Politica
Caso Moro, esce libro: “Quel 9 maggio Cossiga e Paolo...
Caso Moro, esce libro: “Quel 9 maggio Cossiga e Paolo VI in attesa della liberazione, poi lo choc”
C'è ancora chi preferisce non esporsi, tornando però a raccontare cose che riaffiorano nel tempo. Ci sono ancora -quel che più conta- tante zone d'ombra, troppe, per quello che è il delitto politico più clamoroso della storia della Repubblica. E alla fine, a 46 anni dall'omicidio di Aldo Moro, si continua a riflettere, a cercare di capire, a scartare fake news e quindi a scrivere. Come fa nel suo libro la giornalista e scrittrice Stefania Limiti ("Quel che resta del caso Moro", edizioni Interlinea, pp. 155, in uscita domani, 16 marzo) costruendo la sua narrazione nel dialogo tra chi fu testimone di quei giorni e la realtà geopolitica di fine anni '70, che vedeva l'Italia come la faglia più pericolosa dell'ecosistema nato dopo Yalta, tra interessi atlantisti e piduisti, e presunti rischi di vittoria politica dei comunisti italiani, troppo lontani anche da Mosca e quindi fuori controllo.
Il volume ha il merito di riaccendere i fari, senza ricorrere ad azzardate ipotesi e dietrologie, sulla drammatica vicenda che inizia il 16 marzo del 1978 a Via Fani, con la strage dei 5 uomini della scorta e il rapimento di Moro, e tutto quello che poi implode, per fattori esterni e ancora poco noti, all'interno di una serie di trattative per la liberazione dell'uomo simbolo del compromesso storico, che tutti volevano salvare (e forse potevano in tanti) e nessuno riuscì a far uscire vivo dalla 'prigione del popolo'.
Se si guarda all'epilogo, al 9 maggio, quella storia, con la 'S' maiuscola, che la famiglia Moro evocherà come unico tribunale della verità per far chiarezza "sulla vita e sulla morte di Aldo Moro", sta per prendere una strada diversa. Quella che un regista come Marco Bellocchio, nel suo 'Buongiorno notte' sceglie di percorrere, con un Moro libero e confuso per le strade di Roma, dopo 55 giorni. Eppure, stando al racconto di Limiti -ecco la testimonianza della fonte coperta "ma di primo piano nella democrazia cristiana del tempo", come sottolinea la stessa autrice all'AdnKronos- quella possibilità che avrebbe cambiato la Storia -certo del Paese ma anche di quell'uomo- fu a un passo dal divenire realtà, proprio la mattina del 9 maggio. Moro stava infatti per essere liberato.
"9 maggio 1978, ore 7,45: sappiamo che Cossiga entra alla buvette di Montecitorio ed è soddisfatto. Assicura un testimone che era lì: "Andavo sempre verso quell'ora proprio perché si poteva incontrarlo facilmente, erano minuti preziosi per parlarsi - è la testimonianza raccolta dall'autrice- . Credo che avesse convocato Signorile al Viminale nelle ore successive, come è noto, proprio perché avrebbe dato ai socialisti, al di là del loro effettivo ruolo, la responsabilità dell'esito positivo del sequestro. Sì, Cossiga era davvero contento durante quel caffè, naturalmente non mi disse nulla...".
Ha gioco facile, l'autrice a mettere in fila orari e avvenimenti noti con quanto apprende dalla fonte scudocrociata, che innanzi tutto offre una chiave di lettura nuova dell'incontro tra Cossiga e Signorile, su cui anche ultimamente si è tornati a parlare, per retrodatare clamorosamente la notizia di Moro rivenuto morto a Via Caetani, ben prima della telefonata del brigatista Morucci al professor Franco Tritto. Ora si aggiunge un tassello non da poco: Cossiga pare dunque voler coinvolgere il vicesegretario socialista per trovare un modo 'accettabile' per dare all'opinione pubblica e forse anche ai tanti nemici di Moro dentro e fuori della Dc, la notizia della liberazione del suo vecchio maestro, senza derogare dalla linea della fermezza, apparentemente unica stella polare di democristiani e comunisti.
