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Salute e Benessere

Trapianti, inizio 2023 da record, 14 interventi in 10 giorni

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(Adnkronos) – Inizio 2023 da record per l’Ospedale Niguarda di Milano, dove in 10 giorni sono stati eseguiti 14 trapianti d’organo (9 di fegato e 5 di rene), due dei quali resi possibili grazie a ‘donatori a cuore fermo’ (Ddc), di cui uno in circolazione extracorporea Ecmo, con procedure molto complesse – spiegano dall’Asst Grande Ospedale metropolitano – che non possono essere eseguite in tutti i centri. Nel caso del trapianto di fegato, evidenziano inoltre dalla struttura, l’impegno profuso dalla grande macchina dei trapianti è doppio. In questi casi devono infatti attivarsi due équipe diverse, una che si occupa del prelievo dell’organo, che può avvenire anche in altri ospedali, e un’altra che esegue il trapianto. 

“L’Ospedale Niguarda è riuscito in questa grande e complessa impresa – afferma Luciano De Carlis, direttore del Niguarda Transplant Center – Un risultato così importante è stato raggiunto grazie al lavoro integrato di équipe specialistiche, tecnologie di ultima generazione e laboratori accreditati secondo standard internazionali. In particolare, l’innovazione tecnologica, apportata grazie alle macchine da perfusione, consente di migliorare la salute dell’organo, rigenerandone le riserve energetiche, e di prolungarne il tempo di ischemia di modo da ottimizzare anche le tempistiche del trapianto. Si tratta di una tecnologia applicata per la prima volta in Italia proprio presso il nostro ospedale nel 2015 e oggi ampiamente utilizzata e diffusa”. 

Niguarda è uno dei principali centri trapianti italiani sia per volumi di attività sia per il grado di specializzazione, ricorda l’azienda socio sanitaria territoriale in una nota. E’ uno dei pochi centri in Lombardia a effettuare trapianti per quasi tutti gli organi (cuore, pancreas, rene, fegato), senza dimenticare i trapianti di tessuti e cellule (come per esempio le cornee).  

“I numeri di questi giorni – rimarcano dall’Asst – raccontano del grande sforzo organizzativo, dell’attenzione, della professionalità e della competenza dei tanti operatori coinvolti nella realizzazione di un trapianto: un lavoro di squadra complesso che richiede molto impegno e dedizione. Un’impresa corale che permette di salvare tante vite e che inizia con un bellissimo gesto di solidarietà: la scelta di donare. L’Italia, da questo punto di vista, festeggia proprio in questi giorni un bellissimo risultato. Per la prima volta, infatti, le donazioni di organi hanno superato quota 1.800 in un anno (2022), con un significativo incremento anche dei trapianti: 3.887, il secondo miglior risultato di sempre”.  

“Un trapianto, prima di tutto, ha bisogno di qualcuno che abbia scelto di donare i propri organi – dichiara Marco Bosio, direttore generale di Niguarda – quindi il mio grazie e il mio pensiero vanno prima di tutto ai donatori e alle loro famiglie. Grazie poi a tutti i chirurghi, anestesisti, internisti, tecnici di laboratorio, infermieri, operatori del trasporto, personale impegnato nel coordinamento e nel prelievo degli organi, oltre 100 persone, per aver contribuito alla crescita di uno dei progressi più straordinari non solo della terapia, ma anche della solidarietà umana”. 

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Candida auris, Andreoni: “Fungo preoccupa, presente in Italia dal 2019”

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(Adnkronos) – La Candida auris “è un fungo che conosciamo. E’ presente in Italia dal 2019. E’ molto resistente a tutti gli antifungini che abbiamo. E’ un fenomeno di estrema preoccupazione perché questo è il grande problema globale: la comparsa di germi resistenti a tutti gli antimicrobici che abbiamo”. Così all’Adnkronos Salute Massimo Andreoni, direttore scientifico Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), oggi a Roma, a margine dell’incontro ‘We stand with public health: a call to action for infectious disease’, organizzato insieme alla Società italiana di medicina generale e cure primarie (Simg), commentando l’allarme, negli Usa, su questo fungo.  

