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Cultura

Procida è la Capitale italiana della cultura 2022

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Procida, l’isola in provincia di Napoli, è la Capitale italiana della cultura 2022. Lo ha comunicato oggi il presidente della giuria Stefano Baia Curioni al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini. È la prima volta che il riconoscimento va a un piccolo borgo e non a un capoluogo di provincia o regione – Procida ha poco più di 10mila abitanti.

Questa la motivazione. “Il progetto culturale presenta elementi di attrattività e qualità di livello eccellente. Il contesto dei sostegni locali e regionali pubblici e privati è ben strutturato. La dimensione patrimoniale e paesaggistica del luogo è straordinaria. La dimensione laboratoriale che comprende aspetti sociali di diffusione tecnologica è dedicata alle isole tirreniche, ma è rilevante per tutte le realtà delle piccole isole mediterranee. Il progetto potrebbe determinare grazie alla combinazione di questi fattori un’autentica discontinuità nel territorio e rappresentare un modello per i processi sostenibili di sviluppo a base culturale delle realtà isolane e costiere del Paese. Il progetto è inoltre capace di trasmettere un messaggio poetico, una visione della cultura che dalla piccola realtà dell’isola si estende come un augurio per tutti noi, al Paese nei mesi che ci attendono”. 

Come ha detto spesso Baia Curioni durante varie presentazioni, il riconoscimento di Capitale italiana della cultura è un riconoscimento alla capacità di progetto, non alla città più bella o ricca di storia. “Ci è stato chiaro che il nostro lavoro non sarebbe stato facile. Siamo stati sfidati dalla qualità delle proposte, alcune concepite dai migliori progettisti di politiche culturali non solo d’Italia, anche d’Europa. Ogni città ha portato nel suo progetto le proprie gemme e i propri demoni. E la buona notizia è che l’idea di uno sviluppo sociale ed economico a base culturale sta diventando un approccio comune e una pratica progettuale concreta. La cultura è pensata come pane quotidiano, finalmente”. 

IL PROGETTO DI PROCIDA: “LA CULTURA NON ISOLA”
Come si può leggere nel dossier di presentazione della candidatura sul sito procida2022.com, per il 2022 sono in programma 44 progetti culturali, 330 giorni di programmazione, 240 artisti, 40 opere originali, 8 spazi culturali rigenerati.

Cinque le sezioni del programma: 

  • Procida inventa: Progetti che pianificano processi ed eventi propriamente artistici: mostre, cinema, performance e opere site specifiche
  • Procida ispira: Progetti che candidano l’isola quale fonte d’ispirazione, sia come luogo reale, che come spazio dell’immaginario
  • Procida include: Progetti di inclusione sociale che utilizzano i linguaggi dell’arte come strumenti di espressione dell’individuo posto in relazione alla collettività
  • Procida innova: Progetti che promuovono il rapporto tra cultura e innovazione, favorendo momenti di confronto tra la comunità nazionale degli innovatori e la comunità locale, in un percorso di ripensamento strategico del proprio patrimonio culturale
  • Procida impara: Progetti che promuovono il rafforzamento di una comunità educante, mediante la creazione di alleanze aperte che mirano al coinvolgimento di tutti i soggetti territoriali dal pubblico al privato sociale

LE ALTRE CITTÀ

Oltre a Procida, le altre città in corsa per il titolo di Capitale italiana della cultura 2022, oltre a Procida, erano nove:
1. Ancona – Ancona. La cultura tra l’altro
2. Bari – Bari 2022 Capitale italiana della cultura
3. Cerveteri (Roma) – Cerveteri 2022. Alle origini del futuro
4. L’Aquila – AQ2022, La cultura lascia il segno
5. Pieve di Soligo (Treviso) – Pieve di Soligo e le Terre Alte della Marca Trevigiana
6. Taranto – Taranto e Grecia Salentina. Capitale italiana della cultura 2022. La cultura cambia il clima
7. Trapani – Capitale italiana delle culture euro-mediterranee. Trapani crocevia di popoli e culture, approdi e policromie. Arte e cultura, vento di rigenerazione
8. Verbania – La cultura riflette. Verbania, Lago Maggiore
9. Volterra (Pisa) – Volterra. Rigenerazione umana

L’INIZIATIVA

La Capitale italiana della cultura è una novità introdotta con il Decreto Legge 31 maggio 2014, n. 83, contenente nuove misure in materia di tutela del patrimonio culturale, sviluppo della cultura e rilancio del turismo (convertito in legge e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 175 del 30 luglio 2014). In particolare, il provvedimento conteneva le misure ArtBonus, atte a favorire il mecenatismo culturale attraverso un credito di imposta al 65% per gli anni 2014 e 2015 e al 50% per il 2016.

Nel 2015 il titolo è andato a cinque città (Lecce, Siena, Cagliari, Perugia-Assisi e Ravenna), che erano le “sconfitte” al titolo di Capitale europea della cultura 2019, andato a Matera. Per la Capitale italiana della cultura 2016 è stata invece scelta Mantova; per il 2017 Pistoia; per il 2018 Palermo; per il 2020/2021 Parma. Nel 2023 è già stata attribuita a Bergamo e Brescia.
La prescelta di oggi è dunque la quinta ad avere il ruolo di capitale da sola per un anno intero e a ottenere un milione di euro dal Ministero dei Beni Culturali per la realizzazione del suo progetto. 

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Cultura

Va all’asta a Londra una Crocifissione giovanile di Beato Angelico

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La tempera su tavola di pioppo a fondo oro (59,7 x 34,2 cm) è stimata da Christie's 4 - 6 milioni di sterline (4,7 - 7 milioni di euro)

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“La Crocifissione con la Vergine, San Giovanni Battista e la Maddalena ai piedi della Croce”, un dipinto giovanile del Beato Angelico (1395-1455) – uno dei più grandi e influenti maestri del primo Rinascimento fiorentino – sarà uno dei pezzi forti dell’Old Masters ‘Part I Sale’ del 6 luglio, l’asta di Christie’s durante la Classic Week di Londra dedicata alle “opere eccezionali”. La tempera su tavola di pioppo a fondo oro (59,7 x 34,2 cm) è stimata 4 – 6 milioni di sterline (4,7 – 7 milioni di euro).

