Salute e Benessere
Kate e gli altri genitori dopo una diagnosi di tumore: come...
Kate e gli altri genitori dopo una diagnosi di tumore: come dirlo ai bambini
I consigli degli esperti sul sito della della Federazione degli Ordini dei medici 'Dottore, ma è vero che?': "Parlarne il prima possibile ed essere trasparenti"
"Ho un tumore". Dopo lo scioccante annuncio di Kate Middleton, che ha reso pubblica la sua malattia in un videomessaggio, il pensiero di molti è andato ai tre figli. La prima preoccupazione anche per la principessa. Per un genitore parlare della propria malattia ai bambini non è mai facile, specie se si tratta di una malattia grave come quella oncologica. Del delicato tema si sono occupati gli esperti del sito anti-fake news della Federazione degli Ordini dei medici, 'Dottore ma è vero che?, spiegando cosa è è meglio fare per affrontare l'argomento.
Come trovare le parole?
Il primo pensiero è quello di non riuscire a trovare le parole giuste o peggio ancora di commuoversi e lasciarsi andare. Il timore è che i figli non capirebbero, soffrirebbero troppo o potrebbero impressionarsi. La capacità dei bambini di affrontare la verità - sottolineano gli esperti - è spesso sottostimata dagli adulti. I bimbi tollerano meglio la verità, anche se grave, piuttosto che l’incertezza del non sapere. La bugia li disorienta e mette in crisi il rapporto di fiducia con gli adulti di riferimento. La tesi oggi più accettata è che bisogna parlare il prima possibile - già alla diagnosi e prima di iniziare i trattamenti - ai figli della propria malattia, naturalmente usando un linguaggio diverso a seconda della loro età. Il non informarli, anche se lo scopo è proteggerli, può creare spesso in bambini e ragazzi una sofferenza mentale elevata - avvertono - che se non adeguatamente supportata comporta un disagio emozionale che può manifestarsi in diverso modo: somatizzazioni, difficoltà di apprendimento, modificazioni del comportamento. Inoltre, nell’immaginario dei figli il silenzio del genitore può essere molto controproducente e far nascere sensi di colpa o di paura.
Rispondere alle domande e non forzare
È molto importante essere pronti a rispondere alle loro domande, è il consiglio degli esperti. Le risposte varieranno in base all’età del bambino: il piccolo potrà preoccuparsi più di se stesso chiedendo cosa gli succederà durante il ricovero del genitore e con chi dovrà stare, mentre un adolescente potrebbe fare domande sulla malattia stessa. In alcuni casi i figli non fanno domande e addirittura rifiutano di stare con il genitore malato: non bisogna forzarli, ma rispettare le loro scelte e parlare con loro delle motivazioni, sapendo che il loro rifiuto potrà trasformarsi più avanti in un grave senso di colpa. Importante è non dare mai la certezza di come andranno le cose o promettere la propria guarigione, ma assicurare al bambino che verrà sempre informato di tutto.
Le malattie in genere, e il cancro in particolare - ricordano gli esperti sul sito 'Dottore, ma è vero che' - determinano dei cambiamenti nell’aspetto esteriore della persona malata. Ci possono essere caduta dei capelli, mancanza di un organo, alterazioni della cute e a volte della fisionomia (per perdita di peso, lineamenti che indicano sofferenza). Il figlio potrà inizialmente anche vergognarsi del genitore malato, però quasi sicuramente nel tempo imparerà ad accettare i cambiamenti e a convivere con essi.
Trovare il momento giusto
Essenziale è cercare il momento giusto per parlare, preferibilmente in presenza dell’altro genitore. Può succedere che il genitore malato non se la senta di parlare con i figli della sua situazione, in questi casi può chiedere aiuto al partner, ai nonni, al medico di famiglia. In ogni caso, se possibile, sarebbe meglio fosse presente al momento del colloquio. Anche il luogo conta. Si può scegliere il posto dove ci si sente più a proprio agio, come casa, o mentre si fa una passeggiata.
La comunicazione è molto importante - si ribadisce - perché il bambino si sente coinvolto e accetta molto meglio i malesseri, i malumori, le problematiche del genitore malato, e anche gli effetti collaterali dei trattamenti. Naturalmente non occorre comunicare tutto e subito, ma bisogna graduare l’informazione e adeguare il livello di comunicazione alle necessità espresse dal bambino o ragazzo, utilizzando un linguaggio molto semplice e neutro. L’essenziale è dire la verità in modo chiaro, scegliendo le parole adatte. Per i figli essere informati è un aiuto ad alleviare l’ansia e il disagio che si sono venuti a creare nell’ambiente familiare, per gli adulti malati dare le informazioni ai figli è un aiuto per alleviare l’angoscia e affrontare meglio la malattia stessa.
