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Senato, De Poli presenta centro studi patrimonio immateriale: “Serve piano nazionale”

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"L’Italia è il Paese dei 1000 tesori nascosti

Senato, De Poli presenta centro studi patrimonio immateriale:

“Oggi in Senato abbiamo presentato il Centro studi per il Patrimonio culturale immateriale. L’Italia è il Paese dei 1000 tesori nascosti”. Lo ha detto il senatore Udc Antonio De Poli che, nel pomeriggio, a Palazzo Madama, ha presentato il centro studi per il patrimonio culturale immateriale della fondazione pro loco d’Italia.

“Serve un Piano nazionale – ha continuato – per la salvaguardia di questo immenso patrimonio, per valorizzare e promuovere le tradizioni e le identità dei nostri territori, censirli e portarli a conoscenza sia a livello nazionale che internazionale. Le Pro Loco sono radicate nei territori con più di 6000 associazioni e milioni di volontari: chi meglio di loro può censire questo grande patrimonio?”.

“In una fase – ha precisato – di rilancio del turismo italiano, i volontari delle pro loco e le pro loco stesse svolgono un ruolo fondamentale nei territori e possono aiutarci a farci scoprire le meraviglie dell’Italia e dei nostri borghi”.

(segue)

“In ogni realtà – ha evidenziato De Poli – c’è una bellezza e un tesoro straordinario che possiamo salvaguardare. Il mondo delle pro loco può fare un grande lavoro per tutti noi, per salvaguardare il nostro territorio e i nostri tesori e per farli conoscere agli italiani e al mondo”.

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Napolitano, l”amico Giorgio’ della Casa Bianca

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Dalle 'lezioni americane' a Obama, sempre forte il feeling con gli Usa

Napolitano e Obama - Fotogramma

Dalle ‘lezioni americane’ del 1978 in alcune delle più prestigiose università degli States del primo dirigente del Pci invitato in Usa, agli incontri con George Bush prima e, soprattutto, con Barack Obama poi, con il quale l’allora Capo dello Stato italiano ha mostrato di avere un feeling particolare su molte delle questioni di politica internazionale sul tappeto. Per la Casa Bianca e per la diplomazia Usa, Napolitano è stato sempre ‘l’amico Giorgio’.

Una stima che si è consolidata nel tempo, gradualmente, già all’indomani del primo viaggio in Usa. Ma è con Obama che il rapporto tra Napolitano e Washington è diventato ‘speciale’, come dimostra la telefonata pochi giorni prima del termine del secondo mandato con la quale il Presidente Usa ha voluto rendere l’ennesimo omaggio al Capo dello Stato italiano, prossimo alle dimissioni, ringraziandolo per il suo “storico mandato” e per i suoi rilevanti contributi offerti “a vantaggio non solo della sua Nazione, ma anche dell’Europa e della comunità transatlantica”.

Sette volte, nel corso del suo doppio mandato, Napolitano ha incontrato Obama. Il Presidente Usa è stato ricevuto al Quirinale nel 2009 e nel marzo 2013. Napolitano è stato ospite alla Casa Bianca nel 2010 e nel 2013. Alle visite di Stato si affiancano gli incontri a L’Aquila, dopo il terremoto, nel luglio 2009 per il G8, a Varsavia, nel 2011, per il summit dei Capi di Stato dell’Europa centrale al quale ha preso parte anche il Presidente americano, e in Normandia nel giugno del 2014 per le celebrazioni del 70/mo anniversario dello sbarco alleato. In più di un’occasione i due Presidenti si sono sentiti telefonicamente per discutere di temi politici ed economici, soprattutto da quando la crisi economico-finanziaria si è fatta drammatica per l’Europa.

Tre gli incontri sull’asse Roma-Washington con il predecessore di Obama, George W. Bush: i due Capi di Stato si sono incontrati due volte nel 2007: a giugno Bush è venuto a Roma e nel dicembre dello stesso anno Napolitano ha ricambiato la visita recandosi a Washington. L’anno successivo, Bush è tornato al Quirinale per la sua ultima visita da Presidente degli Stati Uniti d’America.

La stima ed il rispetto della Casa Bianca per Napolitano sono emersi in tutta la loro evidenza nei ‘cable’ diffusi da Wikileaks e inviati nell’agosto del 2008 dall’allora ambasciatore Usa in Italia Ronald Spogli al vicepresidente degli Stati Uniti Dick Cheney in occasione di una sua visita a Roma. Napolitano, scriveva il diplomatico americano, “continua ad esercitare la sua autorità con coscienza e ad essere una forza stabilizzatrice per il governo e il sistema, anche quando ciò lo rende ‘impopolare’ nel centrosinistra”.

Ancora giudizi positivi sull’inquilino del Colle in altri dispacci inviati delle feluche a Washington. Nel giugno 2009, alla vigilia del summit tra i Grandi della terra, è la numero due dell’ambasciata Usa a Roma, Elizabeth Dibble, che scrive direttamente a Obama, in vista di un incontro con il Presidente italiano: “Napolitano è sostanzialmente rispettato dai partiti di tutto lo spettro politico e la sua reputazione si è rafforzata per come ha gestito la crisi dell’ultimo Governo Prodi”. I diplomatici Usa non mancano nemmeno di sottolineare la grande considerazione di Napolitano per Obama che “ha ricostruito l’immagine americana danneggiata in seguito alle scelte prese dopo l’11 settembre”.

