Esteri
Iran e la “bomba atomica in 7 giorni”, cosa...
Iran e la “bomba atomica in 7 giorni”, cosa dicono gli esperti
Gli analisti sul rapporto del think tank con sede a Washington: "Propaganda Usa e Israele, rivelazioni su atomica pretesto per guerra"
Secondo l'ultimo rapporto dell'Institute for Science and International Security, think tank con sede a Washington fondato da David Albright, l'Iran sarebbe in grado in soli sette giorni, se volesse, di arricchire l'uranio a livelli tali da poter costruire una bomba atomica. "Propaganda americana e israeliana", commenta all'Adnkronos il docente universitario e consigliere del team dei negoziatori iraniani a Vienna per l'accordo sul nucleare, Mohamed Marandi.
"L'Iran non ha mai avuto un programma di armi nucleari. Questa è sempre stata propaganda americana e israeliana", precisa Marandi, secondo cui "tutto potrebbe risolversi in pochi giorni se gli Usa accettassero di attuare pienamente il Jcpoa", l'accordo sul programma nucleare di Teheran del 2015 dal quale tre anni dopo gli Stati Uniti, sotto la presidenza di Donald Trump, si ritirarono unilateralmente.
Marandi risponde quindi alla domanda sul perché Teheran continui a non essere del tutto trasparente riguardo al suo programma nucleare e a non consentire agli ispettori dell'Aiea l'accesso a tutti i suoi impianti. "Gli Stati Uniti non possono aspettarsi che l'Iran attui l'accordo finché violano i loro impegni. Quei giorni sono finiti", replica l'analista, sottolineando che "l'Iran è stato trasparente mentre gli Stati Uniti hanno abbandonato l'intesa".
In un'intervista all'Adnkronos Pejman Abdolmohammadi, professore di Relazioni internazionali del Medio Oriente all'Università di Trento, commenta così il rapporto del think tank: "In un momento in cui sembra che ci siano molti attori che vogliano la guerra in Medio Oriente, mi sembra più un pretesto per scatenare un conflitto" piuttosto che un rapporto basato su una "documentazione credibile".
"Bisogna stare molto attenti a non ricadere nella stessa situazione del 2003 contro Saddam Hussein, quando in un momento di estrema incertezza del Medio Oriente, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno cercato di forzare la situazione denunciando la presenza di armi di distruzione di massa e motivando un attacco che ha creato un'enorme instabilità", spiega Abdolmohammadi, che vede nel rapporto "un rischio del genere".
L'esperto ritiene, inoltre, che anche se l''Institute for Science and International Security è "sicuramente accreditato negli Stati Uniti", si tratta di un think tank con una chiara visione politica e che dovrebbe rendere noti i documenti in suo possesso per accreditare la sua versione e dare maggior forza al suo rapporto.
Cosa dice il rapporto del think tank
Per la prima volta da quando ha iniziato a seguire il programma nucleare iraniano negli anni Novanta, l'Institute for Science and International Security nel suo rapporto ha innalzato la minaccia nucleare di Teheran a 'Pericolo Estremo', il più alto su una scala di sei livelli.
Dal 2022, ha rimarcato il think tank, il tempo di 'breakout' dell'Iran è pari a zero, vale a dire che la Repubblica islamica "ha più che sufficiente uranio altamente arricchito (Heu) per fabbricare direttamente un esplosivo nucleare". L'uranio in sé non è l'unico componente necessario per costruire un'arma atomica, ma è di gran lunga il più difficile da reperire.
"Se l'Iran volesse arricchire ulteriormente il suo uranio arricchito al 60% fino al 90% per produrre un'arma potrebbe farlo rapidamente", ha insistito il rapporto, evidenziando come a Teheran basterebbe solo "una settimana", utilizzando tra l'altro solo una frazione del suo uranio arricchito al 60%. Se la Repubblica islamica utilizzasse le rimanenti scorte di uranio arricchito, ha messo ulteriormente in guardia il think tank, "potrebbe avere in totale abbastanza uranio ad uso militare per produrre sei armi in un mese".
Esteri
Ucraina, Crosetto: “Italia ha fornito tutto quello...
"Noi veniamo da 40 anni con l'idea che la difesa fosse qualcosa di cui non avevamo bisogno"
"Noi domani avremo una incontro, una call, a cui presumo ci sarà lo stesso Zelensky, per fare il punto" sugli aiuti all'Ucraina. "Mi pare che l'Europa e l'Italia in particolare abbiano fornito in questo periodo tutto quello che riuscivano a dare". Lo ha detto il ministro della Difesa Guido Crosetto, intervenendo all'incontro promosso da PwC Italia in collaborazione con il gruppo editoriale Gedi, dal titolo 'Il ruolo della ricerca militare nello sviluppo economico italiano'.