La Candida auris si iscrive a pieno titolo nel fenomeno della resistenza ai farmaci: “Con i funghi non c’eravamo abituati, c’eravamo confrontati con il problema legato principalmente ai batteri”, conclude, ricordando che l’Organizzazione mondiale della Sanità prevede, per l’antibioticoresistenza, milioni di morti entro il 2050. “Diventerà la prima causa di morte al mondo. Sarà più letale della pandemia che abbiamo vissuto”.  

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Salute: entro 2050 metà popolazione allergica, colpa anche di cambiamenti clima

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(Adnkronos) – “Entro la metà di questo secolo, oltre il 50% della popolazione sarà allergica e non si profilano miglioramenti nello scenario futuro”. E gli italiani Attualmente, sono 100 milioni i cittadini europei che soffrono di rinite allergica e 70 milioni di asma. “Due malattie spesso associate, tanto che possiamo affermare che oltre il 90% degli asmatici ha anche la rinite e metà delle persone che hanno la rinite hanno l’asma in diverse gravità”. Così Lorenzo Cecchi, presidente Associazione allergologi e immunologi territoriali e ospedalieri (Aaiito) nel suo intervento all’evento ‘Allergie respiratorie e clima: cosa sta cambiando e cosa sapere’, incontro promosso oggi da Assosalute, Associazione nazionale farmaci di automedicazione, parte di Federchimica.  

Poiché le allergie respiratorie sono provocate da allergeni che entrano in contatto con l’organismo attraverso l’aria respirata, la correlazione tra inquinamento atmosferico/smog – è emerso dall’incontro – e aumento delle patologie allergiche è immediata. “Ciò – prosegue l’esperto – è dovuto alla sinergia dannosa tra inquinanti, pollini e allergeni. Gli inquinanti, da un lato, danneggiano la mucosa e facilitano la maggiore penetrazione dei pollini e, dall’altro, aumentano l’allergenicità degli stessi”. A questo si aggiungono gli effetti dei cambiamenti climatici, in particolare l’aumento della temperatura, che influisce, anticipando le stagioni di fioritura delle piante, come betulla e cipresso, e prolungando, ad esempio, quella delle graminacee e della parietaria.  

“L’inquinamento – rimarca – contribuisce al danneggiamento della cosiddetta ‘barriera epiteliale’, un muro fatto di mattoni dove al di sotto si trova il sistema immunitario, come se fosse uno scudo che filtra ciò che arriva dall’esterno, limitando il numero di sostanze che entrano in contatto col sistema immunitario. Le sostanze che l’uomo ha introdotto nell’ambiente negli ultimi 60-70 anni, circa 350mila, provocano la sconnessione di questi mattoni e la conseguente penetrazione di allergeni, sostanze inquinanti, irritanti e microorganismi, inclusi i batteri. Alcuni di questi ultimi abitano sopra la barriera epiteliale e contribuiscono all’equilibrio con il sistema immunitario. Il danneggiamento della barriera epiteliale provoca e alimenta l’infiammazione, che è la fonte di malattie allergiche ma anche di altre malattie croniche”. 

Per evitare questa “sconnessione” del muro e queste eccessive infiltrazioni, “è necessario – ribadisce Cecchi – impegnarsi per ridurre le sostanze che generano inquinamento outdoor e indoor”. Nonostante sia indiscutibile la predisposizione genetica alle allergie respiratorie, “anche a causa dell’ambiente circostante si può diventare allergici. A corroborare questa tesi, “la cosiddetta ipotesi igienica, secondo cui le persone in contatto con gli agenti patogeni hanno meno probabilità di essere allergici, come ampiamente studiato nei bambini che nascono in contesti rurali rispetto ai loro coetanei che vivono in città. In pratica, nell’ambiente rurale si mantiene maggiormente l’equilibrio tra batteri dell’ambiente e il nostro sistema immunitario, equilibrio che si è realizzato in milioni di anni di convivenza. Questo spiega perché nel mondo occidentale ci sono più malattie allergiche rispetto ad altri Paesi meno sviluppati” 

I più esposti alle allergie respiratorie sono i bambini. “Oltre 1 bambino su 3 presenta almeno un episodio di respiro affannoso acuto prima dei 3 anni di età – ricorda Cecchi – e, spesso, nella forma di respiro sibilante o wheezing: questo perché vengono esposti a stimoli ambientali che rappresentano i fattori di rischio per l’insorgenza di malattie allergiche nella fase di sviluppo del loro sistema immunitario”.  