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Politica

Giorgio Napolitano, da Prodi a Renzi: 5 premier in 9 anni tra spread, larghe intese e riforme

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La crisi degli Esecutivi del Professore, il ritorno e l'addio di Berlusconi

Giorgio Napolitano, da Prodi a Renzi: 5 premier in 9 anni tra spread, larghe intese e riforme

Da Romano Prodi a Matteo Renzi, passando per il Berlusconi IV, l’Esecutivo tecnico del bocconiano Mario Monti e quello di Enrico Letta. In un periodo tra i più difficili della seconda Repubblica, tra scontro politico, crisi economico-finanziaria e feroci attacchi speculativi, Giorgio Napolitano – morto oggi all’età di 98 anni – da Capo dello Stato, ha nominato cinque presidenti del Consiglio. Nel febbraio 2007 Napolitano deve gestire la prima crisi di governo da quando è salito al Colle: il premier Romano Prodi si è dimesso, dopo il voto contrario del Senato alla relazione sulla politica estera del suo governo. Dopo tre giorni Napolitano rinvia il governo alle Camere per la fiducia, che ottiene.

Ma l’anno successivo Napolitano si trova a fare i conti con la crisi che questa volta affonda l’Esecutivo guidato dal ‘Professore’. Lo scontro tra i due schieramenti non conosce tregua e a gennaio il Senato, dove a causa del Porcellum la maggioranza si regge su un pugno di voti, nega la fiducia al Governo e Prodi rassegna le dimissioni. Strada obbligata, lo scioglimento delle Camere e il voto. Il testimone torna così nelle mani di Silvio Berlusconi, che ‘dilapida’ in poco tempo la maggioranza schiacciante uscita dalle urne. Ma è la crisi finanziaria che viene dagli States a segnare l’ultimo giro di giostra a Palazzo Chigi per il Cavaliere.

La situazione economica si deteriora progressivamente e sulla scena politico-economica irrompe una parola fino ad allora quasi sconosciuta all’opinione pubblica: lo spread, il differenziale tra titoli di Stato italiani e bund tedeschi, il termometro della tenuta economica. Nell’estate del 2011 la Bce impone al Governo italiano una cura da cavallo per arginare la crisi e nell’autunno del 2011 si profila il rischio di un declassamento.

A fine ottobre Francia e Germania lanciano l’ultimatum a Berlusconi sulle misure per debito e crescita. E subito fa il giro del mondo il video in cui Angela Merkel e Nicolas Sarkozy da Bruxelles rispondono alle domande dei giornalisti al termine di una riunione del Consiglio Ue. Ai due leader viene chiesto se hanno fiducia nel premier italiano. Merkel, in evidente imbarazzo, fa timidamente cenno di sì, ma poi incrocia lo sguardo eloquente di Sarkozy e sul volto di entrambi appare un sorriso ironico.

Il destino del Governo Berlusconi è irrimediabilmente segnato. Il 9 novembre Napolitano nomina senatore a vita Mario Monti. È il prologo al Governo tecnico con il centrodestra grida al complotto contro il Cavaliere.

Il 12 novembre, dopo una giornata tesissima, Berlusconi getta la spugna e allo Studio alla Vetrata, al Quirinale, è seduto davanti a Napolitano mentre firma le dimissioni. Nasce il Governo Monti, con i partiti che fanno un passo indietro e mettono da parte la conflittualità. La ‘strana maggioranza’ e ‘Super Mario’ si prendono carico di una mission (quasi) impossible: traghettare l’Italia fuori dalla palude della crisi e restituire al Paese la perduta credibilità internazionale. E non possono essere che lacrime e sangue, a cominciare dalla contestatissima legge Fornero sulle pensioni.

Ma anche la candela del Governo tecnico si scioglie rapidamente al fuoco della crisi. Il 6 dicembre 2012 il Pdl lascia la maggioranza e si astiene, al Senato, sul voto al decreto Sviluppo e alla Camera sul provvedimento che riguarda le spese di Regioni ed Enti locali. Monti, dopo un colloquio con Napolitano, annuncia che, una volta approvata la legge di Stabilità, si dimetterà (l’ultimo atto il 21 dicembre).

Il 22 dicembre, dopo le consultazioni con le forze politiche Napolitano firma il decreto di scioglimento delle Camere: si voterà il 24 e 25 febbraio 2013. La coalizione di centrosinistra, ‘Italia bene comune’ ottiene la maggioranza dei seggi alla Camera, mentre a Palazzo Madama la ‘maledizione del Porcellum’ impedisce tanto al centrosinistra quanto al centrodestra di raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi.

Sulla scena politica irrompe il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo che raccoglie il 25% dei voti: è il ‘boom’ che Napolitano aveva ironicamente liquidato dopo il risultato dei grillini alle regionali in Sicilia: “di boom ricordo solo quello degli anni Sessanta, altri non ne vedo…”. Grillo però respinge l’offerta di collaborazione del Pd. Per Bersani è una vittoria elettorale a metà che gli sbarrerà le porte di Palazzo Chigi.

