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Sostenibilità

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Il cambiamento climatico potrebbe ridurre il Pil mondiale di oltre il 4%

Standard and Poor’s Global lancia l’allarme e spiega quali sono le zone più a rischio

Mano tesa su terreno siccitoso - Canva

Il cambiamento climatico potrebbe provocare la perdita del 4,4% del Pil globale ogni anno, già a partire dal 2050.

L’allerta arriva da uno studio di Standard and Poor’s Global Rating, dove si spiega che è possibile evitare questo scenario disastroso per l’economia mondiale solo tenendo le temperature ben al di sotto dei +2°C rispetto al periodo preindustriale (1850-1900).

Il primo punto chiarito dal report di S&P Global “Lost GDP: Potential Impacts Of Physical Climate Risks” è che il cambiamento climatico non è ‘solo’ un problema ambientale, ma anche finanziario e sociale.

Il riscaldamento del pianeta, causato principalmente dalle emissioni di gas serra derivanti dalle attività umane, ha già effetti tangibili e negativi sulle condizioni di vita di milioni di persone, sulla biodiversità, sulla sicurezza alimentare e idrica, sulla salute e sui diritti umani.

Ma qual è il costo finanziario del cambiamento climatico? Quali sono i settori e i paesi più esposti ai rischi fisici legati al clima e le possibili soluzioni per mitigare il cambiamento climatico prima che le conseguenze diventino irreversibili?

L’impatto economico del cambiamento climatico

Come detto in apertura, secondo S&P le conseguenze del cambiamento climatico possono portare a una perdita del 4,4% del Pil ogni anno tra meno di trent’anni, già a partire dal 2050. Un dato allarmante, se si considera che il Pil globale nel 2020 era di circa 84 trilioni di dollari, secondo il Fondo Monetario Internazionale e che quindi la perdita sarebbe di oltre 3 trilioni di dollari. Sarebbe come perdere il Pil di Germania, Regno Unito o Francia ogni anno. Il report si basa su quattro scenari climatici per esaminare l’esposizione potenziale di 137 paesi a perdite economiche causate dagli impatti fisici del clima.

È possibile valutare i danni anche considerando il trend di crescita delle perdite nel settore assicurativo che dal 1992 al 2022, è cresciuto in media del 5%-7% all’anno a causa dei disastri naturali. I dati Swiss Re certificano che gli eventi climatici più estremi causano la maggior parte delle perdite assicurative.

C’è poi un’altra tendenza sottolineata nel report che getta (ancora più) ombre sul futuro: è probabile che gli impatti di tali rischi non siano lineari, come già è accaduto storicamente. In pratica, l’aumento marginale della temperatura produce più danni quanto più elevata è la temperatura di partenza. In futuro, è quindi probabile che il cambiamento climatico diventi esponenziale una volta raggiunti determinati punti critici.

Quali sono i rischi climatici

L’agenzia di rating con focus sulla sostenibilità ha individuato 7 tipi di rischi climatici:

- Ondate di calore;

- siccità;

- inondazioni;

- tempeste;

- incendi;

- innalzamento del livello del mare.

Utilizzando i dati sui tassi di perdita storici associati a questi rischi, S&P ha quindi stimato i potenziali impatti economici. Ciò che emerge dalla ricerca è che la diffusione dei rischi climatici fisici erode gradualmente la capacità produttiva dei Paesi per vari motivi: gli investimenti sono più deboli perché aumenta il timore di perdere tutto per calamità naturali, c’è minore produttività, i tassi di mortalità diventano più elevati e si perde capitale.

Prendendo in considerazione uno scenario definito “di transizione lenta” S&P Global Ratings utilizza tre parametri per valutare gli impatti economici dei rischi climatici fisici:

- l’esposizione: la percentuale di Pil o di popolazione che può essere messa a rischio dai cambiamenti climatici;

- il Pil a rischio: il valore del Pil che potrebbe essere perso ogni anno a causa dei rischi climatici, espresso in valore assoluto;

- la prontezza: indica la capacità dei paesi di rispondere ad alcune di queste perdite in base alla loro forza economica e istituzionale.

Il report assume uno scenario di surriscaldamento di 3°C entro il 2050, in linea con le attuali politiche climatiche dei paesi. Tuttavia, se le emissioni di gas serra continuassero a crescere al ritmo attuale, il riscaldamento potrebbe essere anche superiore, con conseguenze ancora più gravi per l’economia mondiale.

