Salute e Benessere
Dengue, in Italia 117 casi nel 2024: concentrati in Veneto,...
Dengue, in Italia 117 casi nel 2024: concentrati in Veneto, Lazio e Lombardia
Per ora si tratta di contagi importati, nessuno è autoctono: concentrati in Veneto, Lazio e Lombardia. In Brasile oltre 3 milioni di casi e almeno 1.200 morti
"Dal 1 gennaio all'8 aprile 2024, al sistema di sorveglianza nazionale delle arbovirosi" curato dall'Istituto superiore di sanità "risultano: 117 casi confermati di Dengue, tutti associati a viaggi all'estero". Per ora solo contagi importati dunque in Italia, nessuno autoctono. Gli infettati dal virus trasmesso dalle zanzare hanno una età mediana di 42 anni e sono metà donne e metà uomini, emerge dal primo bollettino dell'Iss per questa stagione.
Tutti i casi concentrati in tre regioni: da dove arrivanoe fascia età più colpita
I 117 casi segnalati si concentrano in 3 regioni: Veneto (24), Lazio (23) e Lombardia (21). Sopra i 10 casi anche Toscana (13), Emilia Romagna (12) e Piemonte (11).
Guardando alla cartina che mappa il luogo probabile di esposizione dei casi di Dengue importati, la maggior parte arriva dal Brasile (32 contagi), dove l'infezione sta alimentando da mesi un'epidemia record. La fascia d'età più colpita è quella compresa fra 30 e 39 anni, con un'incidenza superiore ai 4 casi per milione di abitanti; seguono i 20-29enni con circa 3 casi per milione, i 40-49enni (2,8/milione), la fascia 50-59 anni (2,4) e quella dei bimbi under 9 (1,5).
Da inizio anno l'Iss conteggia inoltre "1 caso confermato di Zika Virus (associato a viaggio all'estero, nessun decesso); 3 casi confermati di Chikungunya (tutti associati a viaggi all'estero, età mediana di 46 anni, 67% di sesso maschile, nessun decesso); 1 caso confermato di infezione neuro-invasiva - Tbe (autoctono, nessun decesso); nessun caso di Toscana virus".
Pregliasco: "In Italia casi importati saliranno a 500-1.000, guardia alta"
"Avere avuto 117 casi importati di Dengue finora vuol dire attenderci come minimo 500 contagi dall'estero" nella nostra Penisola. "Se è vero come sostengono le autorità brasiliane che il picco dell'epidemia" nel Paese sudamericano "è stato raggiunto, possiamo prevedere che da noi i casi importati saliranno a circa 500. Che potrebbero però arrivare a un migliaio qualora l'emergenza in Brasile dovesse continuare", spiega all'Adnkronos Salute Fabrizio Pregliasco, virologo dell'università Statale di Milano. Oltre alle infezioni dall'estero, conferma, "ci dobbiamo aspettare anche dei casi autoctoni". Intorno ai "200-300" è la 'forbice' ipotizzata nei giorni scorsi dall'esperto.
In ogni caso, indipendentemente dal trend Dengue in Sud America, Pregliasco invita a "non abbassare la guardia. Per ora siamo in una situazione tutto sommato tranquilla - sottolinea - ma, è chiaro, in questa fase le zanzare" tigre che potrebbero veicolare il virus "non hanno ancora iniziato a proliferare e a circolare come faranno quando il caldo aumenterà. Rimane l'esigenza di uno stretto monitoraggio", raccomanda il virologo.
In Brasile oltre 3 milioni di casi e almeno 1.200 morti
Quest'anno i casi di Dengue in Brasile hanno superato quota 3 milioni, quasi il doppio rispetto al totale registrato l'anno scorso (1,6 milioni). Da inizio 2024 il Paese sudamericano riporta 3.062.181 contagi probabili; i morti finora sono 1.256, ma si indaga anche su altri 1.857 decessi. Sono gli ultimi dati riferiti dal ministero della Salute brasiliano. L'incidenza è sopra i 1.500 casi ogni 100mila abitanti, le fasce d'età più colpite sono quelle comprese dai 20 ai 60 anni.
