

Salute e Benessere
Terremoto, Oms in campo: ‘trauma enorme e rischio malattie da affrontare’
L’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) Europa è in campo in Turchia, insieme all’ufficio nazionale e in collaborazione con la sede centrale dell’agenzia Onu per la salute, per sostenere il ministero della Salute del Paese nella risposta all’emergenza umanitaria provocata dal terremoto che ha colpito l’area. “Al momento, l’attenzione è chiaramente sulla ricerca e salvataggio” delle persone, ha spiegato già ieri in serata Gerald Rockenschaub, direttore regionale dell’emergenza per l’Oms Europa, che sta coordinando la risposta insieme all’esperta Catherine Smallwood, incident manager, e sotto la guida del direttore regionale Hans Kluge.
“Ci sono feriti da curare – ha elencato Rockenschaub – la risposta di primo soccorso alle comunità sul campo e poi la cura dei traumi più specializzata negli ospedali. Il tempo è brutto, fa freddo. Anche il rischio di malattie infettive, a parte il rischio immediato di traumi e lesioni, sta decisamente aumentando. Alcune delle linee di approvvigionamento cruciali, acqua e servizi igienico-sanitari, saranno compromesse. E c’è ovviamente un trauma enorme, ovviamente psicologico oltre al trauma fisico, che deve essere affrontato”.
In particolare “in quei gruppi di popolazione vulnerabili, vediamo un alto livello dello stress mentale, dei bisogni di supporto psicosociale”, ha proseguito. “Occorre poi rafforzare i sistemi di allerta precoce per prevenire i focolai e per rispondere ai rischi di malattie infettive”. L’Oms Europa sta “operando a stretto contatto con i colleghi dell’ufficio regionale del Mediterraneo orientale e con i colleghi della sede centrale, perché non è solo la Turchia ad essere colpita, ma anche la Siria e alcuni altri Paesi vicini”, ha ricordato Rockenschaub.
“È davvero un’operazione di risposta piuttosto complessa. Al momento, abbiamo ricevuto richieste per coordinare il dispiegamento di squadre mediche di emergenza e di forniture e kit per la cura di traumi. Stiamo anche lavorando con le autorità per avere un quadro migliore sui bisogni prioritari, sulla valutazione dei danni, sul campo e coordinandoci a stretto contatto con i nostri partner sanitari per muovere una risposta collettiva”, ha proseguito Rockenschaub.
“La Turchia – ha evidenziato – ha enormi capacità e un’enorme esperienza, hanno squadre delle Nazioni Unite che uniscono capacità mediche nella ricerca e nel salvataggio. Abbiamo anche lavorato con le autorità turche per migliorare la resistenza degli ospedali ai terremoti e garantire che rimangano funzionali dopo tali scosse, e per svolgere congiuntamente corsi di formazione e rafforzamento delle capacità e anche per condividere l’esperienza turca con altri paesi”.
Ma ora, ha puntualizzato Rockenschaub, “la Turchia ha bisogno della solidarietà di altri Paesi per affrontare le enormi sfide di questo grande disastro. Al momento, stiamo cercando principalmente kit chirurgici per aiutare con interventi ad affrontare le lesioni e ci stiamo mobilitando per i medicinali. Quello che vediamo spesso è che i farmaci per le malattie croniche potrebbero scarseggiare e stiamo anche mobilitando esperti per aiutare su sistemi di allerta precoce e sorveglianza e per coordinare la risposta più ampia dei partner sanitari sul campo”.
Salute e Benessere
Cannabis, 22,3% studenti scuole superiori l’ha fumata, studio su generazione Z

(Adnkronos) – “Hai mai fumato cannabis?”. Il 22,3% degli studenti delle scuole superiori italiane risponde sì a questa domanda. E’ uno degli aspetti che viene rilevato nello studio ‘Dipendenze comportamentali nella Generazione Z’, frutto di un accordo tra il Dipartimento Politiche antidroga della presidenza del Consiglio dei ministri e il Centro nazionale dipendenze e doping dell’Istituto superiore di sanità, presentato oggi con un convegno a Roma nella sede dell’Iss. Per l’indagine sono stati intervistati nell’autunno del 2022 più di 8.700 studenti tra gli 11 e i 17 anni, 3.600 circa delle scuole secondarie di primo grado e 5.100 circa delle secondarie di secondo grado, su tutto il territorio nazionale, selezionati in modo da avere un campione rappresentativo della popolazione.
Un piccolo focus del rapporto è dedicato alla cannabis. E dall’analisi del gruppo – più di un quinto degli studenti delle superiori intervistati – che risponde di averne fatto uso, emerge che “non ci sono differenze sostanziali tra maschi e femmine”. Ma si riscontrano percentuali più alte di ragazzi che presentano rischio di dipendenze comportamentali come la food addiction, la social media addiction e l’isolamento sociale, rispetto a quanti ce ne siano fra i compagni che non hanno mai fumato cannabis.