Intanto le forze politiche si impantanano sull’elezione del nuovo inquilino del Colle. Romano Prodi cade sotto il fuoco amico di 101 cecchini: tra le vittime, anche Bersani che lascia la guida del Pd. Il pressing sul Capo dello Stato uscente si fa intenso e alla fine Napolitano accetta “per senso di responsabilità” il secondo mandato.

Subito dopo, a fine aprile 2013, il flop di Bersani genera il Governo di Enrico Letta e la nascita delle larghe intese: “le forze rappresentate in Parlamento devono, senza alcuna eccezione, dare ora il loro apporto alle decisioni da prendere per il rinnovamento del Paese. Non si può non prender atto dei risultati elettorali, piacciano oppure no, e non c’è partito o coalizione che abbia avuto voti a sufficienza per governare con le sue sole forze”.

”È tassativa la necessità di intese tra forze diverse”, dice il Capo dello Stato nel discorso di insediamento-bis, ponendo una precisa condizione: si facciano finalmente le riforme, altrimenti al rieletto Capo dello Stato non resterà che “trarre le dovute conseguenze”. È il governo del tutti dentro, che però viene azzoppato quando il Senato vota la decadenza di Berlusconi. Forza Italia si sfila e l’esecutivo Letta rallenta la sua corsa.

Il nuovo segretario dei Dem è Guglielmo Epifani, ma la sua sarà solo una ‘reggenza’ per la transizione. A dicembre, le primarie del Pd incoronano segretario Matteo Renzi, che inizia la sua marcia inarrestabile verso Palazzo Chigi. Nella Direzione di metà febbraio 2014 l’ex sindaco di Firenze manda a casa il premier Pd: “Non è un derby”, non è una sfida “caratteriale” tra lui e Letta, dice.

“È un bivio e io vi propongo di percorrere la strada meno battuta”, perché serve un “cambiamento radicale”. L’hashtag ‘Enricostaisereno’ di appena un mese prima suona beffardo. Al volante ora c’è Matteo il ‘rottamatore’, al quale Napolitano affida l’incarico di formare il Governo.

Ancora una volta nel nome delle riforme e della ripresa economica. Non mancano tuttavia tensioni, quando il Capo dello Stato dice no alla proposta di nominare ministro della Giustizia, Nicola Gratteri.

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Politica

Giorgio Napolitano, 70 anni nelle Istituzioni e 9 anni al Quirinale

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Il primo Presidente della Repubblica riconfermato al Colle

Giorgio Napolitano, 70 anni nelle Istituzioni e 9 anni al Quirinale - Fotogallery


Giorgio Napolitano, morto oggi all’età di 98 anni, è stato protagonista di una vita trascorsa nelle Istituzioni, 70 anni in tutto, fino a quella più alta, vale a dire la Presidenza della Repubblica, con la prima riconferma della storia dopo il settennato, avvenuta per una serie di contingenze che resero necessaria una rielezione che portò ad un prolungamento del mandato di altri due anni. Ma non è stata la sola prima volta che può vantare nel suo curriculum.

Napolitano è stato infatti il primo ex comunista a diventare Presidente della Repubblica; ma anche il primo ex comunista nominato ministro dell’Interno; il primo dirigente comunista inviato negli Stati Uniti.

Napolitano nasce a Napoli il 29 giugno del 1925 e si laurea in Giurisprudenza nel dicembre del 1947 presso l’Università del capoluogo campano con una tesi in economia politica. Da studente universitario è impegnato con i giovani antifascisti e a vent’anni si iscrive al Partito comunista.
Nel 1953 viene eletto per la prima volta alla Camera, dove verrà sempre riconfermato, tranne che nella quarta legislatura, nella circoscrizione di Napoli fino al 1996. Nel 1992 ne diverrà presidente, dopo l’elezione a Capo dello Stato di Oscar Luigi Scalfaro, e sarà chiamato a governare l’Assemblea di Montecitorio al culmine di Tangentopoli, sempre geloso custode delle prerogative parlamentari.

Così, di fronte alla richiesta “irrituale agli uffici della Camera, da parte di un ufficiale della Guardia di Finanza, su invito della Procura della Repubblica di Milano, di atti peraltro già pubblicati per obbligo di legge sulla Gazzetta ufficiale”, Napolitano ribadisce “i principi inderogabili cui si deve ispirare una corretta collaborazione tra il Parlamento ed il potere giudiziario”, esprimendo “viva preoccupazione per il verificarsi di casi che toccano questi principi”, ottenendo dal Procuratore di Milano, Francesco Saverio Borrelli, “formali scuse” dopo avergli manifestato “stupore e disappunto”.
Mentre il suicidio del deputato socialista, Sergio Moroni, il 2 settembre del 1992, “fu il momento umanamente e moralmente più angoscioso che vissi da presidente della Camera”, confesserà alcuni anni dopo Napolitano, destinatario di una lettera da parte dello stesso parlamentare prima di compiere il tragico gesto.
Dopo quel biennio, scocca l’ora del maggioritario e della vittoria del centrodestra e di fronte alle attese e agli interrogativi che suscita l’avvento del governo di Silvio Berlusconi, durante il dibattito sulla fiducia l’ormai ex presidente della Camera disegna il perimetro di quello che dovrebbe essere il terreno di un corretto rapporto tra maggioranza e opposizione.

