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2024 anno con più elezioni di sempre: da Ue a Usa e Russia...

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2024 anno con più elezioni di sempre: da Ue a Usa e Russia in 2 miliardi al voto

Ad aprire l'anno elettorale sarà Taiwan, seguita da Iran e Portogallo. Si vota anche in India e Regno Unito

Cartello indica il seggio elettorale - Afp

Il 2024 sarà l'anno con più elezioni di sempre. Settantasei Paesi, che rappresentano all'incirca il 60% del pil a livello globale e per una popolazione totale di oltre 2 miliardi di persone, porteranno i loro cittadini alle urne. E anche se alcune di queste elezioni sono piuttosto scontate, come l'attesa, nuova vittoria di Vladimir Putin al primo turno delle elezioni presidenziali russe del prossimo marzo, altre, invece, si preannunciano incerte e quindi ancora più decisive: a partire dal prossimo 13 gennaio, quando Cina e Stati Uniti saranno spettatori interessati delle elezioni presidenziali taiwanesi, dove una vittoria del campo "pro-Pechino" potrebbe clamorosamente cambiare lo scenario sullo Stretto. C'è attesa anche per l'esito delle elezioni europee che si svolgeranno a giugno: circa 400 milioni di elettori nei 27 Stati membri sono chiamati infatti alle urne per eleggere il nuovo Parlamento europeo. Il 2024, poi, si chiuderà 'col botto': il 6 novembre si vota negli Stati Uniti per quello che a oggi si preannuncia come un nuovo faccia a faccia tra Joe Biden e Donald Trump.

Taiwan

Prima tappa dell'"anno più elettorale di sempre" - si voterà infatti anche in Iran, Portogallo, India e Regno Unito per citare solo le elezioni più attese - sarà Taiwan, l'isola che la Cina (ma anche l'Occidente) non riconosce come indipendente ma che ogni 4 anni tiene elezioni democratiche per eleggere la propria presidenza. Il 13 gennaio, il "campo verde" del Partito Democratico Progressista (Dpp) proverà a prolungare ulteriormente un dominio politico che perdura dal 2016, anno in cui l'attuale presidentessa uscente Tsai Ing-wen scosse gli equilibri nello Stretto sconfiggendo il "campo blu" pro-Pechino del Partito Nazionalista (Kmt). Il nuovo faccia a faccia si preannuncia più equilibrato dei precedenti: sebbene oltre il 60% della popolazione continui a definirsi "taiwanese" a fronte del solo 3% di "cinesi", i rallentamenti economici degli ultimi anni di governo Tsai hanno favorito un ritorno del Kmt, il cui programma è da molti, soprattutto i cosiddetti "colletti bianchi", percepito come più razionale e sostenibile sul piano economico.

Per il Dpp, il candidato presidente si chiama Lai Ching-te, già vice di Tsai dal 2020 e inviso a Pechino per le sue posizioni ancora più rigide rispetto alla presidenza uscente. I Nazionalisti rispondono con Hou You-Ih, salito alla ribalta da sindaco di Nuova Taipei, e che ha presentato il voto del 13 come una "scelta tra guerra e pace". Tuttavia, le possibilità di un cambio della guardia alla presidenza della "Repubblica di Cina", hanno visto un brusco rallentamento a metà novembre scorso, quando il Kmt non è riuscito a concordarsi con i centristi del "Partito del Popolo Taiwanese" (Tpp) per una candidatura congiunta in chiave anti-Dpp. Nonostante l'indubbio "tifo" da parte di Pechino, per i sondaggi il "campo blu" parte ancora piuttosto indietro rispetto al campo verde, che gode di grande sostegno da parte della quasi totalità dei giovani taiwanesi e ha ottimi rapporti con gli Stati Uniti.

