

Sostenibilità
Pride Month, QVC Italia lancia la campagna ‘Dire. Fare. Baciare.’
La campagna invita a pensare al valore sociale del singolo coming out come atto di amore per se stessi ma anche come atto di incoraggiamento e sostegno per chi ancora non può farlo, subisce pregiudizi o è costretto a nascondersi.

Dal gesto del bacio parte la nuova campagna pensata da QVC Italia per il mese del Pride, attiva sulle piattaforme di proprietà dall’1 al 30 giugno 2023. Con la ‘formula’ ‘Dire. Fare. Baciare.’, QVC abbraccia la comunità Lgbtq+ e incoraggia il coming out.
La campagna invita a pensare al valore sociale del singolo coming out come atto di amore per se stessi ma anche come atto di incoraggiamento e sostegno per chi ancora non può farlo, subisce pregiudizi o è costretto a nascondersi. Allo stesso tempo sostiene la libertà di vivere la propria quotidianità a partire dai gesti più semplici: passeggiare mano nella mano con la persona che si ama, godersi la pausa caffè o il pranzo al lavoro insieme al partner.
L’iniziativa 2023 di QVC per il Pride Month, che coinvolgerà tutte le piattaforme, prende spunto dalla nota cantilena fanciullesca: ‘Dire’ rappresenta l’espressione del sé e la manifestazione a parole dei propri valori e delle proprie idee; ‘Fare’ indica l’azione, l’invito a esporsi attivamente; ‘Baciare’ invita a lasciarsi andare e diventare icona di cambiamento andando oltre parole e fatti per diventare immagine e manifesto d’amore. Una filastrocca che, in questa occasione, diventa un mantra e, al tempo stesso, un manifesto contro l’ingiustizia e la discriminazione.
Per rendere ancora più concreto il proprio impegno, QVC ha realizzato una t-shirt dedicata, disponibile in quattro varianti di colore e taglie diverse, acquistabile sul sito www.qvc.it al costo di 19,90 euro con spedizione gratuita. L’intero ricavato andrà all’Associazione Quore che si impegna ogni giorno per rispondere ai bisogni del territorio e migliorare la condizione di vita delle persone Lgbtq+. In particolare, verrà sostenuto il progetto di accoglienza e accompagnamento To Housing. Un progetto di co-housing sociale a Torino per accogliere persone Lgbtq+ in difficoltà e in condizioni di estrema vulnerabilità.
La scelta di scendere in campo anche quest’anno per il mese del Pride nasce dall’impegno costante da parte di QVC Italia per sostenere la diversità, l’equità e l’inclusione all’interno della propria organizzazione e di coloro con cui sceglie di lavorare, nell’assortimento e nella presentazione dei prodotti. La campagna è promossa in collaborazione con il Team Member Resource Group Rumore di QVC .
Sostenibilità
Riscaldamento globale, acque profonde a rischio

Gli effetti del riscaldamento globale sarebbero più duraturi sui fondali piuttosto che sulle superfici degli oceani. È quanto sostiene un gruppo di ricercatori in un articolo pubblicato su “Nature Climate Change”. Gli esperti sono giunti alle loro conclusioni dopo aver misurato l’impatto delle recenti ondate di calore sull’ambiente floro-faunistico delle acque profonde. Intensità e durata degli effetti si sono rivelati maggiori, con un gruppo di specie non migratrici seriamente minacciate dall’aumento delle temperature. Tra queste, i gioielli della Grande Barriera Corallina.
Sostenibilità
Solo l’11% delle Pmi europee ha un piano per la decarbonizzazione

L’84% delle imprese è consapevole della crisi ambientale, ma la transizione è ancora lontana

