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Cronaca

Perugia, palpeggia ragazza per strada: arrestato 28enne

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Sorpreso dai carabinieri mentre palpeggiava il sedere di una 18enne che camminava sulla stessa strada, è stato arrestato. E’ successo nel tardo pomeriggio di ieri a Perugia. Il ragazzo, un 28enne straniero emulo del tifoso che a Empoli ha toccato in diretta la giornalista collegata con lo studio per il dopo-partita, è stato fermato da un passante intervenuto in soccorso della vittima e dai militari che lo hanno portato nella caserma di via Ruggia con l’accusa di violenza sessuale.

La ragazza, appena subita la molestia, si è bloccata attonita cercando con lo sguardo quello di qualche passante che intervenisse in suo aiuto. E’ una studentessa fuori sede, tranquillizzata dai carabinieri che hanno raccolto la sua denuncia.

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Cronaca

Teen gang, Polizia Postale: ”Web centrale per formazione bande, monitoraggio per contrasto”

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il direttore Ivano Gabrielli: ''La rete da spazio identitario a luogo pianificazione reati''

Teen gang, Polizia Postale: ''Web centrale per formazione bande, monitoraggio per contrasto''

”Ci sono due momenti nell’attività in rete delle gang giovanili: quello della propaganda e dell’ostentazione del tratto identitario di un gruppo, che quindi è pubblico e ancorché con elementi radicali è assolutamente legale, e quello della riservatezza, ovvero quando questi giovani organizzano, concordano o si scambiano materiale illegale all’interno di gruppi ristretti e chiusi in cui l’essere confidente è necessario per poter entrare a far parte del nucleo, che è nascosto all’interno di diversi cerchi concentrici di conversazione”. Lo spiega all’Adnkronos Ivano Gabrielli, direttore del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni parlando del fenomeno delle teen gang, ovvero di gruppi di giovani tra i 14 e i 18 anni che compiono reati, dalle risse alle violenza sessuali.

”Le rete è centrale: è in rete che si forma un certo tipo di narrativa, la rete è il veicolo costante con cui i ragazzi comunicano, con cui si formano un’opinione, con cui si informano e con cui si sentono parte anche di un gruppo – chiarisce il direttore del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni – Non c’è più solo la dinamica reale del vedersi in un luogo, frequentare lo stesso locale, vestirsi alla stessa maniera o avere gli stessi tatuaggi. Un gruppo si identifica anche per le sigle, per lo slang che utilizza in rete, per gli acronimi, per i gruppi e i canali telegram a cui accede e di cui fa parte”.

E quindi anche le ”gang giovanili” proliferano in rete attraverso ”pubblicazioni di foto, di storie, di comportamenti ma anche attraverso il lancio di challenge” e la Polizia Postale tiene costantemente sotto osservazione il fenomeno, che ”può essere ascritto all’interno di una categoria più ampia che è quella delle devianza minorile”. Il monitoraggio avviene a ”livello centrale attraverso uno studio sistematico che viene fatto dall’unità analisi del Crimine informatico, composta da un’equipe di psicologi della Polizia di Stato e che ogni volta va a sondare fenomenologie, età, comportamenti ricorrenti per comprendere quale sia il migliore intervento” sia in chiave ”preventiva che di contrasto”. Si tratta di un’attività, sottolinea, che ”concorre per quello che ci riguarda alla gestione dell’ordine e la sicurezza pubblica”.

E’ ovvio, aggiunge, che se ”queste bande o anche ragazzi singoli progettano o rilanciano iniziative, che vanno dalla rissa pubblica all’aggressione alla programmazione di atti di vandalismo o di devastazione, come è successo in alcune città, finalizzate anche al furto di oggetti di valore o di vestiario, gli elementi informativi vengono condivisi per la migliore pianificazione dei servizi di polizia da parte delle Questure e dei competenti reparti della polizia”. ”Sul versante investigativo il monitoraggio può portare anche ad attività di contrasto: indagini che si chiudono con la denuncia di ragazzi, minori o maggiorenni che siano, per quelli che sono comportamenti di reato”, spiega.

E’ accaduto per esempio con ”l’indagine che è stata fatta di recente dal nostro Centro operativo di Milano su un gruppo di ragazzi che oltre a vantare ideologie xenofobe, razziste, estremiste e suprematiste, avevano al centro delle loro conversazioni la costruzione, l’utilizzo e l’impiego di armi” sfociata nella denuncia di diversi giovani che ”non erano tutti sullo stesso territorio ma che avevano rapporti tra loro”, dice.

Un’altra indagine, racconta, ”compiuta dal nostro Centro di Genova, con la Digos locale, ha messo sotto la lente d’ingrandimento ”un gruppo di ragazzi che invece faceva della violenza la propria ragione di coesione”: i giovani autoalimentavano ”la loro perversione con la circolazione di materiale raccapricciante come esecuzioni, stupri di bambini, materiale Gore (quel materiale talmente violento la cui visione è difficile da sostenere da parte di un adulto avvezzo a cose più cupe). La loro peculiarità era quella di incontrarsi e addestrarsi all’utilizzo delle armi anche simulando scene di attentati a carico di noti personaggi politici”.