I territori più esposti ai rischi climatici

Il report evidenzia anche che il costo del cambiamento climatico non è distribuito in modo uniforme tra i paesi e i settori economici.

Si verifica il paradosso per cui, in media, a subire le conseguenze peggiori del cambiamento climatico sono i paesi che meno hanno contribuito all’inquinamento atmosferico. I paesi più poveri e più caldi, infatti, sono quelli che subiscono le perdite maggiori a causa della loro maggiore esposizione e vulnerabilità agli impatti climatici, della loro minore capacità di adattamento e della loro dipendenza da settori sensibili al clima, come l’agricoltura e il turismo.

[Scenari di danni economici da crisi climatica - Fonte: S&P Global]

È evidente, quindi, come tra i diversi territori varino anche rischi ed esigenze di investimento.

Ad esempio, il report stima che il Pil pro capite dell’Africa sub-sahariana e della zona Mena (Medio Oriente e Nord Africa) potrebbe diminuire dell’8% entro il 2050 a causa dei rischi fisici legati al clima, mentre l’Asia meridionale potrebbe perdere addirittura il 12% di Pil, tre volte la perdita prevista a livello globale.

[La previsione sui fenomeni climatici estremi. Fonte: S&P Global]

Al contrario, nelle stime di S&P, Europa e Nord America sarebbero meno esposte e sarebbe a rischio il 2% del loro Pil. Ricordiamo inoltre un recente rapporto Oxfam-SEI dove si dimostra che l’1% più ricco della popolazione inquina quanto i 2/3 della popolazione globale.

Bisogna poi sottolineare che negli ultimi anni il cambiamento climatico sta portando eventi estremi anche in quei territori tradizionalmente miti, dove non esistevano fenomeni come siccità, inondazioni, tempeste, incendi e innalzamento del livello del mare.

Questi eventi possono causare danni ingenti alle infrastrutture, alle proprietà, alle attività economiche e alle vite umane, oltre a generare costi di adattamento e di ricostruzione. A questo va aggiunto che il cambiamento climatico può avere effetti indiretti sull’economia mondiale gravando sulle catene di approvvigionamento, i flussi commerciali e i movimenti migratori.

Gli eventi estremi in Italia

Le aziende italiane risultano particolarmente colpite dall’estremizzazione dei fenomeni, secondo i dati dell’Eib Investment Survey 2023, ricerca annuale svolta dalla Banca Europea per gli Investimenti (Bei) su un campione di 13 mila aziende europee.

L’indagine spiega che le imprese italiane sono tra quelle che hanno subito i danni maggiori dagli eventi climatici estremi: complessivamente ne è stato danneggiato il 73% delle aziende, meno solo della Spagna (80%) e del Portogallo (79%). La percentuale italiana supera di ben 9 punti percentuali quella media delle imprese che hanno subito perdite legate al cambiamento climatico che si assesta al 64%. Anche quest’ultimo dato è molto allarmante se si considera che è cresciuto del 7% in un solo anno (nel 2022, era stato danneggiato il 57% delle aziende).

Il dato italiano è strettamente correlato all’aumento dei fenomeni: nel 2010 nel Belpaese si verificarono 19 eventi estremi, nel 2022 sono saliti a 310, di cui 104 allagamenti, 81 trombe d’aria, 29 grandinate distruttive, per citare i più ricorrenti (dati Legambiente). Una crescita esponenziale che, secondo una ricerca dell’Icsr (International Center for Social Research) potrebbe far spendere alle imprese italiane, complessivamente, fino a 3,24 miliardi di euro all’anno per riparare i danni ma anche per tutelarsi dal rischio ambientale.

Una situazione che ha il proprio risvolto sociale, noto con il termine di “Ecoansia”, una paura che coinvolge quasi 1 italiano su 2!

Le possibili soluzioni

In conclusione, il report di Standard and Poor’s Global Rating ribadisce che il cambiamento climatico rappresenta una minaccia seria e urgente per la stabilità finanziaria, che richiede una rapida e decisa azione da parte dei governi, delle imprese e della società civile. In realtà, la tanto temuta soglia dei +2°C rispetto al periodo preindustriale è stata già raggiunta (e superata) lo scorso 17 novembre e il tempo a disposizione non sembra molto.

