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Israele, Blinken oggi a Tel Aviv: cresce pressione per ridurre offensiva su Gaza
Continua la mediazione del Qatar "per fermare la guerra a Gaza". Droni dal Libano. Altri quattro soldati israeliani uccisi nella Striscia. Delegazione Israele al Cairo per ripresa colloqui su ostaggi
Il lungo faccia a faccia di oggi 9 gennaio fra il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu e il segretario di Stato americano Antony Blinken alla sua quarta missione in Medio Oriente dallo scoppio del conflitto a Gaza il 7 ottobre scorso, è stato piuttosto "teso". Lo afferma l'emittente israeliana Channel 12, secondo la quale si sta allargando il divario di opinione sulla guerra fra Israele e Stati Uniti e Washington sta perdendo la pazienza.
Dopo l'incontro, l'ufficio di Netanyahu non ha diffuso infatti il consueto comunicato sui contenuti del colloquio segnale, secondo Times of Israel, del possibile disaccordo fra i due interlocutori.
Si è trattato di "un incontro privato" che si è svolto nell'ufficio del premier israeliano nella base militare di Kirya a Tel Aviv, si sono limitati a far sapere dall'ufficio di Netanyahu.
Nell'incontro con il ministro degli Esteri, Israel Katz, Blinken ha affermato di essere arrivato in Israele "in un momento incredibilmente difficile", dopo aver fatto di nuovo tappa in altri Paesi della regione e sottolineando di voler condividere con gli alleati israeliani le opinioni raccolte.
Da parte sua, Katz ha ribadito che Israele intende "finire la guerra" con Hamas, per permettere il sicuro ritorno degli ostaggi israeliani e ottenere "la sicurezza del nostro popolo". "Così dobbiamo trovare un modo - ha aggiunto - trovare un modo per mettere molta pressione sull'Iran e Hezbollah per farli ritirare il più possibile. La questione è mettere molta pressione ora - ha concluso - per impedire la guerra domani".
Blinken è a Tel Aviv per premere per un'"imminente" transizione ad una fase del conflitto di minore intensità. A rivelarlo è un alto funzionario americano citato dalla Cnn. "Insisterò sull'imperativo assoluto di fare di più per proteggere i civili e per garantire che l'assistenza umanitaria arrivi nelle mani di chi ne ha bisogno", ha inoltre dichiarato Blinken in mattinata, sottolineando l'"importanza" di rafforzare il meccanismo che fornisce aiuti umanitari alle popolazioni palestinesi ed agevolare il ritorno degli sfollati.
Nei giorni scorsi il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha illustrato i piani militari relativi al futuro delle operazioni a Gaza, in base ai quali le forze israeliane passeranno da "una fase bellica di intense manovre" a "diversi tipologie di operazioni speciali". Per Gallant ai palestinesi non dovrebbe essere consentito il ritorno nelle proprie abitazioni nella parte settentrionale della Striscia fino al rilascio di tutti gli ostaggi.
Herzog a Blinken: "Facciamo il possibile per ridurre al minimo vittime civili"
Israele sta facendo “il massimo in circostanze estremamente complicate sul terreno, per assicurarsi che non ci siano conseguenze indesiderate e vittime civili”, ha detto il presidente israeliano Isaac Herzog incontrando Blinken. "Stiamo avvertendo, stiamo chiamando, stiamo mostrando, stiamo inviando volantini, stiamo usando tutti i mezzi che il diritto internazionale ci consente per spostare le persone, in modo da poter portare alla luce questa enorme città del terrore che si trova sotto a case, soggiorni e camere da letto, moschee, negozi e scuole”, ha aggiunto Herzog.
L'alt di Downing Street: "Israele eviti ulteriori escalation"
Al pressing Usa si aggiunge in serata anche quello del governo britannico che chiede a Israele di "agire con attenzione", ed evitare il rischio di ulteriori escalation nella sua guerra contro Hamas, afferma un portavoce di Downing Street. "E' una questione che continuiamo a valutare e abbiamo reso le nostre opinioni chiare al governo israeliano a diversi livelli", ha affermato il portavoce in risposta a chi gli chiedeva se il premier Rishi Sunak condividesse la preoccupazione espressa dal ministro degli Esteri David Cameron sulla legittimità delle azioni di Israele. "Continuiamo a volere che Israele agisca con attenzione ed eviti di fare qualunque cosa che metta in pericolo civili o rischi potenziali ulteriori escalation. Fondamentalmente, tuttavia riconosciamo che Israele stia rispondendo a un attacco terroristico, prima di tutto", ha aggiunto.