Nonostante gli imprenditori siano consapevoli della crisi ambientale in atto, solo l’11% delle Pmi europee ha un piano strutturato per la decarbonizzazione.
Questo è il dato che emerge dallo studio “Mid-market Climate Transition Barometer” di The Argos – Bcg, che ha coinvolto 700 leader delle Pmi nel luglio 2023 in 6 Paesi europei (Italia, Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo).
Con la loro sinergia Argos Wityu e Bcg (Boston Consulting Group) hanno inaugurato la prima edizione di un barometro che valuta i progressi delle piccole e medie imprese europee nel loro processo di decarbonizzazione.
Il dato che emerge dallo studio è piuttosto preoccupante e assume una particolare rilevanza di fronte alle stime della Commissione europea, secondo cui le piccole e medie imprese producono fino a 2/3 dei gas serra emessi a livello comunitario. Dati alla mano, l’Ue conta 25 milioni di Pmi che costituiscono il 99% di tutte le imprese, e generano circa il 56% del Pil europeo.
È evidente che occorra un netto cambio di marcia dal punto di vista della produzione ma anche giuridico. In questo senso interviene la Direttiva Csrd sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale che impone alle imprese con più di 250 dipendenti e 40 milioni di euro di fatturato di rendere noto il loro impatto sul clima, comprese le emissioni di Scope 3. La direttiva stabilisce un periodo di rendicontazione annuale a partire dal 1° gennaio 2026.
Si tratta tuttavia di una norma che, visti i requisiti di dipendenti e fatturato, non riguarda le Pmi se non quelle quotate. Inoltre, la Germania sta spingendo per esentare oltre 7.000 aziende dall’obbligo di rendicontazione non finanziaria, proponendo di rivedere i criteri europei che definiscono le Pmi.
In questa fase cruciale per il dibattito politico attorno alle normative green, è di cruciale importanza conoscere il punto di vista degli imprenditori sul tema.
La scarsa organizzazione per ridurre le emissioni non è frutto di una scarsa consapevolezza: l’84% delle Pmi intervistate nell’ambito dello studio “Mid-market Climate Transition Baromete” considera la riduzione delle emissioni di gas serra “importante” o “critica”.
Si potrebbe quindi pensare che l’ostacolo alla transizione green sia di natura economica, ma la ricerca smentisce anche questa ipotesi. Infatti, tra le aziende che considerano importante la riduzione delle emissioni, il 71% la percepisce come un’opportunità, soprattutto per due ragioni:
– Migliore redditività: la transizione energetica rende le aziende meno dipendenti dalle oscillazioni dei mercati e meno vulnerabili di fronte alle catastrofi naturali;
– Accesso a nuovi mercati: trattandosi di un orizzonte per niente saturo, gli investimenti sostenibili possono generare un vantaggio competitivo immediato o a lungo termine
Una conferma arriva da Simon Guichard, Partner di Argos Wityu secondo cui: “Non c’è dubbio che la decarbonizzazione delle medie imprese possa generare forti opportunità in tutti i settori. Molti investitori, dai family office alle grandi istituzioni, sono disposti a sostenere queste imprese nella loro transizione Grey to Green e ad aiutarle a diventare leader sostenibili”.
Il 38% delle Pmi intervistate dichiara di aver già investito molto nella decarbonizzazione, ma in realtà solo l’11% ha un approccio strutturato che richiede questi 3 requisiti:
– misurazione delle proprie emissioni di gas serra;
– progettazione di una roadmap per ridurre le emissioni;
– realizzazione di investimenti rilevanti
Dalla ricerca emerge un po’ di confusione sul tema, visto che il 27% degli intervistati ha dichiarato di avere un piano strutturato, ma in realtà non ha ancora misurato la propria carbon footprint né organizzato una tabella di marcia per ridurre le emissioni di Co2. D’altra parte, ci sono un 35% che ha misurato la carbon footprint e costruito una tabella di marcia senza però aver ancora investito e un altro 27% che né ha dichiarato di aver investito né ha previsto azioni per la misurazione delle emissioni e per la pianificazione verso la decarbonizzazione.
“A differenza delle grandi aziende, le PMI raramente hanno dimensioni sufficienti per assumere i talenti necessari o per sviluppare competenze interne e fissare obiettivi ambiziosi di decarbonizzazione. Ora dobbiamo aiutarle a trasformare il loro ottimismo in investimenti strutturati”. Spiega Fabio Cancarè, Partner and Associate Director, Climate Impact di Bcg.
Di fatti, i diversi investimenti che emergono dallo studio dipendono dalla proprietà e dal settore di appartenenza.
Il 62% delle società quotate in borsa dichiara di aver effettuato “forti investimenti”, rispetto al 35% delle imprese non quotate. A livello settoriale ci sono differenze molto marcate, con il 51% delle imprese del settore dei trasporti e della logistica che dichiara di aver investito in modo considerevole, a fronte di un mero 24% delle imprese delle industrie ad alta temperatura (ad esempio, metalli, vetro, ceramica) che pure utilizzano molta energia.
Nonostante in ogni Paese europeo oltre 1/3 delle Pmi abbia dichiarato di aver fatto ingenti investimenti green, la percezione sulla transizione ecologica cambia molto tra gli Stati.
In Germania e Francia, per esempio, oltre 1/5 delle Pmi considera la transizione climatica un adempimento normativo, mentre solo il 73% delle piccole e medie imprese tedesche e il 63% di quelle francesi considera la transizione un’opportunità di sviluppo.
Al contrario, in Italia meno di 1/10 delle imprese intervistate considera questi investimenti un mero adempimento normativo, mentre l’86% delle Pmi italiane considera decarbonizzazione e sostenibilità un’opportunità di sviluppo economico.[Grafico, fonte: ESG360.it su dati “Mid-market Climate Transition Barometer” di The Argos – Bcg]
Nonostante gli investimenti ancora insufficienti, le piccole e medie imprese europee sono ottimiste sul raggiungimento degli obiettivi fissati per il 2030, ritenuti raggiungibili dal 70% delle imprese intervistate.
Tuttavia, le imprese hanno bisogno di un vero e proprio sostegno per superare i tre principali ostacoli che si trovano ad affrontare, quali la mancanza di risorse finanziarie, la complessità normativa e la carenza di competenze.
“A differenza delle grandi aziende, le imprese del mid-market raramente hanno dimensioni sufficienti per assumere i talenti interni necessari o per sviluppare competenze interne e realizzare ambiziose tabelle di marcia per la decarbonizzazione. Ora dobbiamo aiutarle a trasformare il loro ottimismo in investimenti strutturati” ha dichiarato Benjamin Entraygues, Managing Director e Senior Partner di Bcg.
Gli fa eco Louis Godron, Managing Partner di Argos Wityu: “Per completare con successo la transizione ambientale, le medie imprese avranno bisogno di un forte sostegno, di esperti specializzati e di finanziamenti. Siamo convinti che le prime ad avviare profondi cambiamenti verso la decarbonizzazione beneficeranno di un vantaggio competitivo duraturo”.
Per continuare il percorso green occorre individuare i driver che guidano le aziende verso la riduzione delle emissioni e la sostenibilità, come riassunti nella tabella di ESG360.it Dallo studio “Mid-market Climate Transition Barometer” emerge che il 70% delle Pmi ha preso iniziative sostenibili spinto dall’introduzione di nuove normative europee e nazionali; il 60% spinto dai timori legati alla crisi energetica e il 51% per rispondere alle richieste del mercato, sempre più attento alle tematiche Esg.
“Le aziende del mid-market sono nelle fasi iniziali del loro percorso di sostenibilità e i loro investimenti sono ancora prevalentemente guidati dalle normative, dai prezzi dell’energia e dalla domanda dei clienti. Il percorso verso un approccio strutturato e completo è ancora lungo. È assolutamente fondamentale sostenere le Pmi con misure e strumenti dedicati se vogliamo raggiungere i nostri obiettivi climatici”, ha chiosato Pietro Romanin, Managing Director e Partner di Bcg.
Sostenibilità
7 italiani su 10 hanno bici o monopattino, solo 26% li usa spesso

Il focus sulla mobilità sostenibile dell’Osservatorio Findomestic: il 57% ha una bicicletta tradizionale, l’8% una e-bike, il 7% un monopattino elettrico o simili

