Salute e Benessere
Francia, in 2022 record tossinfezioni collettive, livello...
Francia, in 2022 record tossinfezioni collettive, livello più alto dal 1987
Record di tossinfezioni alimentari collettive in Francia nel 2022, con quasi 2mila episodi, oltre 16 mila persone colpite, 643 ospedalizzati e 17 decessi: il livello più alto registrato dal 1987. E' il preoccupante quadro tracciato dall'Agenzia di sanità pubblica francese (Santé publique) che ha diffuso, insieme ai numeri, anche le raccomandazioni per proteggersi. Le malattie infettive di origine alimentare causate da cibi contaminati con patogeni come salmonella o stafilococco, colpiscono ogni anno, nel Paese d'oltralpe, tra le 10mila e i 16mila cittadini che si intossicano in famiglia, al ristorante o a mensa.
Una tossinfezione alimentare collettiva è definita tale se si registrano almeno due casi di pazienti con sintomi gastrointestinali e la cui causa è la stessa. L'agenzia francese, per prevenire questi casi, ricorda alcuni semplici regole: lavare sempre bene le mani con acqua e sapone quando si cucina; evitare di cucinare se si hanno sintomi gastrointestinali; pulire bene il frigorifero - e rapidamente - in caso di dispersione di alimenti; usare superfici diverse e utensili diversi per tagliare e riporre alimenti differenti, in particolare cotti e crudi; non tenere gli alimenti più di 2 ore a temperatura ambiente prima di refrigerarli.
E ancora: non conservare più di tre giorni alimenti particolarmente deperibili a base di creme ed evitare cibi senza data di scadenza; non conservare biberon, latte e alimenti per bambini più di 48 ore a 4 gradi; mantenere a 4 gradi la zona più fredda del frigo e verificare sempre la chiusura dello sportello; per le donne incinte e i bambini preferire una buona cottura di carni e pesce, evitando il consumo di questi alimenti crudi.
Salute e Benessere
Cardiomiopatie per 350mila italiani, ‘roadmap’ per cure e...
Tra priorità diagnosi precoce e screening familiare, presentato in Senato primo Report dedicato a malattie sottovalutate nel nostro Paese
Diagnosi precoce e screening familiare, gestione integrata del paziente fra specialisti, semplificazione ed efficientamento dei percorsi assistenziali, promozione di informazioni da fornire ai pazienti, aggiornamento degli operatori sanitari e definizione di una Rete nazionale delle cardiomiopatie. Sono questi gli obiettivi da raggiungere per migliorare il percorso di cura e assistenza per i pazienti colpiti dalle varie forme di cardiomiopatia. Patologie gravi, che in Italia interessano in totale oltre 350mila pazienti. E’ quanto emerge dal Report italiano sulle cardiomiopatie presentato oggi al Senato. Si tratta di una “road map” stilata da un gruppo di lavoro composto da clinici e rappresentanti dei pazienti con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica su queste malattie e garantire che ricevano la giusta attenzione da parte dei decisori del sistema sanitario. L’iniziativa rientra nel progetto Cardiomyopathies matter, promosso da Bristol Myers Squibb a livello europeo e ora anche in Italia.
“Le cardiomiopatie coinvolgono il muscolo cardiaco e sono ancora ampiamente sottodiagnosticate – afferma Iacopo Olivotto, responsabile del Centro interaziendale di innovazione e ricerca per la diagnosi e cura delle cardiomiopatie Azienda ospedaliera universitaria Careggi e Meyer di Firenze - Si distinguono in dilatative, ipertrofiche, aritmogene e restrittive e tutte provocano una forte riduzione dell’efficienza del cuore che non riesce più a pompare il sangue. Possono essere caratterizzati da una crescita anomala, o da un ispessimento del muscolo cardiaco, oppure da una perdita di elasticità di quest’ultimo. Le complicanze sono molto severe e includono lo scompenso cardiaco o lo sviluppo di aritmie importanti, come la fibrillazione atriale e le aritmie ventricolari che in alcuni casi possono essere fatali. Possono presentarsi a tutte le età, ma spesso coinvolgono la popolazione più giovane e nelle forme più severe anche i bambini”.