L’inchiesta sul Capodanno di Firenze, spiega ancora Gabrielli, ”ha riguardato ragazzi che facevano della loro cerchia un gruppo chiuso, dove consumare reati ovvero illeciti come il consumo di droghe e di alcol in minore età fino ad arrivare ad atti di violenza sessuale”. E sul fronte del lavoro di prevenzione, la parte più importante che deve svolgere una struttura di polizia, ricorda che ”quest’anno, grazie all’attività informativa, siamo riusciti a evitare quello che accadde due anni fa per il 2 giugno sul lago di Garda”.

Quanto ai fenomeni più estemporanei Gabrielli spiega che sono ”difficilissimi da cogliere”, bisogna ”essere costantemente in rete, diventa un’attività che non può non essere continuativa”. ”Un tempo riuscivamo a monitorare le manifestazioni osservando l’andamento dei tweet, era la preistoria – prosegue – oggi si aprono e chiudono canali su piattaforme di comunicazione difficili da penetrare. Lo abbiamo visto anche con i rave: nonostante la rete sia il veicolo con cui magari viene organizzato il rave, quello che abbiamo toccato con mano è la difficoltà di andare a individuare il canale, il messaggio corretto, la cerchia ristretta in cui effettivamente viene promossa quel tipo di manifestazione illegale – conclude – eppure si dice, è tutto in rete, è tutto davanti ai nostri occhi. Per rendere l’idea c’è un detto israeliano che dice il miglior modo di nascondere un albero è quello di piantarlo in una foresta”. (di Giorgia Sodaro)

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Coronavirus

Covid, variante Pirola in Italia: cosa dicono Bassetti, Ciccozzi e Pregliasco

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Il parere degli esperti

Test Covid (Afp)

La variante Pirola è stata isolata a Brescia dal team di Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia, che lo annuncia all’Adnkronos Salute. L’isolamento di Pirola, precisa Caruso, è avvenuto dal campione di “un paziente fragile portato alla nostra attenzione. Il sequenziamento è in corso”. Ecco cosa ne pensano i maggiori esperti del nostro Paese.

La presenza della variante BA.2.86 o ‘Pirola’ anche in Italia, dice all’Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore di Malattie infettive all’ospedale Policlinico San Martino di Genova, “non è un elemento di preoccupazione, come non lo è stata nessuna altra variante isolata fino a oggi. Anche in Usa dove Pirola è dominate non mi pare ci sia stato un aumento della gravità dei casi, ma una curva che è salita e poi rapidamente scesa. E’ la storia delle varianti, l’abbiamo imparata: hanno un interesse scientifico quindi congratulazioni al collega di Brescia, Arnaldo Caruso, ma devono rimanere argomento di puro interesse scientifico e non diventare un tema di discussione al bar o nei talk show. Lasciamole agli scienziati, perché ogni volta che è apparsa una variante nuova c’è chi ha fatto allarmismo, ma oggi basta ‘al lupo al lupo'”.

“Finalmente la variante BA.2.86 o ‘Pirola’ è arrivata in Italia. L’isolamento a Brescia è importante, per questa variante che ha circa 33-34 mutazioni che comprendono anche la proteina N” di Sars-CoV-2. Così all’Adnkronos Salute Massimo Ciccozzi, responsabile dell’Unità di Statistica medica ed Epidemiologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia del Campus Bio-Medico di Roma. “Una delle nostre preoccupazioni era che questa variante fosse in grado di ‘evitare’ i test antigenici. Ora, con l’isolmento a Brescia, avremo un vantaggio rispetto a questo fronte e anche su altre considerazioni”.

La variante Pirola in Italia è stata isolata a Brescia dal team di Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia, “in un paziente immunocompromesso – aggiunge Ciccozzi – come era accaduto anche in altri Paesi. Quindi c’è l’ipotesi che questa variante possa portare a una infezione in questa tipologia di persone e poi rilanciarsi con altri cambiamenti”.

La variante BA.2.86 di Sars-CoV-2, Pirola sui social, “preoccupa perché ha una trentina, forse anche più, di mutazioni nella proteina Spike” che il coronavirus utilizza per ‘agganciare’ le cellule bersaglio. Così all’Adnkronos Salute Fabrizio Pregliasco, virologo dell’università Statale di Milano, commentando il primo isolamento di Pirola in Italia a Brescia, da parte del team del presidente della Società italiana di virologia Arnaldo Caruso. “Mutazioni che possono influire sulla contagiosità e quindi Pirola è assolutamente candidata a diventare prevalente”.

“In questa fase – spiega Pregliasco – il virus di Covid, per poter continuare la sua opera, deve in qualche modo aumentare la propria capacità diffusiva in un contesto di immunità ibrida” conferita da infezioni e vaccinazioni. “E quindi queste tantissime variazioni sulla Spike facilitano senz’altro la possibilità di diffusione” di Pirola, ritiene l’esperto. “Ad oggi – ricorda – si tratta di una variante sotto osservazione, sottoposta a monitoraggio”. Una Vum (Variant under monitoring), secondo la classificazione dell’Organizzazione mondiale della sanità. “BA.2.86 è sostanzialmente, si ipotizza, una sottovariante di Omicron 2 (BA.2). E’ stata evidenziata da luglio – rimarca Pregliasco – ma già ad agosto era stata segnalata in diverse nazioni, 11 circa”.