In questa quota di chi ha fumato cannabis ci sono adolescenti che presentano maggiormente comportamenti di doxing (diffusione di informazioni online di una persona con intenzioni solitamente spiacevoli) sia praticato che subito, di sexting sia inviato che ricevuto, ma anche attività di morphing (tendenza a modificare la propria immagine con App per migliorare l’aspetto e nascondere eventuali difetti) e di social challenge. Inoltre, segnalano i ricercatori, “tra i ragazzi che hanno fumato cannabis c’è una percentuale maggiore di fumatori, consumatori di alcol, di episodi di ubriacature nell’ultimo mese, di consumo di altre sostanze d’abuso e ansiolitici”.
Coronavirus
Clerici (Amcli), ‘microbiologo centrale per diagnosi e cure personalizzate’

(Adnkronos) – “Il nostro contributo è sempre più importante. Possiamo fornire al clinico non solo un responso preciso che identifica l’agente eziologico e in alcuni casi il grado di progressione dell’infezione, ma anche un quadro d’insieme, molto prezioso per il clinico, che lo aiuta a definire il trattamento farmacologico personalizzato”. Così Pierangelo Clerici, presidente Amcli Ets, Associazione microbiologi clinici italiani e direttore Uo. Microbiologia Asst Ovest Milanese, ieri, a Rimini, in chiusura del 50esimo Congresso nazionale di Amcli Ets ricordando l’importanza di una microbiologia non più circoscritta al laboratorio ma integrata con la clinica ospedaliera.
Nell’edizione all’insegna dei record – sottolinea una nota dell’associazione – più di 1.500 partecipanti (oltre 300 under 30), 111 specializzandi, 347 poster presentati, è stato ribadito “l’impegno dei microbiologi clinici a partecipare alla realizzazione di un nuovo approccio alla salute del futuro, il solo in grado di conciliare le esigenze di una diagnostica e terapia mirati, con il rigore della finanza pubblica. Senza il nostro apporto la medicina non può ridurre i tempi della diagnosi e della definizione della più efficace terapia. Chiediamo ai decisori politici di valorizzare a pieno il nostro ruolo e di investire affinché le esperienze con le quali si è fronteggiata l’emergenza pandemica non vadano perse. Minacce di nuove possibili pandemie sono intorno a noi. La rete di sorveglianza predisposta e implementata per il Covid – ricordano gli specialisti – costituisce un indispensabile punto di partenza che deve essere costantemente aggiornato. Senza dimenticare le altre infezioni di origine virale, batterica, fungina o protozoaria che durante gli anni della pandemia hanno continuato a colpire milioni di pazienti”.
Tutto questo è possibile grazie ai continui progressi che la tecnologia mette a disposizione del laboratorio. Ne sono un esempio i nuovi approcci ai saggi di sensibilità agli antibiotici, l’utilizzo dei pannelli sindromici molecolari, il sequenziamento Ngs (Next-generation sequencing, ndr) nello studio dei microrganismi, i test diagnostici rapidi genotipici per l’identificazione dei meccanismi di resistenza agli antibiotici, ecc.
Resta alta l’attenzione dei microbiologi su alcuni temi trattati a Rimini. Tra questi l’antibiotico resistenza, verso la quale si registrano ormai segnali di conferma per una maggiore precisione e tempestività nella diagnosi e nel conseguente avvio della fase di trattamento. Al pari le infezioni virali restano un campo attenzionato in maniera particolare. “Storicamente – osserva Clerici – si tratta di infezioni in grado di spostarsi velocemente su scala planetaria, nella cui evoluzione non sono infrequenti salti di specie. In questa fase stiamo monitorando casi di influenza aviaria per la quale è fondamentale la sorveglianza e la raccolta di dati che i laboratori di Microbiologia clinica assicurano su scala nazionale”.
Più in generale – continua la nota – è stato ricordato come i difficili anni di Covid non abbiano distolto l’attenzione anche da altre infezioni storicamente diffuse in Italia e nel resto del mondo. Basti pensare alle epatiti di origine virale, Hiv, infezioni materno fetali, tubercolosi e malattie severe fungine. “Sono attività – ricorda il residente Amcli – dove la diagnosi e la sorveglianza richiedono importanti risorse, appropriate conoscenze, e un impegno da parte dei microbiologi, che non è mai mancato in questi ultimi anni. Una sanità più attenta a queste necessità e la sussistenza di risorse che permettano il funzionamento di un meccanismo di controllo efficace sono richieste che vengono non solo dall’esperienza pandemica, ma anche dai cittadini per i quali ambiente e salute restano due priorità fondamentali”.