Questo pannello è stato scoperto e pubblicato da Francis Russell, vicepresidente di Christie’s UK, sul “Burlington Magazine” nel maggio 1996. La scoperta ha suscitato un grande interesse tra gli studiosi. Guido di Piero, Fra Giovanni da Fiesole, noto come Beato Angelico, è stato uno dei primi pittori ad apprendere la lezione della scultura del suo tempo e quest’opera presenta al mercato la sua significativa evoluzione nella prospettiva pittorica: raffigurare la croce dritta in una prospettiva corretta e logica, senza la falsa aggiunta di mostrare la profondità del palo destro della croce che era standard all’epoca.

La tavola, spiega Christie’s in un comunicato, trasmette un’espressione emotiva e una pregnanza amplificata dall’esemplare condizione originale delle figure che, non essendo state pulite in tempi recenti, “offrono allo spettatore del XXI secolo una straordinaria opportunità di sperimentare il meraviglioso senso del colore dell’artista”. Si pensa che il dipinto sia stato acquistato da Lord Ashburton, morto nel 1864, e che sia poi passato di mano. Quadri di questo calibro si trovano molto raramente sul mercato. L’opera sarà esposta al pubblico a New York dal 10 al 14 giugno, prima di tornare a Londra per la mostra pre-vendita della Classic Week, in programma dal 1° al 6 luglio.

Francis Russell, vicepresidente di Christie’s UK, ha commentato: “È stato un momento emozionante quando ho capito di essere in presenza di un capolavoro giovanile del Beato Angelico. Questa tavola esemplifica la sua profonda convinzione religiosa. Intensamente personale, esprime anche la sua comprensione dei risultati rivoluzionari dei grandi scultori fiorentini del suo tempo. La tenerezza con cui Cristo è raffigurato è accompagnata dalla cruda emozione della Vergine e dal pathos della Maddalena inginocchiata e aggrappata alla Croce, il cui spessore è rivelato dalla posizione delle braccia. Ogni gesto è perfettamente soppesato. La sensibilità dell’uso del colore da parte del pittore è evidente nel modo in cui il sangue di Cristo e del pellicano sovrastante viene accostato alla veste della Maddalena. Con il Beato Angelico nulla era casuale”.

(di Paolo Martini)

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Cultura

‘L’Italia è un desiderio’, le Collezioni Alinari e Mufoco alle Scuderie del Quirinale

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Le Scuderie del Quirinale presentano ‘L’Italia è un desiderio. Fotografie, Paesaggi e Visioni (1842-2022). Le Collezioni Alinari e Mufoco’, riprendendo la tradizione di dedicare un’importante mostra alla fotografia: una nuova grande esposizione, dal 1 giugno al 3 settembre, a Roma, organizzata con Fondazione Alinari per la Fotografia e con il Museo di Fotografia Contemporanea.

Nata dalla volontà di far conoscere al pubblico il patrimonio fotografico di cui il nostro Paese dispone attraverso un viaggio all’interno delle collezioni pubbliche di Fondazione Alinari e Museo di Fotografia Contemporanea, la rassegna intende valorizzare sia la fotografia storica che quella contemporanea attraverso un racconto della rappresentazione del paesaggio italiano, nel corso di quasi due secoli (dalla metà del XIX secolo fino ai giorni nostri, ndr) sottolineandone le trasformazioni quanto i numerosi e diversi punti di vista. Un arco temporale significativo nonché coincidente con la storia stessa dell’ “invenzione maravigliosa”, dagli albori fino ai giorni nostri.

Al centro dell’esposizione, dunque, il paesaggio, inteso come elemento identitario della cultura italiana nonché soggetto privilegiato delle sperimentazioni artistiche ottocentesche, sia in pittura che in fotografia. Paesaggio che nel corso degli ultimi cinquant’anni torna a rivestire un ruolo centrale nella fotografia italiana, dando vita a una vera e propria scuola, riconosciuta in ambito internazionale.

La mostra offre una selezione di oltre 600 opere che, oltre a consentire al pubblico di scoprire ed apprezzare una straordinaria varietà di materiali e tecniche, condurranno quest’ultimo attraverso un excursus dell’evoluzione delle modalità di rappresentazione del ‘Bel Paese’, apprezzandone una bellezza che lo ha proposto a lungo come modello per l’Occidente ma anche misurandosi con le sue contraddizioni.

Strutturata secondo un percorso cronologico, l’esposizione presenta al primo piano delle Scuderie del Quirinale le fotografie appartenenti agli Archivi Alinari e al secondo piano, in continuità, le opere delle collezioni del Museo di Fotografia Contemporanea. Lo sguardo dei fotografi dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, le cui opere sono conservate negli Archivi Alinari, vero e proprio giacimento di memorie visive, è rappresentato in mostra da una selezione particolarmente significativa fra cui spiccano le grandi panoramiche di Roma e Firenze di Michele Petagna e di Leopoldo Alinari.

Il racconto visivo procede con la narrazione del mito del viaggio in Italia, radice della civiltà occidentale, attraverso la presentazione di numerose opere delle origini, con autori come Girault de Prangey, Calvert Richard Jones, Frédéric Flachéron, Giacomo Caneva.

Un approfondimento sulla ricerca e sulla continua sperimentazione della fotografia tra Ottocento e Novecento è presentato nella sezione dedicata ai negativi e ai primi tentativi di restituire l’Italia a colori, con autori come lo scienziato Giorgio Roster e con pezzi rari come le autocromie.