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Cronaca

Omicidio Pantelleria, morta la donna data alle fiamme dal compagno

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La donna di 48 anni aveva ustioni sul 90% del corpo

E’ morta Anna Elisa Fontana, la donna di Pantelleria di 48 anni a cui sabato il compagno, Onofrio Bronzolino, 52 anni, aveva dato fuoco dopo averle gettato addosso della benzina. La donna, che aveva ustioni sul 90% del corpo, era stata trasportata d’urgenza in elisoccorso all’ospedale Civico di Palermo ma le sue condizioni erano subito apparse disperate. Anna, madre di cinque figli, è morta nella tarda mattinata di oggi. Al Civico di Palermo è ricoverato per ustioni anche il suo compagno. L’uomo, che potrebbe perdere la vista, è piantonato dai carabinieri.

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Cronaca

“Teen gang in aumento, ma ragazzi si possono recuperare”: l’analisi dell’esperta

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Chieffo (Gemelli): "Hanno avuto apprendimento sociale disfunzionale, fanno del male per essere visibili"

Gruppo di adolescenti  - (Foto 123RF)

Il fenomeno sociale delle ‘teen gang’, gruppi di adolescenti che si macchiano di reati come risse, percosse, lesioni, atti di bullismo, disturbo della quiete pubblica e atti vandalici fino ad arrivare allo spaccio di stupefacenti e a furti e rapine, “è in aumento in tutta Italia ma questi ragazzi si possono recuperare con la rieducazione perché sono ancora molto giovani ed è possibile disinnescare l’apprendimento fuorviante insito in alcune di dinamiche. Se il ragazzo è seguito bene può lasciarsi alle spalle questa esperienza”. Così all’Adnkronos Salute Daniela Chieffo, responsabile Unità operativa Psicologia clinica Fondazione Policlinico Gemelli Irccs di Roma.

“Queste ‘teen gang’ spesso prendono di mira coetanei fragili, anziani, malati psichici e anche animali – prosegue Chieffo – i membri aggrediscono e commettono anche reati nascondendosi dietro nomi che cercano di dare una identità precisa al gruppo. I ragazzi che frequentano queste teen gang hanno spesso profili simili l’uno con l’altro. Arrivano da contesti in cui non c’è il riconoscimento nel sistema familiare o dove c’è un forte contrasto all’interno della famiglia. Vengono da zone dove c’è una forte dispersione scolastica. I giovani hanno interiorizzato che il modo per essere visibili nei confronti della società è fare del male e aggredire. Possono essere ragazzi che hanno una vulnerabilità psicologica, passato una infanzia difficile, vittime di violenza o di relazioni genitoriali non facili”.

“Chi fa parte di questi gruppi ha avuto un apprendimento sociale disfunzionale – ricorda Chieffo – ma possiamo aiutarli con un processo di rieducazione con le tecniche di terapia cognitiva-comportamentale. La mente di un ragazzo adolescente è ancora ‘plastica’, così possiamo fargli capire che anche lui ha delle risorse interne e delle capacità che non sono collegate all’uso della violenza contro gli altri. Spesso il miglior trattamento è quello di gruppo con un ex membro di una teen gang, che ne è uscito, e racconta la sua storia e il suo vissuto diventando un modello di riferimento per chi sta iniziando questo percorso di fuoriuscita”.

“La scuola deve intercettare certi segnali, dove c’è dispersione allora c’è un segnale d’allarme visto che spesso è la scuola dell’obbligo – risponde l’esperta -. I ragazzi andrebbero intanto recuperati dalla scuola. Per i genitori il ruolo è più delicato e non sempre facile. Possono capire se c’è un cambiamento nel comportamento del ragazzo, anche solo nel modo di vestirsi, perché fa eccessivamente tardi o non risponde al cellulare, ma spesso le famiglie di provenienza hanno dei problemi e non riescono a svolgere questo lavoro”, conclude.

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Cronaca

Cei, cardinale Zuppi: “Credenti trovino coraggio di parlare di sessualità”

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Le parole del presidente dei vescovi

Il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi

“Forse è tempo perché anche noi credenti troviamo il coraggio di parlare di sessualità senza infingimenti, nella prospettiva dell’integrazione tra vita umana e vita spirituale”. Lo ha osservato il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, aprendo i lavori del Consiglio episcopale permanente. “L’educazione all’affettività – ha detto Zuppi rivolgendo un augurio a studenti e docenti – nasconde infatti un’esigenza ancora più profonda: l’educazione alla vita interiore, all’incontro con le profondità di sé stessi”.

“Molte famiglie rinunciano anche alla cura della propria salute perché i tempi di attesa delle Asl sono lunghi e non tutti possono permettersi di rivolgersi al privato” dice il presidente della Cei, affrontando anche il tema della sanità e dei lunghissimi tempi di attesa nella sanità pubblica. “Un altro aspetto della precarietà che si vive è quello legato alla denatalità. Occorrono servizi integrati sul territorio a sostegno delle famiglie, non solo aiuti materiali”, ha aggiunto.

Nei confronti del Papa e del suo messaggio ci sono “troppe resistenze spesso espresse in uno spirito di contrapposizione, favorito dai social, che affievolisce la comunione e intristisce la vita ecclesiale“. “I giovani – ha osservato Zuppi riferendosi alla Gmg di Lisbona – hanno colto il significato del ministero del Papa e il valore delle parole e del carisma di Francesco. Lo voglio ribadire di fronte a troppe resistenze verso di lui e il suo messaggio“.