L’obiettivo principale resta quello di ridurre le emissioni di gas serra, in modo da limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, come previsto dall’Accordo di Parigi del 2015 registrato nella Cop 21. L’edizione numero 28 della Conferenza delle parti, in corso a Dubai, ha il compito di trovare delle soluzioni condivise per contrastare il cambiamento climatico. Per raggiungere questo obiettivo, sono necessarie politiche efficaci e ambiziose, che incentivino la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, basata sulle energie rinnovabili, sull’efficienza energetica, sulla mobilità sostenibile, sull’innovazione tecnologica e sulla circolarità dei materiali.

Allo stesso tempo, sono necessarie politiche di adattamento, che aiutino i paesi e i settori più vulnerabili a far fronte agli impatti climatici già in atto o inevitabili, aumentando la loro resilienza e capacità di recupero. Queste politiche devono essere integrate e coordinate a livello locale, nazionale e internazionale, tenendo conto delle diverse esigenze e opportunità dei diversi attori coinvolti. Quando però si tratta di passare dalle parole ai fatti, gli accordi non si trovano e gli interessi particolari continuano a prevalere.

Non fosse altro che solo a novembre, il presidente della Cop e ministro dell’Industria degli Emirati Arabi Uniti 28 Sultan Al Jaber ha espresso dubbi sulla possibilità di rinunciare ai combustibili fossili senza “tornare all’età delle caverne”. Lui dice di essere stato frainteso e di avere fiducia nella scienza.

Intanto, anche S&P ha lanciato l’allarme cercando di far leva su ciò che, per alcuni operatori, può essere più preoccupante: la perdita economico-finanziaria a cui la popolazione mondiale va incontro senza una decisa inversione di rotta.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Sostenibilità

Sostenibilità in ascesa, si accende l’interesse degli...

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Politiche di investimento sostenibile, tendenze, motivazioni e prospettive future

Investimenti sostenibili - Fotolia

L'attenzione verso la sostenibilità da parte di enti previdenziali, fondazioni di origine bancaria e del comparto assicurativo è in costante crescita. Lo conferma la sesta indagine condotta dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, in collaborazione con Asvis (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) e Febaf (Federazione Banche Assicurazioni e Finanza), intitolata 'Esg e Sri: Le Politiche di Investimento Sostenibile degli Investitori Istituzionali Italiani'.

Esg e Sri, fondamentali principi di investimento sostenibile

Gli Esg (Environmental, Social and Governance) e il Sri (Socially Responsible Investment) rappresentano i pilastri fondamentali nell'ambito degli investimenti sostenibili. Gli Esg si concentrano sulla valutazione dei fattori ambientali, sociali e di governance di un'azienda o di un'entità, valutando il suo impatto sull'ambiente, sulla società e sulle pratiche di gestione aziendale. D'altra parte, il Sri si riferisce a strategie di investimento che tengono conto dei valori sociali ed etici, oltre a considerazioni finanziarie.

Insieme, questi principi guidano gli investitori istituzionali nel prendere decisioni di investimento più consapevoli, mirando a ottenere rendimenti finanziari sostenibili e ad impattare positivamente sulle comunità e sull'ambiente. Integrare tali criteri nelle politiche di investimento non solo promuove la sostenibilità a lungo termine, ma può anche generare rendimenti finanziari più stabili e mitigare i rischi nel portafoglio degli investitori.

Adozione delle politiche di investimento sostenibile

L'adozione di politiche di investimento sostenibile è diventata una tendenza sempre più diffusa tra gli enti previdenziali, le fondazioni di origine bancaria e le compagnie assicurative in Italia. Dei partecipanti alla survey, il 53% ha dichiarato di aver già implementato tali politiche. È interessante notare che anche tra coloro che ancora non hanno adottato formalmente la finanza Sri, il 75% ha discusso questo argomento in vista di possibili sviluppi futuri. Nel 2024, hanno partecipato alla survey 128 enti, rispetto ai 123 dell'anno precedente, confermando un crescente interesse verso la sostenibilità nel settore finanziario italiano.

Dopo una leggera battuta d'arresto registrata l'anno scorso, si registra un aumento sia in valore assoluto sia in valore percentuale del numero di investitori istituzionali che adottano politiche di investimento sostenibile. Questo è un segnale incoraggiante, evidenziato anche dalla crescente percentuale di enti virtuosi rispetto al campione intervistato. Tuttavia, rimangono delle sfide da affrontare, come la percentuale di enti che, pur discutendo di sostenibilità in consiglio di amministrazione, decidono di non approcciare la finanza Sri.