Il percorso procede con l’esposizione delle immagini di autori interessati ad affermare la fotografia come strumento artistico e a offrire una soggettiva rappresentazione del mondo, tra cui Vittorio Alinari e Wilhelm von Gloeden. Un ultimo cambio di passo è rappresentato dalla selezione sulla fotografia tra gli anni quaranta e gli anni cinquanta del Novecento, con le opere di Vincenzo Balocchi e Luciano Ferri, Alberto Lattuada, e di Fosco Maraini le cui immagini evidenziano l’amore del fotografo per la montagna e il paesaggio del sud Italia connotati da una precisa visione antropologica.

Al secondo piano, le opere di molti dei principali autori della fotografia italiana e internazionale dal dopoguerra ad oggi, in una successione di tecniche, linguaggi e pratiche artistiche, accompagneranno il visitatore fino alle ricerche più attuali, grazie alle opere delle collezioni del Museo di Fotografia Contemporanea nelle quali il paesaggio, e le declinazioni che esso assume, rivestono un ruolo fondamentale.

Dal paesaggio come scenario della narrazione sociale e politica che caratterizza la stagione del reportage (Letizia Battaglia, Carla Cerati, Uliano Lucas, Federico Patellani) si arriva, attraverso le sperimentazioni concettuali degli anni settanta (Mario Cresci, Franco Fontana, Mario Giacomelli), a uno dei fiori all’occhiello di questa sezione, l’esperienza di ‘Viaggio in Italia’, in cui Luigi Ghirri raccoglie una serie di ricerche che rivolgono lo sguardo verso luoghi spesso marginali, quotidiani e anti-spettacolari e che diventano il manifesto di una nuova fotografia italiana (Gabriele Basilico, Giovanni Chiaramonte, Guido Guidi).

Nella tensione tra racconto dei luoghi ed esperienza estetica la fotografia arriva al nuovo millennio con stampe spettacolari di grandi dimensioni e nuovi linguaggi (Paola De Pietri, Fischli and Weiss, Francesco Jodice, Massimo Vitali, Thomas Struth), fino a espandere l’idea stessa di documentazione e – nelle ricerche degli autori più giovani – aprirsi a oggetti, pratiche e tecnologie proprie dell’universo visuale e artistico contemporaneo.

“La tutela del paesaggio è un valore fondante della nostra identità, nonché tra i principi cardine su cui poggia l’azione del Ministero della Cultura – ha dichiarato Lucia Borgonzoni, Sottosegretario di Stato al Ministero della Cultura – Il paesaggio evolve e recepisce il senso della presenza umana, portando impresse le tracce di una storia millenaria: uno scrigno prezioso, che custodisce la nostra memoria storica e che, come tale, va trattato con cura. Anche in questo siamo stati precursori: l’Italia è infatti il primo Paese al mondo ad aver posto la salvaguardia del paesaggio tra le priorità dello Stato. In un momento come questo è fondamentale riconoscersi in un’identità di luoghi e in un Paese straordinario in ogni angolo, così come emerge dalle foto in mostra: questo ci aiuterà ad essere custodi consapevoli di un’inestimabile eredità, in grado di accogliere non solo il passato, ma anche il futuro”.

“Le Scuderie del Quirinale riprendono la tradizione di presentare al pubblico anche temi e suggestioni appartenenti alla storia espressiva della fotografia – ha aggiunto Mario De Simoni, Presidente delle Scuderie del Quirinale – E lo fanno attraverso una mostra particolarmente ambiziosa, che affronta un tema di tale vastità da essere decisivo per un qualsiasi sguardo sull’Italia e tanto rilevante da essere oggetto di quello che il Presidente Ciampi definì l’articolo più originale della nostra Costituzione, l’Art. 9, che pone fra i ‘principi fondamentali’ la tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico. La mostra L’Italia è un desiderio racconta in un arco temporale molto vasto, che va dalla metà del XIX secolo sino ai nostri giorni, come il paesaggio italiano sia stato rappresentato dall’occhio dei fotografi. Il progetto è stato concepito, per le Scuderie e con le Scuderie, da due delle massime istituzioni pubbliche italiane in campo fotografico, la Fondazione Alinari per la Fotografia e il Museo di Fotografia Contemporanea, che ringraziamo per la passione, la generosità e la perizia profuse nell’ elaborare l’impresa”.

“‘L’Italia è un desiderio’ è una mostra di straordinario valore che conferma ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che la fotografia è arte che sa mettere insieme sguardo soggettivo e capacità di narrazione di un paese e di un’epoca – ha concluso Eugenio Giani, Presidente della Regione Toscana – Vale anche per la fotografia di paesaggio, che richiama giustamente le parole di un poeta come Andrea Zanzotto: ‘Siamo noi che creiamo il paesaggio’. E questo è vero sia per il paesaggio, che per la sua rappresentazione nell’arte. La mostra che si apre alle Scuderie del Quirinale è un grande viaggio nell’Italia rappresentata attraverso il tempo. E per me e per la Toscana è motivo di grande orgoglio che parte importante sia costituita da fotografie provenienti dagli archivi Alinari, fotografie capaci peraltro di ben dialogare con le opere del Museo di Fotografia Contemporanea. Anche questa mostra, col suo valore, dimostra la bontà della scelta fatta nel 2020 dalla Regione Toscana, con la creazione della Fondazione Alinari per la Fotografia, finalizzata a tutelare uno straordinario patrimonio di documentazione e arte fotografica, con una collezione di circa 5 milioni di opere”.

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Cultura

750 reperti tornano da Londra, Sangiuliano: ‘”Stroncare traffici opere d’arte”

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Nuovo colpo messo a segno dai Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale. Un’azione congiunta tra il ministero della Cultura e i militari dell’Arma, infatti, ha permesso il rientro a Roma di 750 reperti archeologici del valore stimato in 12 milioni di euro, frutto di scavi clandestini sul territorio italiano e confluiti in una società inglese in liquidazione. Beni che sono stati rimpatriati il 19 maggio scorso da Londra e presentati oggi a Roma, al Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, alla presenza del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano.