Fondamentale, anche per gli adulti, la prevenzione attraverso l’adozione di uno stile di vita sano, “ricco di antiossidanti, e attraverso l’informazione, rimanendo aggiornati sui sistemi di previsione e quelli di monitoraggio ambientale, sia per i pollini che per gli inquinanti, su siti ufficiali”. Per chi pratica sport “anche se le cure ormai permettono di svolgere qualsiasi tipo di attività fisica, vi sono alcuni tipi di sport che richiedono maggiore attenzione, come il ciclismo, che espone lo sportivo ad alte concentrazioni di pollini” conclude.  

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Salute e Benessere

Schillaci, ‘vigileremo su etichette farine insetti e non impiego in pasta e pizza’

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(Adnkronos) – “Vigileremo con l’ausilio dei Nas sul rispetto dell’etichettatura e delle indicazioni obbligatorie sulle farine di insetti e perché non siano inserite in alimenti dove non dovrebbero esserci, come pasta e pizza”. Lo ha detto il ministro della Salute, Orazio Schillaci, intervenendo a una conferenza stampa, al ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste (Masaf) sui quattro decreti per le etichette obbligatorie per la vendita di alimenti che contengono 4 differenti farine di insetti: Larve, grilli, tarme e locuste. autorizzate dalla Ue. Alla conferenza stampa hanno preso parte i ministri dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e delle Imprese Adolfo Urso e il coordinatore delle Politiche agricole della Conferenza delle Regioni Federico Caner.  

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Covid, Bassetti: “Variante Arturo? Tema da social e bar”

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(Adnkronos) – La nuova variante Arturo (XBB.1.16) è “l’ennesima della galassia Omicron: un argomento per ‘scienziati’ da social o da bar. Nessuna variante Omicron ha finora aumentato patogenicità o gravità del Covid. Non lo sta facendo e non lo farà nemmeno Arturo. Basta parlare di varianti perché si rischia che la gente perda fiducia nella medicina. La pandemia è finita proprio grazie alla variante Omicron e ai vaccini”. Così all’Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore Malattie Infettive dell’ospedale San Martino di Genova, commenta una netta ripresa dei contagi Covid nel Sudest asiatico in cui spicca il boom dell’India dove imperversa la variante XBB.1.16, già ribattezzata ‘Arcturus’ come la gigante rossa che è la stella più luminosa della costellazione del Boote. 

“Continueremo ad avere nuove varianti soprattutto da Paesi come l’India dove, pur avendo vaccinato molto, hanno problemi di organizzazione e di sorveglianza – dice Bassetti – Questo per dire che Arturo non sarà l’ultima, non è e non sarà un problema e credo sia meglio parlarne il meno possibile”.  

Anche su XBB.1.16 o ‘Arturo’, la nuova variante di Sars-CoV-2 che ha attirato l’attenzione degli esperti più attenti all’attività ricombinante di Omicron, “ribadisco quello che secondo me è abbastanza logico dire ogni volta che si affaccia una nuova variante” sulla scena Covid: “Prima di giudicare come possa agire” il nuovo mutante, “bisogna aspettare, osservare e studiare”. E’ l’invito della microbiologa Maria Rita Gismondo che tuttavia aggiunge: “Siamo in una fase in cui il virus ha deposto le armi. E quindi, presumibilmente, così come le ultime, anche le nuove varianti saranno sempre meno invasive dal punto di vista della patologia”, dice all’Adnkronos Salute l’esperta, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano. 

“Non dimentichiamo poi – sottolinea Gismondo – che la popolazione mondiale, tra vaccinazioni anti-Covid e infezioni naturali, ormai può contare su un bagaglio di anticorpi molto molto consistente, sicuramente idoneo a rispondere e a contrastare nuove varianti del virus”. In ogni caso “osserviamo, studiamo e dopo deduciamo”.  