Iran

Il primo marzo sarà il turno dell'Iran. Nell'avvicinamento alle prossime legislative, le sfide principali per il governo saranno il mantenimento della stabilità politica e la stabilizzazione della disastrosa situazione economica ("un decennio in ritardo", a detta dello stesso Ayatollah Khamenei), in particolare l'altissimo tasso di inflazione. I funzionari sono consapevoli che la legittimità del regime si è erosa, soprattutto dopo la brutale repressione dopo la morte di Mahsa Amini dello scorso anno. Il governo vuole evitare di arrivare a un punto di rottura che possa spingere gli iraniani a scendere nuovamente in piazza, ed è concentrato a preservare il suo elettorato di riferimento. Due fazioni di conservatori saranno protagoniste della politica iraniana nel 2024. La prima è il Fronte Paydari (Solidarietà), che sposa visioni più puritane. I suoi membri sono favorevoli a un'economia controllata dallo Stato e dichiarano di impegnarsi per la giustizia sociale, in particolare per eliminare la corruzione e rendere il governo più efficiente. In politica estera sono più "falchi" e vorrebbero un ulteriore avvicinamento alla Cina e alla Russia. Molti membri del gabinetto del Presidente Ebrahim Raisi sono allineati con il Fronte Paydari. La seconda fazione comprende i conservatori tradizionali guidati da Mohammad Baqer Qalibaf, speaker del Parlamento dal 2020. Gli esponenti della fazione Qalibaf tendono a essere più pragmatici e meno ideologici. Molti provengono dalla classe mercantile dei bazaari e sono favorevoli a un settore privato più forte invece che a un'economia controllata dallo Stato. Sono anche più aperti all'impegno con il mondo esterno, compresi i Paesi europei. Alcuni conservatori tradizionali hanno sostenuto l'accordo nucleare del 2015 con le sei maggiori potenze mondiali, ma si sono fatti sentire meno quando la politica interna si è polarizzata e l'Iran è stato isolato per la sua situazione dei diritti umani, il suo controverso programma nucleare e il sostegno alla Russia in Ucraina.

Portogallo

Dopo l'Iran toccherà al Portogallo recarsi alle urne. In seguito alle dimissioni del premier socialista Antonio Costa dopo l'indagine per corruzione, il 6 dicembre è stato sciolto il parlamento portoghese, considerato da molti osservatori come una delle ultime "roccaforti di sinistra" in Europa, e nuove elezioni sono state indette per il prossimo 10 marzo. Sebbene la Costituzione portoghese dia il diritto di nominare un nuovo premier senza indire nuove elezioni, il presidente della Repubblica Rebelo de Sousa ha invece deciso di dare al Partito Socialista di Costa, che controlla la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento, il tempo di trovare un nuovo leader prima che gli elettori si rechino alle urne. Costa ha accettato di rimanere al suo posto come primo ministro ad interim, ma all'interno del suo partito è già iniziata la corsa alla sua successione. A guidarla ci sarà Pedro Nuno Santos, ex segretario generale dell'ala giovanile dei socialisti, che il 17 dicembre ha trionfato nelle primarie socialiste. Santos è stato a lungo considerato una delle figure più promettenti all'interno del partito, ma l'anno scorso è stato costretto a dimettersi dal suo incarico di ministro delle Infrastrutture a seguito di uno scandalo sul dossier di privatizzazione della compagnia aerea statale Tap.Il rinvio delle elezioni consentirà al centrodestra del Partito socialdemocratico di raccogliere consensi tra i cittadini portoghesi, puntando ad ottenere numeri sufficienti per governare senza la necessità di coalizzarsi con l'estrema destra di Chega ("Basta"), terzo alle scorse elezioni e in netta ascesa secondo i primi sondaggi. Il leader socialdemocratico Luís Montenegro ha dichiarato di essere pronto a "ristabilire la fiducia e il prestigio delle istituzioni democratiche". "È possibile avere un Paese in cui non sia necessario immigrare per mancanza di opportunità, di alloggi, di servizi pubblici - ha affermato - è possibile avere un Paese che crea più ricchezza e paga stipendi più alti". Per il leader di Chega, André Ventura, la tornata di marzo rappresenta invece una grande occasione per mettere fine allo storico bipolarismo che contraddistingue la politica portoghese e cavalcare il momento positivo delle destre sovraniste europee.