Per Zuppi, sono “tristi e sterili le polarizzazioni nella Chiesa. Oggi, oltre le polemiche, si rischia la polarizzazione dell’indifferenza, spesso accentuata dalla disillusione, per cui le altre realtà o personalità ecclesiali sono ignorate o deprecate. Sinodalità vuol dire rimettere in discussione le arroccate solitudini ecclesiali nell’incontro, nella comunione, nell’ascolto, nell’impegno missionario enorme che ci attende confrontandoci con la folla e le sue sofferenze”.

“L’affetto per il Papa tocca in profondità la comunione nella Chiesa e la sua unità: specie per noi Vescovi italiani, per cui egli è Primate d’Italia”, ha sottolineato il presidente della Cei nel suo intervento. “La sinodalità è anche un cammino di comprensione piena del ministero del Vescovo di Roma. Un ministero tanto importante per la fede, l’unità della Chiesa, che si esprime anche al servizio dell’unità dei popoli in un periodo di così grandi lacerazioni”, ha osservato il cardinal Zuppi.

“Bisogna fermare la strage delle donne” chiede il presidente della Cei. “La società italiana non è in pace. Penso ai femminicidi, – ha detto il card. Matteo Zuppi – spesso amara conclusione di un processo di violenza sulla donna. La strage delle donne continua spesso causata dalla ricerca di libertà da un rapporto violento e possessivo (38 sono morte per mano di compagni o ex partner)”. Dati allarmanti alla mano, Zuppi ha evidenziato: “ Sono 79 le donne assassinate dall’inizio dell’anno: 61 in ambito familiare-affettivo. C’è in gioco il rispetto verso le donne, ma ancora più in profondità il nostro modo di essere famiglia, di vivere in una trama di relazioni. Abbiamo il compito di fornire strumenti per aiutare a guarire dalla malattia mortale che è il disprezzo del più debole e la volontà di sottomissione. Al contempo, dobbiamo trovare nuovi modi per tutelare i più deboli e fragili, per identificare il disagio e trovare soluzioni in grado di prevenire tanta violenza”.

Un “errore politicizzare” il fenomeno delle migrazioni, fenomeno “epocale” che deve essere gestito “con umanità e intelligenza” e con una “comune visione europea”, ha ammonito il cardinale Matteo Zuppi. “L’errore – non da oggi – ha denunciato – è stato politicizzare il fenomeno migratorio, anche condizionati dal consenso e dalle paure. Si tratta di esseri umani prima di tutto; si tratta del futuro dell’Italia, in crisi demografica; si tratta di coinvolgere la popolazione in un fenomeno che crea scenari nuovi e non semplici. Richiede coraggio politico e responsabilità sociale. La questione migratoria dovrebbe essere trattata come una grande questione nazionale, che richiede la cooperazione e il contribuito di tutte le forze politiche”.

Zuppi ha ricordato le parole del Papa agli Incontri del Mediterraneo sui migranti a Marsiglia “e ha ricordato alla nostra coscienza che ’sono vite spezzate e sogni infranti. Siamo di fronte a un bivio: o scegliamo la cultura della fraternità o la cultura dell’indifferenza. In questo è davvero necessaria una concertazione tra le forze politiche e sociali indispensabile per creare un sistema di accoglienza che sia tale, non opportunistico, non solo di sicurezza perché la vera sfida è governare un fenomeno di dimensioni epocali e renderlo un’opportunità così come esso è. Non dimentichiamo la necessità anche di una comune visione europea”.

I vescovi guardano con preoccupazione al dilagare della violenza tra i giovani. Come all’aumento dei suicidi tra gli adolescenti. E vanno oltre la denuncia. “ Il mondo dei giovani è coinvolto dalla violenza: risse, bullismo, atti vandalici, violenze sessuali, ma anche spaccio, furti e rapine, a volte di baby gang. – ha detto il presidente della Cei -. I social sono il tam-tam dove si documentano le gesta. Violenze verso minorenni o adulti, compiute da minori: segnali di una tendenza in atto da anni, amplificata dalla pandemia”.

“I dati della Direzione centrale della polizia criminale mostrano, nei primi dieci mesi del 2022, un incremento di più del 14% dei minori denunciati o arrestati. Sono aumentati i reati commessi da minori e le violenze sessuali, rispetto allo stesso periodo del 2021, più del 15,7%. In forte crescita gli omicidi commessi dai minorenni, più del 35,3%. Si segnala una crescita dei disturbi di ansia, – ha osservato- ritiro sociale e isolamento, autolesionismo, rabbia, aggressività, problemi alimentari, disturbi del sonno e depressione. Drammatici sono i dati sui suicidi degli adolescenti che stanno lievitando: per noi non devono essere solo numeri, ma sono persone, volti, storie. Ci segnalano un disagio diffuso che ci deve interpellare”.

“Tutto – ha osservato Zuppi – avviene diversamente dal passato in pubblico: nella ‘fornace’ dei social, spietati e agonistici. Nessuna generazione prima ha conosciuto quest’esperienza: ci si deve autodefinire, si deve mettere il volto e il corpo in mostra, si misurano quanti ti seguono. È facile sui social sbagliare e finire alla gogna, segnati dall’ansia, alimentata dalla crisi dei grandi sogni collettivi e da reti educative e relazionali molto più fragili. Si ripropone con forza il problema dell’educazione, su cui costantemente la Chiesa in Italia ha riflettuto, riflette ed è necessario continuare a riflettere. L’educazione non è un’emergenza ma è la quotidianità della vita della Chiesa. Abbiamo un potenziale straordinario di gente che lavora per l’educazione da anni e in tante parti d’Italia”.