Le famiglie degli ostaggi chiedono aiuto agli Usa
Alcune famiglie degli ostaggi di Gaza si sono radunate oggi a Tel Aviv, esortando l'amministrazione del presidente americano Joe Biden a fare di più per liberare i rapiti. Da parte sua, Blinken ha parlato degli “sforzi incessanti” di Washington per riportare a casa gli ostaggi dalla prigionia di Hamas.
E proprio per riprendere i negoziati sul rilascio degli ostaggi tenuti da Hamas a Gaza, una delegazione di funzionari della sicurezza israeliana è arrivata al Cairo, ha reso noto il giornale qatarino con sede a Londra, al Araby al Jadeed, citato da Haaretz.
Haniyeh: no rilascio ostaggi senza scarcerazione di tutti i prigionieri
Tuttavia secondo Ismail Haniyeh, capo dell'Ufficio politico di Hamas, Israele “non sarà mai in grado di recuperare tutti i suoi ostaggi "tenuti a Gaza "a meno che non rilasci tutti i nostri prigionieri nelle sue carceri”. Haniyeh, durante un intervento alla conferenza dell'Unione internazionale degli studiosi musulmani in corso a Doha, ha sostenuto che l’attacco del 7 ottobre scorso è stato una conseguenza dei "tentativi di emarginare la questione palestinese".
Secondo il capo dell’ufficio politico di Hamas, "nonostante il prezzo elevato, i massacri e la guerra di sterminio, il nemico non è riuscito a raggiungere nessuno dei suoi obiettivi nella guerra”, che sono “l’eliminazione delle fazioni di resistenza, il recupero degli ostaggi e lo sfollamento dei palestinesi di Gaza verso il territorio egiziano”.
Continua mediazione Qatar "per fermare la guerra"
"La mediazione portata avanti dal Qatar continua per fermare la guerra a Gaza". Lo afferma Il portavoce ufficiale del ministero degli affari Esteri del Qatar, Majed Al-Ansari, sottolineando che "ci sono scambi di idee tra Doha e diversi partiti a questo proposito". Al-Ansari ha aggiunto nel briefing settimanale con i media che "tutte le idee diffuse da diverse parti si concentrano sull'accelerazione della cessazione della guerra, la prevenzione della sua espansione nella regione e sul raggiungimento di un accordo sullo scambio di prigionieri".
Parenti ostaggi vogliono bloccare aiuti
La polizia israeliana ha fermato un gruppo di parenti di ostaggi diretti verso il valico di Kerem Shalom, al confine con Gaza, per inscenare una protesta contro il mancato rilascio degli ostaggi attraverso il blocco degli aiuti umanitari destinati alla popolazione di Gaza. Il convoglio è fermo nell'area militarizzata chiusa al passaggio, rende noto Times of Israel, citando uno dei familiari dei sequestrati: "E' ora di mettere fine a questa farsa. Torneranno chiusi in 136 bare", ha dichiarato Ayala Metzger, parente di Yoram e Tami Metzger.
A Gaza si intensificano i combattimenti
L'assalto israeliano a Gaza si è intanto intensificato nelle ultime 24 ore, ha dichiarato l'Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) nel suo ultimo aggiornamento , con 249 palestinesi uccisi e altri 510 feriti secondo i dati del ministero della Sanità del territorio.
In particolare gli attacchi nel centro di Gaza e a Khan Younis, nel sud, ha avuto un impatto particolarmente terribile, con "un rapido aumento delle vittime" e "conseguenze devastanti per decine di migliaia di civili", molti dei quali erano già sfollati dopo essere fuggiti ai combattimenti nel nord della Striscia.
Intanto altri quattro soldati israeliani sono stati uccisi a Gaza, portando a 180 il numero totale dei militari morti dall'inizio dell'operazione di terra nella Striscia a fine ottobre.