Quasi 7 italiani su 10 possiedono almeno una bici o un monopattino elettrico ma quelli che li utilizzano spesso (almeno tre o quattro giorni alla settimana) sono molti meno: il 19% per quanto riguarda le biciclette e il 7% per quanto riguarda i monopattini. È quanto emerge dal focus sulla mobilità sostenibile dell’Osservatorio Findomestic.
Nello specifico, il 57% ha una bicicletta tradizionale, l’8% una e-bike, il 7% un monopattino elettrico o simili. Se i possessori di almeno una bici sono il 61%, chi dichiara di utilizzarla è il 74% del campione: la maggior parte di questi usa la propria (57%), uno su tre (31%) la noleggia. Gli altri alternano mezzo proprio e mezzo noleggiato. Diametralmente opposto è il rapporto proprietà-noleggio quando si tratta di monopattino: il 25% dichiara di usare questo mezzo, solo il 14% di questi utilizza il proprio, la stragrande maggioranza (il 78%) lo noleggia.
“Tutti o quasi sono d’accordo che la bicicletta e il monopattino siano ecologici e pratici - commenta Claudio Bardazzi, responsabile dell’Osservatorio Findomestic – I due mezzi, però, non sono sempre visti di buon occhio sia per la sicurezza dei pedoni (49%) sia per quella degli stessi utilizzatori (42%). L’80% del campione intervistato, inoltre, punta il dito contro bici e monopattini ritenendoli fonte di disordine urbano. Più nel dettaglio, il 39% addossa tutte le colpe ai monopattini mentre solo il 3% esclusivamente alle bici. Il 38% non fa, invece, distinzione e ritiene che entrambi i mezzi creino caos in città”.
Il sondaggio si è concentrato anche sulle bici elettriche. In Italia risultano ad oggi poco utilizzate: 9 ciclisti su 10 (87%) si muovono solo con il modello tradizionale e di questi solamente il 28% ha provato una e-bike. Chi ha provato un modello elettrico ne dà quasi sempre (85%) un giudizio positivo ma non lo compra perché troppo costoso (51%), perché preferisce la bici tradizionale (21%) o altri mezzi di trasporto (17%), perché ritiene di poter noleggiare una e-bike al bisogno (13%) o perché teme il furto (13%). Non a caso il 55% del campione ritiene che, qualora dovesse valutare l’acquisto di una bici elettrica, sarebbe interessato a un’assicurazione sul furto.
Tra chi oggi non possiede una e-bike il 54% sarebbe disposto ad acquistarla usata e al 26% non dispiacerebbe una proposta di credito. Il 76% si rivolgerebbe ad un rivenditore specializzato mentre il 17% la acquisterebbe anche presso la grande distribuzione organizzata. Solo il 9% si affiderebbe ad un marketplace.
Sostenibilità
Nord Italia zona più inquinata d’Europa, allarme rosso per la Pianura padana

Tra le 10 province europee più inquinate 8 sono italiane. Come si sta evolvendo la situazione in questi anni?

