

Esteri
Memoriali per strage Dnipro continuano a spuntare in Russia
(Adnkronos) –
Memoriali in ricordo dei morti di Dnipro continuano a spuntare in numerose città russe, a oltre due settimane dal bombardamento russo del 14 gennaio che ha ucciso 46 residenti di un condominio della città ucraina. Sono almeno 50 le città russe dove i cittadini hanno cominciato a portare candele, fiori, giocattoli, foto di Dnipro e scritte con il nome della città sotto monumenti di poeti ucraini o che hanno qualche relazione con l’Ucraina. E più le autorità li portano via, più la gente torna con i fiori. Lo scrive Moscow Times, parlando “di una delle più prolungate espressioni pubbliche di opposizione all’invasione dell’Ucraina”.
Memoriali smantellati sono stati ripristinati a Mosca e San Pietroburgo, così come a Krasnodar e a Kazan, capoluogo del Tatarstan, nota il sito web Activatica. E a San Pietroburgo ieri si contavano ben sette di questi memoriali, aggiunge il sito. Almeno tre persone sono state arrestate nel weekend per picchetti anti guerra a San Pietroburgo, Krasnoyarsk e Saratov. L’attivista Yekaterina Varenik è stata intanto condannata a 12 giorni di carcere, dopo essere stata arrestata lunedì scorso accanto ad un memoriale a Mosca.
Esteri
Rossi: “Una guerra russo-polacca forse non ci sarà, ma intanto Varsavia si prepara”

(Adnkronos) – Davvero la Polonia si prepara a combattere direttamente, non solo tramite forniture di armi e volontari, le forze russe? Risponde, parlandone con l’Adnkronos, l’esperto di geopolitica David Rossi. Partendo dalle parole di sabato scorso dell’ambasciatore polacco a Parigi Jan Emeryk Rościszewski, secondo cui, se l’Ucraina non riuscisse più a difendere la sua indipendenza, Varsavia finirebbe per entrare nel conflitto, l’esperto di geopolitica si dice “non stupito” dalle affermazioni del diplomatico, successivamente confermate anche dal ministero degli Esteri, previa precisazione “che non vi è stato alcun annuncio di un coinvolgimento immediato della Polonia nel conflitto, ma solo un avvertimento delle conseguenze che una sconfitta dell’Ucraina potrebbe avere”…
Precisazione dovuta, ammette Rossi, ma che in realtà non è che “una conferma piena dell’affermazione di Rościszewski. E la cosa neanche stupisce, dal momento che l’ex presidente ed ex premier russo Dmitry Medvedev pochi giorni prima aveva sottolineato l’importanza di allontanare il più possibile i confini dei paesi ostili dalla Russia, ‘fossero anche i confini della Polonia'”.
“Per capire quello che sta succedendo occorre fare una premessa – spiega Rossi – La Polonia, con i Baltici, la Svezia, la Finlandia e il Regno Unito, è uno dei Paesi europei che si sono sentiti più minacciati dalla Russia nei 23 anni del regime di Vladimir Putin… e non senza motivo! Omicidi mirati di personaggi scomodi sul loro territorio, simulazione di attacchi nucleari durante esercitazioni militari, aperte minacce da parte di esponenti politici e commentatori russi, atti di sabotaggio all’economia e alla sicurezza del Paese, ‘addomesticazione’ di funzionari pubblici dei paesi limitrofi: in questi Stati il Cremlino ha dato dovizia di ragioni per non vedersi concedere alcuna fiducia né tolleranza. Per Varsavia, come per Tallinn e Stoccolma, l’appeasement è un lusso che si può permettere chi sa che alla peggio sarà l’ultima preda del coccodrillo e magari quando verrà il suo turno la belva sarà sazia”.
“In un simile scenario – prosegue l’esperto – la leadership polacca ha inteso concedersi ben altri lussi. Intanto, nel 2023 spenderà il 4 per cento del suo Pil per la difesa: per capire di quale cifra enorme si tratta basti dire che è il doppio della spesa media degli altri Paesi della Nato e la più grande spesa pro capite per la difesa nell’Alleanza, ma anche che l’Italia nella migliore delle ipotesi arriverà al 2 per cento entro il 2028. Già prima della guerra in Ucraina, la Polonia, consapevole della minaccia russa, aveva iniziato a rinnovare le forze armate, fino ad allora farcite di obsolete attrezzature di epoca sovietica”.