Russia

Da Lisbona a Mosca. Sebbene il risultato sia già ampiamento scritto, anche le elezioni presidenziali russe del prossimo 17 marzo presenteranno diversi motivi d'interesse. Per il 71enne Vladimir Putin la strada verso il quinto mandato presidenziale appare più spianata che mai, ed è resa possibile dalla riforma costituzionale da lui stesso orchestrata nel 2020, che gli tiene aperta la possibilità di governare per altri 12 anni. Per la prima volta, dovrebbero partecipare al voto anche i cittadini dei territori occupati di Donetsk, Luhansk, Zaporizhia e Kherson. L'opposizione all'attuale leader del Cremlino appare piuttosto tiepida, e candidature di dissenso come quella della giornalista 40enne Yekaterina Duntsova, voce pubblicamente critica verso la guerra in Ucraina, vengono respinte ancora prima di cominciare (media statali hanno parlato di "errori nei documenti presentati"). Per il resto la corsa presidenziale di Putin non sembra aver alcun tipo di concorrenza, con leader dell'opposizione come Alexey Navalny, appena "riapparso" in una colonia penale nell'Artico, che stanno scontando lunghe pene detentive e altri importanti critici del Cremlino dietro le sbarre o fuori dal Paese per il rischio di arresto.

India

Nessun Paese porterà al voto più persone dell'India, dove tra aprile e maggio oltre 900 milioni di elettori dovranno scegliere se conferire un terzo mandato al premier Narendra Modi. Si voterà per eleggere i 543 membri del Lok Sabha, il parlamento indiano, e mai come stavolta Modi e il suo Bharatiya Janata Party (Bjp) puntano a consolidare la propria leadership, rinfrancati dai dati nei sondaggi tanto che lo stesso premier ha dichiarato di voler puntare a migliorare gli attuali 303 seggi. Modi, abile catalizzatore del nazionalismo indù, punta ad una netta vittoria anche per respingere le accuse di illiberalismo che hanno messo nel mirino il suo governo: l'India è scesa di 11 posizioni nell'Indice mondiale della libertà di stampa, scendendo al 161° posto su 180 Paesi, a causa della crescente "violenza contro i giornalisti e dei media politicamente di parte". Anche Freedom House ha recentemente declassato il Paese da "libero" a "parzialmente libero"

Mai come stavolta, sarà "Modi contro tutti", o per dirla come vorrebbe l'opposizione, "Modi contro l'India". Ad insidiare il leader del Bjp sarà infatti l'alleanza "India" (Indian National Developmental Inclusive Alliance), guidata dai secolaristi del Congresso Nazionale Indiano (Inc) e composta da 28 partiti che spaziano dal centro alla sinistra più estrema. Resta da stabilire chi sarà il candidato di punta dell'alleanza, ma l'obiettivo principale è chiaro sin da subito: "Dobbiamo restare uniti per salvaguardare la democrazia e la Costituzione", aveva dichiarato il presidente dell'Inc, Mallikarjun Kharge, durante il conclave fondativo dell'alleanza.

Regno Unito

C'è già una data di scadenza per l'attuale Camera dei comuni inglese, che verrà sciolta al più tardi il 17 dicembre 2024. Per questo motivo, il premier Rishi Sunak ha fatto sapere di voler andare a nuove elezioni entro la fine dell'anno, anche se la data rimane ancora da stabilire. Sunak, che punterà sui risultati della crescita economica, il successo del suo progetto per l'invio dei richiedenti asilo in Ruanda e la popolarità del suo stile politico, dovrà tuttavia affrontare sfide su tutti e tre i fronti: con la Banca d'Inghilterra che prevede una stagnazione economica, il piano per il Ruanda che rischia di essere messo a repentaglio sul piano politico e legale e il crollo della popolarità dei Tory nei sondaggi d'opinione. I Tory infatti, al potere dal 2010, sono da tempo dati in netto svantaggio rispetto ai laburisti, la principale forza d'opposizione. Ciò è dovuto principalmente alla peggiore crisi del costo della vita degli ultimi decenni e alle sanguinose lotte intestine che hanno portato a ben cinque premier diversi dal voto sulla Brexit del 2016. Per i laburisti, la cui crescita è probabilmente più figlia degli autogol Tory che di un vero entusiasmo per la loro proposta politica, l'obiettivo è portare il nuovo leader Keir Starmer a diventare il prossimo premier. La posta in gioco sia per Sunak che per Starmer è alta: le elezioni generali previste per il 2024 potrebbero vedere i laburisti tornare al potere per la prima volta dal 2010 o aprire la strada a un periodo di governo dei Tory che durerà quasi due decenni. Se il primo ministro riuscirà a portare il suo partito a un'altra vittoria, il Regno Unito potrebbe avere un'amministrazione guidata dai conservatori potenzialmente fino al 2029, superando i 18 anni di governo di Margaret Thatcher e John Major. La chiave per Sunak è capire se riuscirà a presentarsi come candidato del "cambiamento", nonostante rappresenti un partito al potere da oltre un decennio, e a convincere gli elettori di avere una visione nuova per il Paese dopo il caos delle amministrazioni di Boris Johnson e Liz Truss. Starmer spera di fermarlo ma, dopo la batosta del 2019, i laburisti partono con uno svantaggio significativo in termini di seggi a Westminster, nonostante i successi nelle elezioni parziali e il vantaggio nei sondaggi.