“E’ un recupero importante da un punto di vista quantitativo ma anche da un punto di vista qualitativo perché si tratta di opere davvero rilevanti sul piano storico”, ha sottolineato il ministro Sangiuliano che ha ringraziato i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio e i funzionari del ministero “soprattutto per la passione civile che mettono nel loro lavoro. Se non ci fosse amore per la cultura difficilmente riuscirebbero ad ottenere questi risultati. Dobbiamo stroncare – ha scandito il titolare di via del Collegio Romano – l’illegalità internazionale dei traffici delle opere d’arte cui non bisogna dare alcun margine. Mentre invece dobbiamo promuovere un circuito positivo e legale di circolazione delle opere attraverso le grandi mostre. Ci sono, in questo momento, grandi mostre italiane all’estero, per esempio quella dedicata a Guido Reni al Prado in Spagna. Viceversa c’è la mostra degli spagnoli a Napoli a Capodimonte in cui viene esposta ‘La Madonna del Pesce’ di Raffaello che è un’opera importantissima proveniente dal Prado. Dobbiamo promuovere quindi un sistema di interscambio internazionale delle opere d’arte”. Il numero uno del Mic ha anche esortato i funzionari e i dirigenti del ministero a fare in modo che il patrimonio recuperato non finisca “nei depositi. Le opere d’arte devono immediatamente diventare fruibili o dandole a musei già collaudati oppure concertando delle iniziative ad hoc”.

A parlare di un “risultato straordinario” è stato il generale di Brigata Vincenzo Molinese, comandante del nucleo Tpc dei Carabinieri. Le indagini sulle opere d’arte, ha argomentato, “hanno il grande vantaggio che quando si concludono si riesce a chiudere il cerchio, ovvero a riottenere ciò che è stato depredato. Sono indagini complesse, a volte molte lunghe, che pare non finiscano mai. Ci vuole tenacia, passione e molta perizia. Presto torneranno tanti reperti, le indagini sul’arte non finiscono mai e i carabinieri dell’arte non si stancano mai”.

Le indagini sono state fatte dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, per contrastare il traffico internazionale di beni culturali, sfociate anche in una procedura extragiudiziale e in una causa civile, condotta in stretta collaborazione con il Ministero della cultura attraverso l’Avvocatura Generale dello Stato.

I ritrovamenti, erano confluiti nella Symes Ltd, riconducibile a Robin Symes, importante trafficante di beni culturali. La società, che si era sempre opposta ai reiterati tentativi di recupero da parte dell’Autorità Giudiziaria italiana, sottoposta a procedura fallimentare nel Regno Unito, è stata citata in giudizio anche in Italia, tramite l’Avvocatura Generale dello Stato, per la restituzione dei beni o il risarcimento civile del danno. La consegna è stata possibile grazie alle complesse trattative seguite dal Ministero della cultura (Ufficio III del Segretariato Generale, Ufficio Legislativo e Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio), in sinergia e stretta collaborazione con i Carabinieri dell’Arte che, con la fattiva collaborazione dell’Ambasciata d’Italia a Londra, li hanno scortati in Italia. L’accordo per la restituzione è stato siglato l’11 maggio scorso.

L’insieme dei reperti, databili complessivamente tra l’VIII secolo a.C. e l’epoca medievale, offre uno spaccato delle molteplici produzioni dell’Italia antica e delle isole. Tra i pezzi più pregiati esposti a Castel Sant’Angelo ci sono un tavolo tripode in bronzo proveniente da un contesto aristocratico dell’orientalizzante etrusco, due testiere equine da parata di ambito appulo-lucano, due pitture funerarie di area meridionale. Per l’epoca romana, spiccano alcune teste virili in marmo di età imperiale, varie porzioni di statue e gruppi bronzei, o, ancora, il dipinto parietale con la raffigurazione di un tempietto strappato con ogni probabilità da una residenza vesuviana.

I materiali riacquisiti comprendono vasi fittili, sia di produzione locale che di fabbrica attica e corinzia, in bronzo e in pasta vitrea, elementi del vestiario e monili in oro, argento, bronzo, osso e ambra, tra cui 26 collane ricomposte nella prospettiva dell’immissione sul mercato, armi, utensili e suppellettili, elementi della bardatura equina, coroplastica votiva e architettonica, sarcofagi, di cui uno in piombo con decorazione a rilievo, e urne funerarie, oggetti votivi e rituali, elementi di statuaria in bronzo, in marmo e in calcare, elementi architettonici e arredi in bronzo e marmo, decorazioni musive e dipinte.

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Cultura

Susanna Tamaro fa infuriare la Crusca: “Ingiusto attaccare Verga”

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L'Accademia bacchetta la scrittrice: "Autori di oggi leggano di più. Sì a maggiore attenzione a scrittori del grande stile novecentesco ma non a scapito dei grandissimi del passato"

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“Quando suggerisce di sostituire i classici con i contemporanei, Susanna Tamaro dovrebbe nominare, più che sé stessa, gli scrittori del grande stile novecentesco, sui quali è giusto richiamare maggiore attenzione. Ma non a scapito dei grandissimi del nostro passato, che sono i protagonisti della galleria planetaria dei letterati e sarebbe bene che gli stessi scrittori oggi leggessero di più, per farsi anche loro uno stile”. Così l’Accademia della Crusca bacchetta la scrittrice Susanna Tamaro, autrice del best seller “Va’ dove ti porta il cuore”, secondo cui, come ha dichiarato di recente, a scuola bisognerebbe leggere gli scrittori contemporanei e lasciar stare i noiosi classici a partire da Giovanni Verga.

La reprimenda nei confronti della Tamaro, le cui parole hanno suscitato “sconcerto tra insegnanti e studiosi”, riferisce l’Adnkronos, è firmata da Vittorio Coletti, professore emerito di Storia della lingua italiana presso l’Università di Genova e accademico della Crusca, che con Francesco Sabatini ha diretto il “Sabatini Coletti. Dizionario della Lingua Italiana”.