Idf: terroristi operano ancora nel nord ma ormai disorganizzati
L’esercito israeliano "è determinato a creare un nuovo sistema di sicurezza nel nord". Lo ha detto il portavoce dell’esercito Daniel Hagari, aggiungendo che l’invasione di Gaza durerà per tutto il 2024, dal momento che i combattenti palestinesi operano ancora nel nord, ma sono ormai disorganizzati dopo tre mesi di attacchi. “Anche se nel nord ci sono ancora terroristi e armi, non funzionano più all’interno di un quadro militare organizzato”, ha affermato Hagari, sottolineando l’attenzione che l’esercito israeliano sta rivolgendo al confine con il Libano, mentre continuano gli attacchi di Hezbollah. “La nostra attenzione alle forze Radwan di Hezbollah nel Libano meridionale le sta allontanando dal confine - ha precisato il portavoce dell'Idf - Siamo determinati a continuare a creare una realtà di sicurezza diversa nel nord, che garantisca la sicurezza dei residenti”.
Raid israeliani nel sud del Libano, drone Hezbollah contro base Comando Nord Israele
Tre terroristi di Hezbollah sono morti in un raid israeliano condotto questa mattina nel sud del Libano. Lo riferiscono i media dello Stato ebraico, secondo cui i tre si trovavano a bordo di un'auto colpita da un drone nella città di Ghandouriyeh. I tre comandanti di Hezbollah che sono stati uccisi nel raid israeliano si trovavano in un'auto nella zona di Nabatieh, nel sud del Libano, quando è stata colpita da un missile guidato. Le Forze di Difesa Israeliane non hanno commentato l'attacco. I tre militanti uccisi, hanno riferito fonti di Hezbollah, sono Hassan Ismail, Mahmoud Nasser e Issa Nour al-Din. Fonti militari libanesi hanno riferito dal canto loro che nei raid israeliani sono state distrutte cinque abitazioni nei settori centrali e orientali del sud del Libano e che è stato chiesto "alla leadership di Unifil di far restare le truppe nei rifugi fino a nuovo ordine".
Hezbollah ha quindi rivendicato un attacco con un drone lanciato dal Libano contro la base del Comando Nord delle Forze di difesa israeliane (Idf) a Safed, nella zona settentrionale dello Stato ebraico. Secondo il Times of Israel, le Idf hanno ammesso l'attacco, precisando tuttavia che non ha causato danni né feriti e che alcuni missili intercettori hanno preso di mira diversi "bersagli aerei" che erano entrati nello spazio aereo israeliano. Alcuni video diffusi online mostrano del fumo alzarsi da un parcheggio nei pressi della base, mentre un edificio nei pressi ha riportato lievi danni.
L'esercito israeliano ha anche riferito che diversi razzi sono stati lanciati dal Libano contro le località al confine di Malkia e Yiftah. Intanto Hezbollah nella rivendicazione dell'attacco contro la base del Comando Nord ha dichiarato che si tratta di una rappresaglia contro le uccisioni ieri di Wissam Tawil, comandante dell'unità d'elite Radwan, e di quella del numero due di Hamas, Saleh al-Arouri, avvenuta il 3 gennaio in un raid a Beirut.
Esteri
Su Gaza l’ombra della carestia, l’allarme Onu
Esiste una "definizione concordata": cosa si intende e in che modo viene classificata
Insieme alle bombe, la fame. E mentre la comunità regionale e internazionale preme su Israele perché permetta l'ingresso di più aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, la popolazione dell'enclave fa i conti con quelle che le Nazioni Unite hanno descritto come ''condizioni simili alla carestia''.
Carestia, cosa si intende
Ma cosa si intende, esattamente, per carestia? Per capirlo occorre affidarsi a un sistema di cinque livelli di una scala di insicurezza alimentare elaborato da un gruppo di organizzazioni internazionali ed enti di beneficenza noto come 'Integrated Food Security Phase Classification'. Quando si arriva al quinto livello, allora si ha una carestia, mentre al terzo si parla di ''crisi'' e al quarto di ''emergenza''. Le Nazioni Unite e gli esperti della 'Famine Review Committee' affiliata parlano di carestia quando, in una determinata area, almeno il 20 per cento delle famiglie si trova a dover affrontare una mancanza di cibo estrema, almeno il 30 per cento dei bambini soffre di malnutrizione acuta e due persone ogni 10mila muoiono ogni giorno a causa della fame o per malattie in qualche modo riconducibili alla mancanza di una alimentazione adeguata.