"Il problema - ha spiegato - è che noi veniamo da 40 anni con l'idea che la difesa fosse qualcosa di cui non avevamo bisogno, che le scorte e gli investimenti per la difesa non servissero, per cui non abbiamo magazzini pieni con cui possiamo aiutare. Quello che potevamo dare fino ad adesso l'Italia lo ha dato quasi integralmente. La parte che non ha ancora dato la darà prossimamente", ha detto il ministro.
"Sono talmente arrabbiato che dico una cosa pubblicamente: l'Italia ha ordinato alcuni sistemi di difesa aerea Samp-T due anni fa, l'industria che ha la commessa mi dice che li consegnerà tra tre anni. Un ordine di Samp-T per la difesa italiana fatto due anni fa, l'industria mi dice che lo consegna tra tre anni", ha proseguito.
"Voi pensate che uno possa fare il ministro della difesa o difendere un Paese con questi tempi? Non riesco a capire come sia possibile metterci tre anni per costruire una qualunque cosa, anche la più complessa che esiste al mondo", ha osservato Crosetto, spiegando che il problema è che "noi abbiamo un'industria che si era tarata su una capacità produttiva in cui lo Stato fa l'appalto, dà i soldi, quando li dà si inizia a costruire e poi quando si riesce, si consegna. Invece viviamo tempi in cui avremmo bisogno delle cose subito". Il problema - ha riferito il ministro - "non è solo italiano, ma europeo. Lo ha anche il ministro francese, con cui stiamo facendo una battaglia a due".
A differenza di quanto accade in Europa, "in Russia, in Cina e in Iran alzano il telefono e l'azienda che prima faceva frigoriferi" viene convertita per la produzione della difesa. "Noi invece ci confrontiamo con regole costruite in tempi di pace e in tempi normali in tempi che non sono di pace e non sono normali".
Esteri
India al voto, Armellini: “Grande democrazia? Con...
L'ex ambasciatore a Nuova Delhi: "Il Paese è cresciuto, ma stretta autoritaria sempre più opprimente"
L'India resta un grande Paese, ma non è detto che resterà una grande democrazia. Alla vigilia della prima tornata elettorale nel gigante asiatico - dove da domani al primo giugno poco meno di un miliardo di elettori andrà a votare in 28 Stati federali e otto territori - l'ex ambasciatore italiano a Nuova Delhi, Antonio Armellini, parla con l'Adnkronos dell'India di Narendra Modi, che si avvia al suo terzo mandato, dopo dieci anni già al governo.
Con il leader del Bjp "l'India è molto cambiata, è cresciuta economicamente, è migliorata al suo interno, il programma di investimenti sulle infrastrutture ha portato risultati ed il sistema finanziario è stato ammodernato", riconosce Armellini. Che tra i 'meriti' cita "la presa sull'elettorato, che si è ampliato e non è più solo quello tradizionale del Bjp", il partito dei commercianti e degli imprenditori.
Parallelamente, osserva l'ex ambasciatore, "la stretta autoritaria del governo Modi è diventata sempre più opprimente, figlia di un controllo e di un meccanismo del consenso molto sofisticati", mentre l'opposizione divisa e frammentata "è in difficoltà nel trasmettere un qualche tipo di messaggio che possa essere recepito dagli elettori".
L'India cresce "ma crescono anche le diseguaglianze", sottolinea ancora Armellini, mentre si avvia a diventare "una democrazia autoritaria sempre più lontana dal modello che ne aveva fatto un unicum nel continente asiatico, una grande democrazia liberale, figlia del pensiero politico del 19mo secolo, che aveva avuto anche Giuseppe Mazzini tra gli ispiratori della lotta per l'indipendenza". "L'India laica, tollerante, multietnica, rispettosa dello stato di diritto non è l'India di Modi, fortemente identitaria - ragiona l'ex ambasciatore - L'India è un grande Paese, ma che resti una grande democrazia è un punto interrogativo".
Quanto alla politica estera di Nuova Delhi, che "ha una percezione di sé come grande potenza sullo stesso piano di Stati Uniti e Cina, il punto da cui partire è che l'India non ha alleanze, ma relazioni, è partner di molti, ma nel proprio interesse". Che è quello di "grande potenza autonomia con due punti di riferimento imprescindibili: il contrasto con la Cina e il conflitto con il Pakistan", spiega Armellini. E chi, "come a tratti cercano di fare gli Stati Uniti, pensa di poterla legare in una vera e propria alleanza, rischia di restare fortemente deluso".
Infine l'ex ambasciatore si dice convinto che Nuova Delhi abbia "una maggiore capacità di attrazione per diventare il punto di riferimento del Sud globale", in particolare rispetto a Pechino, che agli altri Paesi "richiede di schierarsi", laddove l'India ha un approccio meno identitario.
Esteri
G7, Tajani: “Tutti insieme dobbiamo dare messaggio di...
Le parole del ministro degli Esteri al summit di Capri
"Tutti insieme credo che dobbiamo dare un messaggio di pace". Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, nel corso del G7 Esteri a Capri.