Zuppi, inviato del Papa per la missione di pace in Ucraina che dovrebbe tornare a Mosca per una seconda tornata di incontri, ha osservato: “Il nostro mondo ha bisogno di pace e unità. La guerra continua in Ucraina e non ci abituiamo ad essa. Il dolore di questa guerra è stampato su volti precisi: quelli dei morti, soprattutto tra i civili, e dei feriti per i bombardamenti; quello delle persone barbaramente violentate; quello delle popolazioni sfollate e costrette a migrare; quello dei bambini lontani dai propri familiari o dalle proprie case. Si tratta di un dramma alle porte dell’Europa che ci riguarda tutti, come uomini e donne di questo tempo, prima ancora che come cittadini europei”.

”L’azione del Santo Padre per la pace, oltre alle sue parole, ci ricorda che tutti dobbiamo agire e pregare per la pace.- ha detto Zuppi -. Ho personalmente sentito quanto la preghiera per la pace abbia accompagnato anche la mia missione degli ultimi mesi e ne sono intimamente grato ed edificato. Sono certo che è un valore che misteriosamente, ma efficacemente, spingerà la missione nella direzione auspicata. La solidarietà aiuta la resistenza degli ucraini in una situazione tragica, venendo incontro a molteplici e drammatiche necessità”.

“L’insicurezza sul lavoro è morte sociale, non si possono dormire sonni tranquilli” denuncia il presidente della Cei. “Il lavoro – ha detto – ha conosciuto, negli ultimi mesi, una ripresa in termini di occupazione, ma conosce ancora molta sofferenza circa la sua qualità. Lo segnala il fenomeno degli working poor: non è garantito, come in passato, a chi lavora di sentirsi al sicuro fuori dalla soglia di povertà. Incidono la precarietà dei contratti, l’incapacità di adeguamento degli stipendi al costo della vita, lo sfruttamento e la diffusione del lavoro nero in alcuni contesti. Sono tutti fattori che destano preoccupazione. Anche il fenomeno delle dimissioni dal lavoro, soprattutto nei giovani, fa riflettere”.

Tornando agli incidenti sul lavoro, il presidente della Cei ha denunciato il “continuo ripetersi quotidiano di incidenti sul lavoro che fanno aumentare, giorno dopo giorno, le vittime. Alcuni tragici recenti episodi, come quello ferroviario a Brandizzo nel torinese, non ci devono far dormire sonni tranquilli. La sicurezza nei cantieri e nei luoghi di lavoro è segno di civiltà. Non è barattabile con la fretta di consegnare un’opera, né con le limitazioni degli investimenti sulla sicurezza e tanto meno con la superficialità e l’irresponsabilità. È in gioco la nostra dignità umana”.

Zuppi ha fornito i dati della quotidiana strage: “Nei primi sette mesi del 2023 abbiamo visto 559 vittime sul lavoro, mentre lo scorso anno ne abbiamo contate 1.090. A questi numeri drammatici si aggiungano gli infortunati: il lavoro deve essere custodito come luogo di vita e le vittime sono un “oltraggio alla convivenza civile”, secondo una giusta valutazione del Presidente Mattarella. Come Chiesa, non basta sposare la facile lamentela o invocare genericamente maggiore sicurezza, se non ci facciamo interpreti di una diversa cultura del lavoro e della consapevolezza che l’insicurezza del lavoro è morte sociale”.

La povertà è ormai un “fenomeno strutturale”, denuncia il cardinale, sollecitando “interventi pubblici” sull’emergenza abitativa. “I dati forniti dall’Istat non possono essere taciuti. La povertà in Italia – ha detto Zuppi – può dirsi ormai un fenomeno strutturale, visto che tocca quasi una persona su dieci: il 9,4% della popolazione residente vive, infatti, in una condizione di povertà assoluta. Solo quindici anni fa, il fenomeno riguardava appena il 3% della popolazione. Inflazione, crescita dei prezzi, caro bollette, lavoro povero sono i nuovi pesi che gravano in misura crescente sulle famiglie già più povere, per le quali occorre proporre politiche concrete che le aiutino a vivere dignitosamente e a far fronte a una precarietà che assume volti diversi”.

“Un problema specifico concerne la casa. Il rincaro dei prezzi degli affitti, dei mutui e delle utenze domestiche rende sempre più oneroso il mantenimento dell’abitazione, molte persone e nuclei familiari sono alla ricerca di un alloggio. Nel corso del tempo, molte comunità parrocchiali hanno messo a disposizione degli spazi cercando di stare a fianco a quanti non avevano più la possibilità un proprio alloggio. Questa disponibilità di accoglienza, nata come risposta momentanea a un’emergenza, con il solo impegno ecclesiale non è più sostenibile! Vanno sollecitati interventi pubblici per affrontare il problema” conclude.

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Cronaca

Radicali Italiani: “Basta ostacoli al diritto all’aborto, nostra pdl per superare la 194”

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Radicali Italiani:

“L’attuale legge 194 non garantisce un vero diritto all’aborto ma lo consente in determinati e specifici casi. Ha avuto il merito di arginare la piaga dell’aborto clandestino ma non ha in alcun modo garantito l’autonomo diritto di scelta. Noi chiediamo un autonomo diritto di scelta e autodeterminazione, per far sì che la libertà riproduttiva non incontri più ostacoli morali e amministrativi e possa essere liberamente accessibile per chiunque decida di interrompere una gravidanza”. Parte da qui la proposta di legge di iniziativa popolare, lanciata dalla campagna ‘Libera di Abortire’ e Radicali Italiani, che vuole superare la 194 per cui, sia tramite banchetti sparsi in tutta Italia che online, si stanno raccogliendo le 50mila firme necessarie per poterla presentare in Senato.

