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Nucleare Iran, diplomatici Usa e Ue in allarme. Mosca: “Rischio situazione fuori controllo”
La preoccupazione è che il programma nucleare di Teheran e la destabilizzazione provocata dal conflitto a Gaza stiano rafforzando le fazioni iraniane che sostengono lo sviluppo di armi atomiche
Crescono i timori legati al nucleare iraniano tra i diplomatici negli Stati Uniti e in Europa. La preoccupazione, scrive il Guardian, è che il programma nucleare di Teheran e la destabilizzazione provocata dal conflitto a Gaza stiano rafforzando le fazioni iraniane che sostengono lo sviluppo di armi nucleari. Tutto dopo le elezioni parlamentari dello scorso fine settimana. E nonostante il presidente iraniano Ebrahim Raisi abbia ribadito anche negli ultimi giorni gli scopi pacifici del programma. Eppure, scrive il giornale britannico, la scorsa settimana, Usa e partner europei hanno lanciato l'allarme per la minaccia rappresentata dalla mancanza di cooperazione dell'Iran sul suo programma nucleare.
Un avvertimento arrivato in occasione della riunione trimestrale del consiglio dei governatori dell'Aiea, e il direttore dell'Agenzia, Rafael Grossi, ha persino ammesso che non c'è "continuità delle conoscenze sulla produzione e sullo stock di centrifughe, rotori, acqua pesante e concentrato di uranio".
Anche il rappresentante russo presso le organizzazioni internazionali a Vienna, Mikhail Ulyanov, ha messo in guardia da una situazione "piena di pericoli" e che "rischia di finire fuori controllo". Anche se, per il diplomatico russo, tutto va addebitato agli Usa che nel 2015 si ritirarono dall'accordo internazionale sul nucleare iraniano. Il Jcpoa era stato firmato come accordo decennale e il ritiro degli Stati Uniti venne deciso da Donald Trump.
L'urgenza del dossier aumenta, osserva il Guardian, non solo perché l'Iran sta arricchendo l'uranio a un livello molto vicino al 90%, ma anche perché negli ultimi mesi esponenti della Repubblica Islamica hanno messo in dubbio l'impegno di Teheran a un programma nucleare con scopi esclusivamente pacifici.
Per Kasra Aarabi di United against Nuclear Iran, "il rifiuto dell'Amministrazione Biden di imporre conseguenze dirette all'Iran, nonostante gli atti di aggressione dal 7 ottobre", compreso l'atttacco in cui sono morti tre soldati americani in Siria, "ha incoraggiato il regime iraniano e fatto credere alla Guida Suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, e ai Guardiani della Rivoluzione che il regime possa passare all'escalation senza ripercussioni". E, scrive il Guardian, anche se da tempo ci sono timori riguardo le risposte di Teheran, giudicate non credibili dall'Aiea, alle domande sul materiale nucleare trovato in tre siti e sulla misura in cui gli ispettori possono lavorare nella Repubblica Islamica, gli Stati Uniti stanno perdendo la pazienza di fronte a quello che considerano ostruzionismo iraniano.
Laura Holgate, ambasciatore Usa presso l'Aiea, alla riunione della scorsa settimana ha detto chiaramente: "Dopo cinque anni di cooperazione limitata da parte dell'Iran, cinque anni di mancato rispetto degli impegni da parte dell'Iran, cinque anni di domande irrisolte relative alla presenza di materiale nucleare in siti non dichiarati in Iran, non possiamo consentire continui l'attuale comportamento" di Teheran. A Grossi ha chiesto un rapporto definitivo entro la prossima riunione di giugno quando il gruppo E3 (Regno Unito, Francia e Germania) dovrà valutare nuove sanzioni attraverso le Nazioni Unite.
Gli stessi E3 hanno chiesto alla Repubblica Islamica "passi seri e significativi che dimostrino un reale desiderio di de-escalation" perché "vanno nella direzione opposta le recenti dichiarazioni pubbliche dell'Iran sulle sue capacità tecniche di produrre armi nucleari". Intanto Teheran insiste sulla volontà di negoziare una nuova versione dell'accordo sul nucleare e, scrive il Guardian, continuano i colloqui con il vice ministro degli Esteri iraniano, Ali Bagheri, e gli interlocutori europei.
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Nuova provocazione di Trump: “Ebrei che votano dem...
"Odiano ogni cosa di Israele e dovrebbero vergognarsi perché Israele sarà distrutto"
Nuova 'provocazione' di Donald Trump che in un'intervista ha accusato gli ebrei che votano per il Partito Democratico di "odiare la loro religione" ed Israele.
"Ogni persona ebrea che vota per i Democratici odia la sua religione", ha dichiarato il candidato repubblicano alla Casa Bianca in un'intervista con Sebastian Gorka, un ex funzionario della sua Amministrazione. "Odiano ogni cosa di Israele e dovrebbero vergognarsi perché Israele sarà distrutto", ha rincarato la dose l'ex presidente, che ha anche accusato i Dem di "odiare Israele" date le critiche al primo ministro, Benjamin Netanyahu, per la guerra a Gaza.
Non è la prima volta che Trump si lascia andare ad osservazioni del genere. Quando era presidente nel 2019, affermò che "tutti gli ebrei che votano per un democratico" mostrano "grande slealtà" o sono disinformati.
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Ucraina-Russia, Medvedev: “Discutere di disarmo con...
Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo: "Apertamente, senza esitare, stanno conducendo una guerra ibrida contro di noi"
Nelle condizioni attuali un eventuale negoziato tra Russia e Stati Uniti sulle armi strategiche sarebbe come se durante la Seconda Guerra Mondiale l'Urss avesse accettato di negoziare con Hitler sul disarmo. Così il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, citato dall'agenzia Tass.
"Apertamente, senza esitare, stanno conducendo una guerra ibrida contro di noi. Usano qualsiasi cosa: forniture enormi di armi al nemico, invio di specialisti militari e lavoro delle forze di intelligence. Poi dicono che vogliono riprendere il dialogo strategico sugli armamenti. No, sarebbe come aver negoziato con Hitler sull'abbassamento della soglia delle armi offensive durante la Grande Guerra Patriottica", ha scritto Medvedev su Telegram. L'ex presidente ha osservato che la retorica dei leader occidentali colpisce per la sua incoerenza: "Ogni giorno pronunciano discorsi che sono delle perle".
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Anatolij Sobčak, l’uomo che ha creato Putin – Ascolta
Da San Pietroburgo al Cremlino. I chilometri non sono poi tanti ma è un bel salto, un salto in alto più che in lungo e per farlo Vladìmir Putin ha avuto un decisivo aiuto: quello di Anatolij Aleksandrovič Sobčak, uno dei padri della patria della Russia attuale.