Per Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università Statale di Milano, la comparsa della variante ‘Arturo’ è “un’ennesima conferma dell’instabilità notevole del virus: una caratteristica per certi versi perfida, che ha permesso al Covid di fare quello che ha fatto e che, temo, ancora continuerà a fare”, proprio per questa capacità di sviluppare “nuove varianti in grado di schivare l’immunità (naturale o ibrida, da infezioni più vaccino) e di mantenere alta la circolazione virale”.  

Il coronavirus pandemico dunque circola e continuerà a farlo, ribadisce l’esperto all’Adnkronos Salute, “anche se – precisa – dal punto di vista della sanità pubblica la dimensione non sarà più quella dell’emergenza iniziale, bensì di una convivenza con il virus”. Un patogeno che, ripete Pregliasco, “produrrà ondulazioni con tendenza alla decrescita come quelle delle onde causate da un sasso in uno stagno”. Il fatto che prosegue “un’ampia circolazione del virus in alcune parti del mondo”, che interesserà le diverse zone del pianeta “a macchia di leopardo nel tempo”, conferma secondo il medico “la necessità di un monitoraggio virologico costante e continuo”. Un’attenzione che, “considerando anche il coinvolgimento di mammiferi di varie specie, dovrà essere una sorveglianza in ottica One health – puntualizza Pregliasco – e dovrà riguardare Covid-19, ma anche altre infezioni che ci inquietano come ad esempio l’influenza aviaria”. 

“La variante ‘Arturo’ la stiamo studiando, ma quello che sta succedendo in India, con un aumento dei casi, da noi non accadrà – dice all’Adnkronos Salute Massimo Ciccozzi, responsabile Unità di statistica medica ed epidemiologia della Facoltà di Medicina e chirurgia del Campus Bio-Medico di Roma – I dati sui contagi e sulle vaccinazioni che arrivano da quel Paese, ricordiamolo, sono parziali. Una nuova variante, ormai lo sappiamo, anche quest’ultima, oggi è come una ‘ondina’, può fare un piccolo picco ma non farà gli stessi danni in Europa rispetto all’India. Non credo ci possa impensierire”. 

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Diana Bracco: ‘Imaging di precisione e genomica stanno cambiando futuro ‘

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(Adnkronos) – “Oggi, nell’era della genomica, è in corso una rivoluzione che porta a una medicina sempre più ‘personalizzata’ o meglio ‘di precisione’: una medicina che pone al centro le caratteristiche della malattia nel singolo paziente per definire la terapia più appropriata al momento giusto del percorso clinico”. Così Diana Bracco nella sua lectio doctoralis su ‘Presente e futuro della medicina personalizzata e dell’imaging di precisione’ tenuta all’Università degli Studi di Messina, in occasione del conferimento del titolo di dottore di ricerca honoris causa in Biologia applicata e Medicina sperimentale.  

“Combinando e analizzando le informazioni sul nostro genoma con altre informazioni cliniche e diagnostiche, è possibile identificare modelli che aiutano a determinare il rischio individuale di sviluppare malattie, a individuare più precocemente le malattie e a determinare gli interventi più efficaci per migliorare la nostra salute – ha detto Bracco – La diagnostica per immagini si presta molto bene a soddisfare le esigenze della medicina di precisione grazie alla sua natura non-invasiva, associata a rischi minimi per il paziente. La diagnostica di precisione è il futuro. Stiamo andando verso una medicina dove diagnostica e terapia sono sempre più unite”.  

Un esempio, ha sottolineato l’impreditrice, “è la teragnostica, che è la combinazione delle parole diagnostica e terapeutica, e permette grazie ad applicazioni guidate dall’imaging di trattare una malattia, in particolare oncologica. Il concetto di teragnostica significa che se si può vedere una specifica caratteristica di malattia, probabilmente la si può anche trattare. Utilizzando queste tecnologie all’avanguardia, nuove potenziali indicazioni porteranno ulteriori avanzamenti alla medicina di precisione”. 

Il conferimento del dottorato honoris causa si è svolto nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Messina a cui erano presenti anche il ministro dell’Università, Anna Maria Bernini, il vice ministro dell’Economia Maurizio Leo e Maria Cristina Messa, ordinaria di diagnostica per immagini e radioterapia all’Università di Milano-Bicocca. Diana Bracco, nata a Milano e laureata in Chimica con una laurea honoris causa in Farmacia a Pavia e una in Medicina a Roma, è presidente e Ad del Gruppo Bracco, multinazionale fondata nel 1927. Cavaliere del Lavoro, è stata la prima donna presidente di Federchimica e Assolombarda e per molti anni vice presidente per la Ricerca e l’Innovazione in Confindustria. 