“La salute di persone, animali ed ecosistemi – continua Clerici – sono influenzate reciprocamente dai gravi cambiamenti climatici cui assistiamo. Tra i molti temi che sono stati dibattuti durante il congresso, è stata posta molta attenzione su quello della storia dei conflitti e delle conseguenti pandemie. Un’esperienza – conclude – frequente nella storia dell’umanità, oggi quanto mai attuale in diverse parti del mondo”.
Salute e Benessere
Salute: endometriosi colpisce 10-15% italiane in età riproduttiva

(Adnkronos) – L’endometriosi colpisce in Italia circa il 10-15% delle donne in età riproduttiva; la patologia interessa circa il 30-50% delle donne infertili o che hanno difficolta a concepire. Il picco si verifica tra i 25 e i 35 anni, ma la patologia può comparire anche in fasce d’età più basse. La diagnosi arriva spesso dopo un percorso lungo e dispendioso, il più delle volte vissuto con gravi ripercussioni psicologiche per la donna. Per porre l’attenzione su questa malattia fortemente invalidante è stata istituita nel 2014 la Giornata mondiale dell’endometriosi, che ricorre oggi, con tante iniziative anche nel nostro Paese.
Si tratta di una malattia benigna cronica e ricorrente, caratterizzata dalla presenza di endometrio, mucosa che normalmente riveste la superficie interna dell’utero, in zona ‘anomala’, cioè diversa dalla normale sede dell’utero e può interessare la donna già alla prima mestruazione (menarca) e accompagnarla fino alla menopausa. L’endometriosi è inserita nell’elenco delle patologie croniche e invalidanti, negli stadi clinici più avanzati, riconoscendo a queste pazienti il diritto ad usufruire in esenzione di alcune prestazioni specialistiche di controllo.
Salute e Benessere
Salute: generazione Z, dal cibo ai social 2 mln adolescenti a rischio dipendenze

(Adnkronos) – Social – fra sfide e sexting – videogiochi online, cibo. La mappa delle dipendenze comportamentali della ‘Generazione Z’ è affollata di insidie. E quasi 2 milioni di 11-17enni italiani risultano esposti: oltre 1 milione e 150mila sono a rischio di dipendenza da cibo, quasi 500mila potrebbero avere una dipendenza da videogiochi mentre quasi 100mila presentano caratteristiche compatibili con la presenza di una dipendenza da Social media. E proprio i teenager che presentano rischio maggiore sono quelli che maggiormente dichiarano di avere difficoltà a parlare con i propri genitori di cose che li preoccupano. La fotografia emerge dal maxi studio ‘Dipendenze comportamentali nella Generazione Z’, frutto di un accordo tra il Dipartimento Politiche antidroga della presidenza del Consiglio dei ministri e il Centro nazionale dipendenze e doping dell’Istituto superiore di sanità, presentato oggi con un convegno nella sede dell’Iss.
Sono stati intervistati nell’autunno del 2022 più di 8.700 studenti tra gli 11 e i 17 anni, 3.600 circa delle scuole secondarie di primo grado e 5.100 circa delle secondarie di secondo grado, su tutto il territorio nazionale, selezionati in modo da avere un campione rappresentativo della popolazione. La survey ha approfondito anche la relazione tra genitori e figli, invitando a partecipare tutti i genitori delle scuole medie che avevano aderito allo studio, e sono stati raccolti 1.044 questionari. L’indagine – realizzata con Explora ricerca e analisi statistica – ha focalizzato l’attenzione anche sulle caratteristiche dei ragazzi con un profilo di rischio (tratti di personalità; dimensione relazionale; contesto famigliare, scolastico e sociale; qualità del sonno) e comportamenti legati all’utilizzo di internet, quali sfide social (social challenges), doxing, sexting e morphing.
Il 2,5% del campione presenta caratteristiche compatibili con la presenza di una dipendenza da social media (circa 99.600 studenti), percentuale che nel genere femminile raggiunge il 3,1% nelle studentesse di 11-13 anni e il 5,1% nelle studentesse di 14-17 anni. Gli studenti a rischio nella fascia 11-13 anni hanno 10,1 volte in più di probabilità di avere una ansia sociale grave o molto grave e 5,5 volte in più di presentare un carattere di alta impulsività. E’ una dipendenza che spinge a frequentare compulsivamente canali social (Facebook, Instagram, Tik Tok, Twitch eccetera) in maniera incontrollata tanto da compromettere altri ambiti di vita quotidiana.
I ragazzi nel mondo virtuale si misurano in sfide social che spesso vengono filmate per essere pubblicate, alcune sono divertenti ma altre sono molto pericolose. Fra i comportamenti che espongono a rischi c’è il ‘doxing’ (diffondere pubblicamente online informazioni come foto, video o altri dati personali riguardanti una persona, di solito con intenzioni spiacevoli), il ‘Morphing’, la tendenza a modificare la propria immagine utilizzando app per migliorare il proprio aspetto e nascondere eventuali difetti, il sexting, l’invio o ricezione di messaggi, video e foto personali a sfondo erotico. E poi c’è il capitolo Internet gaming disorder: il rischio di disturbo da uso di videogiochi vede coinvolto il 12% degli studenti (circa 480.000 studenti italiani).