Un discorso rimasto celebre, che spinge il nuovo premier a lasciare i banchi del Governo per congratularsi con Napolitano. “L’opposizione -dice tra l’altro il futuro Capo dello Stato- non deve impedire che si deliberi in Parlamento, ma ha ragione di esigere misura e correttezza, riconoscimento e rispetto dei propri diritti. L’opposizione non deve impedire che questo governo governi; anzi, ha interesse a che non ci siano alibi per ogni possibile inazione o contraddizione da parte del governo. Quel che sollecitiamo è il linguaggio di un serio confronto istituzionale, di un confronto in quest’Aula sulla complessità ineludibile dei problemi e delle scelte di governo. È anche così che si rispetta sul serio il Parlamento ed il suo ruolo insostituibile nel sistema democratico, in una democrazia dell’alternanza: e non c’è nulla che prema di più a chi vi parla, nulla che dovrebbe premere di più a tutti noi”.
I primi incarichi nel Partito comunista, vedono Napolitano nominato segretario delle federazioni di Napoli e Caserta, mentre dal 1956 diviene membro del Comitato centrale, dove assume l’incarico di responsabile della commissione meridionale. Entrato a far parte della Direzione, nel triennio 1976-79, gli anni della solidarietà nazionale, è responsabile della politica economica del partito, mentre dal 1986 dirige la commissione per la Politica estera e le relazioni internazionali. E quando nel 1989 Achille Occhetto darà vita al ‘governo ombra’ ne sarà nominato ministro degli Esteri.
Allievo di Giorgio Amendola, con Gerardo Chiaromonte ed Emanuele Macaluso è uno degli esponenti di spicco della corrente migliorista, quella più moderata del partito, che lo vede sempre impegnato a tenere aperti i canali di dialogo con il Psi, anche negli anni del duro scontro tra Enrico Berlinguer e Bettino Craxi.

Sia per la sua linea politica che per gli incarichi ricoperti, Napolitano cura i rapporti con i Laburisti inglesi, i Socialisti francesi, i Socialdemocratici tedeschi, i Democratici statunitensi. E dopo un iniziale rifiuto del visto da parte del segretario di Stato Henry Kissinger nel 1975, tre anni dopo sarà il primo dirigente comunista a recarsi negli Usa, nel pieno della stagione del compromesso storico.
Un viaggio reso possibile grazie anche ai buoni uffici del presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, come ricorderà anni dopo Napolitano in una lettera al leader democristiano: “Non dimentico come ti adoperasti per il buon esito di quella mia prima missione negli Stati Uniti”.
Kissinger invece si farà perdonare con gli interessi 40 anni dopo, quando nel 2015 gli consegnerà di persona l’omonimo premio all’American Academy a Berlino. “Ha salvato la democrazia Italia nel bel mezzo della crisi economica globale. Per me -dirà l’ex capo della diplomazia americana- ha un grande significato celebrare Napolitano: vero leader democratico, amico delle relazioni atlantiche e difensore della dignità degli esseri umani”.

Tornando alla sua attività all’interno del Pci, Napolitano alla morte di Berlinguer sfiora la segreteria, spinto da un altro esponente migliorista come il segretario della Cgil Luciano Lama, ma alla fine prevarrà Alessandro Natta. In quegli anni, esattamente tra il 1981 e il 1986, sarà comunque capogruppo alla Camera.
Dopo aver lasciato l’assemblea di Montecitorio, nel 1996 viene nominato ministro dell’Interno nel primo Governo di Romano Prodi e con la ministra della Solidarietà sociale, Livia Turco, terrà a battesimo la legge sull’immigrazione che tra l’altro istituisce i Cpt, Centri di permanenza temporanea.
Chiusa anche quell’esperienza quando a palazzo Chigi approda Massimo D’Alema, dal 1999 al 2004 Napolitano è parlamentare europeo, esperienza vissuta anche nel triennio 1989-1992. Come ex presidente della Camera, nel 2003 viene nominato a guida dell’omonima Fondazione, nata per favorire la conoscenza e la divulgazione del patrimonio storico e del ruolo istituzionale dell’Assemblea di Montecitorio.

Il 23 settembre del 2005 il ritorno nel Parlamento italiano, quando Carlo Azeglio Ciampi lo nomina senatore a vita. Sarà una parentesi di pochi mesi, perchè il 10 maggio 2006 è viene eletto Presidente della Repubblica con 543 voti, quelli della maggioranza di centrosinistra.
‘The quiet power broker’, il posato mediatore, lo definirà il ‘New York Times’, con espressione che sintetizza un settennato durante il quale la funzione di garante si concretizza in un’attività in grado di assicurare il costante equilibrio del sistema istituzionale, soprattutto nei momenti più critici e delicati.
Come nell’autunno del 2011, l’anno in cui si celebrano i 150 anni dell’unità d’Italia, quando la crisi del Governo Berlusconi e la preoccupante situazione economica legata all’elevato livello raggiunto dallo spread, portano alla nascita dell’Esecutivo tecnico guidato da Mario Monti e sostenuto da un’ampia maggioranza parlamentare.