“Gli obiettivi a questo punto sono ambiziosi – sottolinea Rossi – Secondo il ministro della Difesa Mariusz Błaszczak, Varsavia intende avere il secondo esercito più forte della Nato, dotandolo di armi moderne, prodotte secondo gli standard della del Patto Atlantico, provenienti dagli Stati Uniti, dalla Corea del Sud e dall’industria bellica polacca. Questo per il fatto che – ha spiegato il ministro – la difesa della Polonia non può dipendere da altri Paesi: ‘La Nato può essere l’alleanza più forte della storia, ma nessuno si prenderà cura della sicurezza della nostra patria per noi…questa alleanza è stata costruita sul principio che ogni Paese membro si prende cura della propria sicurezza’. A questo scopo, per Varsavia è di fondamentale importanza creare un esercito che sia abbastanza forte da dissuadere qualsiasi potenziale aggressore dal decidere di attaccare”.
“I numeri sono più impressionanti delle parole: mille carri armati sudcoreani K2 e duecentocinquanta tank di ultima generazione dagli Usa faranno di quella polacca la più grande forza di carri armati d’Europa. Per non dire dell’artiglieria: seicento obici semoventi da 155 mm K9, diciotto lanciatori Himars con novemila razzi e quasi trecento sistemi lanciarazzi multipli K239 Chunmoo dalla Corea del Sud – elenca Rossi – Aggiungiamo a tutto questo ben di Dio oltre mille veicoli da combattimento di fanteria Borsuk di fabbricazione polacca per il trasporto delle truppe e, per la copertura dei cieli, un centinaio di elicotteri Apache AH-64E made in USA e quasi cinquanta aerei da combattimento FA-50 coreani. Ma perché la Polonia si affretta a creare questa forza armata impressionante? L’esercito russo non sembra in grado di conquistare l’Ucraina, men che meno la Polonia: dal momento che ogni giorno tra Donbass e Mar Nero Mosca ‘spende’ un migliaio di vite degli uomini mobilitati a settembre e riesce a guadagnare pochi chilometri alla settimana quando va bene, i problemi sono altri”.
Secondo l’esperto di geopolitica, “il fatto è che nessuno ha la più pallida idea di quanto durerà la guerra, anche perché pare ovvio che i russi permetteranno al Cremlino di ‘prelevare’ ancora una volta alcune centinaia di migliaia di riservisti, quando anche quelli del 2022 saranno stati ‘spesi’. Le forze armate sono, in molte regioni dell’immenso paese, l’unico ascensore sociale: il servizio militare permette di togliere dalle strade e dalle famiglie disoccupati, parassiti e bocche improduttive. Quindi, genera una piccola entrata, ma soprattutto riduce le spese familiari: per questo, sarà tollerato finché non porterà via – per la bulimia delle forze armate – molti giovani istruiti e lavoratori qualificati dalle grandi città dell’ovest con madri e mogli più protettive. Questo ‘prelevamento’ di riservisti avverrà a prescindere dal risultato della controffensiva ucraina prevista tra la primavera e l’estate: a meno di un esito catastrofico, Mosca consoliderà le nuove posizioni e preparerà un altro inverno di guerra di logoramento”.
“La Polonia, che condivide un confine con la regione russa di Kaliningrad e con la Bielorussia ridotta a un protettorato di Mosca – conclude Rossi – non intende stare a guardare, anche perché una cosa sarebbe combattere contro le forze del Cremlino in Ucraina, un’altra sul proprio territorio. Dato che questa guerra ci ha abituato a rompere i tabù, non pare impossibile che nel 2024 o nel 2025 le forze polacche vengano schierate direttamente in territorio ucraino, per evitare che il logoramento di uomini e morale ucraini porti i russi a una vittoria anche molto parziale. Non era già successo durante la guerra civile spagnola che sovietici, nazifascisti e democrazie si combattessero direttamente, senza per questo provocare nell’immediato un conflitto internazionale? La stessa cosa è successa tra la Cina popolare e gli Stati uniti durante la guerra di Corea. Insomma, la Polonia vuol tenersi pronta anche a uno scenario che oggi appare estremo, come in fondo lo era quello di un’invasione russa dell’Ucraina prima del 24 febbraio di un anno fa”.
(di Cristiano Camera)
Esteri
Guerra Ucraina, Cina ha venduto droni a Russia: le prove del Nyt

(Adnkronos) – La Cina, nell’anno successivo all’invasione dell’Ucraina e all’inizio della guerra, ha venduto droni e loro componenti alla Russia per più di 12 milioni di dollari. Lo rivela un’inchiesta del New York Times basata sull’analisi dei dati doganali ufficiali russi forniti da una società terza.
