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Politica

Rai, Il punto di vista di Follini: “Pd rinunci a...

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Rai, Il punto di vista di Follini: “Pd rinunci a sit-in, questione è cambio regole”

"Lasciamo da parte la troppo facile indignazione e cerchiamo piuttosto di capire come se ne possa uscire"

Marco Follini (Fotogramma/Ipa)

"Verrebbe da consigliare ai dirigenti del Pd -sommessamente, costruttivamente, amichevolmente- di lasciar perdere quel curioso sit in ai cancelli di viale Mazzini con cui ci si propone di protestare per gli eccessi e le forzature di Telemeloni nei giorni del festival di Sanremo. Non perché non vi siano quegli eccessi e quelle forzature. Ma perché un gesto così scontato e rituale, compiuto oltretutto nei giorni più propizi agli ascolti serali, somiglia più a una richiesta di risarcimento che a un’espressione di sana e vera indignazione.

La verità è che la Rai è ostaggio della politica fin dalla notte dei tempi. E chi come il sottoscritto a suo tempo fu designato dal suo partito, la Dc, per fare il consigliere d’amministrazione, non ha propriamente titolo per salire in cattedra e fare la morale. Lasciamo da parte dunque la troppo facile indignazione e cerchiamo piuttosto di capire come se ne possa uscire.

Per lunghi anni viale Mazzini fu guidata, per interposti dirigenti, dai governi dell’epoca. Poi, dal 1975, sul ponte di comando salirono i partiti e il cda venne spartito con precisione millimetrica tra le forze presenti in Parlamento. Vani tentativi di cambiare le regole si mescolarono via via alla conferma delle abitudini di sempre. Fino agli anni più recenti. Anni nei quali la presa delle varie maggioranze, quale che ne fosse il colore, divenne semmai ancora più forte.

Meloni non è stata da meno, e farebbe bene a non vantarsene. Ma onestà vuole che si dica che anche i suoi predecessori di tutti i colori hanno fatto la loro parte in commedia e i loro giri in giostra. Compresi i populisti, nessuno dei quali è stato alieno dalla cattiva abitudine di accaparrarsi qualche posto di comando.

Si dirà che magari qualcuno ha scelto professionisti più indipendenti, o magari più qualificati. Che ci sono state forzature più brusche e altre invece, diciamo così, più delicate. (Da questo punto di vista i tempi più recenti sembrano anche i più inclementi.) Ma forse non è il caso di pesare con il bilancino, oltre che gli incarichi assegnati, anche i commenti e i giudizi di chi si trova oggi, per l’appunto, a commentare e giudicare.

Quello che andrebbe considerato, semmai, è che nel frattempo, in tutti questi anni, il sistema politico nel suo insieme ha perso gran parte del suo consenso e della sua credibilità. E dunque che certe sue interferenze, mai del tutto giustificate, diventano tanto più ingiustificabili ora che i partiti raccolgono così poco apprezzamento perfino tra quanti (sempre meno, a dire il vero) continuano a votarli. Il difetto, insomma, è nel manico. Se la lottizzazione fu una delle colpe della prima repubblica, il suo perpetuarsi nel tempo è diventata un’aggravante. Sottolineata impietosamente dal crollo degli iscritti ai partiti e perfino dalla crescente, drammatica diserzione dei loro elettori dalle urne.

Si consideri inoltre che, via via che passano gli anni, diventa sempre più evidente che i benefici della lottizzazione non sono quasi mai così accurati, né così generosi, come pretende la tradizione. Cosa che era vera perfino qualche anno fa. Quando i democristiani si lamentavano della fiction sulla “Piovra”, che non fece poi un così grande danno alla loro causa. E quando i comunisti celebravano i fasti della terza rete dell’epoca che del tutto involontariamente finì piuttosto per ingrossare il bottino elettorale della destra che cominciava giusto allora a proporsi.

Si tratta allora di cambiare le regole. A partire da quel residuo di “sovietismo” che è la commissione di vigilanza, altro reperto d’epoca che magari sarebbe il caso di rottamare. Il problema che i partiti, tutti i partiti, hanno davanti a sé è -per l’appunto- il cambio delle regole. Mentre il ping pong quotidiano delle polemiche e la convocazione dei sit in di protesta sembrano tutte cose fatte apposta con l’idea che le stesse regole (e abitudini) di prima siano destinate a ripetersi all’infinito. Accompagnate, s’intende, da tutta l’indignazione di circostanza". (di Marco Follini)

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Politica

Ue, Meloni si sfila da ‘toto-Draghi’:...