Delle 27 entità federative (26 stati più un distretto federale), 9 mostrano una consolidata tendenza al ribasso nel numero di casi di Dengue - riporta il ministero - altri 13 una tendenza alla stabilità, mentre i 5 continuano a mostrare una tendenza in aumento nel numero di casi.
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Disturbi della memoria, scoperto come il cervello distingue...
Lavoro del team di ricerca del dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Torino
Una ricerca condotta da un team di ricerca del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino potrebbe fornire informazioni utili per sviluppare nuove strategie terapeutiche per i disturbi della memoria. Formare ricordi di eventi simili costituisce una vera e propria sfida per il nostro cervello. "È essenziale che ogni evento venga memorizzato in maniera separata per preservarne la specificità. Tuttavia, è altrettanto importante riconoscere e ricordare gli aspetti comuni tra gli eventi. Se questo delicato processo viene compromesso, le persone rischiano di confondere un evento con un altro, perdendo così la chiarezza e la specificità dei propri ricordi". Lo ha rilevato un nuovo studio pubblicato su 'Cell Reports' che ha identificato un intricato processo cerebrale che consente di distinguere e memorizzare eventi simili in maniera separata, mantenendo al contempo le somiglianze tra di essi. La ricerca è stata condotta principalmente dalle ricercatrici Giulia Concina, Luisella Milano e Annamaria Renna coordinate dal professor Benedetto Sacchetti del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino.
I ricercatori hanno studiato l’attività cerebrale durante l'apprendimento di due eventi distinti ma con elementi in comune, scoprendo che nell'amigdala, una regione cerebrale chiave per la formazione dei ricordi, gruppi separati di neuroni si attivano per memorizzare separatamente eventi distinti. "Tuttavia, alcuni neuroni rispondono a entrambi gli eventi, aiutando a ricordarne le somiglianze. Il numero di questi neuroni comuni - sottolinea lo studio - è regolato da un particolare tipo di cellule chiamate neuroni inibitori. Bloccando queste cellule, i ricercatori hanno notato come il numero di neuroni comuni aumentasse notevolmente causando la confusione e sovrapposizione dei due eventi. Secondo i ricercatori, in conclusione, i neuroni inibitori contribuiscono quindi a mantenere distinti i ricordi di eventi simili".
La ricerca è stata condotta adottando un approccio multidisciplinare che ha integrato metodologie di analisi comportamentale, biologia molecolare, microscopia ad alta risoluzione e modulazione dell'attività cerebrale. In particolare, grazie all'utilizzo della tecnica innovativa della 'marcatura chemogenetica', i ricercatori hanno potuto visualizzare i neuroni coinvolti nella percezione sia degli aspetti distintivi di due eventi, sia delle loro caratteristiche comuni. Questa analisi ha permesso anche di individuare le cellule in grado di limitare il numero di neuroni condivisi, ovvero i neuroni inibitori. Infine, combinando le tecniche di marcatura chemogenetica e di inattivazione dell'attività neuronale, i ricercatori hanno selettivamente bloccato queste cellule, notando che ciò portava i soggetti a confondere gli eventi tra di loro.
"Questa ricerca - spiega Sacchetti - riveste un'importanza significativa poiché mette in luce l'esistenza di neuroni il cui ruolo è quello di mantenere separate le memorie di eventi distinti ma con aspetti in comune, consentendo così di conservare i ricordi di tali eventi in modo preciso e nitido. Considerando che una delle caratteristiche tipiche dei disturbi della memoria, come le demenze e il disturbo post-traumatico da stress, è la tendenza a confondere gli eventi passati, questa ricerca potrebbe fornire nuove informazioni utili per sviluppare nuove strategie terapeutiche".
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Università, Gesualdo (Fism): “Nettamente contrari a...
"D'accordo con Ordine medici e Anaao. Serve programmazione razionale, le Scuole di Medicina non possono accogliere 70mila iscritti per mancanza di spazi e risorse"
"La decisione di eliminare il numero chiuso per l'iscrizione alla Facoltà di Medicina, Medicina veterinaria e Odontoiatria e protesi dentaria rappresenta una minaccia alla qualità della formazione medica e prelude un grave rischio di sovraffollamento del mercato del lavoro medico. Come l'Ordine dei medici e Anaao anche la Fism è nettamente contraria a stop al numero chiuso". Così all'Adnkronos Salute il presidente della Federazione italiana società medico-scientifiche (Fism) Loreto Gesualdo commenta l'adozione da parte della Commissione Istruzione del Senato del testo base che elimina il numero chiuso nelle Facoltà di Medicina.