E' libero grazie a una trattativa che ha visto al centro i socialisti, poteva essere l'escamotage accettato da tutti. Stesso ottimismo pareva nutrirlo il Vaticano. Già l'8 maggio "la cerchia dei più stretti assistenti di Paolo VI venne messa in allarme perché avrebbe potuto ricevere una telefonata in cui si annunciava l'accettazione della proposta da parte delle Br e l'avvio delle procedure per la liberazione dell'ostaggio", scrive ancora Limiti, riportando la testimonianza di don Cesare Curioni, l'uomo della trattativa portata avanti dalla santa Sede.
Nel libro si apprende pure come lo stesso Fanfani, dopo la telefonata ultimatum di Mario Moretti del 30 aprile, in cui il capo delle Br chiede un segnale immediato della Dc per evitare l'epilogo sanguinario, fosse ormai pronto a metterci la faccia. "Fanfani -racconta alla Limiti Beppe Pisanu, nel 1978 capo della segreteria politica di Benigno Zaccagnini- non aveva ancora parlato quando arrivò la notizia della morte di Moro". Qualcuno decise che le parole dell'altro cavallo di razza dello scudocrociato, avrebbero messo nei guai chi invece voleva la fine di Moro. Ucciderlo dopo il via libera alla trattativa di Fanfani sarebbe stato un colpo mortale per gli avversari di Moro, brigatisti e non, e quindi non si diede il tempo a Fanfani di intervenire.
Per arrivare a presentare questo nuovo pezzo della vicenda la ricostruzione della Limiti, già autrice di 'Doppio livello, come si costruisce la destabilizzazione in Italia', lascia spazio più volte alle parole di Moro, ma non soltanto a quelle tristemente note del cosiddetto 'Memoriale' o quelle scritte nelle decine di lettere indirizzate a amici e politici durante i 55 giorni. Trovano posto infatti nel volume brani significativi degli interventi del Moro politico e non ancora prigioniero dei brigatisti. Che a ben vedere, sin dagli anni '60, dalla prima apertura ai socialisti, non sono riflessioni e timori così diversi da quelli che ribadirà poco prima di morire.
"La Dc ha perduto la forza di essere se stessa e di farsi rispettare, non ha nessuna voglia di cambiare strada, non intende imparare niente dai fatti, c'è una congiura della mediocrità e dell'incultura", dice Moro nel '71, non nascondendo il suo timore per l'avanzata della Destra alle ultime elezioni. Il leader democristiano non ci gira intorno, chiede al partito "di uscire dal suo cinismo, dalla sua mediocrità, dalla sua paura, dal suo elettoralismo deteriore" e di essere "invece capace di offrire una parola di franchezza e di chiarezza, una prospettiva di più sostanziale libertà". Accuse che ripeterà anche quando sarà nelle mani dei suoi carcerieri, non risparmiando critiche ai vari Andreotti e Zaccagnini. (di Francesco Saita)
Politica
Ue, Meloni si sfila da ‘toto-Draghi’:...
"Sono i cittadini che decidono le maggioranze, non partecipo al dibattito"
Non apre e non chiude, semplicemente si sfila. Perché sul futuro di Mario Draghi ai vertici dell'Europa - quella che verrà dopo il voto del 9 giugno - per Giorgia Meloni si fa mera "filosofia". I giochi si decideranno soltanto poi, quando i voti saranno nero su bianco e i rapporti di forza ben definiti. Tutto questo dibattere attorno all'ex premier e numero uno della Bce sembra quasi infastidirla. Lasciando l'Europa Building dopo un Consiglio europeo che si è protratto ben oltre ogni più fosca aspettativa -tanto che al 'fischio' di fine vertice un applauso spontaneo si leva dalla sala stampa-, la premier si ferma per un punto stampa alla lanterna, rispondendo a ogni singola domanda come fosse su un ring.