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"Sono i cittadini che decidono le maggioranze, non partecipo a dibattito"

Giorgia Meloni (Afp)

Non apre e non chiude, semplicemente si sfila. Perché sul futuro di Mario Draghi ai vertici dell'Europa -quella che verrà dopo il voto del 9 giugno- per Giorgia Meloni si fa mera "filosofia". I giochi si decideranno soltanto poi, quando i voti saranno nero su bianco e i rapporti di forza ben definiti. Tutto questo dibattere attorno all'ex premier e numero uno della Bce sembra quasi infastidirla. Lasciando l'Europa Building dopo un Consiglio europeo che si è protratto ben oltre ogni più fosca aspettativa -tanto che al 'fischio' di fine vertice un applauso spontaneo si leva dalla sala stampa-, la premier si ferma per un punto stampa alla lanterna, rispondendo a ogni singola domanda come fosse su un ring.

Aborto, par condicio, carcere per i giornalisti, discesa in campo di Ilaria Salis, vendita dell'Agi: ribatte domanda su domanda parlando spesso -per ben 4 volte- di fake news. E anche su Draghi, lascia intendere, è la stampa ad aver 'ricamato'. "Io sono contenta che si parli di un italiano - premette - ma questo dibattito è filosofia. La tendenza di decidere prima che i cittadini votano non mi troverà mai d'accordo. Sono i cittadini che decidono le maggioranze, per questo non parteciperò al dibattito" su Draghi sì, Draghi no, Draghi forse.

"Questo dibattito è buono per i titoli dei giornali e fare campagna elettorale - aggiunge poi - ma non è così che funziona. Questa tendenza a tentare di decidere chi fa cosa prima che i cittadini votino è una tendenza sulla quale non mi troverete mai". E pazienza se le parole pronunciate da 'Super Mario' alla vigilia del vertice siano suonate alle orecchie di molti come un discorso programmatico, la rotta che punta a un ruolo di peso nei futuri assetti europei.

"A giugno spero l'Europa sia diversa, capace di rispondere alle sfide"

I giochi si fanno poi, torna a ribadire Meloni, che inizia la sua giornata arrivando all’Europa Building mezz’ora prima dell’avvio del summit per incontrare la presidente uscente Ursula Von Der Leyen, candidata del Ppe in corsa per il bis ma con un certo affanno, complice il ‘fuoco amico’ del Partito popolare europeo. Con lei, dirà poi Meloni incontrando i giornalisti, ha parlato di migranti, con i flussi “in significativo calo”, rivendica, prova che la strategia messa in piedi “sta dando risultati”. Ma è comunque un’Europa “diversa” quella che la premier italiana vede dopo il voto, “capace di rispondere alle grandi sfide” che l’attendono.

Perché un cambio di passo va impresso, e il rapporto di Enrico Letta -su cui oggi si sono ‘accapigliati’ i leader- e il cambiamento “radicale” chiesto da Draghi dimostrano, rimarca, che le critiche mosse in passato da chi certo non vantava l’etichetta dell’europeista convinto un fondamento l’avevano: “fino a ieri ci dicevano che andava tutto bene - rivendica Meloni, ricordando il ‘pedigree’ di Letta e Draghi - oggi fanno i conti con il fatto che le priorità sono altre".

E lei sente di avere l’opinione pubblica dalla sua parte: “Potete continuare a ripetere che sono una pericolosa fascista e mi aiutate anche, visto che penso che la gente che vede il lavoro di questo governo si renda conto che gli estremisti stanno da un'altra parte", dice. Come stanno dall’altra parte, per l’esattezza “a sinistra” -accusa- quelli che vorrebbero cambiare la Legge 194, ma che a suo dire non hanno il coraggio di dirlo, di intestarsi la battaglia.

Meloni difende a spada tratta l’emendamento della discordia al dl Pnrr quater sui movimenti pro-vita nei consultori: “ricalca esattamente il testo della 194”, che è una “legge equilibrata”. Anche sul ‘balletto’ andato in scena in vigilanza sulle regole della par condicio, “non c’è nessuna TeleMeloni, non accetto lezioni di democrazia da nessuno”, tuona.

Mentre il carcere per i giornalisti - altra notizia che ha infiammato il dibattito - “c’è già, è una legge di Fdi che lo sta togliendo”. Lei, assicura, difende “la libertà di stampa”, e infatti assicura non ci sia la sua ‘manina’ -“ho letto tante falsità e ricostruzioni surreali”- dietro la vendita dell’Agi, al centro della trattativa Eni-Angelucci: “non so se chi ispira queste letture fosse abituato a usare le partecipate dello Stato per risolvere i problemi privati degli amici o per stiparci i parenti, può essere che sia stato così ma non è la mia lettura su a cosa servano le partecipate”.

"Salis candidata? Non so quanto aiuti..."