“In una grande impresa – ha aggiunto Bracco nel suo intervento – la ricerca non riguarda solo la creazione di nuovi metodi e l’innovazione di prodotti, ma anche la messa a punto di innovativi metodi di produzione efficienti, green e sostenibili nel tempo. Questo filone di attività, che portiamo avanti soprattutto nel Centro di Colleretto Giacosa, esprime la costante attenzione di Bracco per l’ambiente che ci spinge sempre a lavorare verso processi più efficienti, in cui l’impiego delle materie prime viene ottimizzato, con l’ambizione di continuare a ridurre le emissioni e raggiungere la neutralità carbonica”. 

Sul futuro della scienza medica ha aggiunto: “la medicina sperimentale, molecolare, genomica, predittiva, deve continuare ad avere come riferimento l’essere umano. Se saremo capaci di creare la giusta sovrapposizione tra scienza, tecnologie sempre più sofisticate e centralità dell’uomo allora continueremo a saldare un millenario debito di conoscenza con i nostri pazienti. Sono fiduciosa che su questa alleanza continuerà a reggersi la medicina del futuro”.  

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Alimenti, da Enea kit per rintracciare sostanze tossiche nel latte

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(Adnkronos) – Messo a punto dall’Enea un kit diagnostico per aziende lattiero-casearie e laboratori di analisi per rintracciare sostanze tossiche nel latte. L’Enea spiega che il kit è in grado di rilevare in modo rapido, efficace e a basso costo la presenza dell’aflatossina M1 nel latte crudo, una sostanza considerata cancerogena per l’uomo che proviene da animali nutriti con mangimi contaminati. I risultati della ricerca realizzata in collaborazione con l’Università di Torino sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Toxins. “A causa degli effetti dannosi sulla salute umana e animale, l’Unione Europea ha fissato una concentrazione massima di aflatossina M1 di 50 nanogrammi/litro nel latte crudo, nel latte trattato termicamente e in quello destinato alla produzione di formaggi. Ed ha ulteriormente abbassato questo valore soglia negli alimenti destinati ai neonati e ai bambini (25 ng/l), che risultano tra i maggiori consumatori di questo alimento” ricorda l’Enea. 

La tecnica di analisi messa a punto dai ricercatori Enea prevede, per la prima volta, l’impiego di anticorpi monoclonali prodotti da una pianta dello stesso genere del tabacco (Nicotiana benthamiana), per ‘intercettare’ le tossine presenti nel latte anche a concentrazioni molto basse – ben al di sotto dei limiti fissati per legge – come hanno dimostrato le sperimentazioni condotte su campioni di latte crudo contenenti diverse concentrazioni di aflatossina M1 (25, 50 e 75 nanogrammi/L). Marcello Catellani del Laboratorio Enea di Bioprodotti e bioprocessi, spiega che “si tratta della versione ‘green’ di Elisa – uno dei migliori e più diffusi metodi di screening rapido per il rilevamento delle tossine negli alimenti e nei mangimi animali – che permette l’analisi accurata, rapida e a basso costo di un numero elevato di campioni”.  

Per la produzione degli anticorpi, i ricercatori si sono avvalsi di un sistema di produzione alternativo ed economico offerto dal Plant Molecular Farming (Pmf), un sistema che usa le piante per produrre molecole complesse come gli anticorpi. Catellani sottolinea che “si tratta di un approccio biotecnologico che può ‘liberare’ la produzione di anticorpi dai classici e più costosi sistemi basati su colture di cellule animali, che richiedono strutture e ambienti dedicati, reagenti e strumenti specifici per la loro crescita in condizioni di sterilità, come ad esempio bioreattori e incubatori”.  