Unione Europea

Tra il 6 e il 9 giugno 2024 si voterà in tutti i Paesi dell'Ue per eleggere i 720 membri del nuovo Parlamento (15 deputati in più rispetto ai 705 attuali). Le "europee" si svolgono ogni cinque anni nell'arco di quattro giorni e sono considerate il più grande voto transnazionale del mondo: oltre 400 milioni di elettori di diverse nazionalità saranno chiamati a votare. Il ricambio dei deputati coinvolgerà anche i vertici della Commissione e del Consiglio europeo, il che significa che i posti attualmente occupati da Ursula von der Leyen e Charles Michel potrebbero passare di mano. Von der Leyen non ha ancora confermato la propria candidatura per un secondo mandato quinquennale, mentre a Michel la legge vieta di continuare a guidare il Consiglio europeo, poiché la carica è limitata a due mandati consecutivi di 2,5 anni ciascuno. Secondo le prime proiezioni di Europe Elects, il centro-destra del Partito Popolare Europeo (Ppe) potrebbe perdere qualche seggio, ma è favorito per restare la formazione più numerosa, seguito dal gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D). Un grande tema delle europee sarà l'ascesa della destra sovranista di Identità e Democrazia (Id), già salita al terzo posto nei sondaggi e ulteriormente rinfrancata dal trionfo di Geert Wilders in Olanda. Inseguono i liberali di Renew Europe (Re) e il Gruppo dei Conservatori e dei Riformisti Europei (Ecr). L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, la crisi del costo della vita, le forniture energetiche, il cambiamento climatico e la migrazione sono i temi principali in vista del voto del prossimo giugno.

Stati Uniti

A chiudere l'anno più elettorale di sempre sarà l'attesissimo voto statunitense. In attesa delle primarie repubblicane e democratiche, il cui primo round andrà in scena già a gennaio, tutto lascia pensare che il 5 novembre sarà nuovamente corsa a due tra Biden e Trump, in un remake del voto 2020 il cui risultato fu a lungo contestato dal magnate newyorchese. Per il 77enne Trump, che ha annunciato la sua nuova candidatura oltre un anno fa, c'è grande fiducia di poter essere ancora l'uomo forte della politica americana. L'ex presidente è saldamente al comando non solo nei sondaggi verso le primarie del Gop senza aver partecipato ad alcun dibattito pubblico (seguono Ron De Santis e Nikki Haley), ma anche nelle previsioni verso la sfida a Biden del prossimo novembre, dove sarebbe già in significativo vantaggio in 5 dei 6 Stati decisivi. Per l'82enne Biden, che punta a diventare il più anziano di sempre a vincere le elezioni americane (il record è già suo dal 2020), il tema della campagna elettorale verso novembre appare già chiaro e analogo a quello vincente di quattro anni fa: fermare Trump e la sua minaccia alla democrazia. D'altronde, lo stesso leader originario della Pennsylvania ha ammesso che "probabilmente non si sarebbe ricandidato se non ci fosse stato Trump dall'altra parte". Da settimane i rumor parlano di un leader dem frustrato dal proprio calo di popolarità a seguito anche della complessa gestione del conflitto palestinese, per cui sarà importante monitorare i movimenti diplomatici di Washington dei prossimi mesi inevitabilmente condizionati dal voto del prossimo novembre.

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Scholz in Cina, l’esperta tedesca: “Non ottiene...