Se sul fronte della dipendenza dai social sono le ragazze a prevalere, nel caso della dipendenza da videogiochi è il genere maschile il più colpito, con la percentuale che arriva al 18% negli studenti maschi delle secondarie di primo grado e al 13,8% negli studenti delle superiori (contro il 10,8% nelle scuole medie e il 5,5% nelle scuole superiori per le femmine). Rispetto all’età, la percentuale di rischio maggiore di dipendenza dai videogiochi si rileva nelle scuole medie con il 14,3% dei ragazzi a rischio, mentre il dato scende al 10,2% alle superiori. I fattori associati sono la depressione moderatamente grave o grave, con un rischio di 5,54 volte maggiore nei ragazzi di 11-13 anni e 3,49 nei ragazzi 14-17 anni e un’ansia sociale grave o molto grave, con un rischio di 3,65 volte maggiore rispetto alla media nei ragazzi di 11-13 anni e 5,80 nei ragazzi 14-17 anni.
Fra le dipendenze comportamentali ha un peso molto elevato la Food Addiction. Il rischio di dipendenza da cibo coinvolge 1.152.000 studenti circa tra gli 11 e i 17 anni, di cui più di 750.000 sono femmine (271.773 delle scuole medie e 485.413 delle superiori). Il 13,1% (circa 523.000) presenta un rischio lieve; il 6,4% (circa 256.000) un rischio moderato e il 9,3% (più di 373.000) presenta un rischio grave. Chi presenta un rischio di food addiction grave nel campione 11-13 anni ha 11,62 volte in più la probabilità di avere una depressione moderatamente grave o grave; 6,55 volte di presentare una depressione moderata; 4,43 volte di presentare ansia moderata e 2,39 volte di avere depressione lieve.
Lo studio indaga sul rapporto con i genitori e rileva che gli studenti di 11-13 anni con un rischio di Social media addiction dichiarano una difficoltà comunicativa nel 75,9% dei casi (questa percentuale scende al 40,5% in chi non presenta il rischio); fra chi presenta un rischio di Internet gaming disorder la difficoltà comunicativa con i genitori viene dichiarata nel 58,6% (contro 38,3% di chi non lo presenta); e nel 68,5% fra chi presenta una food addiction grave (vs il 34,4% di chi non ha nessuna food addiction). Tra i genitori che dichiarano di “non osservare problematiche nei figli legate all’uso rischioso dei videogiochi” c’è in realtà un 8,6% che presenta un figlio con rischio di gaming addiction. Addirittura, tra i genitori che dichiarano che il figlio “non gioca”, si riscontra il 3,7% di casi di ragazzi a rischio gaming addiction. Anche tra i genitori che “non osservano comportamenti di assunzione incontrollata di cibi poco salutari nei loro figlio” si ritrova quasi un 20% di ragazzi con food addiction (9,1% lieve; 5,5% moderata; 5,2% grave). Di contro, tra i genitori che rilevano gaming addiction o dipendenza da cibo nel figlio c’è una sovrastima del problema.
Salute e Benessere
In Italia 36% decessi per malattie cardiovascolari, a Roma summit esperti

(Adnkronos) – Le malattie cardiovascolari rappresentano ancora oggi la prima causa di morte nel mondo, con una stima di circa 17,9 milioni di decessi ogni anno. In Italia le malattie cardiovascolari sono responsabili del 35.8% di tutti i decessi (32.5% negli uomini e 38.8% nelle donne), superando i 230.000 casi annui e solo nel 2017, 47.000 morti sono stati attribuiti all’ipercolesterolemia. Giovedì 30 marzo e venerdì 31 marzo i più maggiori esperti della Cardiologia italiana si riuniranno a Roma al Centro congressi Auditorium Aurelia per ‘Lipids in Rome – Old challenges and new opportunities’ organizzato dall’Anmco (l’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri), in collaborazione con la Società italiana per lo studio dell’Aterosclerosi e con il patrocinio dell’American College of Cardiology.