Il Pmf, continua l’Enea, permette di operare in condizioni non sterili (serra, acqua, luce, suolo) con costi ridotti al minimo. Per questo lavoro è stata utilizzata la tecnica dell’agroinfiltrazione che comporta l’utilizzo di un particolare batterio chiamato Agrobacterium tumefaciens che veicola l’informazione genetica di interesse nei tessuti vegetali della pianta Nicotiana benthamiana. “Questo processo – indica Cristina Capodicasa del Laboratorio Enea di Biotecnologie – risulta vantaggioso per rapidità e resa: richiede solo 1-2 giorni per la crescita degli agrobatteri, che hanno il compito di veicolare l’informazione genetica nella pianta, e dopo circa una settimana è possibile raccogliere le foglie da cui estrarre fino a 1,6 g/kg di anticorpi”. 

“Quindi, lo scale-up di questa produzione è immediato, facilmente modulabile e poco costoso, se confrontato con colture cellulari in vitro, perché richiede semplicemente un ampliamento dello spazio di coltivazione dedicato alle piante” afferma inoltre Capodicasa.  

L’Enea indica infine che “le aflatossine sono micotossine prodotte da funghi appartenenti al genere degli aspergilli che si sviluppano di solito quando le derrate alimentari sono conservate a temperature tra i 25 e i 32°C e con tassi di umidità dell’ambiente di oltre l’80 per cento. Non si vedono a occhio nudo, non hanno sapore e, soprattutto, mostrano un’elevata stabilità durante i trattamenti termici come, ad esempio, la pastorizzazione del latte”. 

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Gabbrielli (Iss): “Per telemedicina puntare su formazione e linee guida”

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(Adnkronos) – “La telemedicina, fino alla pandemia, era appannaggio di pochi cultori della materia. L’emergenza Covid ha costretto a un repentino cambio di prospettiva nei confronti della telemedicina, che però è avvenuto in un contesto di conoscenze tecnico-scientifiche e di consapevolezza organizzativa, a livello istituzionale e sanitario, non adeguato. È poi arrivato il Pnrr che ha sancito la necessità di accelerare per stare all’interno delle tempistiche e delle rendicontazioni richieste dall’Ue, cosa a cui il nostro sistema non è abituato. Abbiamo quindi la necessità di fare dei piani con un insieme di professionisti che si cimentano, per la prima volta, sulla realizzazione di progetti di telemedicina su vasta scala che non sono sperimentali, ma in grado di erogare servizi effettivi per i cittadini e che durino nel tempo”. Così Francesco Gabbrielli, direttore del Centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell’Istituto superiore di sanità (Iss), in un articolo pubblicato su ‘Alleati per la Salute’), il portale dedicato all’informazione medico-scientifica realizzato da Novartis.  

“Il panorama sanitario – scrive Gabbrielli – ha elementi evolutivi che stanno aprendo grandi prospettive e opportunità a cui si sommano, in questo momento, una grande incertezza sull’organizzazione delle attività sanitarie quotidiane ulteriormente aggravata dalla carenza del personale. Serve quindi molta competenza, che dobbiamo creare investendo nella formazione dei professionisti, e mettere a punto best practices e linee guida medico sanitarie che chiariscano sul dove e come intervenire”. Come Istituto “abbiamo cominciato, anche prima del Covid, a partire dalla teleneurofisiologia clinica, a realizzare una serie di documenti di consensus, preliminari a best practices e linee guida. Attualmente sono attivi 6 gruppi di consensus e uno per le linee d’indirizzo dell’età evolutiva. Stiamo accelerando sulla teleriabilitazione e sul supporto psicologico nell’età evolutiva perché registriamo proprio un’enorme crescita di problematiche neuropsicologiche negli adolescenti, a partire dai 12 fino a 20 anni”.  

Tra “i gruppi di consensus c’è anche quello per la telefarmacia ospedaliera. L’idea è di fare in modo che i farmacisti ospedalieri – che per legge hanno il dovere di seguire, dopo la dimissione, pazienti con specifiche terapie erogate solo in regime ospedaliero – possano verificare l’aderenza terapeutica di farmaci molto specialistici e costosi, monitorando eventuali interazioni con dieta o altri farmaci. Stiamo cercando di individuare gli elementi chiave perché questo lavoro diventi una best practice per garantire, sul territorio, una migliore assistenza sanitaria post ricovero” ai pazienti.  