Applicazione delle politiche Esg

Un altro dato degno di nota è l'incremento nell'applicazione delle politiche Esg, con il 44% degli enti che preferisce investire una quota compresa tra il 75% e il 100% del proprio patrimonio secondo questi criteri. Tuttavia, si osserva un aumento a discapito delle classi intermedie di investitori 'sostenibili e responsabili', il che suggerisce la necessità di un equilibrio nell'allocazione dei fondi secondo i principi Esg.

Tendenze e motivazioni nell'adozione della finanza SRI

Le tendenze e le motivazioni che guidano verso la finanza SRI riflettono una combinazione di obiettivi etici e pragmatici. La volontà di contribuire allo sviluppo sostenibile emerge come il principale motore di questa scelta, con l'82% dei rispondenti che cita questo obiettivo come la loro motivazione primaria. Tuttavia, non vanno trascurati anche motivi di natura più tecnica, come la mitigazione dei rischi nel portafoglio, citata dal 67% dei partecipanti.

Al terzo posto, ma comunque rilevante, troviamo il miglioramento della reputazione dell'ente, con il 49% delle preferenze. Questo dato rappresenta il valore più alto registrato in tutti gli anni di indagine condotti finora. Altri motivi includono la ricerca di migliori rendimenti finanziari (20%) e la pressione del regolatore (18%).

Tuttavia, nonostante l'interesse e le motivazioni, ci sono delle sfide da affrontare. La difficile misurabilità degli impatti e delle performance è citata dal 62% degli intervistati come la principale barriera all'implementazione di una politica di investimento sostenibile. Anche la mancanza di una definizione univoca di sostenibilità (53%) e la percezione di una normativa di settore poco chiara e confusionaria (48%) contribuiscono a complicare il panorama.

Inoltre, nonostante gli sforzi, solo un esiguo 8% dei rispondenti rileva benefici effettivi in termini di rendimenti finanziari dalle proprie politiche di investimento sostenibile. Al contrario, il 63% sperimenta una mitigazione del rischio complessivo nel portafoglio. Questi risultati suggeriscono che, sebbene vi sia una crescente sensibilità verso la finanza SRI nel mercato istituzionale, vi è ancora un divario significativo tra le aspettative teoriche e gli impatti pratici. Tale divario potrebbe essere influenzato da fattori esterni, come l'instabilità dei mercati finanziari e l'incertezza normativa.

Strategie e tendenze nelle politiche di investimento sostenibile

L'indagine fornisce un'analisi dettagliata sulle strategie e le modalità con cui vengono implementate le politiche di investimento sostenibile, evidenziando le preferenze e le sfide che gli investitori affrontano in questo ambito.

Le esclusioni continuano a detenere la posizione di leadership come strategia più utilizzata per il sesto anno consecutivo, con il 66% dei partecipanti che le adotta. Seguono gli investimenti tematici (34%) e il best in class (32%), che hanno scalzato dal podio le convenzioni internazionali (31%) e l'impact investing (29%). Tuttavia, l'engagement rimane ancora in coda alle preferenze, sebbene cresca dal 24% al 28% in questa edizione. Questo potrebbe suggerire che alcuni investitori ritengono questa strategia più complessa da attuare.

Le esclusioni si concentrano principalmente su prodotti legati al mercato delle armi (89%), seguite da pornografia (59%) e gioco d'azzardo (56%). La parità di genere, sebbene ancora bassa, registra un aumento dal 8% al 11% rispetto all'anno precedente.

Per quanto riguarda le convenzioni internazionali, Unpri rimane al primo posto (64%), seguito dal Global Compact dell'ONU (56%). Per quanto riguarda il best in class, l'attenzione verso la tutela dell'ambiente prevale, con una forte enfasi sulla riduzione delle emissioni (69%).

È interessante notare che, nonostante l'ambiente sia il fattore dominante, la componente sociale e la governance hanno anche un peso significativo, rispettivamente al 31,4% e al 30,7% delle preferenze. Gli investimenti tematici riflettono questa tendenza, con una predilezione per i temi ambientali ma con investimenti significativi anche in settori come la Silver Economy e le Residenze Sanitarie Assistite (RSA).