“Cinquanta’nni di studi clinici evidenziano infatti la correlazione diretta tra colesterolo Lld e malattia cardiovascolare aterosclerotica. Spesso i pazienti sono asintomatici, quindi inconsapevoli del rischio di sviluppare questa pericolosa condizione, e la malattia viene diagnosticata solo dopo un evento cardiovascolare provocato da un eccesso di colesterolo ‘cattivo’ nel sangue che, aderendo alle pareti interne delle arterie, porta all’accumulo di depositi di grasso (placca aterosclerotica) e rende più difficile il passaggio del sangue – ricordano i cardiologi Anmco – In definitiva, elevati livelli di colesterolo Ldl danneggiano progressivamente le arterie e sono tra le cause principali di infarto miocardico e ictus cerebrale. Nonostante l’ipercolesterolemia sia riconosciuta come il fattore di rischio cardiovascolare più facilmente modificabile, purtroppo ottenere una riduzione efficace e sostenuta nel tempo dei livelli di colesterolo Ldl è ancora una sfida, tanto che 8 pazienti su 10 ad alto rischio non sono in grado di ridurlo ai livelli raccomandati”.
L’evento di Roma è rivolto non solo alla comunità scientifica cardiologica ma anche a medici di diverse discipline in cui si farà il punto sui temi relativi alle nuove opportunità terapeutiche attualmente disponibili finalizzate alla riduzione del rischio cardiovascolare globale. Particolare attenzione verrà posta sui percorsi clinici di implementazione delle terapie per il controllo delle alterazioni del metabolismo lipidico.
Gli esperti si confronteranno sul ruolo del colesterolo nel determinare le malattie cardiovascolari e sulle nuove terapie. “Di recente si sono infatti resi disponibili per l’impiego clinico oltre agli Anticorpi monoclonali, nuovi farmaci ‘intelligenti’, come l’acido bempedoico e l’Inclisiran, che oltre ad essere caratterizzati da una grande semplicità d’impiego, renderanno più sicura ed efficace la terapia migliorando notevolmente la cura del colesterolo e di conseguenza il rischio cardiovascolare dei pazienti – ricorda l’Anmco – Negli ultimi 25 anni l’approccio terapeutico alle patologie cardiovascolari è stato rivoluzionato da un’esplosione di nuove conoscenze, scaturite da ricerche scientifiche di biologia molecolare e studi clinici. E le strategie finalizzate alla gestione dell’ipercolesterolemia, principale fattore eziopatogenetico della malattia cardiovascolare su base aterosclerotica, sono una componente essenziale della prevenzione cardiovascolare”.
“Una condizione tanto silente quanto insidiosa come l’ipercolesterolemia va trattata in maniera incisiva e precoce – spiega Furio Colivicchi – presidente Anmco e direttore Cardiologia clinica e riabilitativa dell’ospedale San Filippo Neri Asl Roma 1 – La necessità di ottenere livelli di colesterolo Ldl più bassi, e di contrastare il rischio residuo associato agli altri fattori aterogeni, fa emergere il bisogno di interventi terapeutici aggiuntivi. Le più recenti evidenze scientifiche indicano che un inizio tempestivo del trattamento con gli anticorpi monoclonali anti-Pcsk9 e una riduzione prolungata dei livelli dei livelli di colesterolo Ldl consentono di ottenere una maggiore protezione nei confronti dei futuri eventi cardiovascolari, senza che siano stati evidenziati negli studi di lungo termine problemi di sicurezza. Lo sviluppo, e il successivo impiego nella pratica clinica, degli anticorpi monoclonali anti-Pcsk9) ha suffragato due importanti concetti. Il primo, relativo ai livelli di colesterolo supporta il paradigma ‘più basso è meglio’”.
“Gli studi clinici con i Pcsk9 hanno confermato una significativa riduzione degli eventi cardiovascolari con la progressiva riduzione del colesterolo Ldl plasmatico, con un beneficio crescente anche con valori di colesterolo Ldl
“L‘acido bempedoico invece – sottolinea Colivicchi – è un nuovo trattamento orale, primo nel suo genere nel meccanismo d’azione, da assumere una volta al giorno, che può essere associato ad altri trattamenti ipolipemizzanti per ridurre ulteriormente i livelli di colesterolo Ldl. Rappresenta un efficace strumento nell’armamentario, soprattutto per i pazienti a più alto rischio cardiovascolare che non hanno raggiunto gli obiettivi terapeutici nonostante le terapie ipolipemizzanti in corso e per i pazienti intolleranti. Questo farmaco ha il vantaggio di poter essere associato a qualsiasi terapia ipolipemizzante, di avere un buon profilo di tollerabilità e di essere facilmente accesibile dal momento che potrà essere prescritto sia dagli specialisti che dai medici di medicina generale. Inoltre poiché la trasformazione del profarmaco nella sua forma attiva avviene attraverso un enzima espresso esclusivamente a livello epatico, l’acido bempedoico non inibisce la sintesi del colesterolo a livello muscolare e, quindi, ha un ridotto rischio di sintomi muscolari rispetto alle statine”.