Il documento "vuole essere un piano d’azione nazionale per soddisfare le sempre maggiori esigenze dei pazienti e anche dei medici – prosegue Franco Cecchi, presidente Aicarm Aps– Associazione italiana cardiomiopatie - La diagnosi di cardiomiopatia è un ‘terremoto” che spesso sconvolge chi ne è affetto e i suoi familiari. Questo si verifica in particolare se la scoperta della malattia avviene in età adolescenziale o giovanile. Riteniamo di assoluta priorità la gestione integrata fra gli specialisti e una maggiore promozione delle informazioni da fornire ai pazienti nonché l’aggiornamento degli operatori sanitari. Di particolare aiuto possono essere le nuove tecnologie come, per esempio, l’utilizzo dei device wearable per un accurato monitoraggio domestico dei valori cardiaci. Attraverso la telemedicina è possibile, inoltre, ottenere una lettura più veloce e immediata dei risultati degli Ecg da parte del personale medico”.
“Vi sono all’orizzonte delle sfide che il nostro sistema sanitario nazionale deve affrontare – sottolinea Matteo Pinciroli, presidente del Consiglio dei pazienti affetti da cardiomiopatia, Global Heart Hub -. Per esempio, l’erogazione di servizi di imaging avanzato e dei test genetici è oggi imprescindibile nel percorso assistenziale e dovrebbero essere garantiti in tutti i centri di riferimento. Tuttavia, la risonanza magnetica cardiaca rimane ancora oggi sottoutilizzata e solo il 40% dei pazienti la esegue regolarmente. Una carenza che andrà colmata nei prossimi anni, anche perché sono esami sempre più raccomandati dalle linee guida internazionali”.
Le cardiomiopatie possono portare allo scompenso cardiaco, terza causa di ricovero ospedaliero nel nostro Paese. Contribuiscono perciò ad una spesa stimata per l’intero servizio sanitario nazionale di oltre 650 milioni di euro l’anno. “Oltre ad essere potenzialmente fatali, determinano un grande impatto in termini di qualità di vita dei pazienti – aggiunge Gianfranco Sinagra, direttore del Dai Cardiotoracovascolare dell’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (Asu GI) e presidente eletto della Società italiana di cardiologia - La cardiomiopatia ipertrofica è la forma più frequente e solo in Italia si stimano oltre 100mila casi, probabilmente solo un terzo dei quali attualmente diagnosticati”.
Sono patologie a trasmissione ereditaria quindi i membri della famiglia necessitano di un’adeguata valutazione nel corso del tempo. Anche per questo presentano caratteristiche peculiari, rispetto alle altre malattie cardiovascolari e necessitano di un percorso di cura mirato. La diagnosi è ancora spesso tardiva, anche se può essere sospettata, in alcuni casi, attraverso semplici esami come l’elettrocardiogramma e un’accurata anamnesi individuale e familiare, normalmente eseguiti durante le visite mediche sportive, con un ecocardiogramma o nell’ambito degli screening familiari di soggetti accertati. Sul fronte delle terapie si registrano negli ultimi anni importanti novità, soprattutto per la cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, di cui in Italia si stimano oltre 11mila casi diagnosticati.
Le malattie cardiovascolari rappresentano ad oggi “la principale causa di morte nel nostro Paese – prosegue la senatrice Elena Murelli, presidente dell’intergruppo parlamentare malattie cardio cerebro vascolari -. Tra queste le cardiomiopatie possono portare allo sviluppo di aritmie, scompensi cardiaci e morti improvvise, soprattutto giovanili. A livello nazionale, stiamo già lavorando per aumentare l’attenzione su queste patologie. Il progetto ‘Cardiomyopathies Matter’ rappresenta uno strumento chiave sia per informare l’opinione pubblica e al contempo ispirare i lavori dell’intergruppo parlamentare che sono lieta di presiedere”.
“Da oltre 60 anni, Bristol Myers Squibb è all’avanguardia nella lotta contro le malattie cardiovascolari. Siamo orgogliosi di poter collaborare con alcuni tra i migliori esperti clinici italiani nonché i rappresentanti delle Istituzioni e dei pazienti per informare su un gruppo di malattie cardiache che meritano maggiore attenzione – conclude Regina Vasiliou, General Manager di Bms Italia – È importante lavorare tutti insieme per una diagnosi precoce e un efficientamento dei percorsi assistenziali dei pazienti. La presentazione, oggi, di questo report vuole essere un primo passo verso un miglioramento generale dell’intero percorso di cura e di convivenza con la patologia”.