Per capire se nella Striscia di Gaza sia in corso una carestia occorre tornare alla fine dello scorso anno quando funzionari delle Nazioni Unite hanno dichiarato che circa 377.800 persone, ovvero circa il 17% della popolazione della Striscia di Gaza, dovrebbero essere considerate al quinto livello della scala di insicurezza alimentare. Ciò significa che si trovavano ad affrontare le stesse condizioni delle persone che vivevano in aree precedentemente dichiarate zone di carestia. Come poteva essere la Somalia nel 2011 o il Sud Sudan nel 2017.
L'''uso di una definizione concordata'' di carestia ''è uno sviluppo abbastanza recente. Prima del Duemila, non avevamo una definizione tecnica'', ha spiegato al Washington Post via mail Paul Howe, direttore del Feinstein International Center presso la Tufts University ed ex funzionario del World Food Program. A renderla necessaria sono state le preoccupazioni che ''la mancanza di una definizione condivisa potesse rinviare le risposte umanitarie, rendere difficile stabilire le priorità delle risorse nei diversi contesti e complicare gli sforzi per scoraggiare future carestie'', ha precisato Howe. Tuttavia la dichiarazione di carestia, fatta dal governo locale o da un alto funzionario delle Nazioni Unite nella zona, non comporta obblighi vincolanti. In ogni caso, serve come un modo per aumentare la consapevolezza globale sulla gravità di una crisi alimentare.
Fame, malnutrizione e inedia
Oltre alla carestia, ci sono la ''fame'', la ''malnutrizione'' e ''l'inedia''. Per ''fame'' si può intendere una condizione di breve o anche lungo termine. Una persona può avere fame se non mangia per tutto il giorno, mentre un bambino può avere fame se ha saltato i pasti o se ha avuto poco cibo per un lungo periodo di tempo, come spiega Catherine Bertini, professore emerito di Affari internazionali presso la Syracuse University. Invece la ''malnutrizione è quando si ha una cattiva alimentazione - prosegue Bertini - Una persona può essere malnutrita sia perché mangia troppo cibo non salutare, sia perché non ha abbastanza cibo con cui sfamarsi''. Invece ''l'inedia'' è un processo che porta alla morte nel caso in cui qualcuno non abbia calorie a sufficienza o una dieta equilibrata, precisa.
''Quindi la fame può diventare malnutrizione grave che porta all'inedia, che a sua volta porta alla morte. Quando le morti si registrano in una determinata popolazione, in particolare nei bambini, a causa dell'inedia, allora potrebbe trattarsi di una carestia'', spiega al Washington Post.
Ed è quello che starebbe affrontando la popolazione della Striscia di Gaza che, come hanno rilevato le Nazioni Unite, soffre di una grave carenza di cibo. Dall'inizio della rappresaglia israeliana il 7 ottobre, le spedizioni quotidiane di cibo e di aiuti sono scese molto al di sotto dei 500 camion di forniture necessari ogni giorno per soddisfare i bisogni di base dei due milioni di palestinesi che vivono nell'enclave. Si parla di una ventina di camion di aiuti in sette giorni a febbraio, con un solo record di 300 camion il 28 novembre. Per gli aiuti si guarda ora al mare, dove sabato è approdata la prima nave di Open Arrms e World Central Kitchen, mentre una seconda è pronta a salpare da Cipro.
''Il problema è che la carestia, come anche la risposta ad essa, è diventata una questione politica. Dichiarare la carestia porrebbe fine alle condizioni che la determinano? No. La guerra è la causa della carestia, e finché continua, lo sarà anche la fame'', ha affermato Tylor Brand, professore di Studi sul Vicino e Medio Oriente al Trinity College di Dublino in Irlanda.