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Scholz in Cina, l'esperta tedesca:

"Durante la visita del Cancelliere tedesco Olaf Scholz in Cina non sono stati fatti passi avanti in nessuna area sostanziale di interesse europeo, né sull'Ucraina, né sulla pressante questione delle sovraccapacità cinesi che sfidano il mercato dell'Ue. Tuttavia, è emersa una dichiarazione congiunta sul dialogo e la collaborazione nel campo della guida automatizzata e dei veicoli connessi". Lo dice Janka Oertel, direttrice del Programma Asia di Ecfr, European Council on Foreign Relations.

"La dichiarazione congiunta mette a repentaglio gli sforzi in atto nell'UE per raggiungere una posizione collettiva sul nesso tra tecnologie verdi, dati e sicurezza nazionale. Arriva pochi giorni dopo il discorso della vicepresidente esecutiva della Commissione Vestager a Princeton, che ha chiesto una nuova iniziativa del G7 sui criteri di affidabilità per le tecnologie critiche in ambito "green", e sulla scia di intense discussioni oltreoceano. L'Advanced Notice on Proposed Rule-Making (ANPRM) del governo statunitense sull'aspetto della sicurezza nazionale dei veicoli connessi sta definendo il tono del prossimo approccio statunitense al tema", prosegue l'esperta.

"È un segnale irritante che la Germania sembra non essere in sintonia con i suoi partner e alleati quando si tratta dei rischi di cybersicurezza provenienti dalla Cina. La continua dipendenza dall'infrastruttura 5G è solo un esempio: i veicoli connessi sembrano essere il prossimo assolo. La dichiarazione sembra un ritorno di fiamma all'accordo No-Spy dell'era Obama nel 2015, che non ebbe molto successo, per non dire altro. Da allora le cose sono cambiate radicalmente, ma non in meglio. L'industria automobilistica tedesca ha interesse a facilitare il trasferimento dei dati dai veicoli connessi in Cina e c'è un sincero desiderio di trovare un terreno comune. Se questo sia effettivamente possibile è molto discutibile", conclude Oertel.

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Esteri

Italia-Tunisia, Saied incontra Meloni: “Slancio...

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"Volontà di ampliare i legami di cooperazione e partenariato tra i due Paesi amici"

L'incontro con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha rappresentato "un'occasione attraverso la quale il presidente della Repubblica ha ribadito l'orgoglio della Tunisia per le sue forti relazioni storiche con l'Italia". Lo riferisce una nota della presidenza tunisina diffusa dopo l'incontro di oggi a Tunisi del presidente Kais Saied con la Meloni. Durante l'incontro, Saied ha sottolineato "la volontà di ampliare i legami di cooperazione e partenariato tra i due Paesi amici".

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Biennale Arte, Bolivia: “Noi presenti per mettere in...

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La Russia non partecipa, a Mosca è vivo l'incubo di una mostra del dissenso

Biennale Arte, Bolivia:

La Russia non espone alla 60/a Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, come già alla Mostra precedente, inaugurata due mesi dopo l'inizio dell'invasione dell'Ucraina. Ma il padiglione aperto nel 1914 su progetto di Aleksei Shchusev, architetto dello zar poi alla corte di Stalin, non è rimasto chiuso, come lo era stato nel 2022, dopo che il curatore Raimundas Malasauskas e gli artisti Aleksandra Sukhareva e Kirill Savchenkov si erano dimessi in segno di protesta per "questa guerra politicamente e umanamente intollerabile".

Lo spazio restaurato di recente come "macchina teatrale per l'arte contemporanea", nelle intenzioni dello studio Kasa (Kovaleva&Sato Architecs) che ne ha curato l'opera, è stato ceduto alla Bolivia. La presenza del Paese sudamericano ai Giardini della Biennale "mette, per una volta, in discussione gerarchie che sembravano immutabili. Ci è consentito adesso di far sentire la nostra voce accanto a quelle nazioni che da sempre sono rappresentati su questo palco", spiegano i curatori della progetto "Qhip Nayra Uñtasis Sarnaqapxañani" (Andiamo avanti guardando al futuro passato) allestito per l'Esposizione Internazionale d'Arte che sarà aperta al pubblico da sabato al 24 novembre, nel "cuore" del luogo in cui hanno progettato e costruito i loro Padiglioni i Paesi che per primi hanno partecipato alla manifestazione, la grande maggioranza dei quali occidentali.

