuseppe Catanzaro, Rosario Amarù e Carmelo Turco, Vincenzo Savastano vice questore aggiunto all’epoca dei fatti della Polizia presso l’ufficio di frontiera di Fiumicino, Gaetano Scillia capocentro Dia di Caltanissetta dal 2010 al 2014, Arturo De Felice, direttore della Dia dal 2012 al 2014, Giuseppe D’Agata, colonnello dei carabinieri, e Diego Di Simone Perricone, ex capo della security. Sul banco degli imputati anche l’ex Presidente del Senato Renato Schifani, oggi accusato di concorso esterno in associazione a delinquere semplice e rivelazione di notizie riservate.
Sotto processo anche l’ex direttore dell’Aisi Arturo Esposito, il caporeparto dell’Aisi Andrea Cavacece, il ”re dei supermercati” Massimo Romano, il tributarista Massimo Cuva, il colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata, il sindacalista Maurizio Bernava, gli imprenditori del settore sicurezza Andrea e Salvatore Calì, Rosetta Cangialosi, Carmela Giardina e Vincenzo Mistretta (tre dipendenti di Montante), il poliziotto Salvatore Graceffa; il dirigente di Confindustria Carlo La Rotonda; il maggiore della Guardia di Finanza Ettore Orfanello; il luogotenente Mario Sanfilippo e il colonnello dei carabinieri Letterio Romeo.
L’ex paladino dell’antimafia Antonello Montante, secondo gli inquirenti, avrebbe messo in piedi un vero e proprio ‘sistema’ di potere, ideato e attuato “grazie a una ramificata rete di relazioni e complicità intessuta con vari personaggi inseriti ai vertici dei vari settori delle istituzioni”. Inoltre sarebbe stato al centro di una attività di dossieraggio realizzata, anche grazie a complicità eccellenti, attraverso l’accesso alla banca dati delle forze dell’ordine e finalizzata a ricattare “nemici”, condizionare attività politiche e amministrative e acquisire informazioni su indagini a suo carico. Il processo è stato rinviato a lunedì prossimo, 12 giugno, per sentire altri testi dell’accusa.
Cronaca
Narcotizzò e violentò sei ragazze, pena ridotta a 9 anni in appello

L'imprenditore farmaceutico Antonio Di Fazio in primo grado era stato condannato a 15 anni e 6 mesi per sei episodi di abusi

E’ stata ridotta in appello a 9 anni di reclusione la condanna di Antonio Di Fazio, il manager imputato per sei episodi di violenza sessuale con utilizzo di benzodiazepine. Il pg di Milano Laura Gay aveva chiesto 12 anni per Di Fazio, che l’anno scorso in primo grado era stato condannato a 15 anni e 6 mesi.
La corte d’appello, a differenza del gup in primo grado, ha riconosciuto una continuità tra gli episodi di violenza contestati a Di Fazio e assolto l’imprenditore del settore farmaceutico per il solo reato di sequestro di persona nel caso della studentessa della Bocconi, attirata in casa con la scusa di uno stage formativo e poi narcotizzata e violentata. È invece intervenuta la prescrizione per i maltrattamenti, lo stalking e la violenza sessuale del 2012 a danno dell’ex moglie.
“La cosa scandalosa è che per la mia assistita la giustizia è arrivata troppo in ritardo”, ha commentato al termine dell’udienza il legale della donna, l’avvocato Maria Teresa Zampogna, annunciando: “Non ci resta che ricorrere alla Cedu e fare causa allo Stato, che non ha protetto né la mia assistita né suo figlio per tutti questi anni in cui ha chiesto aiuto alle autorità”. Si sono detti “non soddisfatti” i legali di Di Fazio, Mauro Carelli e Andrea Soliani, perché “pur avendo ottenuto una sensibile diminuzione della pena originariamente inflitta, riteniamo che manchi ancora un bel delta per arrivare alla pena equa che contiamo di avere. Ora – hanno annunciato – leggeremo le motivazioni, e depositeremo ricorso in Cassazione. Andiamo avanti per la nostra strada che è la strada giusta e contiamo di arrivare ad una pena più equa”.
Cronaca
Omicidio Cerciello, condanna per bendaggio Hjorth: le motivazioni