La stessa che nella primavera del 2013, dopo la bocciatura di Franco Marini e di Romano Prodi ad opera dei franchi tiratori, chiederà a Napolitano di restare al Quirinale alla fine del suo settennato. Accetta e il 20 aprile arriva la sua rielezione con 738 voti. La prima ma non l’ultima volta nella storia repubblicana di una conferma al Quirinale dopo il settennato, visto che la stessa cosa accadrà nel 2022 con Sergio Mattarella, anche in questo caso per superare uno stallo parlamentare che sembra insuperabile.
Giurando davanti al Parlamento riunito in seduta comune, Napolitano, denuncia l'”imperdonabile nulla di fatto in materia di sia pur limitate e mirate riforme della seconda parte della Costituzione”. Per questo, è il suo appello “non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana”.
Un obiettivo che porta alla formazione del governo di larghe intese guidato da Enrico Letta e un impegno che non cessa anche quando l’ex Capo dello Stato decide che è arrivato il momento di lasciare il Quirinale, il 14 gennaio 2015.

Nove anni durante i quali si ricordano anche l’impegno europeista, suggellato da momenti dalla forte valenza simbolica, come la storica visita il 23 marzo 2013 insieme al Presidente tedesco Joachim Gauck a Sant’Anna di Stazzema per commemorare le vittime dell’eccidio compiuto dai nazisti.
Restano poi scolpite nella memoria le immagini che testimoniano lo speciale e intenso rapporto con Benedetto XVI, culminato nel concerto in Vaticano del 4 febbraio 2013 organizzato in occasione dell’anniversario dei Patti lateranensi.
Napolitano, con commozione, ricorda “la memoria dei nostri incontri e colloqui, in molteplici occasioni, nel corso di questi sette difficili anni”. Parole che vengono lette come un commiato in vista della fine del settennato, che invece verrà prolungato ancora di due anni, mentre una settimana dopo sarà Ratzinger a lasciare sorpresa il Soglio di Pietro.

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E’ morto Giorgio Napolitano, Presidente Emerito della Repubblica aveva 98 anni

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Si è spento alle 19.45 nella clinica Salvator Mundi di Roma. Mattarella: "Ha interpretato significative battaglie per lo sviluppo sociale, la pace e il progresso dell'Italia e dell'Europa". Camera ardente al Senato

E’ morto Giorgio Napolitano. Il Presidente Emerito della Repubblica aveva 98 anni. Napolitano si è spento alle 19.45 di oggi, 22 settembre 2023, presso la clinica Salvator Mundi al Gianicolo, a Roma.

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Ue, Meloni: “Vogliamo che l’Italia sia esempio in spesa fondi europei”

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"L'obiettivo è non perdere neppure un euro"

Giorgia Meloni

“Vogliamo trasformare l’Italia da nazione che è stata troppo spesso fanalino di coda nella spesa dei fondi europei a nazione virtuosa che possa fare da esempio per le altre”. Così il presidente del Consiglio Giorgia Meloni intervenendo a Genova alla presentazione dell’accordo con la Regione Liguria per l’utilizzo dei fondi di coesione. “L’obiettivo è non perdere neppure un euro perché l’Italia non se lo può permettere”, ha aggiunto.

“Noi ce la mettiamo tutta, questo accordo che oggi sigliamo con la Liguria è solo il primo esempio di una nuova stagione della capacità che ha l’Italia di spendere i fondi europei” assicura. “Noi vogliamo rappresentare una nazione responsabile, capace, in grado di soprattutto quando attraversa momento di difficoltà di non raccontare al mondo che disperde le risorse, ma che è la prima e la più brava nel spenderle” sottolinea.

“Nella prossima legge di bilancio abbiamo un collegato dedicato all’economia del mare e in quel collegato raccoglieremo le esigenze e le proposte dei vari settori, compreso quello della nautica” conclude.

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Migranti, 5000 euro per evitare il Cpr: opposizione contro governo

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Fonti Viminale: "Garanzia per scongiurare il rischio di fuga", La norma in un decreto viene aspramente criticata. Pd: "Governo si comporta da scafista"

L'hotspot di Lampedusa

Opposizione all’attacco del governo per la norma di un decreto del Ministero dell’Interno relativo ai richiedenti asilo, in base alla quale si introduce una “garanzia finanziaria di 4.938 euro” da versare per evitare la permanenza in un Cpr. La norma finisce nel mirino in particolare del Pd, mentre il tema migranti è sotto i riflettori dopo la raffica di sbarchi a Lampedusa nei giorni scorsi.

Il decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale riguarda l'”Indicazione dell’importo e delle modalita’ di prestazione della garanzia finanziaria a carico dello straniero durante lo svolgimento della procedura per l’accertamento del diritto di accedere al territorio dello Stato”.

La “garanzia finanziaria” nell’articolo 1 viene definita “idonea quando l’importo fissato e’ in grado di garantire allo straniero, per il periodo massimo di trattenimento, pari a quattro settimane (ventotto giorni), la disponibilita’: a) di un alloggio adeguato, sul territorio nazionale; b) della somma occorrente al rimpatrio; c) di mezzi di sussistenza minimi necessari, a persona”.