Secondo il linguista Coletti, nell’articolo dal titolo ‘La letteratura a scuola, oggi’, pubblicato sul sito internet dell’Accademia della Crusca, il riferimento specifico di Susanna Tamaro a Verga è stato “particolarmente ingiusto e sbagliato – lei si sarà pure annoiata leggendo i ‘Malavoglia’, ma credo che sia un problema suo, perché si tratta, per riconoscimento universale, di un romanzo che sta tra i grandi capolavori della narrativa europea dell’Ottocento: una straordinaria invenzione linguistica, tra il poetico e il realistico, ritratto epico e tragico di un’Italia umile e onesta, che ha cercato di affermarsi con la fatica del lavoro e ha trovato nello Stato un potere lontano e sordo. L’attualità del capolavoro verghiano resta fortissima, anche se i poveri non commerciano più nei lupini e sono emigrati all’estero”.

Secondo il professore Coletti, “c’è una potente ragione pedagogica a far risultare discutibili le affermazioni di Susanna Tamaro: l’idea della scuola e della letteratura come doppio o specchio del presente. Il ruolo della scuola, invece, non è quello di rispecchiare o di annullare le differenze tra i giovani e il loro mondo, ma di aiutarli a capirle, a misurarle con linguaggi diversi, più ricchi o più precisi del loro, come, appunto, quelli della letteratura”.

“La letteratura, da parte sua, aiuta il lettore a capire il proprio tempo non solo quando gli è cronologicamente contemporanea, ma anche e soprattutto quando gli fornisce mezzi potenti e di lunga durata, testati da decenni o secoli di attenzione e consenso, per capirlo da solo – scrive Coletti – Letteratura e scuola non sono luoghi in cui si deve riflettere la realtà circostante, già troppo misera di suo per auspicarne dei duplicati, ma quelli in cui si riflette su di essa e si cerca di capirla, di rapportarsi consapevolmente ad essa e, quando possibile, di migliorarla”.

Alla Tamaro che ha sostenuto che i giovani hanno bisogno di contemporaneità, di attualità, di trovare anche in letteratura le sensibilità e i problemi loro e del presente, l’accademico della Crusca replica che “c’è un’esigenza giusta in questa richiesta, ma anche un grossolano errore, da secoli confutato, che consiste nel credere che l’attualità artistica sia rappresentata solo dall’arte contemporanea e non capire che il tasso di modernità è proporzionale al valore dell’opera, alla sua resistenza al tempo, tant’è vero che oggi le tragedie greche (pur di altra lingua e di ben maggiore antichità) sono comunemente usate e studiate da storici e giuristi per affrontare problemi politici e giuridici strettamente attuali, e i recenti anniversari di Dante e Manzoni hanno mostrato la vitalità del loro insegnamento per la conoscenza e la critica del carattere degli italiani e per un ripensamento della concreta dimensione umana al tempo della sua temuta evaporazione nell’universo virtuale”.

(di Paolo Martini)

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Cultura

L’ex monastero fiorentino di Sant’Orsola riapre per un mese come ‘museo effimero’

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Dal 1° giugno al 2 luglio l'ex convento, al centro di un imponente piano di rigenerazione, ospita una mostra

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Dal 1° giugno al 2 luglio 2023 con la mostra “Oltre le mura di Sant’Orsola” l’antico convento fiorentino sarà accessibile al pubblico per un mese, con ingresso libero e visite guidate: un museo effimero, transitorio e destinato a trasformarsi. Storia, filiale di Artea, la società francese scelta nel 2020 dalla Città Metropolitana di Firenze per la riqualificazione del complesso, dà inizio così all’operazione di restituzione alla città di uno spazio prezioso e ricco di storia, in disuso da quasi quarant’anni.

Al termine dell’imponente piano di recupero Sant’Orsola ospiterà una scuola d’arte e di design, ristoranti e caffè, botteghe di artigiani e atelier d’artisti, una foresteria, spazi di coworking e un Museo, gestito da una fondazione senza scopo di lucro che sarà a breve creata da Artea, con il duplice scopo di preservare la memoria di un luogo unico e ricco di storia, ma anche di promuovere la creazione artistica contemporanea, invitando artisti affermati ed emergenti a dialogare con le tracce del suo passato.

La mostra, patrocinata dalla Città Metropolitana di Firenze è a cura di Morgane Lucquet Laforgue, responsabile del futuro Museo Sant’Orsola, la cui apertura ufficiale è prevista per il 2025. Oltre le mura di Sant’Orsola segna l’inizio di una serie di incontri con il pubblico, alla scoperta di uno spazio in continua evoluzione. Un museo effimero, destinato a durare solo un mese per poi cambiare ancora, ma in grado di consentire ai visitatori di accedere a Sant’Orsola prima dell’apertura ufficiale del museo stesso e dell’intero complesso, rendendoli testimoni e partecipi del processo di riqualificazione in corso, oltre quelle mura che per decenni sono state inaccessibili.

Oltre le mura di Sant’Orsola raccoglie i risultati della ricerca di due diversi artisti contemporanei che hanno realizzato delle opere d’arte originali, ispirandosi alla storia del luogo e ad elementi del suo passato. Sophia Kisielewska-Dunbar, classe 1990, è un’artista e storica dell’arte londinese. La fascinazione per l’antico e la reinterpretazione di iconografie tradizionali sono il cuore della sua pratica artistica, che indaga le modalità di rappresentazione della donna nel canone dell’arte occidentale.

Dal 15 giugno al 15 settembre 2022 è stata la prima artista in residenza del futuro Museo Sant’Orsola. In occasione di questa prima mostra, presenterà al pubblico il suo progetto monumentale, intitolato Noli me tangere (dal latino «non mi toccare»): un grandioso trittico dipinto ad olio su tela ispirato alle pale d’altare che anticamente si trovavano nel convento. Ciascuna delle figure che affollano i pannelli laterali del trittico è estrapolata da pitture, disegni o bassorilievi fiorentini, raffiguranti scene di violenza sulle donne e realizzati nei medesimi anni dell’attività del monastero di Sant’Orsola. Usando la tecnica del collage in pittura, Sophia ha immaginato una contro-narrazione, per rivendicare lo sguardo femminile che per secoli è stato escluso dal canone dell’arte occidentale. L’esposizione del trittico sarà accompagnata da una selezione di più studi preparatori tra cui disegni, acquerelli e dipinti.