“L‘inclisiran infine – continua Colivicchi – è un altro farmaco innovativa nel suo meccanismo d’azione per la riduzione del colesterolo Ldl poichè rientra nella classe degli agenti terapeutici Rnai (Rna interference), farmaci che silenziano gli Rna messaggeri (mRna), e rappresenta un nuovo approccio alla gestione dei pazienti con ipercolesterolemia. Si tratta di un piccolo Rna interferente (siRna) a doppio filamento con un’elevata affinità per il fegato, all’interno del quale riduce i livelli di una proteina chiamata Pcsk9, coinvolta nel metabolismo del colesterolo. Questo meccanismo aumenta la capacità del fegato di assorbire il colesterolo Ldl e porta di conseguenza a una riduzione dei livelli di colesterolo cattivo presente nel sangue. Precisamente, inclisiran inibisce la produzione di Pcsk9, per cui agisce a monte rispetto agli anticorpi monoclonali che antagonizzano l’attività di Pcsk9. Uno dei vantaggi del trattamento con Inclisiran è il regime terapeutico che prevede solo due somministrazioni l’anno, attraverso un’iniezione sottocutanea. Il farmaco è prescrivibile dallo specialista e la sua somministrazione viene effettuata da un operatore sanitario.”
“Queste nuove terapie – conclude Colivicchi – aiuteranno i numerosi pazienti che risultato non aderenti ai trattamenti prescritti, spesso proprio a causa di effetti collaterali delle terapie, o che non riescono comunque a raggiungere i target ottimali di colesterolo LDL. Ridurre il colesterolo significa ridurre le malattie cardiovascolari ed è dunque fondamentale cambiare l’atteggiamento rispetto alla cura del colesterolo per migliorare il rischio cardiolovascolare globale”.
Salute e Benessere
Fondazione Artemisia, 100 Pap test e 27 Ecg per giornate controlli gratuiti

(Adnkronos) – Più di 100 Pap test e 27 Ecg. Sono i controlli gratuiti eseguiti nei centri Artemisia per la Festa della donna tra l’8 e il 12 marzo e in occasione della Festa del Papà del 19 marzo. “Gli screening, promossi e realizzati per rendere accessibile e favorire la prevenzione e la diagnosi precoce, attraverso il sistema della medicina del territorio e medicina di prossimità (approccio indispensabile alla tutela della salute del singolo e della collettività) – spiega la presidente della Fondazione Artemisia, Mariastella Giorlandino – hanno fornito dati e segnali importanti, tra cui i seguenti: su più di 100 Pap Test per area territoriale, circa il 5% è risultato positivo; mentre su 27 Ecg, eseguiti solo nella sede Artemisia Lab di Guidonia, 3 hanno rivelato anomalie con necessità immediata di ulteriori approfondimenti diagnostici”.
Alla luce di tali rilevazioni, Mariastella Giorlandino torna a sottolineare “l’urgenza di sensibilizzare la popolazione sull’importanza dei controlli clinici costanti e dell’adozione di stili di vita sani, sin da bambini, secondo le indicazioni e i consigli personalizzati degli specialisti”. Contestualmente, la presidente della Fondazione Artemisia ricorda e ribadisce “il valore rappresentato dal complesso delle strutture sanitarie private per i cittadini e per il Sistema sanitario italiano: una più ampia e sistematica cooperazione tra sanità pubblica e sanità privata può rapidamente efficientare il Servizio sanitario regionale e nazionale, in termini di medicina appropriata, tempestiva e inclusiva”.
Salute e Benessere
Giannini (UniPd), ‘necessario sanare problema dell’ipovitaminosi D’

(Adnkronos) – “E’ la prima occasione in cui parliamo tutti insieme, in un convegno composito, del problema dell’ipovitaminosi D, ancora molto importante dal punto di vista quantitativo e con evidenze sempre robuste che questo problema, quantitativamente importante, corrisponde a patologie di vario tipo e genere. Non c’è dubbio che ancora oggi esista la forte necessità di sanare il problema dell’ipovitaminosi D”. Così Sandro Giannini, professore di Medicina interna dell’Università di Padova, a margine dello Skeletal Endocrinology Meeting 2023, decimo appuntamento storico e tradizionale dedicato alle malattie dello scheletro, organizzato a Stresa dal Gioseg – Glucocorticoid Induced Osteoporosis Skeletal Endocrinology Group, riguardo la carenza di vitamina D come causa di varie patologie.
Il mese scorso l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) con la revisione della Nota 96 ha modificato le modalità di prescrivibilità a carico del Ssn dei farmaci classificati in fascia A a base di colecalciferolo, colecalciferolo/sali di calcio e calcifediolo per la prevenzione e il trattamento della carenza di vitamina D nella popolazione adulta (maggiore di 18 anni).
La nuova Nota 96 “consente il trattamento di pazienti che sono in terapia per l’osteoporosi – sottolinea Giannini – e indica quale sia il livello minimo di vitamina D sierica da ottenersi tramite il trattamento con vitamina D per un beneficio totale dal punto di vista dell’impiego dei farmaci per l’osteoporosi. Tuttavia, lascia aperti diversi punti su cui si dovrà discutere ancora”.