italiane. La Pianura padana non solo registra i dati più preoccupanti tra i 27 Stati europei ma anche il più grave peggioramento della qualità dell’aria negli ultimi anni (2018-2022) a livello comunitario.
Le prime province europee per concentrazione di particolato fine Pm2.5 nell’aria sono Milano, Cremona e Monza, con valori superiori a 21 milligrammi ogni metro cubo, oltre 4 volte superiori ai limiti stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), pari a 5 µg/m³.
Seguono alcune zone della Polonia, che può consolarsi con il generale miglioramento ottenuto negli ultimi anni, a differenza di molte province italiane e di alcuni territori della Grecia e del Portogallo. In particolare, tra il 2018 e il 2022 a Vicenza la concentrazione è aumentata di 2,3 µg/m³ e a Varese di 1,95 µg/m³.
Nonostante i diversi interventi delle istituzioni comunitarie per ridurre le emissioni, i dati non sono preoccupanti solo per gli italiani. Infatti, la ricerca condotta da Openpolis insieme ad altre 6 redazioni dello European data journalism network (Edjnet), sotto la direzione di Detusche Welle, dimostra che più del 98% della popolazione europea vive in zone dove la concentrazione di Pm2.5 supera i limiti stabiliti dall’Oms.
Ecco quali sono i 7 Paesi europei dove si respira aria con concentrazione di Pm2.5 inferiore alla soglia di 10 µg/m³ in ogni zona: Svezia, Danimarca, Finlandia, Estonia, Malta, Irlanda e Lussemburgo. Nel complesso, sono appena 7,5 milioni le persone che respirano aria con una concentrazione di Pm2.5 inferiore ai 5 µg/m³.
Al contrario in Ungheria e Slovacchia oltre il 99% del territorio presenta una concentrazione di particolato fino superiore ai limiti Oms. La situazione del nostro Paese è invece molto particolareggiata. L’inquinamento dell’aria cambia molto tra le diverse zone della penisola soprattutto per due ragioni:
– diversa industrializzazione;
– diversa conformazione del territorio
Entrambi i fattori, oltre ad una densità demografica più alta della media nazionale, influiscono sui dati della Pianura padana, che è la zona più inquinata d’Europa. In questo territorio, infatti, non solo le emissioni inquinanti sono eccessive, ma restano intrappolate nel grande avvallamento padano creando un “effetto serra” che non consente all’aria di circolare. Così, il particolato fine e altre sostanze gravemente nocive ristagnano nel territorio inquinando costantemente l’aria respirata dai cittadini della zona.
In generale, in tutta Italia quasi un quinto della popolazione (più di 10 milioni di persone) respira aria con una concentrazione di particolato fine superiore ai 20 microgrammi. Dopo c’è la Polonia che però riporta una quota di popolazione a rischio di gran lunga inferiore, pari al 2,2% del totale (meno di 1 milione di persone).
Secondo l’Oms, l’inquinamento atmosferico è il principale fattore di rischio per la salute in Europa, dato che trova conferma nella valutazione “Air Quality in Europe 2022” dell’Agenzia europea dell’ambiente. Secondo l’Aea, nel 2020 almeno 238.000 cittadini europei sono morti prematuramente a causa dell’esposizione al Pm2.5. Inoltre, l’inquinamento atmosferico derivante dall’ossido di azoto ha causato 49.000 morti premature nell’Unione, mentre altre 24.000 sono attribuite all’esposizione all’ozono.
Oltre alle perdite di vite umane premature, l’inquinamento dell’aria provoca gravi dissesti naturali e problemi di salute che pesano sul sistema sanitario. Come riporta la Commissione europea, l’inquinamento atmosferico è un macigno da almeno 330 miliardi di euro l’anno per il sistema sanitario.
Tra le varie sostanze inquinanti, il particolato è una delle più pericolose. L’esposizione prolungata a questo agente causa danni a molti apparati del corpo umano come quello circolatorio e respiratorio, e può provocare l’insorgere di patologie del sistema centrale e di quello riproduttivo. Tra le relazioni più frequentemente attestate ci sono i tumori ai polmoni, le ischemie e gli attacchi cardiaci, ma anche disturbi respiratori cronici come l’asma. La tossicità è ancora più elevata nel caso del Pm2.5, ovvero quello con il diametro più ridotto (2,5 micrometri) rispetto al Pm10, che permette alle particelle di entrare in profondità nei tessuti del corpo umano.
Ma come si produce il Pm 2,5? Il ministero dell’Ambiente spiega che le cellule di particolato fine sono generate da quasi tutti i tipi di combustione, comprese quelle di “motori di auto e motoveicoli, degli impianti per la produzione di energia, della legna per il riscaldamento domestico, degli incendi boschivi e di molti altri processi industriali”. Oltre alle sue dimensioni che facilitano l’ingresso nel nostro organismo, il particolato fine (o Pm2.5) ha la caratteristica di rimanere sospeso nell’atmosfera a lungo, aumentando la probabilità di danneggiare la salute degli esseri umani.
L’Organizzazione mondiale della sanità spiega che ogni anno questo tipo di inquinamento provoca 7 milioni di morti in tutto il mondo. Nonostante le raccomandazioni dell’Oms di mantenere la soglia di Pm 2,5 entro i 5 µg/m³, solo il 2% della popolazione europea vive in aree che rispettano questo limite, mentre quasi i due terzi delle persone del continente vivono in aree in cui questi valori sono di almeno due volte superiori a quelli raccomandati, come riporta uno studio del The Guardian.
Tra il 2018 e il 2022 solo 4 Stati membri hanno registrato un aumento di Pm 2.5 nell’aria: Irlanda e Portogallo e, in misura minore, Spagna e Svezia, mentre in Finlandia e in Italia la concentrazione è rimasta stabile.
Negli altri 21 Paesi europei la concentrazione di particolato fine è diminuita, con i successi più importanti in Repubblica Ceca (-4,2 µg/m³) e in Polonia (-3,6 µg/m³). Si tratta di un buon segnale, ma ancora insufficiente come dimostra il rapporto condotto da Openpolis secondo cui il 98% della popolazione europea respira un’aria troppo inquinata.
Il numero dei decessi e l’impatto che l’inquinamento ambientale genera sulla salute degli esseri umani sono sconcertanti. Tuttavia, sarebbe sbagliato pensare che gli interventi normativi dell’Ue, spesso figli di grandi lotte fuori e dentro le istituzioni, siano inutili: tra il 2005 e il 2020, il numero di decessi prematuri dovuti all’esposizione a Pm2.5 nell’Ue è diminuito del 45%.
Se questa tendenza persiste, l’Unione Europea dovrebbe raggiungere l’obiettivo stabilito nel piano d’azione per l’inquinamento zero, che prevede una riduzione dei decessi prematuri del 55% entro il 2030. Chiaramente, la sfida più difficile consiste proprio nel migliorare i risultati già ottenuti, rinunciando ad emissioni ancora cruciali nell’impianto produttivo.
Ci dovrà pensare l’Unione europea, e ci dovranno pensare molto da vicino le regioni del Nord Italia, che non possono ignorare i dati eclatanti del rapporto. La nuova Direttiva dell’Unione europea sulla qualità dell’aria approvata dal Parlamento europeo sarà un altro tassello fondamentale nel percorso verso il cambiamento climatico.
In definitiva, sarà necessario un maggiore impegno per raggiungere l’obiettivo dell'”inquinamento zero” entro il 2050, che consiste nella riduzione dell’inquinamento atmosferico a livelli che non rappresentino più una minaccia per la salute.
Sostenibilità
Marche, FederlegnoArredo: “Tiene l’export nel primo semestre 2023”

La situazione di grande incertezza che sta vivendo la filiera legno-arredo sembra non riguardare il distretto marchigiano