Aborto, par condicio, carcere per i giornalisti, discesa in campo di Ilaria Salis, vendita dell'Agi: ribatte domanda su domanda parlando spesso -per ben 4 volte- di fake news. E anche su Draghi, lascia intendere, è la stampa ad aver 'ricamato'. "Io sono contenta che si parli di un italiano - premette - ma questo dibattito è filosofia. La tendenza di decidere prima che i cittadini votano non mi troverà mai d'accordo. Sono i cittadini che decidono le maggioranze, per questo non parteciperò al dibattito" su Draghi sì, Draghi no, Draghi forse.
"Questo dibattito è buono per i titoli dei giornali e fare campagna elettorale - aggiunge poi - ma non è così che funziona. Questa tendenza a tentare di decidere chi fa cosa prima che i cittadini votino è una tendenza sulla quale non mi troverete mai". E pazienza se le parole pronunciate da 'Super Mario' alla vigilia del vertice siano suonate alle orecchie di molti come un discorso programmatico, la rotta che punta a un ruolo di peso nei futuri assetti europei.
"A giugno spero l'Europa sia diversa, capace di rispondere alle sfide"
I giochi si fanno poi, torna a ribadire Meloni, che mezz'ora prima dell'avvio del summit incontra la presidente uscente Ursula Von Der Leyen, candidata del Ppe in corsa per il bis ma con un certo affanno, complice il 'fuoco amico' del Partito popolare europeo. Con lei, dirà poi Meloni incontrando i giornalisti, ha parlato di migranti, con i flussi "in significativo calo", rivendica, prova che la strategia messa in piedi "sta dando risultati". Ma è comunque un'Europa "diversa" quella che la premier italiana vede dopo il voto, “capace di rispondere alle grandi sfide” che l’attendono.
Perché un cambio di passo va impresso, e il rapporto di Enrico Letta - su cui oggi si sono 'accapigliati' i leader- e il cambiamento "radicale" chiesto da Draghi dimostrano, rimarca, che le critiche mosse in passato da chi certo non vantava l’etichetta dell’europeista convinto un fondamento l’avevano: "Fino a ieri ci dicevano che andava tutto bene - rivendica Meloni, ricordando il 'pedigree' di Letta e Draghi - oggi fanno i conti con il fatto che le priorità sono altre".
E lei sente di avere l’opinione pubblica dalla sua parte: "Potete continuare a ripetere che sono una pericolosa fascista e mi aiutate anche, visto che penso che la gente che vede il lavoro di questo governo si renda conto che gli estremisti stanno da un'altra parte", dice. Come stanno dall'altra parte, per l'esattezza "a sinistra" -accusa- quelli che vorrebbero cambiare la Legge 194, ma che a suo dire non hanno il coraggio di dirlo, di intestarsi la battaglia.
Meloni difende a spada tratta l’emendamento della discordia al dl Pnrr quater sui movimenti pro-vita nei consultori: "Ricalca esattamente il testo della 194", che è una "legge equilibrata". Anche sul 'balletto' andato in scena in vigilanza sulle regole della par condicio, "non c’è nessuna TeleMeloni, non accetto lezioni di democrazia da nessuno", tuona.
Mentre il carcere per i giornalisti - altra notizia che ha infiammato il dibattito - "c’è già, è una legge di Fdi che lo sta togliendo". Lei, assicura, difende "la libertà di stampa", e infatti assicura non ci sia la sua ‘manina’ -"ho letto tante falsità e ricostruzioni surreali"- dietro la vendita dell’Agi, al centro della trattativa Eni-Angelucci: "Non so se chi ispira queste letture fosse abituato a usare le partecipate dello Stato per risolvere i problemi privati degli amici o per stiparci i parenti, può essere che sia stato così ma non è la mia lettura su a cosa servano le partecipate”.
"Salis candidata? Non so quanto aiuti..."
Sul caso Salis - mentre la candidatura per Avs viene prima smentita e poi annunciata - Meloni assicura che il Governo continuerà a fare il suo lavoro. "Non cambia nulla" riguardo alla detenzione della maestra 39enne, "verrà garantita comunque come è giusto". "La politicizzazione della vicenda, come ho già detto in passato, non so quanto possa aiutare il caso in sé", ma "le scelte personali di Salis non mi permetto di giudicarle".