Salute e Benessere
Napoli (Ucbm), ‘importante valutare caratteristiche pazienti con ipovitaminosi D’

(Adnkronos) – “E’ indispensabile che i pazienti che hanno valori bassi di vitamina D siano trattati. I dati dimostrano che non è tanto il tipo di somministrazione, ma” conta “la quantità di dose cumulativa di vitamina D che viene somministrata, ed è soprattutto importante valutare le caratteristiche e la possibile aderenza del paziente, altrimenti il trattamento è inutile”. Sono le parole di Nicola Napoli, professore ordinario di Endocrinologia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, a margine dello Skeletal Endocrinology Meeting 2023, decimo appuntamento storico e tradizionale dedicato alle malattie dello scheletro, organizzato a Stresa dal Gioseg – Glucocorticoid Induced Osteoporosis Skeletal Endocrinology Group.
Napoli si anche espresso sulla nuova Nota 96 diffusa lo scorso mese dall’Aifa (Agenzia italiana del farmaco), che modifica le modalità di prescrivibilità a carico del Ssn dei farmaci classificati in fascia A a base di colecalciferolo, colecalciferolo/sali di calcio e calcifediolo per la prevenzione e il trattamento della carenza di vitamina D nella popolazione adulta (maggiore di 18 anni): “Ha ulteriormente ridotto la soglia di trattabilità, portandola ancora più in basso rispetto alla precedente. Resta tuttavia garantita, in rimborsabilità, ai pazienti che utilizzano farmaci per l’osteoporosi o che presentano delle altre osteopatie”.
Salute e Benessere
Investimenti da 32 milioni di euro per il sito di Novartis a Torre Annunziata

(Adnkronos) –
Un investimento da 32 milioni di euro per ampliare il sito produttivo di Novartis Italia a Torre Annunziata, Napoli. Il piano, che ha ricevuto l’approvazione del commissario per la Zes (Zona economica speciale) campana Giuseppe Romano, prevede “la creazione di uno spazio dedicato allo sviluppo, all’innovazione e alle nuove tecnologie nel campo delle Life Science, che permetterà di raggiungere sempre più pazienti nel mondo puntando su tecnologie all’avanguardia e potenziando la capacità produttiva del sito”, spiega la filiale italiana del gruppo farmaceutico svizzero.
Oggi – sottolinea l’azienda in una nota – il Campus Novartis di Torre Annunziata rappresenta uno dei poli industriali più importanti del Sud Italia, specializzato nella produzione di farmaci salvavita principalmente nelle aree oncologia, cardiovascolare e neuroscienze per tutto il mondo, con un valore strategico per il gruppo a livello globale. “Il sito di Torre Annunziata rappresenta per noi un fiore all’occhiello – dichiara Valentino Confalone, amministratore delegato e Country President di Novartis Italia – Questo nuovo traguardo ribadisce l’importanza di creare collaborazioni virtuose con le istituzioni locali a beneficio dell’attrattività e della crescita produttiva di aree ad alto potenziale di sviluppo tecnologico, che possono contribuire all’innovazione del nostro settore”. Afferma Sabino Di Matteo, Ad del Campus di Novartis Torre Annunziata: “Lo stabilimento rappresenta uno dei siti più strategici al mondo del gruppo per le produzioni solide orali. La qualità e la competenza delle risorse umane del sito, unite agli ingenti investimenti in tecnologia e infrastrutture, accresceranno la nostra capacità di raggiungere con medicamenti essenziali e innovativi sempre più pazienti al mondo”.
Nel 2021 – ricorda Novartis – il sito di Torre Annunziata è stato certificato dall’Agenzia americana del farmaco Fda e nel 2022 le autorità regolatorie hanno approvato la produzione per il mercato cinese, andando a consolidare la capacità produttiva del polo che nell’ultimo anno ha superato i 100 milioni di confezioni all’anno e che si prevede raggiunga prospetticamente quasi 150 milioni di confezioni annue afferenti a più di 118 mercati al mondo. Grazie al nuovo piano di investimenti Novartis Italia – che nel 2022 ha realizzato un fatturato di oltre 1,7 miliardi di euro, 78 milioni dei quali ottenuti grazie all’export – rafforza ulteriormente il suo impegno nel generare valore e innovazione nelle principali aree terapeutiche in cui opera.
Salute e Benessere
Ipofosfatemia legata all’X, Aifa approva burosumab anche in adulti

(Adnkronos) – Si allargano le cure per i pazienti adulti affetti da ipofosfatemia legata all’X (Xlh). L’Agenzia italiana del farmaco ha approvato in regime di rimborsabilità il trattamento con burosumab di questa rara malattia metabolica delle ossa (GU n.71 del 24 marzo). Fino ad ora in Italia il trattamento era disponibile soltanto per i bambini di età pari o superiore a un anno e negli adolescenti con apparato scheletrico in crescita, mentre per tutte le altre categorie l’unica opzione era la terapia convenzionale che porta con sé diversi effetti indesiderati. Da oggi, invece, potranno accedere a burosumab sia gli adulti che non sono mai stati trattati sia i ‘futuri adulti’ che hanno già avuto accesso alla terapia durante l’infanzia. Lo annuncia in una nota la società farmaceutica Kyowa Kirin.