La Fism "ribadisce l'importanza di una programmazione razionale e basata sui reali bisogni del Servizio sanitario nazionale - spiega Gesualdo sottolineando "la necessità di una selezione accurata dei futuri medici già durante il percorso scolastico, al fine di garantire una formazione di qualità e una corretta distribuzione sul territorio". Inoltre, "occorre estendere la programmazione non solo al numero dei medici, ma anche a tutte le altre professioni sanitarie, come infermieri, fisioterapisti, dietisti e altre figure professionali - evidenzia il numero uno di Fism - essenziali per supportare i percorsi di intelligenza artificiale e l'evoluzione tecnologica nel settore della salute".
Gesualdo suggerisce di "potenziare i licei con inclinazione biomedica" per preparare "adeguatamente gli studenti interessati a intraprendere percorsi universitari" nel campo della salute. "Tuttavia - avverte - è importante ricordare che attualmente le scuole di medicina non sono in grado di accogliere un numero così elevato di studenti, con circa 70.000 iscrizioni previste, a causa della mancanza di spazi e risorse necessarie".
La programmazione delle professioni sanitarie "deve essere inclusiva e mirata a garantire un equilibrio tra domanda e offerta di competenze specialistiche, al fine di garantire un corretto sviluppo del settore e una gestione ottimale delle risorse umane nel campo della salute". La Fism "si impegna a promuovere una visione olistica della programmazione delle professioni sanitarie, che tenga conto delle nuove sfide e opportunità offerte dalla digitalizzazione e dall'intelligenza artificiale nel campo della salute" conclude.
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25 aprile, il pediatra: “Ecco come spiegarlo ai...
"Per ogni età c'è il giusto modo di raccontarlo, a seconda della fase evolutiva"
25 aprile data importante per gli italiani. E, come tutti gli anni, al centro in questi giorni di dibattiti, ricordi, commemorazioni. Ma come spiegarlo ai bambini che ci chiedono chiarimenti? "Per ogni età c'è il giusto modo di raccontarlo, a seconda della fase evolutiva", spiega all'Adnkronos Salute Italo Farnetani, docente di Pediatria dell'Università Ludes-United Campus of Malta.
"Ai bambini di meno di 10 anni, per esempio - suggerisce il medico - direi semplicemente che in questo giorno è finita la guerra che veniva combattuta in Italia. Bisogna tener conto del fatto che in questa fascia di età i bambini ragionano per operazioni concrete, su ciò che vedono e che gli va spiegato nella sua concretezza. Possiamo raccontargli, quindi, che nel nostro Paese c'era una guerra come quelle che vedono in televisione e il 25 aprile se ne festeggia la fine". Dagli 11 anni in poi, soprattutto a chi frequenta le scuole superiori, prosegue Farnetani, "si può parlare con i ragazzi dei contenuti ideali, politici, legati alla Festa della liberazione". Mentre "dai 14 anni in su, cioè quando l'adolescente entra nella fase delle 'operazioni formali', il discorso può ampliarsi ai concetti di pace, guerra, libertà, dittatura, diritti umani, cioè fare un discorso formativo. In questa fase dell'adolescenza, in cui predominano i concetti di bene e male, giustizia e ingiustizia - sottolinea il pediatra - si fa strada una visione utopica della realtà. Gli adulti, considerando questa particolare fase dello sviluppo del ragionamento degli adolescenti, possono aiutare i ragazzi a fare un'analisi oggettiva di ciò che è avvenuto il 25 aprile perché possa partire da una valutazione storica, etica e politica dei fatti per farsi, autonomamente, un'idea precisa dell'origine e delle motivazioni del significato simbolico della data. Successivamente potrà esaminare i decenni successivi della storia della politica italiana".
Un'informazione che tenga conto delle fasi evolutive, conclude Farnetani, è una modalità utile a fornire "all'adolescente strumenti per capire le problematiche alla radice. In caso contrario, si rischia di proporre concetti preconfezionati o di parte che non aiutano lo sviluppo della persona".