Secondo il quotidiano, la Cina ha fornito alla Russia un mix di prodotti della Dji, società tecnologica cinese leader nella realizzazione di droni, e di una serie di aziende più piccole, spesso tramite piccoli intermediari ed esportatori.
Le vendite ufficiali, secondo il Nyt, sono probabilmente solo una parte di un flusso più ampio di tecnologie attraverso canali non ufficiali che arriva in Russia attraverso nazioni ‘amiche’ come Kazakistan, Pakistan e Bielorussia. Il secondo marchio più venduto di droni, dopo Dji, è stato Autel, un produttore cinese con filiali negli Stati Uniti, in Germania e Italia. Sono stati venduti quasi 2 milioni di dollari di droni di questo marchio, con l’ultima spedizione risalente al mese scorso.
Esteri
Esperta diritto Usa: “caso Ny debole, Trump rischia di più con altre inchieste’

(Adnkronos) – Con l’eventuale incriminazione di Donald Trump a New York per il caso Stormy Daniels si entrerebbe “in terra incognita”. Così Pamela Harris, docente di diritto pubblico americano e diritto comparato alla John Cabot University di Roma, commenta con l’Adnkronos la “prima incriminazione di un ex presidente”, senza quindi precedenti o procedure note, che potrebbe arrivare “in futuro prossimo” dal procuratore di Manhattan, Alvin Bragg, per quello che, sulla carta, appare come “il più debole dal punto di vista giuridico” tra i casi giudiziari in cui continua ad essere coinvolto Trump mentre porta avanti la nuova campagna presidenziale.
“Secondo me è molto difficile, se non impossibile, provare che Donald Trump abbia pagato Micheal Cohen con l’intenzione di commettere un reato”, spiega infatti Harris, riferendosi alla vicenda dei 130mila dollari pagati nel 2016 dall’avvocato alla porno star Stormy Daniels per comprare il suo silenzio sulla relazione avuta con il tycoon nel 2006. Quei soldi furono restituiti a Cohen da Trump e segnati sui registri contabili come spese legali, cosa che costituisce “una falsificazione di documenti che può portare all’incarcerazione” soltanto se legata all’intenzione di commettere un reato.
Invece “sono rilevanti le altre possibilità di incriminazioni” che rischia l’ex presidente, e di nuovo candidato alla Casa Bianca, in particolare quella in Georgia con l’inchiesta “per le violazioni della legge elettorale”, per lui “molto più pesante” perché, ricorda Harris, c’e’ la registrazione della sua telefonata al funzionario responsabile delle elezioni in cui gli chiede di “trovargli oltre 11mila voti”.
Poi ci sono le inchieste federali, i possibili sviluppi sul 6 gennaio, dopo che la commissione del Congresso ha raccomandato l’incriminazione di Trump per incitamento, e l’inchiesta sulle carte segrete che l’ex presidente ha trattenuto a Mar a Lago.
Sembra invece che la prima incriminazione arriverà proprio dal caso, che appare più debole, di New York: “il fatto che il procuratore sia negli Usa una posizione elettiva, politica, può aiutare a capire perché il procuratore può andare avanti con un’incriminazione non così forte, molto rischiosa”, spiega ancora la docente della John Cabot, sottolineando che in ogni caso Bragg diventerà “il procuratore che ha incriminato il primo ex presidente della storia”.
Riguardo poi a come potrà svolgersi la cosa, per Harris non c’e’ “nessun motivo per pensare che Trump si meriti un trattamento diverso” da qualsiasi incriminato che viene arrestato, sottoposto al prelievo delle impronte e le foto segnaletiche, prima del rilascio su cauzione Ovviamente aggiunge “ragioni sicurezza e riservatezza verranno assicurate, anche visto il modo in cui insiste nel fomentare manifestazioni e minacce di violenza”.
Tutto questo, incriminazione ed arresto, non impedirà a Trump di “proseguire la sua campagna elettorale, anche se non si può prevedere se questo potrà essere di sostegno” alla sua candidatura, “mi sembra difficile che possa attrarre nuove sostenitori alla sua causa anche se nel breve periodo potrebbe generare ancora più rabbia”, continua Harris sottolineando che questo potrebbe essere vantaggioso per le primarie.