“È proprio con il governo di centrodestra più reazionario della storia della Repubblica che il dibattito va aperto e abbandonato il grido: ‘giù le mani dalla 194’ – si legge sulla piattaforma dove è possibile sottoscrivere online la proposta – Perché se da un lato è ormai chiaro che la destra non ha intenzione di toccare una legge che la favorisce nell’azione capillare, è arrivato il momento per il fronte pro-choice di immaginare, scrivere nero su bianco e proporre un vero diritto all’aborto”.

Tra i temi centrali nel testo della pdl la graduale cancellazione dell’obiezione di coscienza e della settimana di ripensamento. Una iniziativa, sostiene Libera di Abortire che intende “rimuovere le zone grigie della 194, che da anni permettono ai movimenti reazionari e pro-life di ostacolare l’accesso ad un aborto libero e informato”.

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Messina Denaro, Cascarano (Anni di Piombo): “Il mostro è morto, portiamolo nell’oblio, lasciamo ai giovani il ricordo degli eroi”

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La portavoce dell'Osservatorio nazionale per la verità storica: "E' un uomo senza anima che ha tolto la vita a troppi innocenti"

Daria Cascarano

“Giuseppe, Nadia, Antonella, Paolo, Giovanni, e ancora tanti altri i nomi di chi è stato strappato alla vita dal mostro che oggi finalmente ha lasciato questa terra. In questi giorni i media avrebbero dovuto ricordare i nomi e i volti delle vittime della crudele malvagità di un feroce assassino come Messina Denaro. Un uomo senza anima che ha tolto la vita a troppi innocenti, l’artefice di dolori atroci collettivi e privati”. Lo sottolinea Daria Cascarano, portavoce dell’Osservatorio nazionale per la verità storica ‘Anni di piombo’.

“Nel 1999 subì la prima condanna all’ergastolo in contumacia per l’omicidio di Giuseppe Montalto, agente di Polizia penitenziaria, che fu ammazzato in auto, davanti casa dei suoceri, al suo fianco la moglie Liliana Riccobene, 26 anni, che in braccio teneva la figlia Federica, appena 10 mesi, ed era incinta della seconda, Ilenia. Secondo le indagini fu lui a ordinare di sequestrare e sciogliere nell’acido anche Giuseppe Di Matteo, il bambino di dodici anni ucciso a seguito del pentimento del padre. Fu lui a far parte del commando che uccise Vincenzo Milazzo, capomafia di Alcamo che sembrava volersi ribellare all’autorità di Riina, e della compagna del mafioso, Antonella Bonomo, incinta di tre mesi. Fu lui il mandante della strage di via dei Georgofili a Firenze, dove morì con la sua sorellina neonata e tutta la famiglia Nadia Nencioni, la bambina di nove anni che pochi giorni prima della morte aveva scritto la poesia Tramonto, che ha dato il nome all’operazione di cattura del boss”.

E ancora: “Fu lui dietro le stragi di Capaci e di via D’Amelio dove morirono Falcone, Borsellino e gli uomini e le donne che erano con loro: Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, e poi Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina, Claudio Traina. Stragi che hanno segnato la vita del nostro Paese e quella di tante famiglie che hanno perso gli affetti più cari. Il mio appello è quello di smettere di continuare a trattare ‘i cattivi’ come dei divi da prima pagina. Bisogna finalmente andare oltre il ciò che tira di più le vendite e farsi guidare dall’etica che vuole una narrazione che dia forza alle vittime. Diamo forza e sostegno anche a chi è sopravvissuto e diventa testimone della lotta coraggiosa alle mafie. I nostri giovani – conclude Cascarano – devono capire che sono loro gli eroi da imitare e da loro che devono essere affascinati. Solo così potremo superare i falsi miti creati da i ‘Gomorra’ di turno”.

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Cronaca

Medici specializzandi protestano a Roma: “Mai più schiavi”

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In Italia sono 43mila: "Sottopagati e con pochi diritti"

La protesta degli specializzandi a Roma

Camici bianchi, cartelli e fischietti. I medici specializzandi sono scesi in piazza a Roma davanti al ministero dell’Università e Ricerca (Mur) per chiedere una riforma del sistema delle specializzazioni e delle relative retribuzioni che li costringe a turni massacranti senza un’adeguata remunerazione che oggi “ci rende schiavi”, urlano i medici. “Veniamo pagati 1.600 euro al mese durante la specializzazione ma lavoriamo H24, e con questi stipendi è impossibile vivere in affitto a Milano, a Roma e Firenze. Meglio riunificare e lavorare in libera professione”, raccontano all’Adnkronos Salute.