La prima volta che, basandosi sul quinto livello di insicurezza alimentare, le Nazioni Unite hanno definito tecnicamente un Paese colpito dalla carestia è stato nel luglio del 2011, la Somalia. Almeno 250mila persone, la metà delle quali con meno di cinque anni, sono morte a causa della carestia, secondo quanto riportò il Washington Post. In alcune zone della Somalia, i bambini con meno di cinque anni morti ogni giorno superava i sei ogni 10mila, secondo l'allora funzionario dell'Onu Mark Bowden. Nel febbraio del 2017 l'Onu ha dichiarato una carestia in Sud Sudan, dicendo che 100mila persone soffrivano di inedia. La peggiore crisi alimentare nella storia moderna dell'umanità è stata la carestia del 1959-61 in Cina dove morirono oltre 20 milioni di persone, secondo stime del governo di Pechino.
Esteri
Russia, 2mila mercenari dal Nepal in guerra:...
Spinti a combattere dalla povertà, ora cercano disperatamente di tornare
Circa 2mila nepalesi sono stati reclutati dalla Russia per combattere nella guerra in Ucraina. Alcuni di loro, spinti dalla povertà e dalla promessa di stipendi da favola per i loro standard, hanno denunciato di aver subito un trattamento pessimo al fronte e ora cercano disperatamente di tornare a casa. Ganesh, 35 anni, è uno dei pochi ad esserci riuscito.
In un'intervista a Sky News ha dichiarato di aver combattuto quattro mesi e mezzo nel Donetsk e ha sostenuto che i nepalesi venissero "trattati come cani". Nel periodo al fronte, ha detto da Kathmandu, "siamo stati attaccati dai droni ed è stato terrificante".
L'uomo, che si dice sollevato ma traumatizzato dalla sua esperienza in prima linea, ha raccontato che all'inizio è stato portato nel centro di addestramento Avangard, un'accademia militare fuori Mosca, dove è rimasto per due settimane. Ganesh aveva già un'esperienza di 10 anni nell'esercito indiano, ma molti altri al suo fianco erano giovani e inesperti. Alcuni non avevano mai impugnato un'arma prima.
Finito l'addestramento, ha proseguito, c'è stato un cambiamento netto nel modo in cui venivano trattati i mercenari stranieri, che sono stati improvvisamente gettati nel conflitto. "Durante le prime due settimane di addestramento, la vita andava bene - ha affermato - Ma una volta mandati in Ucraina, non avevamo abbastanza cibo e siamo stati picchiati dai russi. È stato davvero brutto".
Il destino dei mercenari
Secondo Ganesh, i nepalesi erano considerati carne da cannone. "I soldati russi erano dietro di noi. In prima linea c'erano i mercenari", ha aggiunto, descrivendo come al fronte ci fossero criminali russi, nepalesi e indiani davanti all'esercito. Il mercenario ha visto tre nepalesi uccisi sul campo di battaglia, ma ha sentito parlare di molte altre vittime.
Ganesh ha quindi spiegato come è finito a combattere in Ucraina, dicendo che faceva fatica a trovare lavoro e quando è andato da un agente per un posto in Lussemburgo, quello gli ha suggerito di andare invece in Russia perché era "piena di opportunità".
Ganesh ha quindi dovuto chiedere un prestito e pagarsi un milione di rupie nepalesi (quasi 7mila euro) per viaggiare fino a Mosca via Dubai con un visto turistico. Lo stipendio medio mensile nepalese equivale a meno di 175 euro. Ma l'agente gli aveva promesso che ne avrebbe potuti guadagnare quasi 2mila se si fosse unito alla campagna del Cremlino. Una volta in Russia ha dovuto pagare un altro agente quasi mille euro solo per essere portato al campo di addestramento.
Sky precisa che la cifra di 2mila nepalesi reclutati dall'esercito russo si basa sulle testimonianze dei soldati di ritorno, nonché sui dati dell'immigrazione russa. Molti nepalesi hanno riferito di aver ricevuto visti per studenti o turisti per raggiungere la Russia e il governo di Kathmandu è stato costretto a intervenire dato che per i cittadini del Paese himalayano è illegale combattere per gli eserciti stranieri.
A gennaio il governo ha vietato ai suoi cittadini di recarsi in Russia o Ucraina per lavoro e ha chiesto a Mosca di rimpatriare tutti i nepalesi reclutati. Inoltre ha dichiarato 'guerra' agli agenti che favoriscono il reclutamento e l'ingresso in Russia, con la polizia che ha già arrestato 22 sospetti.