“Organizziamo gruppi di consensus – sottolinea l’esperto – con le società scientifiche di riferimento per le singole specialità a cui si associano consulenti indipendenti per arrivare a delle raccomandazioni. Il testo – basato su dati scientifici – viene quindi inviato alle associazioni dei pazienti per eventuali proposte o commenti per le questioni organizzative. Il documento viene pubblicato nei Rapporti dell’Iss. Questo sistema permette di ottimizzare i tempi di realizzazione dei documenti: la capacità delle associazioni dei pazienti di esprimersi è maggiore se presentiamo un lavoro con già delle soluzioni scientifiche validate da verificare dal punto di vista pratico/organizzativo”.  

Da questi documenti “vengono redatte le best practice – prosegue l’esperto – le indicazioni scientificamente validate che sono i precursori delle vere e proprie Linee guida e che hanno valore medico-legale, come previsto dalla legge Gelli sulla responsabilità sanitaria: il medico non è punibile nella pratica se ha agito in osservanza delle linee guida e, in loro mancanza, delle best practices licenziate dal Sistema nazionale linee guida, organismo di valutazione dell’Iss, che fa una revisione dei contenuti e pubblica solo quelle giustificate con sufficienti evidenze scientifiche”.  

“Sono passaggi importanti perché le linee guida vincolano le strutture ad adeguarsi – conclude Gabbrielli – È acclarato, per esempio, che il paziente con scompenso cardiaco è seguito meglio in telemedicina che in presenza. Lo provano gli studi. Se questa pratica è nelle linee guida, le strutture sanitarie, come le Asl, devono prevederla, non è un’opzione. Purtroppo, però in Italia i sistemi di telemedicina, le terapie digitali, la teleriabilitazione non sono ancora Lea (Livelli essenziali di assistenza) e quindi possono essere richiesti ma non pretesi dai cittadini”.  

L’articolo completo è disponibile su: https://www.alleatiperlasalute.it/la-voce-del-paziente/telemedicina-la-rivoluzione-digitale-ha-bisogno-di-formazione-e-linee-guida. 

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Salute e Benessere

Sono cresciute le dimensioni medie del pene? Ecco la verità

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(Adnkronos) – Le dimensioni del pene, nella storia dell’uomo, sono considerate da sempre un simbolo di virilità e rappresentano, anche nell’immaginario collettivo moderno, l’espressione più tangibile della potenza sessuale dell’uomo. A riprova di ciò, un recente studio di Murat Gül e collaboratori ha analizzato come dal Rinascimento a oggi si sia modificata la rappresentazione del nudo maschile, in cui le dimensioni del pene (valutate in modo obiettivo in rapporto alle dimensioni dell’orecchio o del naso) siano aumentate nel tempo, specialmente dopo il XX secolo. Nonostante sia più probabile che questo fenomeno rappresenti l’espressione del mutamento dei fattori socioculturali avvenuto nei secoli e la conseguente diversa percezione soggettiva delle dimensioni del pene, legata a fattori culturali più che biologici, non è da escludere che ci sia dell’altro. 

 

A questo proposito, lo studio italiano di Belladelli e collaboratori, recentemente pubblicato sulla rivista The World Journal of Men’s Health, ha investigato, attraverso la metanalisi di 75 diversi studi condotti tra il 1942 e il 2022, l’andamento geografico e temporale delle dimensioni del pene, coinvolgendo 55.761 uomini (di età compresa tra 18 e 86 anni) da tutto il mondo. Lo studio, che ha preso in considerazione solo le misurazioni effettuate in modo rigoroso da un medico (escludendo quindi gli studi in cui le misurazioni venivano riportate dal paziente), ha evidenziato una singolare tendenza all’incremento dimensionale del pene in erezione nel corso delle diverse decadi, che ha raggiunto il 24% nell’arco degli ultimi 29 anni. Le motivazioni biologiche dietro a questa osservazione non sono chiare. Da un lato, potrebbe riflettere l’anticipo dell’epoca puberale che si è osservato negli ultimi anni, quest’ultimo legato al miglioramento delle condizioni socioeconomiche della popolazione dopo la metà del XX secolo. Dall’altro, non è da escludere che l’esposizione a sostanze inquinanti ad azione ormonale presenti nell’ambiente (i cosiddetti “interferenti endocrini”), che può avvenire anche in epoca prenatale, possa avere un ruolo in questo fenomeno, come suggerito dall’aumentata incidenza, in epoca recente, di patologie gonadiche come tumore testicolare, infertilità e malformazioni congenite. È opinione degli autori, peraltro condivisibile, che siano condotti ulteriori studi per mettere in luce questi potenziali aspetti negativi. 