Il giudice nella sentenza con cui ha condannato a 2 mesi il carabiniere Manganaro: "Misura non prevista dalla legge" anche se fatto allo "scopo di tutelare i suoi colleghi"

“Sull’assoluta anomalia della misura adottata dal sottufficiale imputato non possono, in concreto, nutrirsi dubbi di sorta in quanto non solo la stessa non è espressamente prevista (e il dato non è solo meramente formale) da alcuna disposizione di legge, ma la totalità dei testi cui la relativa domanda è stata posta nel presente procedimento ha escluso, nonostante trattasi di soggetti con diversi anni di esperienza in attività di polizia giudiziaria, di aver mai proceduto o assistito al bendaggio di un fermato, procedura infatti che non rientra certo nelle prassi operative delle forze di polizia italiane”. E’ quanto scrive il giudice monocratico di Roma Alfonso Sabella nella sentenza con cui lo scorso febbraio ha condannato a due mesi, pena sospesa, Fabio Manganaro, il carabiniere accusato di misura di rigore non consentita dalla legge per aver bendato Gabriel Natale Hjorth nella caserma di via in Selci dopo il fermo dei due americani, Hjorth e l’amico Finnegan Elder Lee per l’omicidio del vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega, ucciso con undici coltellate nella notte tra il 25 e il 26 luglio 2019 nel centro della Capitale.
Con la sentenza il giudice aveva disposto anche un risarcimento di 5mila euro in favore di Hjorth. La pm Maria Sabina Calabretta aveva chiesto una condanna a tre mesi. Nel corso del procedimento l’imputato aveva riferito di aver bendato il giovane americano per calmarlo. Tesi che non ha convinto il giudice. ‘’Il tribunale – si legge nelle motivazioni della sentenza – non riesce a comprendere bene la relazione tra il bendaggio di un individuo in un contesto quale quello chiaramente emerso in dibattimento e la necessità di tranquillizzarlo ritenendo che, a differenza di quanto avviene per gli uccelli rapaci quando vengono privati degli stimoli visivi, un essere umano appena aggredito con quelle modalità dovrebbe, all’esatto contrario, agitarsi molto di più non potendo nemmeno vedere se qualcuno si appresta a colpirlo e da che punto arriva la minaccia (e del resto lo stesso Manganaro ha dichiarato anche di avergli coperto gli occhi … per disorientarlo)”.
“Per quanto possa apparire quasi paradossale, ritiene il Tribunale che Fabio Manganaro abbia posto in essere quel comportamento, comunque penalmente rilevante e per il quale non può non essere condannato, al principale, se non addirittura esclusivo, scopo di tutelare i suoi colleghi – conclude il giudice nelle motivazioni – sia elidendo, già ab origine, la possibilità di pervenire successivamente a una loro identificazione (in una delle chat dei carabinieri coinvolti nelle indagini si legge infatti che Natale Hjorth ‘è stato bendato per non vedere’), sia provando a togliere ai medesimi ulteriori possibilità di porre in essere altre condotte aggressive nei confronti del fermato; proprio per questi motivi, se non possono non riconoscersi all’imputato, militare ampiamente stimato e ovviamente privo di pregiudizi penali, le circostanze attenuanti generiche, si impone l’individuazione di una sanzione prossima ai limiti edittali e individuata in quella di cui al dispositivo cui si perviene partendo da una base di mesi tre di reclusione ridotta di un terzo per le generiche”.
Cronaca
Bimba morta di stenti a Milano, così venne ritrovata la piccola Diana

Oggi la descrizione in aula durante il processo a carico della madre Alessia Pifferi