Alberto Ruce, classe 1988, è un artista urbano, siciliano di nascita e residente a Marsiglia. La sua pratica artistica è cominciata dal graffitismo e si inserisce nel tessuto della città. Le opere da lui realizzate per il Museo Sant’Orsola sono ‘effimere’ in quanto potrebbero essere trasformate durante l’ultima fase di lavori di ripristino dei locali dell’ex monastero. Il suo progetto creativo, intitolato Al di là di tutto, si articola in due ambienti: l’antica chiesa conventuale e l’ex spezieria. Ricollegandosi alla diversa funzionalità di questi spazi, ha scelto l’antica chiesa per la realizzazione di un’istallazione che si ispira alla storia di di Lisa Gherardini, la presunta modella della Gioconda di Leonardo da Vinci, che trascorse i sui ultimi anni di vita nel convento di Sant’Orsola, assieme a sua figlia che vi era monaca. Nell’antica spezieria, invece, ha realizzato dei murales che evocano l’attività farmaceutica praticata dalle suore proprio in quel luogo. L’essenza effimera del progetto, inoltre, ha portato l’artista a sperimentare la lavorazione della cera, materiale mutevole e metamorfico, così come gli spazi di Sant’Orsola in corso di restauro. Per concepire le sue opere Alberto Ruce si è rivolto ad alcune donne del quartiere affinché posassero per lui come modelle, ribadendo l’urgenza di andare “oltre le mura” di Sant’Orsola e far sì che la comunità possa tornare a vivere i suoi spazi.

In un’ottica partecipativa, il futuro Museo ha cercato sin da subito di dialogare con enti locali l’associazione di quartiere Insieme per San Lorenzo; ma anche con scuole, accademie e istituti formativi presenti sul territorio. Un approccio che ha portato, già nella fase di preparazione di questa prima mostra, alla collaborazione con Accademia Italiana e IED – Istituto Europeo di Design. Per la durata della mostra il chiostro ospiterà i risultati dei workshop condotti con gli studenti di comunicazione di IED, chiamati a studiare una strategia di comunicazione per il futuro museo, e quelli del master in design di Accademia Italiana, incaricati di immaginare delle strutture espositive modulari e facilmente smontabili per gli spazi del Museo Sant’Orsola. Parte dell’opera di Sophia Kisielewska-Dunbar sarà allestita sul prototipo ideato dal gruppo vincente.

In occasione della prima mostra è inoltre esposto il modello della lunetta in terracotta invetriata che un tempo si trovava sopra la porta d’ingresso al convento, di bottega dei Della Robbia. Non potendo riportare in situ l’originale, che oggi si trova all’ingresso dell’Accademia di Belle Arti, la Città Metropolitana di Firenze, in collaborazione con il Liceo Artistico Statale di Porta Romana, ha promosso la realizzazione di una sua replica. Il Liceo artistico statale di Porta Romana è stato tra l’altro il primo partner culturale del futuro Museo Sant’Orsola, mettendo a disposizione della prima artista in residenza durante l’estate 2022 uno studio fuori dalle mura del cantiere di Sant’Orsola.

La mostra è accompagnata da un breve docufilm a cura di Cinestudio, che documenta le prime tappe della rinascita del complesso di Sant’Orsola. La mostra sarà corredata da un catalogo, il primo di una serie che verrà progressivamente ampliata dalle successive pubblicazioni sulle future mostre a Sant’Orsola prima dell’apertura ufficiale del museo.

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Colosseo, un nuovo ascensore per una vista speciale

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Da giugno apre al pubblico, permetterà di superare 100 gradini

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Un ascensore per una vista unica sul Colosseo. A partire dal mese di giugno sarà aperto al pubblico un impianto di elevazione posizionato all’interno del fornice XXVII del Colosseo, che permetterà a tutti i visitatori del PArCo di raggiungere i livelli più elevati della cavea, in particolare la galleria posta tra il II e III ordine, per godere appieno della bellezza del monumento più famoso al mondo.

L’ascensore ùgarantisce a tutti i visitatori, con maggiore attenzione nei confronti di chi ha difficoltà motorie, di superare i 100 ripidi gradini che separano il I ordine dalla galleria intermedia, godendo di una visuale unica dell’intero monumento.

L’ascensore nasce dalla sinergia tra il PArCo e l’Orchestra Italiana del Cinema, protagonista nel 2018 di un evento finalizzato alla eradicazione della poliomelite nel mondo. Realizzato nel pieno rispetto delle indicazioni del PArCo e delle normative vigenti, l’ascensore è in linea con la specificità del luogo e si inserisce in modo armonico nel monumento, riducendo al minimo l’occupazione degli spazi e nell’assoluto rispetto delle murature esistenti, grazie all’utilizzo di punti di ancoraggio a pressione che garantiscono la totale reversibilità dell’opera.

La realizzazione dell’ascensore consente a tutti, senza alcuna esclusione, di raggiungere la galleria tra il II e III ordine, restituita alla fruizione dopo un accurato lavoro di restauro, con finalità conservative e di messa in sicurezza. Uno spazio oggi pienamente percepibile nella sua lunga storia anche grazie ad un suggestivo e mirato sistema di illuminazione che valorizza le strutture, le superfici intonacate e i graffiti, e ad un allestimento didattico volto ad un’efficace esperienza di visita.

Il taglio del nastro si è svolto alla presenza del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ed è stato preceduto da una speciale performance a cura dell’Orchestra Italiana del Cinema che si è esibita sulle indimenticabili note del premio Oscar Hans Zimmer.

“Da oggi il Colosseo è ancora di più patrimonio dell’umanità, accessibile a tutti fino al III ordine dal quale è possibile ammirare la magnificenza di un monumento straordinario, opera della romanità senza pari al mondo. Grazie a questa realizzazione, cittadini e turisti avranno un’ulteriore opportunità per poter godere, senza impedimenti, di una visita la più agevole possibile all’Anfiteatro Flavio, nel nome di una cultura autenticamente inclusiva”, ha dichiarato il Ministro Sangiuliano.