"La Russia che ci ha trattato come Paese amico e non come estraneo", si sottolinea, con riferimento al titolo scelto dal curatore della 60/a Esposizione, Adriano Pedrosa, "Foreigners Everywhere. Stranieri Ovunque". La partecipazione della Bolivia a questa Biennale "è l'occasione perfetta per celebrare la nostra diversità, la nostra plurinazionalità, in vista del bicentenario della fondazione del nostro Stato". Molti i russi presenti all'inaugurazione.

La Russia "ha creduto nell'importanza, nella qualità e nel contenuto del nostro progetto", precisano i curatori. Ma la decisione è stata sofferta. Lo scorso autunno, apprende l'Adnkronos, personalità del mondo dell'arte in Russia avevano indagato informalmente, con i loro contatti in Italia, nel tentativo di individuare un possibile progetto adeguato ai tempi con cui partecipare alla 60/a Esposizione.

Una situazione di zugzwang, ha riassunto con immagine scacchistica - posizione in cui qualsiasi mossa porta uno svantaggio - e una serie di eufemismi il quotidiano russo Kommersant: assegnare il padiglione "ad artisti contemporanei con posizione spesso non contemporanea in Russia", opzione pericolosa sia per i responsabili del progetto che per gli stessi partecipanti considerato il rischio di "estremismo" alle porte di ogni espressione, o ad artisti patriottici che avrebbero moltiplicato le critiche all'estero e creato terreno fertile per una ritorsione. Perché a Mosca, a leggere il quotidiano russo, sembra riemerso l'incubo associato alla Biennale del 1977 in cui ai padiglioni nazionali era stata affiancata l'arte del dissenso oltrecortina.

Il ministro della Cultura a Mosca ha comunicato agli organizzatori che il Paese non parteciperà alla 60/a Esposizione internazionale d'arte, ha quindi reso noto la Biennale in un comunicato dello scorso febbraio in cui si ricorda "che la chiusura del Padiglione della Russia alla 59/a Esposizione d'Arte 2022 è stata decisa dal Commissario e dal Curatore" nominati dallo stesso ministro e che "tutti i Paesi riconosciuti dalla Repubblica italiana possono in totale autonomia" richiedere di partecipare ufficialmente" alla Esposizione.

La scelta dell'Estado Plurinacional de Bolivia, secondo la dizione ufficiale introdotta con la nuova Costituzione del 2009, che a sua volta ha aperto il padiglione ad artisti di altri Paesi sudamericani, corona sviluppi significativi delle relazioni bilaterali. Il Presidente Luis Arce è atteso a Mosca nei prossimi mesi. La Russia è stata ammessa, al fianco della Cina, allo sfruttamento degli enormi giacimenti di litio sulle Ande. Entro il prossimo anno sarà aperto un reattore di ricerca fornito dalla Russia a una altitudine di più di 4mila metri.

Con l'astensione sulla risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del febbraio dello scorso anno, per la fine immediata della guerra e il ritiro delle forze russe dal territorio ucraino, e a quella del marzo del 2022, per la fine immediata delle operazioni militari di Mosca in Ucraina, La Paz ha risposto positivamente alla ricerca di Mosca di alleati nel Sud Globale del mondo, costrutto artificiale, quando si parla di politica, da contrapporre, nelle intenzioni della Russia, all'Occidente collettivo che la retorica del Cremlino identifica con il nemico alle spalle dell'Ucraina.

Così, la Bolivia è stata catapultata dall'Artspace4rent affittato nel 2022 a Cannaregio a uno dei padiglioni più in vista dei Giardini, con l'apertura sulla Laguna voluta originariamente da Shchusev e ripristinata dal restauro di Kasa, così come anche il verde dell'intonaco esterno in sintonia con gli alberi che circondano l'edificio. La macchina teatrale dell'arte ha funzionato: il multinazionalismo che caratterizzava l'Unione sovietica nei suoi primi anni di vita, tornato in voga nel discorso di Putin per tenere a bada lo scontento delle periferie etniche del Paese, ha trovato nell'Estado Plurinacional la soluzione all'impasse.

L'Esposizione Internazionale d'Arte "Stranieri Ovunque. Foreigners Everywhere" curata da Adriano Pedrosa sarà aperta al pubblico da sabato 20 aprile a domenica 24 novembre 2024 ai Giardini e all'Arsenale.

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