Nell’articolo 2 si specifica che “l’importo per la prestazione della garanzia finanziaria è individuato, per l’anno 2023, in euro 4.938,00. L’aggiornamento dell’importo è avviato a cadenza biennale, di seguito alla definizione del costo medio del rimpatrio”.

Secondo l’articolo 3, “la garanzia finanziaria è prestata in unica soluzione mediante fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa ed è individuale e non può essere versata da terzi. La garanzia finanziaria deve essere prestata entro il termine in cui sono effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico”.

Quindi, l’articolo 4 chiarisce che “nel caso in cui lo straniero si allontani indebitamente, il prefetto del luogo ove è stata prestata la garanzia finanziaria procede all’escussione della stessa”.

“La scelta di far pagare una sorta di cauzione per non essere rinchiuso in un Cpr è l’ennesima tappa di uno spettacolo indegno di un governo sconvolgentemente inadeguato. Un governo che si comporta da scafista”, dice Pierfrancesco Majorino, responsabile Politiche migratorie nella segreteria nazionale del Pd.

“Un governo che non investe, facendo tesoro delle parole del presidente Mattarella, sull’unica misura utile per evitare gli arrivi irregolari cioè su canali di accesso legali e sicuri. L’idea della cauzione è grave sul piano dei principi, determinando, perfino tra i migranti rimpatriabili, migranti di serie A e migranti di serie B e paradossale su quello degli effetti, perché il migrante da espellere inserito in reti illegali avrà più mezzi del migrante più marginalizzato e privo di tutto. Infine è una strada che insospettisce”, aggiunge.

“Viene infatti il dubbio – prosegue l’esponente dem – che il governo consapevole che quella dei Cpr sia una sorta di soluzione macabra destinata a una estrema minoranza di persone presenti, tenti già di correre ai ripari attraverso questo pericoloso pasticcio”. “Sfidiamo la destra a farla finita con queste operazioni e di scommettere sulla definizione di una strategia che, partendo dalla cancellazione della Bossi Fini e dalla lotta in Europa per imporre l’obbligo alla redistribuzione, scommetta su legalità e accoglienza di qualità”, conclude Majorino.

“La norma del governo che chiede ai richiedenti asilo di versare una somma di 5mila euro per evitare di essere trattenuti all’interno dei Cpr è scafismo di Stato, una tangente discriminatoria, classista e disumana verso chi scappa da fame e guerre. Ci sarebbe da vergognarsi solo per averlo pensato. Ma c’è di peggio: questa norma è illegale in quanto la Corte di giustizia europea nel 2020 ha già sanzionato una misura analoga introdotta dall’Ungheria”, dice il segretario di +Europa, Riccardo Magi.

“Cinquemila euro per il richiedente asilo che voglia evitare il centro di trattenimento. Non ce la fanno, è più forte di loro: anche la richiesta di asilo diventa una questione di censo”, scrive su Facebook il segretario nazionale di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni, parlamentare dell’Alleanza Verdi Sinistra.

“Chi può permetterselo pagherà 5mila euro per evitare di finire in un centro per il rimpatrio mentre analizzano la sua pratica – prosegue il leader di Si – per i poveri cristi che posseggono solo quello che hanno indosso invece si possono aprire le porte dei centri, dove spesso si dorme per terra e manca tutto”.

“La misura, pubblicata oggi in Gazzetta Ufficiale è oscena e incommentabile. Dicevano di voler dare la caccia agli scafisti in tutto il globo terracqueo e invece si comportano come loro, taglieggiando 5mila euro con fideiussione bancaria”, conclude Fratoianni.

“Dopo aver trasformato i Cpr in luoghi di detenzione, fino a 18 mesi per un illecito amministrativo, adesso hanno anche fissato la cifra per la cauzione”, scrive su X Davide Faraone, deputato di Azione-Italia Viva, a proposito della misura.

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Politica

Cofferati annuncia rientro nel Pd, renziani in rivolta

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Sensi (Pd): "Rispetto per chi ha militato e lavorato per questo partito". E da Iv Renzi manda "un abbraccio ai riformisi presi in giro"

Sergio Cofferati - Fotogramma

“Ho deciso di iscrivermi di nuovo al Pd perché condivido l’orientamento che il partito ha preso dopo l’elezione di Elly Schlein alla segreteria. Penso sia giusto dare una mano: la stagione del renzismo è definitivamente finita”. L’annuncio di Sergio Cofferati a ‘La Stampa’ scatena la rivolta dei renziani dentro e fuori le file dem.

“Quando si entra o si torna in un partito – tuona via Twitter il senatore dem Filippo Sensi – sarebbe buona norma rispettare le persone che ci sono, che in questi anni hanno militato e lavorato per questo partito, le loro idee, le loro storie. Rispettando le persone si rispetta il Pd”.

Dura anche la reazione di Marianna Madia che sempre via social relica all’ex leader della Cgil citando una sua frase: “‘Se qualcuno nel Pd approva il Jobs Act deve spiegare qual è il contenuto riformista di quella brutta legge’ (cit. Sergio Cofferati). Ero responsabile Lavoro – ricorda Madia – nella prima segreteria Renzi. Pronta! Ad argomentare cosa siamo riusciti a fare e dove non siamo arrivati”.