Per quanto riguarda le tendenze future, il 66% degli investitori afferma di voler aumentare la propria esposizione agli strumenti sostenibili. Le esclusioni rimangono la strategia più allettante, seguite da best in class e investimenti tematici. Settori come le energie rinnovabili, la salute e le infrastrutture sanitarie attraggono particolare interesse per il loro potenziale di crescita sostenibile. Tuttavia, la diversificazione rimane importante, con molte menzioni di settori come le scienze della vita e l'agroalimentare tra le preferenze degli investitori.

Prospettive future e impatto della normativa

Le prospettive della finanza sostenibile sono influenzate in gran parte dalla normativa di settore, che assume un ruolo sempre più rilevante nell'ambito degli investimenti responsabili. La survey dedica quindi una serie di domande specifiche al regolamento Sfdr e ai nuovi modelli Rts che i gestori/collocatori di fondi dovranno adottare nelle comunicazioni.

Attualmente, la maggior parte dei partecipanti (67%) valuta gli effetti di Sfdr come limitati, ma riconosce il potenziale per aumentare l'interesse verso l'acquisto diretto di fondi Esg. Tuttavia, molti enti sono ancora in fase di studio e analisi del quadro legislativo, il che si riflette nel numero di fondi che non rispondono né all'articolo 8 né all'articolo 9.

C'è una crescente consapevolezza della complessità delle nuove procedure e normative, con oltre il 60% dei partecipanti che dichiara di non avere conoscenze sufficienti sugli Rts. Questo porta molti enti a manifestare l'intenzione di avviare percorsi di formazione interna, sebbene solo una minoranza disponga attualmente di figure o team dedicati agli investimenti Esg.

La collaborazione con advisor finanziari specializzati sugli aspetti di sostenibilità è sempre più diffusa, con il 42% dei partecipanti che si avvale di un advisor Esg. Tra i gestori/collocatori di fondi, alcune società emergono come particolarmente attente alle tematiche Esg, evidenziando un'attenzione crescente verso la sostenibilità anche nel panorama nazionale e internazionale.

Nonostante le recenti performance degli investimenti sostenibili possano non essere particolarmente brillanti a causa di un contesto congiunturale sfavorevole, l'economia italiana sta sempre più puntando verso la sostenibilità. Ciò riflette non solo una maggiore sensibilità dei singoli cittadini, soprattutto dei più giovani, ma anche una consapevolezza crescente nell'ambito degli investimenti istituzionali.

La sostenibilità non è più una moda, ma una componente essenziale degli investimenti, in linea con la sensibilità crescente dei cittadini. Nonostante le attuali performance non brillanti, la finanza sostenibile è destinata a consolidarsi come modello predominante nelle allocazioni future.

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Sostenibilità

Agricoltura, nasce sistema Agreed: droni e satelliti per...

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Progetto nato per realizzare un sistema integrato di sorveglianza, tracciabilità, previsione e gestione malattie che colpiscono produzioni ortofrutticole dell’Italia meridionale

Agricoltura, nasce sistema Agreed: droni e satelliti per prevenire malattie ortofrutta

Una piattaforma tecnologica che raccoglie i dati inviati da droni, satelliti, radar e sensori di campo per prevenire le malattie che minacciano le produzioni ortofrutticole evitando crisi produttive e conseguenti danni economici alla filiera dell’agricoltura e agli operatori di settore. Nasce così Agreed, AGRiculture, Green & Digital, il nuovo sistema europeo d’avanguardia realizzato dall’italiana Corvallis (Gruppo Tinexta), azienda cyber tra i principali fornitori di servizi It nel settore finanziario italiano, in collaborazione con la sede italiana del Ciheam-Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Méditerranéennes, Politecnico di Bari, Hort@, Cini, Università degli Studi di Enna "Kore", Cmcc (Centro Europeo Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici) e Infobiotech. (Video)

Il progetto si propone di utilizzare diverse tecnologie per realizzare un sistema integrato di sorveglianza, tracciabilità, previsione e gestione a basso impatto ambientale delle più gravi malattie che colpiscono le principali produzioni ortofrutticole dell’Italia meridionale, come l’olivo, la vite, gli agrumi e il pomodoro. L’esigenza degli operatori agricoli è quella di individuare e prevedere l'insorgere di fitopatologie – come funghi, virus, batteri e altri organismi – che compromettono i raccolti di frutta e verdura.