“Il Colosseo è patrimonio dell’umanità e come tale è importante il suo ruolo sociale e umanitario – ha dichiarato il Direttore del Parco archeologico del Colosseo Alfonsina Russo – Ringrazio Marco Patrignani e l’Orchestra Italiana del Cinema, perché si sono impegnati a realizzare un impianto che concretizza un principio fondamentale, ossia che la cultura è e dovrà essere sempre più un diritto da cui nessuno deve sentirsi escluso. Uno degli obiettivi prioritari che, da sempre, caratterizza l’attività del PArCo è quello dell’accessibilità sia culturale che fisica, con percorsi attrezzati per tutte le tipologie di pubblico. Da oggi, grazie al nuovo ascensore sarà possibile, per tutti i visitatori, godere di uno sguardo di grande suggestione sui cieli di Roma”.

“Non avrei mai pensato, essendo un uomo che si occupa di musica e cinema, di seguire personalmente la realizzazione di un nuovo ascensore al Colosseo, dalla fase progettuale alla sua inaugurazione”, ammette Marco Patrignani. “5 lunghi anni per far sì che una poderosa struttura di ferro e cristallo potesse dare gioia a milioni di visitatori provenienti da tutto il mondo. È come se fosse stato costruito con la forza delle emozioni e dei sogni, che sembrano eterei e sono invece potentissimi”.

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Cultura

Paolo Portoghesi, Sangiuliano: “Giorno di lutto per architettura italiana”

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Il ministro: "Mi piace ricordarlo soprattutto come colui che volle e promosse alla Biennale di Venezia la prima Mostra Internazionale di Architettura"

“Oggi è un giorno di lutto per l’architettura italiana. La scomparsa di Paolo Portoghesi ci priva di una figura autorevole sia nel campo della progettazione che in quello della teoria. Egli nutriva un concetto globale dell’architettura, in cui l’armonia tra l’uomo e le forme del costruito e dell’abitato doveva essere compiuta. Mi piace ricordarlo qui, soprattutto, come colui che volle e promosse alla Biennale di Venezia la prima Mostra Internazionale di Architettura ‘La presenza del passato’ sotto la presidenza di Giuseppe Galasso, aprendo con la ‘Strada Novissima’ per la prima volta al pubblico i meravigliosi spazi dell’Arsenale”. Lo afferma il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, nell’apprendere della scomparsa di Paolo Portoghesi.

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Cultura

Morto l’architetto Paolo Portoghesi, aveva 92 anni

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Principale esponente del Postmodernismo in Italia, si è spento nella sua casa di Calcata. Funerali giovedì nella chiesa dei Santi Cornelio e Cipriano, da lui progettata

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L’architetto Paolo Portoghesi è morto questa mattina nella sua casa di Calcata (Viterbo) all’età di 92 anni. L’annuncio della scomparsa è stato dato dalla moglie, l’architetto Giovanna Massobrio, all’Adnkronos. Docente universitario e progettista di fama internazionale, Portoghesi è stato il principale esponente del Postmodernismo in Italia.

L’attività di Portoghesi si è svolta parallelamente sui versanti della ricerca storica e della progettazione architettonica, puntando alla reintegrazione della memoria collettiva nella tradizione dell’architettura moderna. Tra le sue opere più note figurano la Moschea e il Centro culturale islamico a Roma (1984-95) e il quartiere Rinascimento nel Parco Talenti a Roma (2001).

Nato a Roma il 2 novembre 1931 e laureatosi nel 1957, Portoghesi ha insegnato Storia della critica dal 1962 al 1966 all’Università di Roma “La Sapienza”, dal 1967 al 1977 è stato professore di storia dell’architettura presso il Politecnico di Milano, di cui è stato preside dal 1968 al 1976. Dal 1995 ha insegnato progettazione presso la Facoltà di Architettura dell’Università “La Sapienza” di Roma, di cui era professore emerito. Ha diretto il settore architettura della Biennale di Venezia (1979-82), di cui è anche stato presidente (1983-93). Nell’ultimo trentennio Portoghesi è stato anche uno dei principali teorici della ‘geoarchitettura’, una disciplina, secondo le sue parole, che “cerca di correggere il rapporto architettura-natura sulla base di una nuova alleanza: l’uomo deve smettere di costruire secondo una logica puramente economica che produce spreco di energia, inquinamento e sfruttare il patrimonio degli antichi borghi invece di abbandonarli alla distruzione”.

Autorevole studioso della “Roma Barocca” (questo il titolo di un suo saggio fondamentale del 1966), in cui racconta le vicissitudini della città tra il 1600 e il 1750, e specialista degli architetti Guarino Guarini e Francesco Borromini, Portoghesi ha inoltre fondato e diretto riviste come “Controspazio”, “Eupalino” e “Materia”. Nominato nel 2002 Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana, era socio nazionale dell’Accademia dei Lincei (2000) e dal 1977 socio dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze. Tra i numerosi riconoscimenti ricevuti per l’attività svolta, figurano il Premio IN/Arch per la critica storica; la medaglia d’oro della Fondazione Manzù (1971); il Premio Reggia di Caserta (1973); il Premio Fregene (1981); la laurea honoris causa dell’università di Losanna (1984); la Legion d’Onore (1985); il premio Campidoglio per la cultura (2005).

Alla sua attività di storico, teorico e critico si devono testi quali: “Guarino Guarini” (1956), “Borromini, architettura come linguaggio” (1967); “Roma del Rinascimento” (1970); “Album del Liberty” (1975); “L’angelo della storia. Teorie e linguaggi dell’architettura” (1982); “Postmodern. L’architettura nella società postindustriale” (1982); “La piazza come ‘luogo degli sguardi'” (1990); “I grandi architetti del Novecento” (1998); “Architettura e natura” (1999); “Geoarchitettura” (2005).