La situazione di grande incertezza che sta vivendo la filiera legno-arredo e le stime di un fine anno a -3,3% (export -2,6% e mercato nazionale a -3,8%) rilevate dal Monitor elaborato dal Centro Studi FederlegnoArredo su un campione rappresentativo di aziende (che pesa in termini di fatturato il 18%, pari a circa 10 miliardi sui 56,5 totali) sembra per il momento non riguardare il distretto marchigiano che, dai consuntivi 2022, con i suoi circa 4 miliardi di euro di fatturato, occupa la quarta posizione a livello nazionale e ha un saldo commerciale pari a 645 milioni di euro.
Sempre secondo i consuntivi 2022, le imprese marchigiane del legno-arredo sono 2.152, oltre 19.500 gli addetti, di cui il 72% è impiegato nella produzione di mobili e il comparto delle cucine pesa per il 24% del totale. Se a livello nazionale le rilevazioni del Centro Studi di FederlegnoArredo sul primo semestre 2023, rispetto allo stesso periodo del 2022, evidenziano infatti una contrazione complessiva del 5,9% con un trend negativo sia per il mercato italiano (-6,8%) che per l’export (-4,5%), la situazione è diversa, al momento, per la regione marchigiana. A fotografarla è l’elaborazione del Centro Studi FederlegnoArredo sui dati Istat secondo cui prosegue l’andamento positivo dell’export regionale, crescendo nella filiera legno-arredo del 2,1% rispetto al gennaio-giugno del 2022 e del 4,5% nei mobili che coprono il 68% del totale esportato. Da evidenziare, però, come le crescite del trimestre precedente fossero invece a doppia cifra: +11,1% per la filiera sul primo trimestre ’22 e + 13,5% per i mobili.
Movimenti interessanti si riscontrano sempre nel primo semestre nella geografia dell’export di mobili della regione, in cui mantiene il primo posto la Francia con una variazione positiva del 13,3%, seguita dagli Stati Uniti che registrano però un -5,7%, arrivando al terzo posto della Germania (+13,1%). La Cina al settimo posto registra addirittura un -22,2%, mentre entra nella top ten l’Arabia Saudita con un +32,6%. Complessivamente le esportazioni di mobili marchigiani sono cresciute del 4,5% nonostante Cina e Usa siano in grande sofferenza. Volgendo lo sguardo alle province è Pesaro Urbino ad avere il primato dell’export di mobili con 174 milioni di euro nei primi sei mesi del 2023, seguita da Ancona con circa 95 milioni e un incremento percentuale del 32,7%, al terzo posto Macerata con 49 milioni, al quarto Ascoli Piceno con 10 milioni ma un incremento del 21% e infine Fermo con 1 milione di euro.
I dati sono stati diffusi in occasione di un incontro che si è tenuto oggi a Pesaro, cuore di un distretto che esprime forte vitalità in termini di occupazione e fatturato, per la prima tappa del roadshow Fla Plus organizzato da FederlegnoArredo sul territorio e rivolto alle aziende associate e non. Il meeting, fortemente focalizzato su economia circolare, politiche di welfare, energia e finanza verde, ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Fondazione Symbola e Intesa Sanpaolo in veste di partner strategici.
“Il distretto delle Marche – spiega Claudio Feltrin, presidente di FederlegnoArredo – dimostra un certo dinamismo nell’export e una capacità di rispondere all’incertezza economica generale che ci fa ben sperare anche per i prossimi mesi. Siamo altrettanto consapevoli però che le oscillazioni dei trimestri sono ormai imprevedibili, motivo per cui le aziende devono essere sempre pronte a cambi repentini di scenario e a rimodulare il mappamondo dei mercati. In tal senso l’appuntamento con il Salone del Mobile di aprile 2024 con le due biennali cucina e bagno sarà l’occasione di presidiare nuove quote di mercato. Una sfida che non può prescindere dalla ricerca continua di innovazione dei materiali, sostenibilità delle materie prime riciclate e riciclabili, fino ad arrivare alla completa riparabilità dei prodotti che garantisca il riuso dei prodotti stessi. Obiettivi che hanno in Fla Plus la loro sintesi, ovvero un percorso che mette al centro sostenibilità e transizione ecologica, coniugandoli con un hub di servizi digitali a misura di azienda. I confronti portati avanti con i nostri associati si confermano uno strumento prezioso per prendere coscienza, insieme, dei passi fatti e di quelli ancora da fare: la sostenibilità resta il pilastro centrale sui cui continueremo a lavorare e concentrarci, perché leva indispensabile per competere anche a livello internazionale”.
FederlegnoArredo ha ideato il progetto Fla Plus (Fla-plus.it), un percorso strutturato che offre alle aziende l’opportunità di affrontare le sfide con strumenti concreti, progettati ad hoc per posizionarsi in maniera sempre più efficace e reattiva. Tra questi ci sono il portale dedicato alle certificazioni, indispensabili per muoversi nel mercato domestico ma soprattutto in quelli internazionali, la library di materiali sostenibili che vanno dalle vernici ai rivestimenti, ai materiali per le imbottiture, lo sportello doganale e di consulenza finanziaria, i dati di settore totalmente digitalizzati e interattivi, una serie di webinar e corsi di formazione mirati alle specifiche necessità del comparto, e Tecla, il Tool implementato da FederlegnoArredo per misurare la circolarità delle aziende della filiera. Gli strumenti messi a disposizione da Fla Plus sono pensati per affiancare le imprese grazie a una dashboard digitale riservata agli associati, dove reperire informazioni altamente specializzate grazie a diversi servizi di autovalutazione, consulenza e sostegno alla governance d’impresa.
Sostenibilità
Al via Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile

Obiettivo "definire in tempi certi un percorso finalizzato alla possibile ripresa dell’utilizzo dell’energia nucleare in Italia". Pichetto: "Valutare le nuove tecnologie sicure"

Si è svolta oggi al ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica la prima riunione della Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile (Pnns). L’incontro, presieduto dal ministro Gilberto Pichetto, ha visto la partecipazione dei principali Enti pubblici di ricerca, di esponenti del mondo delle Università, di associazioni scientifiche, di soggetti pubblici operanti nel settore della sicurezza nucleare e del decommissioning, oltre a imprese che hanno già in essere programmi di investimento nel settore nucleare, nella produzione di componenti e impianti e nelle applicazioni mediche nel settore nucleare.
L’Italia, come già previsto nella proposta di aggiornamento del Pniec, punta “sulla vasta diffusione delle rinnovabili e dell’efficienza energetica per garantire la decarbonizzazione e la sicurezza energetica, anche attraverso la diversificazione delle fonti e l’integrazione delle diverse soluzioni tecnologiche disponibili – spiega il Mase – Pertanto, in linea con la mozione approvata lo scorso maggio dal Parlamento che ha impegnato il governo a sostenere la ricerca tecnologica su fusione e fissione nucleare e a informare correttamente i cittadini su tali tecnologie, il ministero ha istituito la Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile”.
La Pnns ha l’obiettivo di “definire in tempi certi un percorso finalizzato alla possibile ripresa dell’utilizzo dell’energia nucleare in Italia e alle opportunità di crescita della filiera industriale nazionale già operante nel settore”.
“Non si tratta evidentemente di proporre il ricorso in Italia alle centrali nucleari di grande taglia della terza generazione, ma di valutare le nuove tecnologie sicure del nucleare innovativo quali gli Small Modular Reactor (Smr) e i reattori nucleari di quarta generazione (Amr)”, sottolinea il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto.
La Piattaforma sarà coordinata dal Mase con il supporto di Enea e Rse e verrà articolata in gruppi tematici. “I risultati del lavoro della Piattaforma saranno la base per valutare l’elaborazione e l’adozione da parte dell’Italia di una Strategia nazionale per il nucleare sostenibile”, conclude il Mase.
Sostenibilità
Food waste come spreco di denaro in famiglia