Salute e Benessere
In Italia 250mila celiaci, crescono diagnosi e 70% donne
Sono 251mila le persone in Italia con una diagnosi di celiachia, il 70% donne. Nel 2022 sono state registrate 10.210 nuove diagnosi di celiachia. Un dato in crescita rispetto al 2021 (8.582) e al 2020 (7.729) ma ancora minore rispetto al 2019 (11.179). E' la fotografia scattata dalla Relazione al Parlamento (anno 2022) del ministero della Salute. "Dei 251.939 soggetti celiaci il 2% (5.401) ha un’età compresa tra 6 mesi e 5 anni, il 4% (11.066) rientra tra 6 e 9 anni, il 7% (16.463) ha tra i 10 e i 13 anni, l’8% (20.380) ha tra i 14 e i 17 anni, il 67% (168.776) ha tra i 18 e i 59 anni e il restante 12 % (29.853) ha più di 60 anni di età", precisa la Relazione. La spesa per l’erogazione degli alimenti senza glutine in esenzione nel 2022 ha toccato 237,6 mln di euro pari a 943 euro pro capite.
"In Italia sono oltre 250mila le persone che, a causa della malattia celiaca, sono costrette ad osservare quotidianamente una rigorosa dieta priva di glutine. Nella nostra Nazione la dieta del celiaco è in quota parte finanziata dal Servizio Sanitario Nazionale per l’erogazione gratuita dei prodotti senza glutine. La celiachia in Italia è riconosciuta anche come malattia sociale poiché condiziona il normale inserimento nella vita di gruppo tanto da comprometterne alle volte l’osservanza della dieta. Per prevenire il più possibile situazioni di disagio e agevolare l’accesso sicuro ai servizi di ristorazione collettiva è previsto un ulteriore contributo annuale che le Regioni possono investire per implementare iniziative di formazione per gli operatori del settore alimentare e per consentire l’adeguamento delle mense annesse alle strutture pubbliche". Così il ministro della Salute Orazio Schillaci nel contributo scritto alla Relazione annuale sulla celiachia (anno 2022) al Parlamento.
"Per la celiachia ad oggi non esiste una cura ma le complicanze di una diagnosi tardiva restano importanti - ha ricordato il ministro - per cui nel 2023 il Parlamento italiano ha deciso di investire sulla prevenzione sviluppando un programma di screening nazionale per la popolazione pediatrica. Il presente documento è la sintesi di un anno di prezioso e faticoso lavoro svolto da chi costantemente si batte per la salvaguardia del bene più prezioso: la salute".
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Italiani papà più vecchi d’Europa, primo figlio a 36...
Ma la fertilità, spiega la Società italiana di andrologia, ha il suo picco massimo tra i 20 e i 30 anni. E per gli andrologi la paternità ritardata dopo i 45 anni è dannosa per i figli
Diventare papà per la prima volta è un'esperienza che gli uomini italiani spostano sempre più avanti nel tempo, più di quanto si faccia negli altri Paesi europei. I più recenti dati Istat indicano che in Italia si diventa papà mediamente a 35,8 anni, mentre in Francia a 33,9 anni, in Germania a 33,2, in Inghilterra e Galles a 33,7 anni. Un fenomeno sempre più frequente rispetto al passato che riguarderebbe circa il 70% dei nuovi papà italiani: ciò significa che un uomo su 3 è ancora senza figli oltre i 36 anni d'età. A tracciare il quadro, alla vigila della Festa del papà, sono gli esperti della Società italiana di andrologia (Sia) che ricordano l'importanza di anticipare la paternità e, dove non possibile, di preservare la fertilità fin da giovani, soprattutto attraverso un sano stile di vita.
La tendenza a ritardare la paternità, ricordano gli andrologi, non è priva di conseguenze: numerose evidenze scientifiche dimostrano che le caratteristiche funzionali dello spermatozoo, cioè motilità, morfologia e anche i danni al Dna, peggiorano con l'aumentare dell'età. A tutto questo si aggiunge al fatto che con l'avanzare dell'età aumenta il tempo di esposizione agli inquinanti ambientati esterni, come le microplastiche che negli ultimi anni hanno dimostrato essere un problema rilevante per la fertilità maschile. In più i cambiamenti climatici con l'aumento della temperatura globale hanno anch'essi un impatto negativo sulla fertilità maschile, dimostrato dalla riduzione volumetrica dei testicoli nella popolazione generale.