Tra le sue opere di architettura vanno ricordate: casa Baldi a Roma (1959), casa Andreis a Scandriglia (1963); casa Papanìce a Roma (1967); Istituto tecnico industriale a L’Aquila (1968); chiesa della Sacra Famiglia a Salerno (1968); Centro sociale con biblioteca civica ad Avezzano (1969); Moschea e Centro culturale islamico a Roma (1976-91); sede dell’Accademia di belle arti a L’Aquila (1978); complesso residenziale Enel a Tarquinia (1981); padiglione termale a Montecatini (1987); Teatro comunale di Catanzaro (1988); edifici termali a Nocera Umbra (1989); piazza Leon Battista Alberti a Rimini (1990); torri di Pietralata per lo Sdo di Roma (1996); chiesa di Santa Maria della Pace a Terni (1997); quartiere Rinascimento nel Parco Talenti a Roma (2001); progetto per la torre di Shangai (2006); progetto per la ristrutturazione di piazza San Silvestro a Roma (2011); campus del Centro di riferimento oncologico di Aviano (2016); complesso interparrocchiale della chiesa di San Benedetto a Lamezia Terme (2019).

Esposizioni sulle sue opere architettoniche si sono tenute alla Triennale di Milano, alla Biennale di Venezia (1977), al Bauzentrum di Vienna, alla Hochschule für Bildende Kunste di Amburgo, e inoltre a Berlino, Karlsruhe, Bielefeld, Gottinga, Osaka, Kassel, Parigi, New York, San Francisco, Milano e lungo via Giulia a Roma.

Tra le sue pubblicazioni più recenti si ricordano: “Roma/amoR. Memoria, racconto, speranza” (2019); “Poesia della curva” (2020); “Abitare poeticamente la terra. La casa, lo studio e il giardino di Calcata” (2022). In quest’ultimo libro con la collaborazione della moglie Giovanna Massobrio racconta il ‘piccolo mondo’ di Calcata, il borgo sulla rupe tufacea, dove l’architetto arrivò nel 1974 per la prima volta e che lui ha rianimato con la sua dimora, dove sono confluite tutte le forme tipiche dell’architettura di Portoghesi, che qui ospita anche il suo studio e la biblioteca personale e dove infine ha realizzato ex novo un ‘giardino delle meraviglie’.

(di Paolo Martini)

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Cultura

Esce ‘Lo sport e la cultura’ di Riccardo Bucella

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Il saggio ne sottolinea il ruolo di "strumenti per migliorare il benessere sociale" e si sofferma su "l'importanza degli investimenti pubblici"

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Si intitola “Lo sport e la cultura: strumenti per migliorare il benessere sociale”, il saggio di Riccardo Bucella pubblicato da Rubbettino che, come sottolinea il sottotitolo, si sofferma su “L’importanza degli investimenti pubblici”.

l libro rileva come lo sport e la cultura siano strumenti importanti per la crescita di una persona e come possano aiutare i rapporti sociali migliorando complessivamente il benessere sociale. I dati evidenziati nel volume mostrano quanto lavoro ancora ci sia da fare per raggiungere l’obiettivo di creare delle “Infrastrutture sociali”, come ad esempio con il progetto “Sportnovemuse”, adeguate ai bisogni di una società in continua trasformazione. In particolare, per aiutare l’anello debole della catena, si indica dove intervenire per poter colmare queste rilevanti lacune, mostrando l’importanza dello sport sia dal punto di vista culturale che dei valori che è in grado di trasmettere. Sport e cultura sono due importanti strumenti che permettono di conoscere noi stessi per dare un senso alla vita in armonia con il prossimo e con la natura.

L’autore Riccardo Bucella lavora presso il Servizio Sviluppo Sostenibile e Studi dell’Istituto per il Credito Sportivo. Laureato in Economia all’Università La Sapienza di Roma, ha lavorato presso varie società di consulenza in qualità di economista junior. Ha partecipato a numerose commissioni tecniche e a gruppi di studio sull’impiantistica sportiva e sul marketing sportivo. Nel mese di luglio del 2022 ha presentato un lavoro sul Pil dello Sport con la collaborazione del prof. Giorgio Alleva.

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Cultura

Beni culturali, Diana Bracco: “Partnership pubblico-privato per tutelarli e valorizzarli”

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"Alle imprese devono essere assicurate certezze sui tempi di realizzazione dei progetti e garanzie sui benefici e sull’impatto reale"

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“Oggi le imprese sono un soggetto sociale attivo e integrato e sono ormai diventate protagoniste della valorizzazione e conservazione del patrimonio storico-artistico del Paese”. Lo ha affermato Diana Bracco, Presidente e Ceo del Gruppo Bracco, in un videomessaggio che ha aperto un incontro su cultura e sviluppo economico, tenutosi al Festival dell’Economia di Trento e a cui è intervenuto in collegamento video anche il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano.

“Fare impresa, fare filantropia – ha aggiunto l’imprenditrice – sono diventate facce della stessa medaglia, e rappresentano un modo per tenere fede ai propri valori e per restituire al territorio parte di ciò che si è ricevuto. Soprattutto nelle aziende familiari, che sono il cuore pulsante dell’industria nazionale. Certo, si può fare di più, però è anche necessario che le Istituzioni, dal canto loro, vadano oltre il semplice concetto di sponsorizzazione. Alle imprese – ha sottolineato – devono essere assicurate certezze sui tempi di realizzazione dei progetti e garanzie sui benefici e sull’impatto reale. Occorre una progettualità condivisa realizzata a quattro mani, per far funzionare il binomio pubblico-privato”.

“Questa è la ricetta che ad esempio a noi di Bracco ha permesso di dare solidità e continuità nel tempo a partnership con grandi istituzioni come il Teatro alla Scala e la sua Accademia, il Palazzo del Quirinale, il Museo Poldi Pezzoli, il Museo del Violino di Cremona, il Palazzo Reale di Milano e tante altre, anche all’estero”, ha concluso.

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