Il ricovero, la fase terminale: cosa fare
Nel caso che il genitore sia ricoverato in ospedale è estremamente importante che il figlio possa andare a trovarlo e soprattutto conoscere le persone che lo curano. Deve anche essere informato, almeno in linea di massima, degli esami e della terapia in corso. Non meno importante è che il figlio possa telefonare al genitore malato, mandargli messaggi e anche, se piccolo, i suoi disegni.
Nel caso di un genitore in fase terminale l’errore che spesso viene fatto - spiegano gli esperti - è quello di allontanare il figlio da casa affidandolo a un parente, questo nell’intento di proteggerlo da quanto accadrà. Il bambino, quando tornerà a casa, non troverà più il genitore malato e ciò potrà indurre enorme disagio.
È sbagliato pensare che i bambini non pensino alla morte e non sappiano cosa è. I piccoli in età scolare hanno un’idea chiara della morte e sono consapevoli che la perdita subita è ineluttabile, mentre quelli con meno di 5 anni pensano che il papà o la mamma siano andati altrove ma ritorneranno. Il non parlare della morte con il bambino è un grave errore, perché tacendola la sua angoscia aumenterà e con essa la paura di perdere l’altro genitore o le persone care. In ogni caso se non ci sente adeguati a comunicare con i figli o a gestire la situazione si consiglia l’appoggio di uno specialista, preferibilmente uno psicologo, che con la sua competenza riuscirà a dare aiuto sia al malato che alla sua famiglia.
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Disturbi della memoria, scoperto come il cervello distingue...
Lavoro del team di ricerca del dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Torino
Una ricerca condotta da un team di ricerca del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino potrebbe fornire informazioni utili per sviluppare nuove strategie terapeutiche per i disturbi della memoria. Formare ricordi di eventi simili costituisce una vera e propria sfida per il nostro cervello. "È essenziale che ogni evento venga memorizzato in maniera separata per preservarne la specificità. Tuttavia, è altrettanto importante riconoscere e ricordare gli aspetti comuni tra gli eventi. Se questo delicato processo viene compromesso, le persone rischiano di confondere un evento con un altro, perdendo così la chiarezza e la specificità dei propri ricordi". Lo ha rilevato un nuovo studio pubblicato su 'Cell Reports' che ha identificato un intricato processo cerebrale che consente di distinguere e memorizzare eventi simili in maniera separata, mantenendo al contempo le somiglianze tra di essi. La ricerca è stata condotta principalmente dalle ricercatrici Giulia Concina, Luisella Milano e Annamaria Renna coordinate dal professor Benedetto Sacchetti del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino.
I ricercatori hanno studiato l’attività cerebrale durante l'apprendimento di due eventi distinti ma con elementi in comune, scoprendo che nell'amigdala, una regione cerebrale chiave per la formazione dei ricordi, gruppi separati di neuroni si attivano per memorizzare separatamente eventi distinti. "Tuttavia, alcuni neuroni rispondono a entrambi gli eventi, aiutando a ricordarne le somiglianze. Il numero di questi neuroni comuni - sottolinea lo studio - è regolato da un particolare tipo di cellule chiamate neuroni inibitori. Bloccando queste cellule, i ricercatori hanno notato come il numero di neuroni comuni aumentasse notevolmente causando la confusione e sovrapposizione dei due eventi. Secondo i ricercatori, in conclusione, i neuroni inibitori contribuiscono quindi a mantenere distinti i ricordi di eventi simili".
La ricerca è stata condotta adottando un approccio multidisciplinare che ha integrato metodologie di analisi comportamentale, biologia molecolare, microscopia ad alta risoluzione e modulazione dell'attività cerebrale. In particolare, grazie all'utilizzo della tecnica innovativa della 'marcatura chemogenetica', i ricercatori hanno potuto visualizzare i neuroni coinvolti nella percezione sia degli aspetti distintivi di due eventi, sia delle loro caratteristiche comuni. Questa analisi ha permesso anche di individuare le cellule in grado di limitare il numero di neuroni condivisi, ovvero i neuroni inibitori. Infine, combinando le tecniche di marcatura chemogenetica e di inattivazione dell'attività neuronale, i ricercatori hanno selettivamente bloccato queste cellule, notando che ciò portava i soggetti a confondere gli eventi tra di loro.
"Questa ricerca - spiega Sacchetti - riveste un'importanza significativa poiché mette in luce l'esistenza di neuroni il cui ruolo è quello di mantenere separate le memorie di eventi distinti ma con aspetti in comune, consentendo così di conservare i ricordi di tali eventi in modo preciso e nitido. Considerando che una delle caratteristiche tipiche dei disturbi della memoria, come le demenze e il disturbo post-traumatico da stress, è la tendenza a confondere gli eventi passati, questa ricerca potrebbe fornire nuove informazioni utili per sviluppare nuove strategie terapeutiche".
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Università, Gesualdo (Fism): “Nettamente contrari a...