In aggiunta, sono emersi i limiti della misurazione del pene in condizioni di flaccidità (sia che venga misurato in condizioni basali che “stirato”), condizionate da numerosi fattori legati al paziente (compresa l’età) e all’operatore (es. la forza che viene applicata per “stirare” il pene). Inoltre, la misurazione del pene in erezione spontanea (non stimolata farmacologicamente) appare di difficile applicazione. Emerge pertanto che la misurazione del pene in erezione dopo stimolazione farmacologica rappresenti l’alternativa migliore, quando sia necessario condurre questo tipo di valutazioni.  

 

In conclusione, i risultati di questo studio mettono in luce un’insospettata tendenza all’incremento delle dimensioni del pene osservata nelle ultime decadi che appare meritevole di ulteriori approfondimenti e di eventuali interventi di salute pubblica. Collateralmente, emerge che la misurazione del pene in condizione di flaccidità, per quanto pratica, sia poco riproducibile e non dovrebbe essere considerata a fini di studio. 

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Coronavirus

Andreoni, ‘a oggi anticorpi monoclonali arma migliore per fragili’

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(Adnkronos) – “I vaccini anti-Covid sono stati e continuano a essere fondamentali, ma non funzionano su tutti. Per questo non dobbiamo abbandonare le altre armi a nostra disposizione”. Lo ha detto Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società Italiana di Malattie Infettive e tropicali (Simit), nel suo intervento all’evento “mAbs nell’Early Treatment. Controversie e consensi nel paziente fragile con Covid-19: non creiamo anticorpi”, promosso da GlaxoSmithKline, che si è tenuto questa mattina a Roma. “Tutti vaccini, non solo quelli contro il Covid, quando vengono somministrati a persone con un’immunità non particolarmente valida possono non funzionare”, spiega l’esperto. “Per questi pazienti ci sono altre opzioni. Oltre agli antivirali, in realtà un solo farmaco che continua a essere efficace, abbiamo alcuni anticorpi monoclonali”, spiega Andreoni. “Rispetto all’antivirale, gli anticorpi monoclonali hanno il vantaggio di essere tollerati bene dai pazienti che assumono altri farmaci. Inoltre, si portano dietro il concetto di trattamento precoce: impediscono al virus di entrare nella cellula, a differenza dell’antivirale che agisce su un virus che è già entrato”. Secondo Andreoni, gli anticorpi monoclonali sono ad oggi l’arma migliore che abbiamo per i soggetti “fragili”, coloro che continuano ad ammalarsi di Covid e che rischiano di finire in ospedale. “Gli studi in ‘real life’ indicano che alcuni monoclonali, come ad esempio sotrovimab, funzionano ancora bene e possono proteggere dalla malattia grave”. 

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Coronavirus

Infettivologo Di Perri, ‘con trattamento precoce si limitano danni’

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(Adnkronos) – “Per le malattie infettive, come Covid-19, il trattamento precoce continua a essere importante. Se infatti si dà tempo al virus di moltiplicarsi e guadagnare terreno nell’albero respiratorio i danni che va a causare sono maggiori”. Lo ha detto Giovanni Di Perri, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Ospedale Amedeo di Savoia di Torino, a margine dell’evento “mAbs nell’Early Treatment. Controversie e consensi nel paziente fragile con Covid-19: non creiamo anticorpi”, promosso da GlaxoSmithKline, che si è tenuto questa mattina a Roma.  

“Gli anticorpi monoclonali consentono di intervenire prima che il virus entri nella cellula e inizi a replicarsi, facendo danni”, sottolinea l’esperto. “Lavorando subito nei primi giorni, si evita l’espansione del virus, si riduce la sua replicazione e quello che clinicamente succede a valle è molto più lieve”, spiega Di Perri. “Per questo è fondamentale non abbandonare questa opzione terapeutica che abbiamo a disposizione, soprattutto nei casi che riguardano pazienti fragili”, conclude. 

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