Politica
Ilaria Salis, Mimmo Lucano: “Candidata alle Europee?...
"Sta pagando per la difesa dei diritti umani"
''Sono contento della candidatura di Ilaria Salis". Lo dice all'Adnkronos, Mimmo Lucano, candidato alle Europee di Avs, commentando la discesa in campo per la sfida di Bruxelles anche di Ilaria Salis. "Lei è un'attivista, la sua candidatura nasce dalla condivisione di un ideale, non da opportunismi o altro, visto quello che sta pagando per il suo impegno politico, perché si schiera a difesa del rispetto dei diritti umani ed è una antifascista''.
Politica
Fine vita, governo presenta ricorso a Tar contro delibere...
Per l'esecutivo, le delibere sul suicidio assistito non hanno fondamento
Il governo ha presentato ricorso al Tar dell'Emilia Romagna il 12 aprile scorso contro la Regione, in particolare, contro la direzione sanitaria Salute della persona, per chiedere l'annullamento delle delibere di Giunta che davano attuazione al suicidio medicalmente assistito in Emilia Romagna.
Ad annunciarlo è la consigliera regionale di Forza Italia Valentina Castaldini, che pure aveva depositato un ricorso analogo nel marzo scorso, insieme a un gruppo di associazioni. ''A marzo io, insieme ad alcune associazioni, avevo presentato un analogo ricorso al Tar: il testo è di oltre 50 pagine", dice all'Adnkronos l'esponente azzurra che esprime soddisfazione per il provvedimento del governo che rafforza il lavoro di questi mesi''.
Il ricorso del governo
La Regione Emilia Romagna "ha previsto un articolato procedimento amministrativo che conduce alla erogazione della prestazione 'suicidio medicalmente assistito" e ha agito "in evidente carenza di potere per assenza di copertura legislativa e violazione, tra gli altri, del principio di uguaglianza e di riserva al legislatore statale della materia dell’ordinamento civile e penale", si legge nel ricorso che il governo ha presentato al Tar dell'Emilia Romagna.
Con le delibere la Regione Emilia-Romagna, spiega il ricorso, "nel dichiarato intento 'di consentire da subito ai cittadini l’effettivo accesso a tale diritto' (il suicidio medicalmente assistito, n.d.r.), riconosciuto, ad avviso della Regione stessa, dalla sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale, ha illegittimamente disciplinato in via amministrativa quali siano gli organismi competenti a valutare gli stringenti requisiti indicati dalla stessa Corte per scriminare il reato di aiuto al suicidio" previsto dall’articolo 580 codice penale.
Dunque, argomenta ancora il ricorso "in assenza di qualunque previsione normativa statale, in palese violazione del principio di legalità, la Regione Emilia Romagna ha disciplinato una pretesa a carico del Ssn senza che tale pretesa sia stata in qualche modo riconosciuta dall’ordinamento, e ciò sulla base di un procedimento destinato, oltretutto, ad operare al di fuori di un quadro ordinamentale omogeneo". Le delibere sono dunque state assunte "in palese violazione del principio di legalità del potere amministrativo" che "prescrive che la Pubblica Amministrazione possa agire solo nei limiti di quanto prevede una norma di legge e per il perseguimento dei fini indicati nella norma stessa" e hanno "nella sostanza, riconosciuto e disciplinato le modalità di esercizio di un diritto 'al suicidio assistito”' diritto che non è previsto dalla legge e che la stessa Corte costituzionale ha escluso".
"Appare evidente che non vi è alcun diritto al 'suicidio assistito' che possa legittimare un intervento attuativo dell’autorità amministrativa, come invece accaduto nel caso di specie", denuncia ancora il ricorso. "L’organo di governo della Regione Emilia Romagna è dunque intervenuto, non solo e non già in assenza di disciplina legislativa o regolamentare sul punto, ma ponendosi in frontale contrasto con la relativa disciplina normativa statale, la quale ha delineato le specifiche modalità ed i percorsi procedimentali per pervenire alla implementazione degli ambiti di operatività del Ssn, tutti impostati nel segno del coinvolgimento delle amministrazioni regionali, e della concertazione con le stesse".