"D'accordo con Ordine medici e Anaao. Serve programmazione razionale, le Scuole di Medicina non possono accogliere 70mila iscritti per mancanza di spazi e risorse"
"La decisione di eliminare il numero chiuso per l'iscrizione alla Facoltà di Medicina, Medicina veterinaria e Odontoiatria e protesi dentaria rappresenta una minaccia alla qualità della formazione medica e prelude un grave rischio di sovraffollamento del mercato del lavoro medico. Come l'Ordine dei medici e Anaao anche la Fism è nettamente contraria a stop al numero chiuso". Così all'Adnkronos Salute il presidente della Federazione italiana società medico-scientifiche (Fism) Loreto Gesualdo commenta l'adozione da parte della Commissione Istruzione del Senato del testo base che elimina il numero chiuso nelle Facoltà di Medicina.
La Fism "ribadisce l'importanza di una programmazione razionale e basata sui reali bisogni del Servizio sanitario nazionale - spiega Gesualdo sottolineando "la necessità di una selezione accurata dei futuri medici già durante il percorso scolastico, al fine di garantire una formazione di qualità e una corretta distribuzione sul territorio". Inoltre, "occorre estendere la programmazione non solo al numero dei medici, ma anche a tutte le altre professioni sanitarie, come infermieri, fisioterapisti, dietisti e altre figure professionali - evidenzia il numero uno di Fism - essenziali per supportare i percorsi di intelligenza artificiale e l'evoluzione tecnologica nel settore della salute".
Gesualdo suggerisce di "potenziare i licei con inclinazione biomedica" per preparare "adeguatamente gli studenti interessati a intraprendere percorsi universitari" nel campo della salute. "Tuttavia - avverte - è importante ricordare che attualmente le scuole di medicina non sono in grado di accogliere un numero così elevato di studenti, con circa 70.000 iscrizioni previste, a causa della mancanza di spazi e risorse necessarie".
La programmazione delle professioni sanitarie "deve essere inclusiva e mirata a garantire un equilibrio tra domanda e offerta di competenze specialistiche, al fine di garantire un corretto sviluppo del settore e una gestione ottimale delle risorse umane nel campo della salute". La Fism "si impegna a promuovere una visione olistica della programmazione delle professioni sanitarie, che tenga conto delle nuove sfide e opportunità offerte dalla digitalizzazione e dall'intelligenza artificiale nel campo della salute" conclude.
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25 aprile, il pediatra: “Ecco come spiegarlo ai...
"Per ogni età c'è il giusto modo di raccontarlo, a seconda della fase evolutiva"
25 aprile data importante per gli italiani. E, come tutti gli anni, al centro in questi giorni di dibattiti, ricordi, commemorazioni. Ma come spiegarlo ai bambini che ci chiedono chiarimenti? "Per ogni età c'è il giusto modo di raccontarlo, a seconda della fase evolutiva", spiega all'Adnkronos Salute Italo Farnetani, docente di Pediatria dell'Università Ludes-United Campus of Malta.
"Ai bambini di meno di 10 anni, per esempio - suggerisce il medico - direi semplicemente che in questo giorno è finita la guerra che veniva combattuta in Italia. Bisogna tener conto del fatto che in questa fascia di età i bambini ragionano per operazioni concrete, su ciò che vedono e che gli va spiegato nella sua concretezza. Possiamo raccontargli, quindi, che nel nostro Paese c'era una guerra come quelle che vedono in televisione e il 25 aprile se ne festeggia la fine". Dagli 11 anni in poi, soprattutto a chi frequenta le scuole superiori, prosegue Farnetani, "si può parlare con i ragazzi dei contenuti ideali, politici, legati alla Festa della liberazione". Mentre "dai 14 anni in su, cioè quando l'adolescente entra nella fase delle 'operazioni formali', il discorso può ampliarsi ai concetti di pace, guerra, libertà, dittatura, diritti umani, cioè fare un discorso formativo. In questa fase dell'adolescenza, in cui predominano i concetti di bene e male, giustizia e ingiustizia - sottolinea il pediatra - si fa strada una visione utopica della realtà. Gli adulti, considerando questa particolare fase dello sviluppo del ragionamento degli adolescenti, possono aiutare i ragazzi a fare un'analisi oggettiva di ciò che è avvenuto il 25 aprile perché possa partire da una valutazione storica, etica e politica dei fatti per farsi, autonomamente, un'idea precisa dell'origine e delle motivazioni del significato simbolico della data. Successivamente potrà esaminare i decenni successivi della storia della politica italiana".
Un'informazione che tenga conto delle fasi evolutive, conclude Farnetani, è una modalità utile a fornire "all'adolescente strumenti per capire le problematiche alla radice. In caso contrario, si rischia di proporre concetti preconfezionati o di parte che non aiutano lo sviluppo della persona".