In tema di Jobs Act arriva anche la replica della dem Lia Quarapelle: “Le riforme hanno sempre bisogno di un tagliando, alla luce delle cose che hanno funzionato e dei problemi nati nell’implementazione. La furia iconoclasta con cui alcuni – ultimo Cofferati – si scagliano contro il Jobs Act non aiuta a ragionare e guardare avanti”.

Mentre da Italia viva, il leader Matteo Renzi attraverso la sua Enews manda “un abbraccio a riformisti” per l’annunciato ritorno del ‘Cinese’. “Ieri Sergio Cofferati, l’uomo che scelse di far perdere il Pd in Liguria dopo aver perso le primarie contro Lella Paita, – scrive l’ex premier – è rientrato nel Pd e ha sparato contro il Jobs Act. Mando un abbraccio affettuoso a tutti i riformisti rimasti nel Pd. Vi stanno prendendo in giro”.

“Il ritorno di Sergio Cofferati nel Pd – gli fa eco il senatore Iv, Ivan Scalfarotto – è il segno che la mutazione genetica del partito prosegue senza sosta, in barba a quella vocazione maggioritaria che è stata la ragione stessa della sua fondazione. L’unica ragione per cui i tanti che hanno creduto in quel Pd possano restarci in questa versione movimentista – afferma Scalfarotto – e fatalmente minoritaria è che pensino sia soltanto una fase passeggera. È un grave errore di valutazione, dettato più dal sentimento che dalla ragione”.

Per il presidente dei senatori di Iv-Azione Enrico Borghi “la traiettoria corbyniana del ‘nuovo Pd’ si compie: rientra Cofferati, il campione del conservatorismo di sinistra (che peraltro assicura rendite alla destra, come si vide in Liguria). Lo sport dell’abiura iconoclasta al Nazareno continua. Non è più la casa dei riformisti”.

“Riconosco la coerenza con cui Sergio si sta muovendo. Aveva deciso di uscire da quel partito – commenta invece dalla Cgil il leader Maurizio Landini – perché evidentemente non vedeva più le condizioni per starci e il fatto che oggi coerentemente con quelle idee, riveda uno spazio, mi pare che confermi la sua coerenza. Cofferati fa quello che dice e quello che pensa. Poi la scelta di iscriversi a un partito – sottolinea – è sempre una scelta individuale ma il suo potrà essere un contributo importante”.

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Politica

Museo egizio, Schlein: “Da Meloni voglia di controllo e fame di poltrone”

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La segretaria Dem difende il direttore Greco: "L’unico motivo per cui la destra lo attacca è che non lo ritengono allineato al governo"

Non si placa lo scontro politico sul direttore del Museo egizio di Torino. Dopo l’attacco frontale del numero due della Lega Andrea Crippa che ha chiesto le dimissioni di Christian Greco accusato di essere “un direttore di sinistra” che ha gestito il museo “in modo ideologico e razzista contro gli italiani”, oggi in sua difesa interviene la segretaria del Pd Elly Schlein.

“Greco ha guidato con professionali il Museo egizio. L’unico motivo per cui la destra lo attacca – sottolinea Schlein a margine di una iniziativa sulla non autosufficienza al Nazareno – è che non lo ritengono allineato al governo. Meloni ha molta voglia di controllo e fame di poltrone: lo abbiamo visto con l’occupazione della Rai, con Inps e Inail, con il Centro sperimentale di cinematografia. È grave, un atteggiamento sbagliato e inaccettabile. Non è quello che serve al Paese”, conclude.

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Politica

Forza Italia si ‘allarga’ in provincia di Roma, Tajani: “Avanti su fisco e giustizia”

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Il 14 ottobre evento a Monza con amministratori locali azzurri

Antonio Tajani  - Fotogramma

La famiglia di Forza Italia si allarga, accogliendo nuovi amministratori locali della provincia di Roma, e continua a lavorare per affermarsi come “centro di gravità permanente della politica italiana”, concetto che il segretario del partito Antonio Tajani va ripetendo da tempo e che ribadisce oggi, dando il benvenuto ai nuovi ‘azzurri’ nel corso di una conferenza stampa al Palazzo dei gruppi di Montecitorio.

“L’adesione di tanti amministratori locali a Forza Italia – commenta soddisfatto il vicepremier e ministro degli Esteri – dimostra lo stato di salute del nostro movimento”. Una comunità politica che coltiva “la propria identità” all’interno della coalizione di centrodestra “e che non ha bisogno di inseguire le idee degli altri”, perché, rimarca Tajani, “essere alleati non vuol dire essere un solo partito”. L’appuntamento fissato dal leader di Fi è per il 14 ottobre, quando a Monza “riuniremo gli amministratori locali di Forza Italia per affrontare il tema del governo del territorio”.

Per Alessandro Battilocchio, deputato di Forza Italia e coordinatore provinciale di Roma, si tratta di una “giornata importante”: “L’idea di fondo – spiega – è una grande squadra che si rafforza ed è pronta a portare avanti la più grande eredità che ci ha lasciato Silvio Berlusconi: le sue idee che rappresentano per noi la cornice di riferimento per il presente e il futuro”.