Agreed è il sistema più avanzato in Europa per la raccolta di informazioni affidabili in tempo reale sulla presenza e diffusione delle patologie delle piante. Grazie alla collaborazione tra ricercatori, tecnici e agricoltori, il progetto offre vantaggi tangibili per il settore agricolo, tra cui la prevenzione e l'individuazione precoce di focolai d'infezione, la fornitura di informazioni affidabili sulle colture e la gestione sostenibile delle risorse in campo agricolo, supportando l'attuazione di misure di contenimento e di controllo, anche attraverso interventi fitosanitari precisi ed eco-compatibili.

Grazie a una piattaforma multisorgente IoT (Internet of Things), il sistema Agreed raccoglie e analizza flussi continui di dati provenienti da una varietà di fonti, tra cui immagini satellitari, scansioni infrarosse e termiche acquisite da droni, radar, sensori di campo e modelli climatici previsionali. Questi dati vengono continuamente analizzati ed elaborati per individuare e mappare focolai d'infezione, consentendo l'attuazione di interventi fitosanitari di precisione e sostenibili.

"Per proteggere l’agricoltura nello scenario globale, non è più sufficiente la sola esperienza umana – commenta Andrea Monti, Direttore Generale di Tinexta Cyber, il polo della cybersicurezza di cui fa parte Corvallis – per questo la tecnologia è la più valida alleata delle imprese del settore agroalimentare che devono sempre più tutelarsi a fronte dell’insorgenza di nuove patologie fitosanitarie, prima che siano epidemie non più governabili. Il settore agricolo si sta orientando in modo deciso verso l’Agritech per superare grazie alle tecnologie quel gap in innovazione registrato invece da altri settori produttivi. L’agricoltura di precisione e le soluzioni di frontiera come Agreed rappresentano un nuovo standard nella gestione preventiva delle problematiche fitosanitarie, dimostrando il potenziale delle tecnologie avanzate nel garantire la sicurezza e la qualità delle produzioni agricole, nel rispetto dell'ambiente e delle esigenze del settore agricolo contemporaneo".

"Agreed rappresenta un balzo in avanti nella sorveglianza fitosanitaria grazie a una serie di innovazioni tecnologiche che non solo favoriscono un intervento precoce, ma promuovono pratiche agricole sostenibili e rispettose dell’ambiente. Il team del Ciheam Bari, in qualità di responsabile scientifico del Progetto Agreed, ha sviluppato, in particolare, l’algoritmo per l'analisi delle immagini satellitari del programma europeo Copernicus, che consente di tracciare i 'mutamenti" causati da Xylella fastidiosa negli uliveti" ha aggiunto Maurizio Raeli, direttore del Ciheam Bari. Gli agricoltori e gli operatori del settore agricolo possono accedere alla piattaforma informatica dedicata Agreed ricevendo segnalazioni puntuali e supporto nella gestione delle minacce fitopatologiche. Tutte le informazioni relative agli interventi colturali e fitosanitari praticati dagli agricoltori sono registrati sul portale di Agreed tramite sistema blockchain. Maggiori informazioni su Agreed sono disponibili sul sito https://corvallis.it/open-lab/progetti/.

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Sostenibilità

Abbandono di vetro in strada, lo fa 1 italiano su 4: i dati

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Il fenomeno dell’abbandono di vetro in strada è stato oggetto di una ricerca del birrificio Ichnusa-AstraRicerche: ecco cosa è emerso

Bottiglie di vetro - Canva

Dichiara di farlo almeno un italiano su quattro, ma più di sei su 10 provano indignazione. Questo è il quadro emerso da una ricerca del birrificio Ichnusa, commissionata ad AstraRicerche, per fotografare opinioni e contraddizioni sul territorio nazionale, in merito all’abbandono delle bottiglie di vetro in strada. L’occasione è una campagna di sensibilizzazione dell’azienda volta ad arginare il fenomeno a partire dai comportamenti individuali.

Se sei su 10 si indignano, tre su 10 provano tristezza e due su 10 si sentono impotenti difronte al fenomeno. Ma scopriamo insieme cosa è emerso dalla ricerca.

L’abbandono di vetro in strada

Il fenomeno, nel nostro Paese, sembra avere due volti differenti. Da una parte, sei italiani su 10 ritengono che la raccolta del vetro venga fatta in alta percentuale, con cura e qualità. Dall’altra parte, uno su due (53%) percepisce come diffuso l'abbandono di rifiuti e materiali di vetro come le bottiglie in strada o negli spazi pubblici nella zona in cui vive, fenomeno che, per due italiani su tre (67%) è una priorità grave o importante.