Sul caso Salis - mentre la candidatura per Avs viene prima smentita e poi annunciata - Meloni assicura che il Governo continuerà a fare il suo lavoro: “non cambia nulla” riguardo alla detenzione della maestra 39enne, "verrà garantita comunque come è giusto". "La politicizzazione della vicenda, come ho già detto in passato, non so quanto possa aiutare il caso in sé", ma "le scelte personali di Salis non mi permetto di giudicarle".

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Politica

Ilaria Salis, Mimmo Lucano: “Candidata alle Europee?...

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"Sta pagando per la difesa dei diritti umani"

Mimmo Lucano (Fotogramma)

''Sono contento della candidatura di Ilaria Salis". Lo dice all'Adnkronos, Mimmo Lucano, candidato alle Europee di Avs, commentando la discesa in campo per la sfida di Bruxelles anche di Ilaria Salis. "Lei è un'attivista, la sua candidatura nasce dalla condivisione di un ideale, non da opportunismi o altro, visto quello che sta pagando per il suo impegno politico, perché si schiera a difesa del rispetto dei diritti umani ed è una antifascista''.

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Politica

Fine vita, governo presenta ricorso a Tar contro delibere...

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Per l'esecutivo, le delibere sul suicidio assistito non hanno fondamento

Faldoni e documenti

Il governo ha presentato ricorso al Tar dell'Emilia Romagna il 12 aprile scorso contro la Regione, in particolare, contro la direzione sanitaria Salute della persona, per chiedere l'annullamento delle delibere di Giunta che davano attuazione al suicidio medicalmente assistito in Emilia Romagna.

Ad annunciarlo è la consigliera regionale di Forza Italia Valentina Castaldini, che pure aveva depositato un ricorso analogo nel marzo scorso, insieme a un gruppo di associazioni. ''A marzo io, insieme ad alcune associazioni, avevo presentato un analogo ricorso al Tar: il testo è di oltre 50 pagine", dice all'Adnkronos l'esponente azzurra che esprime soddisfazione per il provvedimento del governo che rafforza il lavoro di questi mesi''.

Il ricorso del governo

La Regione Emilia Romagna "ha previsto un articolato procedimento amministrativo che conduce alla erogazione della prestazione 'suicidio medicalmente assistito" e ha agito "in evidente carenza di potere per assenza di copertura legislativa e violazione, tra gli altri, del principio di uguaglianza e di riserva al legislatore statale della materia dell’ordinamento civile e penale", si legge nel ricorso che il governo ha presentato al Tar dell'Emilia Romagna.

Con le delibere la Regione Emilia-Romagna, spiega il ricorso, "nel dichiarato intento 'di consentire da subito ai cittadini l’effettivo accesso a tale diritto' (il suicidio medicalmente assistito, n.d.r.), riconosciuto, ad avviso della Regione stessa, dalla sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale, ha illegittimamente disciplinato in via amministrativa quali siano gli organismi competenti a valutare gli stringenti requisiti indicati dalla stessa Corte per scriminare il reato di aiuto al suicidio" previsto dall’articolo 580 codice penale.

Dunque, argomenta ancora il ricorso "in assenza di qualunque previsione normativa statale, in palese violazione del principio di legalità, la Regione Emilia Romagna ha disciplinato una pretesa a carico del Ssn senza che tale pretesa sia stata in qualche modo riconosciuta dall’ordinamento, e ciò sulla base di un procedimento destinato, oltretutto, ad operare al di fuori di un quadro ordinamentale omogeneo". Le delibere sono dunque state assunte "in palese violazione del principio di legalità del potere amministrativo" che "prescrive che la Pubblica Amministrazione possa agire solo nei limiti di quanto prevede una norma di legge e per il perseguimento dei fini indicati nella norma stessa" e hanno "nella sostanza, riconosciuto e disciplinato le modalità di esercizio di un diritto 'al suicidio assistito”' diritto che non è previsto dalla legge e che la stessa Corte costituzionale ha escluso".

"Appare evidente che non vi è alcun diritto al 'suicidio assistito' che possa legittimare un intervento attuativo dell’autorità amministrativa, come invece accaduto nel caso di specie", denuncia ancora il ricorso. "L’organo di governo della Regione Emilia Romagna è dunque intervenuto, non solo e non già in assenza di disciplina legislativa o regolamentare sul punto, ma ponendosi in frontale contrasto con la relativa disciplina normativa statale, la quale ha delineato le specifiche modalità ed i percorsi procedimentali per pervenire alla implementazione degli ambiti di operatività del Ssn, tutti impostati nel segno del coinvolgimento delle amministrazioni regionali, e della concertazione con le stesse".

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