Il discorso potrebbe essere diverso per le elezioni generali anche se “purtroppo la nostra soglia di offesa e sgomento è molto più alta” dopo il primo mandato di Trump. “E’ difficile immaginare che uno incriminato possa vincere nelle elezioni generali – conclude Harris – ha sempre un livello di approvazione piuttosto basso il 35% , è così polarizzante e ha alienato così tanti repubblicani: le incriminazioni da una parte eccitano la base, ma dall’altra parte vedere il candidato sotto processo non ispira fiducia”.
Esteri
Kazakistan, ambasciatore a Roma: “Con governo Meloni relazioni si espandono”

(Adnkronos) – “Il nostro Paese ha collaborato con successo con l’Italia sotto il governo di Mario Draghi e continua a espandere le relazioni sotto il governo di Giorgia Meloni”. Lo afferma l’ambasciatore kazako in Italia, Yerbolat Sembayev, in un’intervista all’Adnkronos nella quale sottolinea come l’Italia sia il primo partner commerciale del Kazakistan in Europa e il terzo nel mondo dopo Russia e Cina, con una quota di oltre l’11,1% del fatturato totale del commercio estero del Kazakistan nel 2022 (9,5% nel 2021).
“L’anno scorso abbiamo festeggiato i 30 anni di relazioni diplomatiche. In questo periodo, le relazioni tra i nostri Paesi hanno raggiunto un livello molto alto, sia dal punto di vista politico che economico. I nostri Paesi collaborano con successo anche nell’ambito di strutture multilaterali”, prosegue Sembayev, rimarcando i settori di cooperazione tra Italia e Kazakistan, a partire dall’energia.
“Oltre il 90% del fatturato commerciale tra i nostri Paesi è rappresentato dall’esportazione di petrolio kazako, e il nostro obiettivo principale per i prossimi anni è quello di diversificare l’export del Kazakistan verso l’Italia e promuovere lo sviluppo commerciale delle aziende italiane nei settori dell’agricoltura, dell’ingegneria, del turismo, dell’industria leggera e manifatturiera”, spiega il diplomatico, evidenziando che “oltre 250 aziende a partecipazione italiana operano con successo in Kazakistan e dal giugno 2022 la compagnia italiana Neos ha aperto collegamenti aerei permanenti tra Milano e Almaty”.
L’ambasciatore commenta poi l’invio nei mesi scorsi in Germania del primo carico di 20mila tonnellate di petrolio kazako, con un secondo carico “previsto nel prossimo futuro”. Per quanto riguarda le alternative al petrolio russo verso l’Europa, “in futuro, a determinate condizioni tecniche, il Kazakistan potrebbe utilizzare il suo potenziale di idrocarburi per stabilizzare la situazione sui mercati mondiali ed europei. Il nostro Paese potrebbe diventare un ‘mercato cuscinetto’ tra Est e Ovest, Sud e Nord”, dichiara.
Sembayev parla poi della guerra in Ucraina, nel giorno in cui al Cremlino si tengono colloqui ufficiali tra il presidente russo, Vladimir Putin, ed il leader cinese, Xi Jinping. “Il Kazakistan è uno Stato amante della pace, che ha volontariamente rinunciato a suo tempo al proprio arsenale nucleare e che persegue con decisione la risoluzione pacifica delle questioni controverse nelle relazioni internazionali – precisa – Il nostro Paese è favorevole a una risoluzione quanto più rapida possibile del conflitto russo-ucraino attraverso i negoziati e la diplomazia”.
“La Russia e l’Ucraina sono paesi storicamente amici del Kazakistan. Il nostro presidente Kassym-Jomart Tokayev è in costante contatto con i capi di entrambi gli Stati, esortandoli a sedersi al tavolo dei negoziati e a trovare un modo pacifico e diplomatico per risolvere la controversia”, aggiunge.
L’intervista è anche l’occasione per fare il punto sul processo di democratizzazione del Kazakistan, dove il 19 marzo si sono tenute le elezioni per il rinnovo del Majilis, la Camera bassa del Parlamento, e dei Maslikhat, terzo appuntamento elettorale dopo il referendum costituzionale di giugno e le presidenziali di novembre.
Le elezioni di domenica scorsa sono state vinte dal partito Amanat (53,90% dei voti), mentre sono riusciti a superare la soglia del 5% per entrare in Parlamento il Partito patriottico democratico popolare Auyl (10,9%), Respublica (8,6%), Ak Zhol (8,4%), il Partito popolare del Kazakistan (6,8%) e il Partito nazionale socialdemocratico (5,2%).