Le prime anticipazioni dell'indagine di Waste Watcher, International Observatory on Food&Sustainability

Lo spreco alimentare è identificato innanzitutto come spreco di denaro in famiglia: dall’Italia agli Stati Uniti, dalla Spagna alla Germania, dal Regno Unito all’Olanda, i cittadini del mondo identificano lo sperpero del cibo come un ‘crash’ per le loro economie. Sono le prime anticipazioni del Rapporto globale sul rapporto fra cibo e spreco: un’indagine firmata da Waste Watcher, International Observatory on Food&Sustainability, promossa dalla campagna Spreco Zero di Last Minute Market con il monitoraggio Ipsos, realizzata in 8 Paesi del mondo: Italia, Spagna, Germania, Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Olanda e Azerbaijan.
Secondo le anticipazioni Waste Watcher, dunque, “nelle settimane dell’inflazione alimentare, quando gli alimenti hanno registrato un aumento medio del 10,7% in Italia e si prospetta un aumento di 205 euro, fra settembre e dicembre, rispetto al 2022 (dati Assoutenti, agosto 2023), prevenire lo spreco alimentare equivale a sostenere concretamente la famiglia, oltre ad essere un presidio per la salute dell’ambiente”. Fra i cittadini più preoccupati a livello internazionale per l’impatto economico dello spreco del cibo – si rileva – ci sono certamente gli statunitensi che legano al fenomeno ben tre impatti negativi legati al denaro: 81% spreco di denaro, 62% conseguenze economiche per la mia famiglia, 59% conseguenze economiche e sociali.
I dati del terzo Cross Country Report offrono una panoramica globale sulle abitudini di consumo e spreco intorno al pianeta, “un monitoraggio – spiega il fondatore Spreco Zero Andrea Segrè, direttore scientifico di Waste Watcher International Observatory – certamente essenziale per potenziare la consapevolezza sui comportamenti e le abitudini di fruizione e gestione del cibo, sulla dieta adottata e sugli alimenti realmente consumati, in chiave di prevenzione dello spreco. Il Rapporto diventa così concreto punto di partenza per promuovere politiche pubbliche e private e iniziative internazionali di sensibilizzazione finalizzate a concretizzare gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, in particolare al punto 12.3 dove si prevede di dimezzare gli sprechi alimentari entro il 2030”.
LE MISURE ANTISPRECO – All’indagine hanno preso parte 8mila cittadini, con un campione statistico di 1000 interviste per ciascun Paese. Fra i primi dati che anticipano il Rapporto ci sono quelli dedicati alle misure pubbliche utili a ridurre lo spreco: una domanda che registra la risposta unanime dei cittadini dei Paesi indagati, puntare sull’istruzione nelle scuole, un obiettivo che da sempre è stato indicato come prioritario dalla campagna Spreco Zero.
Una rinnovata attenzione è anche quella per le etichette fronte pacco, di prima rilevanza nel dibattito europeo, considerate un elemento significativo per il contrasto allo spreco alimentare. Ci sono poi le strategia legate al dna dei Paesi interrogati: i cittadini di Italia e Spagna scelgono di prevenire lo spreco acquistando con maggiore frequenza i prodotti freschi, assecondando così i principi base della Dieta Mediterranea. La lista della spesa resta invece riferimento primario per Paesi come la Germania, il Regno Unito e gli Stati Uniti.
Sostenibilità
Park e River Litter 2023, 25.051 rifiuti censiti in 57 parchi urbani e 7 fiumi

I risultati delle indagini di Legambiente

Sono ben 25.051 i rifiuti totali censiti in 57 parchi urbani della Penisola e sulle sponde di 7 fiumi. A scattare la fotografia con dati e numeri è la doppia indagine, Park e River Litter 2023, realizzata da Legambiente in vista del weekend di mobilitazione di Puliamo il Mondo 2023, in programma dal 22 al 24 settembre, e della giornata mondiale dei fiumi.
Un dato che si traduce per le 57 aree verdi urbane di 15 città – Ancona, Bari, Cagliari, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Pescara, Pineto (TE), Potenza, Pozzuoli (NA), Sasso di Castalda (PZ), Torino, Trivento (CB), Verona – in 22.442 rifiuti raccolti e catalogati in un’area di circa 7.000 mq equivalente a 27 campi da tennis, con una media di circa 3 rifiuti ogni metro quadrato, e per i corsi d’acqua una media di 326 rifiuti ogni 100 metri lineari in un’area campionata totale di circa 8.600 mq (un’area pari a 33 campi da tennis). In entrambi i casi, il materiale più trovato è la plastica (che si attesta rispettivamente al 62% e 61%). Tra i rifiuti a farla da padrone sono soprattutto i mozziconi di sigaretta, prodotti usa e getta e imballaggi e frammenti di plastica.
Legambiente torna a ribadire “l’importanza di adottare comportamenti corretti, a partire da una corretta separazione e raccolta differenziata, e invita tutti a partecipare al weekend di mobilitazione della 31esima edizione di Puliamo il mondo, in programma il 22, 23 e 24 settembre in tutta la Penisola al motto ‘Per un clima di pace'”. Edizione italiana di Clean up the World, che Legambiente organizza dal 1993, anche quest’anno la tre giorni di Puliamo il mondo vedrà in azione dal nord al sud del Paese centinaia di migliaia volontari, tra studenti, associazioni, comitati e amministrazioni locali, per ripulire strade, piazze, aree verdi, ma anche spiagge e sponde dei fiumi dai rifiuti abbandonati (www.puliamoilmondo.it).
“I dati che abbiamo diffuso oggi sull’indagine sui rifiuti abbandonati – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – dimostrano che c’è ancora molto da fare. Se è infatti cresciuta negli anni l’attenzione dei cittadini sui temi ambientali, questa ancora stenta ad essere accompagnata dai fatti. Con la nostra storica campagna Puliamo il Mondo vogliamo portare in primo piano proprio questi temi convinti che solo attraverso l’impegno e l’attenzione di tutti, cittadini e istituzioni, si possa davvero aiutare l’ambiente, garantire la vivibilità e preservare la bellezza nelle nostre città”.
Sostenibilità
Sostenibilità, Engineering tra firmatari manifesto del Global compact delle Nazioni Unite

