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Sostenibilità

CarpeCarbon, perché il progetto italiano per catturare la...

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CarpeCarbon, perché il progetto italiano per catturare la CO2 è diverso da tutti gli altri

La startup torinese attrae anche gli investitori: la riduzione dell’anidride carbonica è l’unica alternativa per salvare il pianeta

Eliminare la CO2 - Canva

L’ultimo rapporto Ipcc lo ha messo nero su bianco: sarà impossibile rispettare la fatidica soglia del +1.5°C rispetto al periodo preindustriale senza ridurre drasticamente la CO2 nell’aria. Questo è l’obiettivo del progetto CarpeCarbon, una startup con sede a Torino che si appresta a costruire il primo impianto italiano per la cattura diretta di anidride carbonica dall’atmosfera.

Il progetto muove da una convinzione, corroborata dai dati, “Fermare le emissioni è assolutamente necessario, ma non più sufficiente”, come si legge sul sito della startup torinese.

Ma perché CarpeCarbon rappresenta una novità nel panorama green e cosa la distingue dalle altre tecnologie Direct air capture (Dac)?

Come funziona CarpeCarbon

Dopo il grande entusiasmo iniziale, le tecnologie Dac, presentate come la svolta green per il pianeta, hanno mostrato i propri limiti. Due le più grandi criticità di questi strumenti, tra l’altro analoghe a quelle discusse per le auto elettriche:

- l’utilizzo intensivo di energia che li rende poco sostenibili;

- la dipendenza da minerali critici

Insomma, “il gioco non vale la candela”.

CarpeCarbon, invece, ha sviluppato un approccio innovativo che offre una soluzione scalabile ed efficiente dal punto di vista energetico. Questo metodo riduce significativamente i costi energetici e l’impatto ambientale puntando sull’uso di energia rinnovabile per alimentare i suoi processi di cattura della CO2, evitando l’uso di sostanze chimiche nocive.

Inoltre, l’azienda italiana progetta la sua supply chain senza dipendere da materie prime critiche, assicurando una maggiore resilienza e sostenibilità della supply chain. L’obiettivo è filtrare l’aria per trattenere le molecole di CO2 emesse in passato bruciando i combustibili fossili e rilasciare le altre, secondo un processo ciclico il cui risultato sono emissioni negative

Le caratteristiche appena viste rendono il progetto CarpeCarbon pioniera nel settore, tanto che la start up torinese si è aggiudicata un finanziamento di oltre 1,7 milioni di euro assegnato dall’iniziativa Tech4Planet di Cdp Venture Capital e da 360 Capital, oltre che da altri sostenitori, tra cui la rete Club degli Investitori e il fondo di co-investimento PiemonteNext. Fondi che serviranno a realizzare il primo impianto Dac in Italia. Nella penisola questa tecnologia è stata utilizzato per un impianto pilota in Puglia, realizzato nel 2018 dalla società svizzera Climeworks, ma si trattava di un progetto pilota.

Realizzare l’economia circolare con la CO2

Un’altra caratteristica avanguardistica del progetto riguarda il riutilizzo dell’anidride carbonica catturata. Oltre alla rimozione di CO2 dall’atmosfera, infatti, CarpeCarbon esplora anche l’utilizzo della CO2 catturata per una vasta gamma di applicazioni industriali come la produzione di carburanti sintetici net zero per l’aviazione, la produzione di farmaci, i processi di riciclo delle batterie per i veicoli elettrici, materiali di costruzione a impatto zero, produzione di bevande gasate e prodotti decaffeinati.

Un approccio sostenibile in senso olistico che risponde all’esigenza dell’Sdg 12 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite che punta sull’economia circolare per realizzare un modello di consumo e di produzione sostenibile.

Sempre più CO2 nell’atmosfera

La stessa azienda spiega sul suo sito ufficiale: “Ad oggi, mentre continuiamo a rilasciare CO2 come sottoprodotto delle nostre attività, Dac è uno dei servizi di gestione dei rifiuti più trascurati ma necessari per la nostra società. Le attività umane hanno alterato il ciclo del carbonio della Terra attraverso lo sfruttamento dei combustibili fossili, sconvolgendo l’equilibrio climatico ed esponendo l’umanità alle conseguenze devastanti del riscaldamento globale”.

Prima del 1850 le emissioni di CO2 erano inesistenti e stabili, inferiori a 1 gigatone. A partire dal 1850, le emissioni sono aumentate sempre più rapidamente fino a raggiungere circa 15 gigatoni di CO2 emesse nel 1950, e, negli ultimi anni, più di 30 gigatoni di CO2.

Un aumento correlato a due macrofenomeni: l’aumento della popolazione mondiale; l’aumento della ricchezza e dello sviluppo industriale su scala mondiale.

La curva di Keeling mostra graficamente l’incedere di questa progressione che ha contribuito ad un innalzamento delle temperature globali, con conseguenze dirette sul clima, sugli ecosistemi e sulla vita umana. L’anno scorso, per la prima volta nella storia, la temperatura si è attestata a +2°C rispetto al periodo preindustriale e il 2023 è stato un annus horribilis in tema di catastrofi naturali. [Fonte immagine: Wikipedia]

L’aumento della CO2 nell’aria (seguito da quello di metano) è il principale responsabile di questi scenari, e i dati dicono che non basta più ridurne le emissioni, ma occorre catturarla.