Pomezia, Albano, Fiumicino, Marino, San Cesareo, Anguillara, Rocca di Papa, Santa Marinella, Monterotondo, Valmontone, Campagnano, Castel Gandolfo, Tolfa: questi alcuni dei comuni della provincia di Roma dove Fi è attualmente presente. Ma i nuovi ingressi potrebbero non fermarsi qui. “Questa giornata non sarà l’ultima perché sono tanti gli amministratori che vogliono aderire al nostro progetto”, assicura Battilocchio.

La presentazione delle nuove adesioni è l’occasione per rilanciare alcuni temi cari a Fi, a partire dalla battaglia per la riduzione delle tasse: un impegno che, garantisce Tajani, Forza Italia intende onorare in vista della prossima manovra economica: “Faremo di tutto perché il governo conservi il taglio del cuneo fiscale. E ci batteremo per il taglio delle tasse su tredicesime, straordinari e premi di produzione”. Il vicepremier pone l’accento anche sulle privatizzazioni (“serve il coraggio di una riflessione”, sprona Tajani) a partire dal dossier Mps, sul quale occorre “accelerare”.

Sui migranti il titolare della Farnesina – reduce dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York – registra “molti riscontri positivi, soprattutto dai paesi di partenza. Già sta diminuendo il numero delle persone che arrivano in Italia da Tunisia e Libia. Non servono slogan ma tanto lavoro”.

Spazio anche al tema della giustizia, con il capogruppo alla Camera Paolo Barelli che insiste sulla separazione delle carriere e su una riforma delle intercettazioni: su quest’ultimo punto, il presidente dei deputati azzurri annuncia che sarà presentato un ordine del giorno “per un impegno del ministro Nordio, nei prossimi mesi, a presentare al Parlamento una riforma completa sulle intercettazioni”. Prosegue inoltre la battaglia dei Fi per l’abolizione dell’abuso d’ufficio, “reato che impedisce a tanti amministratori di fare bene il proprio lavoro”, sottolinea Tajani.

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Politica

Guardian incorona Giorgia Meloni: “Uno dei politici più potenti d’Europa”

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Il presidente del Consiglio "ottiene consensi anche a sinistra"

Giorgia Meloni

”Una volta era difficile trovare un italiano che ammettesse di amare Giorgia Meloni”, ma ora è riconosciuta ”come uno dei politici più potenti d’Europa”. Lo scrive il Guardian in un lungo articolo sulla presidente del Consiglio che ora, ”dopo quasi un anno al potere, ha ottenuto consensi anche a sinistra”. Con il trionfo di Fratelli d’Italia, nel Paese è salito al potere ”il governo più di destra dalla seconda guerra mondiale”, si legge nell’articolo, secondo cui però la presidente del Consiglio italiano ”ha assunto un tono rassicurante e pragmatico nel resto d’Europa e non solo”. Viene ricordato il suo ”incrollabile sostegno all”Ucraina” e la sua posizione favorevole a ”grandi accordi in Africa, siano essi sull’energia o, in modo più controverso, sull’immigrazione”.

Quanto alle alleanze internazionali, il Guardian scrive che ”un tempo fan di Donald Trump e Vladimir Putin, Meloni ha trovato nuovi amici in Joe Biden e Volodymyr Zelensky. Ha stretto un legame con Rishi Sunak, ha un rapporto più cordiale con Emmanuel Macron e la si vede spesso lavorare al fianco di Ursula von der Leyen”, l’ultima volta domenica a Lampedusa. ”Meloni ha stretto rapporti più profondi con i suoi alleati di estrema destra in Europa”, scrive il Guardian citando l’intervento a favore di Vox prima delle elezioni spagnole di luglio e l’incontro, la settimana scorsa a Budapest, con il suo omologo ungherese Viktor Orban con il quale ha parlato della difesa della famiglia ”tradizionale”.

Il quotidiano ricorda anche che Meloni è stata anche elogiata da un rivale di sinistra, Enrico Letta, ex primo ministro ed ex leader del Partito Democratico, che l’ha definita ”migliore del previsto”, e che Stefano Bonaccini, presidente della regione Emilia-Romagna, è stato criticato dai membri del Pd per aver definito Meloni ”capace”. Tuttavia, si sottolinea nell’articolo, il governo non esita a esercitare ”la sua influenza sulla Rai”, dove vorrebbe ”prendere il controllo” e ”cambiare la narrazione secondo il suo modo di pensare”.

Per quanto riguarda la lotta all’immigrazione clandestina, il Guardian scrive che il numero di persone che arrivano in Italia è più che raddoppiato tra gennaio e settembre rispetto allo stesso periodo del 2022.

”La patina di stabilità del governo italiano è dovuta in parte – sostiene il quotidiano britannico – al fatto che ha un’ampia maggioranza in parlamento e anche al fatto che l’opposizione è debole”.

Ma, ritiene il Guardian, ”finora è stato ottenuto ben poco” perché ”il governo sta venendo meno ai suoi impegni sull’immigrazione” e ”l’economia sta rallentando” mentre ”non ha una strategia chiara per affrontare la crisi climatica”. E in vista delle elezioni europee del prossimo anno il Guardian prevede ”un ritorno di una retorica intransigente e nazionalista”.

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