Il ceo Maximo Ibarra: "Siamo orgogliosi di fare un passo in più sottoscrivendo il manifesto imprese per le persone e la società, così da confermare il nostro impegno nel portare avanti un business responsabile e inclusivo"

Engineering, azienda italiana leader nella digitalizzazione dei processi per aziende e pa, sigla il Manifesto ‘Imprese per le persone e la società’, rivolto alle aziende e redatto dall’UN Global Compact Network Italia, rete locale del Global Compact delle Nazioni Unite, la più grande iniziativa di sostenibilità d’impresa al mondo. Con la firma al Manifesto, l’azienda guidata da Maximo Ibarra si impegna a rafforzare il ruolo della dimensione sociale nelle sue strategie aziendali per generare valore a lungo termine anche nella catena di fornitura e nelle comunità in cui opera.
“Lo scorso anno abbiamo aderito al Global Compact delle Nazioni Unite e oggi siamo orgogliosi di fare un passo in più sottoscrivendo il manifesto imprese per le persone e la società, così da confermare il nostro impegno nel portare avanti un business responsabile e inclusivo”, ha commentato Maximo Ibarra, ceo di Engineering. “In Engineering, azienda fortemente centrata sui talenti delle persone, siamo convinti che ogni evoluzione tecnologica debba migliorare la vita delle comunità, semplificandola, e ogni giorno lavoriamo per integrare nel nostro offering l’attenzione ai valori ESG, abilitando, attraverso il digitale, soluzioni che supportino un modello di crescita diffuso”, ha continuato.
In questi anni Engineering ha ottenuto importanti risultati in ambito social: ha aumentato la presenza femminile in posizioni dirigenziali (+7%) e la presenza di giovani talenti under 30 (+19%), oltre ad aver erogato circa 33.400 giornate di formazione attraverso la sua it & management Academy. A questi risultati interni vanno poi aggiunte le tante iniziative a favore della comunità realizzate dal Gruppo anche nel corso dell’ultimo anno, come i corsi di formazione digitale per oltre 100 ragazze e ragazzi della Comunità di San Patrignano, l’apertura del proprio programma di assunzioni anche ai profughi ucraini con competenze stem.
Il Global Compact delle Nazioni Unite è un’iniziativa speciale del segretario generale delle Nazioni Unite che ha il mandato di guidare e sostenere la comunità imprenditoriale globale nel promuovere gli obiettivi e i valori delle Nazioni Unite attraverso pratiche aziendali responsabili. Con più di 20.000 aziende e oltre 3.000 firmatari non profit con sede in 162 paesi e 69 reti locali, l’UN Global Compact è la più grande iniziativa di sostenibilità aziendale nel mondo.
Il Global compact delle Nazioni Unite opera in Italia attraverso l’Un global compact network Italia (Ungcn Italia), organizzazione costituitasi in Fondazione nel 2013 dopo dieci anni di attività come gruppo informale. Il Network italiano opera anzitutto per promuovere l’Un global compact ed i suoi dieci principi attraverso il dialogo istituzionale, la produzione di conoscenza e la diffusione di buone pratiche di sostenibilità. È, altresì, impegnato nell’avanzamento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (sDGs) fissati dalle Nazioni Unite per il 2030. Oltre 600 imprese ed organizzazioni non profit italiane partecipano all’UN Global Compact.
Sostenibilità
Cosa prevede la nuova Direttiva sulla qualità dell’aria approvata dal Parlamento Ue