"In Italia - spiega Alessandro Palmieri, presidente Sia e docente di Urologia all'Università Federico II di Napoli - l'età in cui si fa il primo figlio è aumentata di 10 anni, passando dai 25 anni della fine degli anni '90 ai circa 36 attuali, che pongono il nostro Paese in cima alla classifica dell'età media del concepimento in Europa. Un fenomeno che riguarda quasi il 70% dei nuovi papà italiani. Ne consegue" appunto "che un uomo su 3, superata questa soglia, è ancora senza figli. Questo significa che nel giro di pochi decenni si è passati da una situazione nella quale solo una ridotta minoranza arrivava senza figli all'età di 35 anni a una nella quale la maggioranza della popolazione maschile rinvia oltre questa soglia anagrafica la prima esperienza di paternità". La nostra società "sta assegnando alla riproduzione un ruolo tardivo, dimenticando che la fertilità, sia maschile che femminile, ha il suo picco massimo tra i 20 e i 30 anni e che la potenzialità fecondante del maschio è in netto declino".
Con l'avanzare dell'età, sottolinea Palmieri, "la fertilità diminuisce perché anche gli spermatozoi 'invecchiano' e bisogna insegnare alle giovani generazioni l'importanza di una fertilità sana al momento giusto che va preservata fin da giovani". Per questo la Sia, in collaborazione con l'Istituto di Farmacologia clinica dell'Università degli studi di Catanzaro, ha sviluppato un nuovo integratore con effetti positivi sulla salute maschile in generale, compresa la fertilità.
"Lo scopo della medicina moderna non è solo quello di curare, ma soprattutto di prevenire e da questo concetto - illustra Tommaso Cai direttore dell'Unità operativa di urologia dell'ospedale di Trento e segretario della Sia - nasce il composto chiamato Drolessano, un mix di 7 sostanze naturali, due delle quali hanno specifici effetti sulla fertilità maschile. Si tratta dell'escina estratta dai semi e dal guscio dell'ippocastano, un potente antiossidante utile nel preservare la fertilità, ma anche per prevenire i sintomi della prostatite cronica, patologia questa che anch'essa implicata nella riduzione della fertilità maschile". L'altra sostanza alleata della fertilità maschile "è il licopene, un nutriente presente nei pomodori, che secondo uno studio dell'Università di Sheffield, pubblicato sull''European Journal of Nutrition', potrebbe aumentare la qualità dello sperma e contrastare l'infertilità maschile, proteggendo dagli effetti dannosi dei radicali liberi", spiega Cai.
Paternità dopo i 45 anni? Dannoso per i figli
Ma non è tutto. Gli uomini che ritardano la paternità, soprattutto dopo i 45 anni, non solo devono affrontare problemi di fertilità ma possono mettere a rischio anche la salute dei figli, mettono in guardia gli esperti della Società italiana di andrologia.
"Mentre si sa che per le donne dopo i 35 anni possono esserci cambiamenti fisiologici che influiscono sul concepimento, gravidanza e salute del bambino - spiega ancora Cai - la maggior parte degli uomini invece non è consapevole dell’impatto dell’età dovuto non solo al calo naturale del testosterone, ma anche alla perdita di ‘forma fisica’ degli spermatozoi che può portare anche a cambiamenti nello sperma che vengono trasmessi da genitori a figli nel loro Dna. È ben documentato che concepire in età avanzata comporta il rischio che il bambino nasca o sviluppi nel tempo problemi di salute".
Secondo uno studio pubblicato su Nature, ogni anno in più del padre comporterebbe un incremento di 1,51 nuove mutazioni genetiche nei figli, il 25% in più rispetto a quelle che dipendono dalla madre. Un altro studio, pubblicato sempre su Nature, suggerisce che i figli di padri anziani hanno un rischio più alto di autismo e schizofrenia nei figli. "In definitiva, così come la fertilità femminile - conclude Alessandro Palmieri, presidente Sia e docente di Urologia alla Università Federico II di Napoli - anche quella maschile, è tempo-dipendente. È dunque fondamentale sfatare il mito dell’uomo fertile a tutte le età e promuovere invece strategie di informazione, prevenzione e preservazione della fertilità maschile, cominciando dalla giovane età, poiché una volta instaurati i danni non sono reversibili".