Gli adulti con Xlh – spiega l’azienda – sperimentano un dolore importante, rigidità, affaticamento e compromissione delle funzioni fisiche e deambulatorie. L’incidenza dell’Xlh è di circa 1 su 20.000 nati vivi. La maggior parte dei casi è ereditata secondo un modello dominante legato all’X, mentre il 20-30% dipende da mutazioni spontanee. L’insieme della storia familiare, delle manifestazioni cliniche e dei risultati biochimici portano alla diagnosi di Xlh. Come dimostrano i risultati degli studi registrativi (UX023-CL303 e UX023-CL304) condotti su adulti affetti da Xlh, la terapia comporta un miglioramento generale della salute dell’osso, con un impatto positivo sui parametri clinici di rigidità, dolore e capacità funzionale.
“La rimborsabilità di burosumab in Italia – afferma Maria Luisa Brandi, presidente Osservatorio fratture da fragilità (Off) – rappresenta un passo in avanti positivo per le persone affette da Xlh. Fino ad oggi le opzioni terapeutiche a disposizione di questi pazienti erano limitate. L’ipofosfatemia è una patologia rara, cronica, che può manifestarsi nell’infanzia, ma i suoi effetti perdurano fino all’età adulta. L’adulto tende a mostrare tutte le sintomatologie del bambino, ma amplificate. Poter finalmente avere accesso ad una terapia che riduce il dolore e le fratture ossee è una grande opportunità”. Sottolinea Gianni Lombardi, presidente Associazione italiana dei pazienti con disordini rari del metabolismo del fosfato (Aifosf): “I pazienti adulti hanno sintomatologie come il dolore muscolo scheletrico, la riduzione della capacità di fare le attività correlate ad una vita normale, ed in più spesso sorge la necessità di chirurgie articolari complesse, senza scordarsi una riduzione delle capacità sensoriali. La terapia rappresenta una reale possibilità per i pazienti di ottenere una migliore qualità di vita”.
L’impatto della Xlh sui pazienti e sulle loro famiglie può essere molto pesante soprattutto perché, trattandosi di una malattia genetica, è frequente che in una famiglia ci siano più casi di Xlh. “Come associazione dal 2014 ci siamo messi a disposizione di famiglie e pazienti con Xlh, fornendo informazioni e supporto attraverso il nostro Centro aiuto-ascolto e li rappresentiamo nei tavoli tecnici di lavoro – evidenzia Manuela Vaccarotto, presidente Associazione sostegno malattie metaboliche ereditarie (Aismme) – Sono pazienti che, oltre a dover affrontare forti dolori fisici, per i quali riteniamo che questa terapia sia una grande opportunità, sono spesso isolati e chiusi in se stessi e per questo abbiamo ritenuto fondamentale fornire un servizio di supporto psicologico a distanza al paziente ed alla sua famiglia aprendo, nel 2022, il nostro progetto Aurora+XLH in tutta Italia. Per i piccoli abbiamo creato invece il toolkit ‘Il Diario della mia terapia’, per affrontare attraverso un gioco iniezioni ed infusioni per il trattamento della loro patologia”.
“Si tratta di un traguardo che ci rende molto orgogliosi ed è un segno tangibile del nostro impegno per i pazienti affetti da patologie rare come l’Xlh – dichiara Debora Lazzerini, Southern Cluster Medical Director Kyow Kirin – Garantire la continuità terapeutica per questi pazienti è fondamentale, poiché l’Xlh è una malattia progressiva, debilitante ed invalidante che dovrebbe essere diagnostica e curata prima possibile al fine di migliorarne gli outcome clinici. Noi di Kyowa Kirin per migliorare la qualità della vita di questi pazienti lavoriamo ogni giorno con costante dedizione, ponendoci obiettivi sfidanti e rimanendo sempre in ascolto dei loro bisogni”.
Burosumab è ora indicato per il trattamento dell’ipofosfatemia X-linked nei bambini e negli adolescenti di età compresa tra 1 e 17 anni, con evidenza radiografica di malattia ossea, e negli adulti. E’ un medicinale soggetto a prescrizione medica limitativa, vendibile al pubblico su prescrizione di centri ospedalieri o di specialisti – centri di riferimento autorizzati alla diagnosi e al trattamento dell’ipofosfatemia X-linked (Xlh), individuati dalle Regioni e Province autonome (Rrl).
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