Arrivano limiti più stringenti e risarcimento rafforzato per i cittadini

Il Parlamento europeo ha approvato la nuova Direttiva sulla qualità dell’aria, imponendo limiti più stringenti rispetto a quelli proposti dalla Commissione. Con 363 voti a favore, 226 contro e 46 astensioni, gli europarlamentari hanno fissato valori limite e obiettivi più rigorosi da raggiungere entro il 2035 per diversi inquinanti, tra cui particolato (PM2.5, PM10), diossido di azoto, anidride carbonica, anidride solforosa e ozono.
La nuova Direttiva sulla qualità dell’aria approvata dal Pe recepisce in larga misura la versione varata dalla Envi (Commissione Ambiente dell’Europarlamento) che alza l’asticella rispetto alla proposta della Commissione.
In particolare, il testo della Commissione Ambiente individua un target finale di valori limite per i principali agenti inquinanti che si allinea a quanto raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, come spiega lo stesso europarlamento nel testo ufficiale della Direttiva sulla qualità dell’aria: “Nel settembre 2021 l’Oms ha pubblicato nuovi orientamenti sulla qualità dell’aria, basati su una sintesi esaustiva dei riscontri scientifici in merito agli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute.
Le conclusioni di tali orientamenti sulla qualità dell’aria sottolineano in particolare l’importanza di ridurre le concentrazioni di inquinamento, mostrando che ciò comporterebbe chiari benefici per la salute pubblica e l’ambiente. La presente direttiva – afferma l’Europarlamento – tiene conto delle più recenti conoscenze scientifiche e della necessità di allineare pienamente le norme dell’Unione in materia di qualità dell’aria ai più recenti orientamenti dell’Oms sulla qualità dell’aria, nell’intento di conseguire gli obiettivi generali del piano d’azione per l’inquinamento zero”.
Ecco i nuovi limiti di concentrazione delle sostanze inquinanti secondo il testo approvato dal Parlamento Ue (fonte tabella: ambientenonsolo.com)
L’europarlamento afferma che i valori proposti dalla Commissione dovrebbero costituire un obiettivo intermedio, da raggiungere quanto prima e comunque entro il 2030 e spiega che “Il piano d’azione per l’inquinamento zero definisce inoltre una visione per il 2050, in cui l’inquinamento atmosferico è ridotto a livelli non più considerati nocivi per la salute e per gli ecosistemi naturali. A tal fine, si dovrebbe perseguire un approccio ambizioso alla definizione delle norme attuali e future dell’UE in materia di qualità dell’aria, stabilendo norme in materia di qualità dell’aria per il 2035, inclusi standard di qualità dell’aria intermedi per il 2030”. La nuova Direttiva sulla qualità dell’aria, così come approvata dal Pe, prevede un controllo periodico da parte delle istituzioni in modo da monitorare che la riduzione delle emissioni inquinanti sia costante.
Il testo non si limita a prevedere limiti di concentrazione più stringenti, ma invita ad aumentare il numero di punti di campionamento della qualità dell’aria. Nelle aree urbane dovrebbe esserci almeno un super-sito di monitoraggio ogni 2 milioni di abitanti, utile a rappresentare l’esposizione della popolazione urbana generale. La Commissione aveva proposto un punto di campionamento ogni 10 milioni di abitanti. Inoltre, in luoghi in cui è probabile che si verifichino alte concentrazioni di particelle ultrafine, di carbone nero, di mercurio e di ammoniaca, il Parlamento vuole che ci sia un punto di campionamento ogni milione di abitanti. Ancora una volta, l’europarlamento alza l’asticella rispetto alla Commissione che, per le zone particolarmente esposte, aveva proposto un punto di campionamento ogni cinque milioni di abitanti e solo per le particelle ultrafine.
Secondo gli eurodeputati, inoltre, “La Commissione dovrebbe riesaminare periodicamente i dati scientifici relativi agli inquinanti, ai loro effetti sulla salute umana e sull’ambiente, alle disuguaglianze sanitarie, ai costi sanitari diretti e indiretti associati all’inquinamento atmosferico, ai costi ambientali e agli sviluppi comportamentali, fiscali e tecnologici. Sulla base di tale riesame, la Commissione dovrebbe valutare se le norme applicabili in materia di qualità dell’aria siano ancora adeguate a conseguire gli obiettivi della presente direttiva. Il primo riesame dovrebbe essere effettuato entro il 31.12.2028 per valutare se le norme in materia di qualità dell’aria debbano essere aggiornate sulla base delle più recenti informazioni scientifiche. La Commissione dovrebbe valutare periodicamente il contributo apportato dalla legislazione dell’Unione che stabilisce norme sulle emissioni per le fonti di inquinamento atmosferico al conseguimento delle norme in materia di qualità dell’aria stabilite dalla presente direttiva e, se necessario, proporre ulteriori misure dell’Unione”
Un aspetto particolarmente interessante del testo approvato dal Pe riguarda la trasparenza e la protezione dei cittadini europei. In primis, i deputati vogliono armonizzare gli indici di qualità dell’aria dei 27 Stati membri, attualmente frammentati e poco comprensibili. L’obiettivo è ottenere indici comparabili, chiari e disponibili al pubblico, con aggiornamenti orari in modo che i cittadini possano proteggersi durante gli alti livelli di inquinamento atmosferico prima che vengano raggiunte soglie di allarme obbligatorie.
In questo modo, il Parlamento propone un approccio molto concreto al problema dell’inquinamento dell’aria che, stando alle stime dell’Aea (Agenzia europea per l’ambiente) provoca 300.000 morti premature all’anno tra i cittadini europei.
Secondo quanto previsto nel testo emendato, gli enti dovranno fornire informazioni sui sintomi associati ai picchi di inquinamento atmosferico e sui rischi per la salute associati a ciascun inquinante, oltre a informazioni specifiche per i gruppi vulnerabili.
In caso di violazione delle nuove norme, gli europarlamentari propongono un diritto rafforzato al risarcimento.
Nello specifico, secondo il testo approvato dal Parlamento europeo, “gli Stati membri provvedono affinché le persone fisiche la cui salute subisce un danno a causa di una violazione della presente direttiva […] a causa di un’omissione, di una decisione, di un atto o del ritardo di una decisione o di un atto da parte delle autorità competenti abbiano diritto a un risarcimento a norma del presente articolo”. La nuova direttiva sulla qualità dell’aria prevede inoltre che gli Stati debbano autorizzare le organizzazioni non governative che promuovono la protezione della salute umana o dell’ambiente a rappresentare le persone fisiche e a intentare azioni collettive per ottenere un risarcimento.
Il diritto al risarcimento rafforzato, infine, si basa anche sulla presunzione di causalità: “Se una domanda di risarcimento è sostenuta da elementi di prova, compresi dati scientifici pertinenti, da cui si può presumere che la violazione di cui al paragrafo 1 abbia causato il danno subito da tale persona o abbia contribuito al suo verificarsi, si presume il nesso causale tra la violazione e il verificarsi del danno”, scrivono gli eurodeputati.
Gli Stati membri dovrebbero inoltre predisporre dei piani di emergenza nei casi in cui le concentrazioni superino i valori limite.
Infine, secondo le previsioni del Parlamento Ue, tutti gli Stati membri devono predisporre delle tabelle di marcia per la qualità dell’aria con azioni a breve e lungo termine per conformarsi ai nuovi valori limite.
Il processo legislativo continuerà con il pronunciamento del Consiglio Europeo, nel quale si esprimeranno i rappresentanti dei 27 governi degli Stati membri.
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