L'indagine restituisce anche una percezione dell’identikit dei “colpevoli”. Per circa due italiani su tre, a sporcare sono per lo più i giovani 18-34 anni, principalmente uomini (anche se per il 28% non c'è gender gap in questa mancanza di rispetto), residenti in zona o nel territorio circostante.

Quali le cause? Le prime quattro cause che emergono con forza dal report sono:

  1. La mancanza di senso civico,
  2. Il poco rispetto per il decoro urbano
  3. Il disinteresse per le conseguenze ambientali
  4. La leggerezza delle sanzioni per un atto che ritengono spesso impunito

Dura condanna per chi sporca. Ma la situazione cambia quando si chiede se è mai capitato di aver gettato una bottiglia in terra. Dalla ricerca, infatti, si scopre che lo ha fatto circa uno italiano su quattro (meno di uno su cinque in Sardegna). Uno su 10 ha confessato di aver commesso il fatto una o più volte solo nell'ultimo anno. Ma si affretta ad attribuirne la causa sempre a motivi esterni: lo ha fatto in prossimità del negozio/locale dove avevano acquistato la bottiglia. E c'è anche chi (circa il 20%) afferma candidamente di averla lasciata dove capitava per nessun motivo in particolare.

Una questione di responsabilità

L’abbandono di vetro in strada non contribuisce al riciclo e a un corretto smaltimento. Il sentiment emerso dalla ricerca, però, è che c’è chi è pronto a prendersi la propria responsabilità. Sono 6 su 10 gli italiani che affermando che se vedono una bottiglia abbandonata la raccolgono anche se non è la loro e cercano un cestino dove buttarla. Poco meno del 4% chiamerebbe il comune o l’azienda municipale della raccolta dei rifiuti.

Per otto italiani su 10 le campagne di informazione sull'impatto del vetro abbandonato sono tra le azioni più efficaci per ridurre l'abbandono di vetro nell'ambiente. Ben vengano quindi iniziative di informazione e sensibilizzazione come quella che Ichnusa si appresta a lanciare in Sardegna in vista dell'estate: positivo o molto positivo per quasi nove italiani su 10 il giudizio verso la campagna di comunicazione 'Il nostro impegno', che esorta i consumatori a smaltire correttamente le bottiglie di vetro e a non abbandonarle, unita ad azioni di pulizia dei dipendenti del birrificio con Legambiente.

Il caso Sardegna

La Regione Sardegna, sull’abbandono del vetro in strada, ha una sensibilità maggiore. Sembra, infatti, che i cittadini sardi, vivendo in un territorio dagli ecosistemi unici e fragili, risentano particolarmente del fenomeno e lo vivano come più impattante per la biodiversità. Complice è anche un turismo stagionale di massa, fenomeno noto come ‘Overtourism’ che colpisce diverse zone italiano nel periodo estivo, dove il consumo di bevande rinfrescanti in vetro, alcoliche o meno, è tendenzialmente maggiore. Tra i motivi giudicati fondamentali per cui non bisognerebbe mai abbandonare il vetro nell'ambiente, il rispetto che si deve alla propria terra (48% in Italia e 56% in Sardegna), il fatto che è un danno per le generazioni future (43% in Italia, 48 sull'Isola), deturpa il paesaggio (51% per i sardi, 41% nel resto del paese) e peggiora immagine e reputazione del territorio, dove la Sardegna supera di 12 punti percentuali (52% a 40%) la media nazionale.

La campagna di sensibilizzazione, quindi, prenderà piede proprio dall’isola, dove il fenomeno assume un’importanza maggiore. Infatti, per il 74% dei sardi si tratta di un problema 'grave e importante', contro il 58% della media nazionale. Al pari dei comportamenti che possono provocare incendi o spreco idrico. Cosa differenzia la Sardegna dal resto d'Italia? I sardi sono più propensi a ripulire: il 68% di loro raccoglie le bottiglie abbandonate, contro una media italiana del 62%. Tuttavia, l'abbandono del vetro rimane un problema significativo in Sardegna, soprattutto durante l'estate. Per il 53% dei sardi, infatti, il fenomeno aumenta in maniera considerevole nei mesi estivi, con un ulteriore 19% che lo considera un problema grave per l'isola in questo periodo.

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