“E’ intollerabile – sottolineano i promotori della manifestazione Giammaria Liuzzi (Anaao Giovani), Massimo Minerva (Als) e Antonio Cucinella (Gmi) – apprendere che sia stato insediato un gruppo di lavoro ministeriale per riformare tale anacronistico inquadramento senza la presenza di nemmeno un giovane medico. Chiediamo con forza e determinazione l’inserimento di nostri rappresentanti in tale gruppo o l’istituzione di un tavolo parallelo da noi composto, che lavori in sinergia per evitare di formulare una riforma non all’altezza delle molteplici problematiche vigenti. Non possiamo ipotizzare di veder nascere una riforma delle specializzazioni mediche senza un aumento retributivo, mai indicizzato, che attualmente ammonta a 1.300 euro mensili al netto di tasse universitarie, Enpam, Ordine dei medici e assicurazione obbligatoria”.

“Non possiamo tollerare – incalzano – che in futuro il medico specializzando non sia inquadrato come un professionista che si forma anche e soprattutto nei cosiddetti ‘Learning Hospital’ (ospedali d’insegnamento non universitari, e non solo ammassati in pochi reparti universitari con rapporto giovani medici posti letto 10 a 1), con la certificazione delle loro competenze come avviene per i dirigenti medici e non attraverso un esame di passaggio annuo che molte volte viene utilizzato come ‘spada di Damocle'”. Ancora, “non possiamo tollerare la non abolizione delle incompatibilità per gli specializzandi che pretendono, in assenza di una indennità di esclusività, di essere padroni del proprio tempo”.

“Senza tutto ciò – ammoniscono i giovani medici – non si risolverà mai la carenza di specialisti in quelle branche come la medicina d’emergenza”, la Meu. “L’aumento degli ingressi a Medicina e il maggiore finanziamento di contratti di formazione Meu non risolveranno il problema: occorre una riforma strutturale con al centro lo specializzando Meu, al quale non si può chiedere di fare da tappabuchi a 1.300 euro con zero diritti e tutele e lavorando a fianco di gettonisti che percepiscono anche 700 euro al giorno”.

“Oggi in Italia lavorano negli ospedali circa 43mila medici specializzandi. Siamo sottopagati, guadagniamo 1.300 euro netti al mese che sono meno di 8 euro all’ora. Purtroppo non siamo considerati e abbiamo tanti doveri e pochi diritti, abbiamo problematiche per quanto riguarda ferie, malattie e trasferimenti in altre sedi. Non riusciamo a formarci bene perché fungiamo da tappabuchi negli ospedali e facciamo lavori demansionanti e ripetitivi. Noi vogliamo solo formarci in modo adeguato in strutture che non sono solo policlinici universitari ma anche ospedali puri”. Così all’Adnkronos Salute Giammaria Liuzzi, responsabile nazionale Anaao Giovani.

“Soprattutto crediamo che occorra inquadrare il medico specializzando come i colleghi in Europa, quindi come in Germania e in Spagna – prosegue Liuzzi – Serve quindi una riforma del sistema che è fermo al 1999, purtroppo ci formiamo solo in poche sedi e non riusciamo a creare un ragionamento diverso. Noi siamo medici ma non stiamo sotto il ministero della Salute ma sotto il Mur. Serve – precisa – una riforma globale, ci sono disegni di legge di riforma su cui attendiamo ancora una risposta ma è evidente che il Mur non vuole modificare lo status quo”.

Dopo aver studiato anni sui libri di Medicina arrivano i problemi per i giovani camici bianchi: la specializzazione. Oggi il post laurea sembra un percorso ad ostacoli tra ritardi burocratici, poche borse disponibili e poi l’assegno che spesso non permette a chi non ha altre entrare di lavorare e vivere nelle grandi città. E’ la storia di Federica Bennardo, 27 anni, originaria di Salerno ma da 8 anni a Milano dove si è laureata in Medicina “grazie a una borsa di studio alla Bicocca. Lo scorso anno ho fatto il test per il concorso per le scuole di specializzazioni – racconta all’Adnkronos Salute – che è andato anche bene. Ho superato il concorso per la specializzazione in Medicina legale, non la prima scelta ma avrei voluto provare per capire la vita di reparto, una cosa che non ti spiegano quando studi Medicina ma si deve essere lungimiranti e capire se quella specializzazione fa al caso tuo e io avrei voluto provarci. Ma ho deciso di non entrare: a Milano c’è una bolla immobiliare pazzesca e i soldi della borsa di specializzazione non bastano”.

“Io pago un affitto di casa altissimo, escluse poi le spese di luce e gas – prosegue la dottoressa che oggi è scesa in piazza a Roma con i colleghi per protestare contro le condizioni degli specializzandi in Medicina – La borsa di specializzazione è di 1.600 euro, per cui ho deciso che non mi conveniva perché con la libera professione si guadagna molto di più, anche il triplo. Allora meglio mettere un po’ di soldi da parte e fare la specializzazione tra qualche anno. Io ho fatto il medico di medicina generale, le guardie mediche, lavoravo in Rsa, e davo la disponibilità 7 giorni su 7 perché volevo imparare e stare sul campo”.

Perché Milano e non una altra sede per la specializzazione? “La formazione a Medicina a Milano è molto buona e avrei voluto continuare il percorso dove mi sono laureata”, risponde Bennardo che alla domanda se la sua situazione è comune ad altri colleghi risponde che “è molto diffusa, poi certo c’è chi è aiutato dai genitori. Ma chi lavora a Milano, Torino, Firenze e Roma, ha questo problema – conclude – sono città che con la sola borsa di studio della specializzazione ti permettono solo di sopravvivere e non di vivere”.