Addosso solo un vestitino giallo, il corpo pulito, senza pannolino, poggiato nel lettino senza lenzuola. Così la polizia trovò Diana, la bimba di 18 mesi morta di stenti a Milano la scorsa estate dopo essere stata lasciata sola in casa dalla madre Alessia Pifferi.
La descrizione dettagliata del corpo e della casa di via Parea al momento del ritrovamento del cadavere della piccola, è stata fatta dalla dirigente della polizia scientifica Annamaria Di Giulio durante l’udienza del processo in cui Alessia Pifferi, presente in aula, è imputata per omicidio volontario pluriaggravato. Diana portava segni evidenti della morte già avvenuta. “Si vedeva che era stata risciacquata perché la testa era umida”, ha raccontato Di Giulio in udienza.
Anche il lettino in cui la piccola giaceva, senza lenzuola e senza copricuscino, con solo un coprimaterasso, era pulito. Nella lavatrice gli agenti hanno trovato i panni ancora umidi. Mentre il pannolino che Diana presumibilmente indossava durante l’agonia era accatastato nel cestino insieme a molti altri sporchi.
Cronaca
Impagnatiello: “Ho fatto tutto da solo, il coltello è a casa”. Legale rinuncia a incarico

L'indicazione fornita al gip. Domani nuovo sopralluogo nell'appartamento. Il suo avvocato rinuncia all'incarico: "Questione tra me e il mio assistito". Venerdì l'autopsia sul corpo di Giulia

Alessandro Impagnatiello, l’uomo accusato di aver ucciso la fidanzata Giulia Tramontano, incinta di sette mesi, assicura di aver fatto tutto da solo, senza l’aiuto di complici. A rivelarlo ai microfoni Rai è stato il suo legale, Sebastiano Sartori, al termine dell’incontro di oggi nel carcere milanese di San Vittore. A chi gli chiede se qualcuno abbia aiutato il killer, il legale risponde: “Lui lo esclude” e aggiunge: “Sarà sicuramente da valutare la sua sfera psicologica”. Nel frattempo, riferisce l’avvocato, “lui è sempre più lucido e ha preso coscienza di quello che ha fatto”.
Impagnatiello ha anche indicato agli inquirenti dove trovare l’arma del delitto. Il coltello sarebbe all’interno dell’appartamento dove viveva la coppia. “Non l’ha buttato, ha detto specificatamente dove sia”, ha riferito Sartori. Per questo domani dall’appartamento verranno rimossi i sigilli per consentire ai Ris di recuperarlo.
Sartori ha rinunciato alla difesa di Impagnatiello. Dopo aver depositato l’atto di rinuncia in procura, l’avvocato ha spiegato ai cronisti che si tratta di “una questione tra me e il mio assistito”, a cui ha annunciato la decisione questa mattina a San Vittore.
Mentre si terrà venerdì mattina l’autopsia sul corpo di Giulia Tramontano.
Cronaca
Roma, responsabile onlus arrestato per abusi su minori: almeno 4 vittime

Il 49enne approfittava del suo ruolo di educatore. Al vaglio anche il ruolo di una donna
Sono almeno 4 i minori vittime di abusi sessuali da parte di un 49enne, responsabile di una Onlus con sede a Roma nel quartiere Tuscolano, arrestato dopo un’inchiesta della Procura di Roma. L’uomo avrebbe abusato del suo ruolo di educatore plagiando le giovani vittime. Gli abusi avvenivano nella sede dell’associazione ma anche nella casa dell’uomo, finito ora nel carcere di Regina Coeli.
I fatti sarebbero avvenuti nell’arco di alcuni anni e al vaglio degli inquirenti anche la posizione di una donna. A far scattare l’inchiesta è stata la denuncia di una ragazza, ex fidanzata di un giovane che si era confidato con lei. Le indagini, condotte dalla polizia e affidate al pm Antonio Verdi, puntano ora a scoprire eventuali altre vittime del 49enne.
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