Partito da tre giovani di Torino, un siciliano trapiantato a Milano e una ragazza di Isernia, la provincia più piccola d’Italia, CarpeCarbon oggi si presenta come la più valida alternativa per vincere questa battaglia.

Le prospettive future

La sfida non è semplice, ma i presupposti lasciano ben sperare come dimostra anche il finanziamento ricevuto dalla giovanissima startup (età media 32 anni). “Noi – ha dichiarato il Ceo Giuliano Antoniciello a Lasvolta.it – siamo convinti di riuscire a farlo così bene che, se tutto va come previsto, il nostro impianto può lavorare completamente scollegato dalla rete elettrica e senza la necessità di dover produrre in loco grandi quantità di energia (rinnovabile). Questo significa che in un colpo solo ci siamo liberati della dipendenza da supply chain molto complesse e spesso fragili, che stanno alla base della produzione di energia rinnovabile, e dall’altra parte abbiamo disaccoppiato il problema della rimozione della CO2 atmosferica da quello della transizione energetica”.

Antoniciello spiega che la tecnologia Dac rimuove la CO2 dall’atmosfera e non solo dal punto in cui viene prodotta come, invece, fanno i più noti sistemi Ccs (Carbon Capture and Storage). In sostanza, questo consente di catturare anche l’anidride carbonica già immessa nell’atmosfera, e non solo di “annullare” le nuove emissioni.

“Tutti questi discorsi – spiega ancora il Ceo di CarpeCarbon – hanno un senso se passiamo dalle attuali 35 miliardi di tonnellate l’anno di emissioni nette di CO2 a zero: è il famoso scenario net zero e questo deve avvenire da qua al 2050 per rispettare gli obiettivi climatici dell’accordo di Parigi. Avvenuto questo, non sarà ormai più sufficiente arrivare a zero, bisognerà rimuovere attivamente grandi quantità dall’atmosfera. Lo si può fare grazie a tecnologie come la nostra”.

Il 2024 potrebbe essere un anno cruciale per la startup italiana. L’ambiente e i cittadini del futuro attendono fiduciosi.

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Sostenibilità

Eventi estremi, la ‘mappa’ delle aree più a...

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Uno studio Enea pubblicato sulla rivista Safety in Extreme Environment ha permesso di identificare le aree del nostro Paese più a rischio di mortalità per eventi climatici estremi

Alluvione - (Fotolia)

Trentino-Alto Adige in testa, seguita da Lombardia, Sicilia, Piemonte, Veneto e Abruzzo. Uno studio Enea pubblicato sulla rivista Safety in Extreme Environment ha permesso di identificare le aree del nostro Paese più a rischio di mortalità per eventi climatici estremi, che dal 2003 al 2020 hanno causato complessivamente 378 decessi, di cui 321 per frane e valanghe, 28 per tempeste e 29 per inondazioni.

Le regioni più a rischio

Le regioni con il maggior numero di decessi e di comuni coinvolti sono risultate: Trentino-Alto Adige (73 decessi e 44 comuni), Lombardia (55 decessi e 44 comuni), Sicilia (35 decessi e 10 comuni), Piemonte (34 decessi e 28 comuni), Veneto (29 decessi e 23 comuni) e Abruzzo (24 decessi e 12 comuni), con un alto numero di comuni a rischio riscontrato anche in Emilia-Romagna (12), Calabria (10) e Liguria (10). Tra le regioni ad alto rischio c’è anche la Val d’Aosta con 8 decessi, un numero elevato se si tiene conto degli abitanti complessivi.

“La mortalità è l’unico indicatore sanitario immediatamente disponibile per tutti i comuni italiani e la Banca Dati Epidemiologica dell’Enea consente di effettuare studi sull’intero territorio nazionale utilizzando la mortalità per causa come indicatore di impatto”, spiega Raffaella Uccelli, ricercatrice del Laboratorio Enea Salute e Ambiente e coautrice dello studio insieme alla collega Claudia Dalmastri.

Dallo studio emerge inoltre che circa il 50% dei 247 comuni italiani con almeno un decesso è costituito da centri montani o poco abitati, dove il rischio di mortalità associata a eventi meteo-idrogeologici estremi potrebbe essere connesso alla loro fragilità intrinseca e alle difficoltà degli interventi di soccorso.

“A livello demografico le vittime sono state 297 uomini e 81 donne. La ragione di questa disparità fra i sessi potrebbe essere collegata, almeno in parte, a diversi stili di vita, alle attività svolte, agli spostamenti casa-lavoro e ai tempi diversi trascorsi all’aperto”, sottolinea Claudia Dalmastri.