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Cronaca

Reinhold Messner non è più il re degli Ottomila, Guinness gli toglie il record: la replica

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Secondo la nuova edizione del libro dei primati, l'alpinista italiano "non ha raggiunto la vetta dell'Annapurna" nel 1985

Reinhold Messner - (Fotogramma)


Reinhold Messner non è più il re degli Ottomila. Secondo il Guinness World Records 2024, non è infatti più lui il primo alpinista ad aver scalato tutte le 14 vette sopra gli 8mila metri senza ossigeno, ma l’americano Edmund Viesturs che ha compiuto l’impresa tra il 18 maggio 1989 e il 12 maggio 2005. “La meta non è la vetta ma il sentiero. Il mio alpinismo non conosce record”, la replica di Messner sui social network, corredata dalle foto dell’Annapurna del 1985.

Secondo quanto si legge sul libro dei Guinness dei primati, Viesturs, che ha anche effettuato sette scalate dell’Everest, ha ricevuto il titolo retroattivamente nel 2023, in seguito alla ricerca sulle salite storiche degli Ottomila da parte di numerosi cronisti di montagna, tra cui Eberhard Jurgalski di 8.000ers.com.

Jurgalski e il suo team hanno trascorso gli ultimi 10 anni a riesaminare le ascensioni delle 14 montagne oltre gli 8.000. La loro conclusione è che, per un certo numero di picchi (in particolare Annapurna I, Dhaulagiri I e Manaslu), le ‘vere vette’ non erano state identificate correttamente per molti anni. Ciò significa che molti alpinisti, spesso senza alcuna colpa, si sono fermati prima di raggiungere la vetta

In particolare il giornalista tedesco, basandosi su alcuni confronti fotografici, ha stabilito che Messener con Hans Kammerlander non avrebbe raggiunto la vetta dell’Annapurna nel 1985 ma sarebbe tornato indietro alcuni metri prima pur credendo di aver raggiunto la cima.

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Cronaca

Migranti, botta e risposta Italia-Germania continua: cosa succede

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Ancora tensioni tra i due Paesi su immigrazione, soccorso e accoglienza

Migranti a Lampedusa - Afp


Germania ‘stupita’ dalle polemiche dell’Italia sui migranti, con Berlino che ha ribadito il finanziamento ad alcune Ong e indicato oggi – attraverso le parole della ministra dell’Interno Nancy Faeser – come unica via una “soluzione europea” al problema. La Germania, alla linea della presidente del Consiglio Giorgia Meloni (“sostenere gli Stati di origine dei migranti e per aiutare gli Stati di transito a smantellare le reti criminali di trafficanti di esseri umani”), ha risposto con la ministra degli Esteri Annalena Baerbock: si deve “offrire protezione a chi è in pericolo in mare” e non si possono invece “respingere le imbarcazioni quando sono in alto mare”. Non accenna a placarsi, quindi, il botta e risposta tra i tedeschi e Roma sul tema.

In attesa della visita a Berlino di Antonio Tajani, è stato proprio il ministro degli Esteri a contrattaccare ieri, giudicando “un po’ strano” l’atteggiamento del governo tedesco sul tema e domandandosi quindi “perché vuole che tutti i migranti arrivino tutti in Italia”. Giovedì, ha spiegato Tajani a In Mezz’ora, “sarò a Berlino e con la ministra degli Esteri tedesca parlerò della questione Ong, per cercare di capire perché questa decisione di finanziare un’Ong per lavorare in Italia, è un po’ strano questo atteggiamento”.

Proprio nelle stesse ore, la ministra tedesca Baerbock ribadiva però l’opposizione di Berlino ai regolamenti sulla crisi del Patto della Ue per migrazione e asilo, affermando che questo permetterebbe ad altri Paesi membri di mandare ancora nuovi migranti in Germania. “Invece delle procedure ordinate, l’ampia discrezionalità che l’attuale proposta per i regolamenti delle crisi garantisce nel caso di una crisi di fatto creerebbe di nuovo incentivi per inviare grandi numeri di rifugiati non registrati in Germania”, scriveva la ministra in un post su X, chiedendo che “le preoccupazioni tedesche vengano tenute in considerazione” in modo che il sistema di asilo europeo “funzioni in stato di crisi invece che aprire i cancelli al caos”.

Il monito della Germania all’Italia sui migranti era arrivato il 22 settembre scorso. “L’Italia non si attiene” al meccanismo “di riammissione” previsto da Dublino per i migranti. “E fino a quando l’Italia non lo farà, non accoglieremo più rifugiati”, aveva infatti dichiarato la ministra dell’Interno Faeser, chiedendo al governo di Roma di “venirci incontro” e adempiere ai suoi obblighi.

Intanto, a tendere una mano all’Italia, è il presidente francese Emmanuel Macron, pronto a collaborare per una “risposta europea” in materia. E la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha accolto “con grande interesse” la proposta di Parigi. “La risposta è europea. dobbiamo avere un approccio coerente con i Paesi di origine e di transito. La maggior parte dei migranti sbarcati Lampedusa proviene dall’Europa subsahariana. La Francia invia aiuti a questi Paesi. Dobbiamo condizionare i nostri aiuti a una politica responsabile”. Dobbiamo dire ‘vi aiuteremo, ma dovete permetterci di smantellare le reti coinvolte in questo traffico nel vostro Paese”, ha spiegato Macron sulla questione degli sbarchi in Europa e in particolare in Italia.

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