Esteri
Israele-Gaza, Cina in campo per mediare: incontro con Hamas
In missione un inviato di Pechino che ha visto Haniyeh
La Cina di Xi Jinping vuole farsi sempre più avanti come mediatore di pace. E' diventata sempre più esplicita nella sua opposizione alla guerra a Gaza. E ha anche sfruttato il conflitto come piattaforma per manifestare la sua solidarietà con il mondo arabo e il Sud Globale, sempre pronta a mostrarsi in opposizione agli Stati Uniti. Anche se non è chiaro quanto spazio abbia il gigante asiatico per giocare un ruolo forte nella regione. La Cnn legge così l'incontro di domenica scorsa in Qatar tra un diplomatico cinese e il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh.
L'incontro dell'inviato di Pechino con un leader di Hamas
E' la prima volta dall'inizio del conflitto a Gaza, che Pechino conferma un faccia a faccia di questo genere. Protagonista con il leader politico di Hamas, è stato Wang Kejian, diplomatico cinese che era già stato in Israele e in Cisgiordania, la prima missione del genere di un inviato di Pechino di cui si ha notizia dall'attacco del 7 ottobre in Israele e dall'inizio delle operazioni militari israeliane nell'enclave palestinese.
Haniyeh e Wang, ex ambasciatore in Libano, "hanno avuto uno scambio di vedute sul conflitto a Gaza e altre questioni", si è limitato a rendere noto stamani il ministero degli Esteri di Pechino. Presente all'incontro l'ambasciatore cinese in Qatar, Cao Xiaolin, evidenzia la Cnn sottolineando come Hamas affermi di aver avuto un incontro con Cao il mese scorso. Del faccia a faccia con Wang il gruppo ha fatto sapere che Haniyeh ha espresso apprezzamento per "il ruolo della Cina al Consiglio di Sicurezza, in seno alle Nazioni Unite e alla Corte internazionale di giustizia".
Haniyeh ha insistito sulla "necessità di fermare rapidamente l'aggressione e i massacri", sulla richiesta di ritiro delle forze israeliane da Gaza, ribandendo la volontà di "raggiungere gli obiettivi politici e le aspirazioni per la creazione di uno stato palestinese indipendente".
La strategia della Cina
Wang, evidenzia la Cnn, si trova nella regione almeno dal 10 marzo, quando ha incontrato interlocutori in Egitto, prima di spostarsi in Cisgiordania, poi in Israele e in Qatar. Un tour che non era stato annunciato da Pechino, che dopo l'attacco del 7 ottobre in Israele non aveva citato né condannato Hamas e che da allora ha denunciato il conflitto e sostenuto a gran voce la necessità di un cessate il fuoco immediato e di concretizzare la soluzione dei due stati.
In Cisgiordania, nei giorni scorsi, Wang ha incontrato il ministro degli Esteri dell'Autorità palestinese, Riyad al-Maliki. Pechino insiste sulla soluzione dei due Stati, una politica ripetuta da Pechino che però, come osserva la Cnn, non è chiaro quante possibilità abbia di giocare un ruolo forte a sostegno di uno stato palestinese indipendente e che critica Israele per le condizioni dei palestinesi mentre viene a sua volta messa sotto accusa per gli abusi dei diritti umani ai danni delle minoranze, in particolare nel Xinjiang (accuse sempre respinte dal gigante asiatico).
In Israele Wang ha visto funzionari del ministero degli Esteri, insistendo - sempre secondo i resoconti ufficiali degli incontri arrivati da Pechino - sulla priorità di un "cessate il fuoco completo, della fine della guerra, della garanzia di aiuti umanitari e protezione per i civili".
Dal 7 ottobre i funzionari cinesi, ricorda la Cnn, avevano avuto altri contatti con interlocutori israeliani e palestinesi, anche quando a novembre Pechino ha ospitato delegazioni di Arabia Saudita, Giordania, Egitto, Autorità nazionale palestinese e Indonesia. Ma, sebbene prima di Wang il Dragone avesse 'spedito' nella regione l'inviato speciale per il Medio Oriente Zhai Jun, non erano mai state confermate ufficialmente tappe nei Territori palestinesi o in Israele. Neanche quando a inizio anno era stato in Egitto per colloqui il capo della diplomazia cinese, Wang Yi.