Eventi estremi in aumento

Nel nostro paese, oltre il 90% dei comuni e oltre 8 milioni di abitanti sono a rischio a causa di eventi climatici estremi, in particolare frane (1,3 milioni di abitanti) e inondazioni (6,9 milioni di abitanti). Da gennaio a maggio 2023, si sono verificati 122 eventi meteorologici estremi rispetto ai 52 registrati nello stesso periodo del 2022 (+135%)(dati Legambiente 2023) e le regioni più colpite sono state Emilia-Romagna, Sicilia, Piemonte, Lazio, Lombardia, Toscana. Tutte queste aree, eccetto il Lazio, sono state identificate come a rischio anche nello studio Enea.

“Gli eventi meteo estremi stanno aumentando di frequenza e intensità a causa dei cambiamenti climatici, con conseguenze drammatiche su territori e popolazioni, in particolare sugli over 65, la cui percentuale in Italia è aumentata del 24% in 20 anni. Conoscere le aree a più alto rischio anche per la mortalità associata diventa quindi fondamentale per definire le azioni prioritarie di intervento, allocare risorse economiche, stabilire misure di allerta e intraprendere azioni di prevenzione e di mitigazione a tutela del territorio e dei suoi abitanti”, conclude Raffella Uccelli.

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Piantare alberi nel modo giusto, la scienza in soccorso del...

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Piantare alberi nel modo giusto, la scienza in soccorso del policy-making

Non c’è organizzazione, governo nazionale o locale che negli ultimi anni non abbia promesso di piantare degli alberi per combattere il riscaldamento globale. Gli esperti di The Nature Conservancy, ente non profit con sede ad Arlington, negli Stati Uniti, li mettono in guardia: non tutte queste iniziative contribuiscono al benessere del Pianeta. I progetti che non tengono conto dell’albedo, il potere riflettente di una superficie, rischiano di sovrastimare i loro effetti positivi del 20-80%. Lo riporta Agence France-Presse.

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Contrastare il cambiamento climatico è una priorità per gli...

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I dati del sondaggio Euronews-Ipsos

cambiamento climatico - storyblocks

Si avvicina la data delle elezioni europee, che in Italia si svolgeranno l’8 e il 9 giugno 2024, ma quali sono i temi più sentiti dagli elettori europei? Agire per contrastare il cambiamento climatico è una delle priorità per oltre la metà dei cittadini del Vecchio Continente. Per contro, meno di un terzo di essi ritiene che sinora l’UE abbia avuto un impatto positivo in difesa dell’ambiente. È quanto emerge dal primo sondaggio paneuropeo di questo genere svolto da Euronews e Ipsos su un campione di quasi 26 mila persone di 18 diversi Paesi. Dunque, se da un lato i cittadini sentono forte la necessità di dover fare qualcosa di concreto per limitare i danni degli eventi climatici sempre più disastrosi, dall’altro emergono non poche perplessità circa l’operato dell’UE in difesa dell’ambiente e delle persone.

I dati dei singoli Paesi

Contrastare il cambiamento climatico non è però sentito come una priorità allo stesso modo dai cittadini dei diversi Stati membri dell’UE. Sono soprattutto danesi (69% degli interpellati) portoghesi (67%) e svedesi (62%) a considerarlo come un tema centrale di cui dovrebbe occuparsi maggiormente il Governo centrale europeo. Al contrario, polacchi, cechi e finlandesi ritengono la questione non prioritaria: nel complesso solo il 34% del totale degli elettori di questi tre Paesi pensano sia un tema fondamentale. In particolare, in Polonia il 35% degli intervistati ritiene che la lotta al cambiamento climatico sia una questione secondaria. A livello di genere e fascia d’età, le donne europee sono più propense a pensare che le questioni inerenti al cambiamento climatico siano prioritarie, il 55% contro il 45% degli uomini. Il sondaggio sottolinea che, invece, l’età non rappresenta un elemento fondamentale nelle scelte dei cittadini europei, infatti, circa la metà di tutte le fasce ritiene la questione del clima prioritaria, circa un terzo la considera “solo” importante.

L’azione dell’UE in difesa dell’ambiente

Se da un lato le nuove direttive europee introdotte negli ultimi anni hanno portato notevoli cambiamenti anche mediante l’applicazione di misure drastiche per cercare di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, dall’altro la percezione dei cittadini sull’impatto di tali norme non è molto positiva. Solo il 32% degli elettori europei ritiene che l’UE abbia avuto effetti favorevoli sulla protezione dell’ambiente. Tra i cittadini che hanno un parere positivo circa l’operato del Governo europeo su tali temi vi sono al primo posto i rumeni (48%), seguiti dai portoghesi (47%) e dai finlandesi (45%). All’opposto, tra i più critici ci sono i francesi: il 39% di loro ritiene che Bruxelles abbia addirittura avuto un impatto negativo sul contrasto al cambiamento climatico. Molto critici anche gli olandesi, solo uno su quattro ha una visione positiva dell’azione ambientale dell’Unione. Proprio in Francia e Paesi Bassi, infatti, si sono di recente tenute grandi manifestazioni di protesta, specie degli agricoltori, contro il Green Deal che sarebbe la causa dell’aumento dei prezzi dei prodotti comunitari a discapito di quelli extra UE.

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