“Oggi il Kazakistan sta attraversando una fase di riforme politiche ed economiche senza precedenti. Il programma di riforme politiche proposto da Tokayev apre una nuova fase di sviluppo e pone le basi per la creazione di un ‘Kazakistan nuovo e giusto’. Queste riforme mirano alla modernizzazione e alla coerente democratizzazione del nostro Paese”, dice l’ambasciatore.
“Il popolo kazako percepisce positivamente le trasformazioni in atto nel Paese”, prosegue Sembayev, ricordando come lo scorso 5 giugno, in occasione del referendum nazionale, siano passati a larga maggioranza (oltre il 77% di sì) i progetti di modifica della Costituzione. “Ciò indica che la stragrande maggioranza della popolazione kazaka sostiene l’attuale corso delle riforme”.
Dal discorso alla nazione in cui Tokayev propose “un programma di riforme politiche radicali”, pronunciato nel marzo 2022 sulla scia dei tumulti popolari sedati anche con l’intervento dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva a guida russa, “sono state create le condizioni per una reale competizione tra i partiti – conclude l’ambasciatore – Tutte queste trasformazioni testimoniano che il Kazakistan è entrato in una nuova era del suo sviluppo. Oggi non sono molti i Paesi al mondo che stanno intraprendendo una trasformazione così massiccia”.
Esteri
Russia-Usa, ancora tensione nei cieli

(Adnkronos) – Ancora tensioni nei cieli tra Russia e Stati Uniti. Mosca ha reso noto di aver inviato un cacciabombardiere Su-35 nella regione del Mar Baltico in seguito al rilevamento di due bombardieri strategici americani B-52H in grado di trasportare bombe nucleari. I sistemi russi hanno individuato i due velivoli che volavano in direzione del confine con la Federazione russa, ha riferito l’agenzia di stampa russa Interfax.
“I bersagli sono stati identificati come bombardieri strategici B-52H dell’aeronautica statunitense – ha dichiarato il Centro di controllo della difesa nazionale russa – Un caccia Su-35 delle Forze di difesa aerea del distretto militare occidentale è decollato per identificare e prevenire le violazioni del confine della Federazione russa. Dopo il ritiro degli aerei militari stranieri dal confine, il caccia è tornato alla sua base. La missione del caccia russo è stata condotta nel rigoroso rispetto delle regole internazionali sull’uso dello spazio aereo. La violazione del confine non è consentita”.
Nei giorni scorsi un drone americano in volo sul Mar Nero, dopo essere stato intercettato da due jet russi, era precipitato dando il via a uno scambio di accuse tra Washington e Mosca, con il primo contatto diretto tra le due superpotenze dopo il primo anno di guerra in Ucraina. Il drone MQ-9 americano sarebbe precipitato dopo la collisione con un jet Su-27 russo, secondo la versione a stelle e strisce. Ma la Russia ha negato ogni responsabilità e parla di incidente: il drone è caduto da solo dopo una manovra errata.
Gli Stati Uniti ricostruiscono l’episodio, durato 30-40 minuti, con le informazioni diffuse da Casa Bianca e Pentagono. Il drone, secondo il generale James Hecker, “stava conducendo operazioni di routine nello spazio aereo internazionale quando è stato intercettato e colpito da un aereo russo”, appunto un Su-27 che ha “provocato un incidente e la completa perdita dell’MQ-9”. Gli Usa hanno deciso di abbattere il drone in acque internazionali.
Il jet, dice il portavoce del Pentagono Pat Ryder, ”probabilmente è stato danneggiato”. ”A causa dei danni, abbiamo dovuto farlo precipitare nel Mar Nero”, aggiunge il portavoce del Pentagono, spiegando che il drone non riusciva più a volare. Il drone MQ-9 Reaper, aggiunge, stava conducendo “operazioni di routine nello spazio aereo internazionale”.
Il generale Hecker ricostruisce le tappe dello scontro: “Alle 7.03 del mattino, uno dei” due “jet russi Su-27” presenti nell’area “ha colpito l’elica dell’MQ-9, costringendo le forze degli Stati Uniti ad abbattere l’MQ-9 in acque internazionali. Diverse volte, prima della collisione, i Su-27 hanno rilasciato carburante volando davanti all’MQ-9 in modo imprudente, non consono e non professionale. Questo incidente dimostra una carenza di competenza oltre a” un comportamento “pericoloso e non professionale”, le parole di Hecker.
La Casa Bianca si esprime attraverso John Kirby, portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale: “Se il messaggio è che” i russi “vogliono dissuaderci dal volare e operare nello spazio aereo internazionale, sopra il Mar Nero, allora quel messaggio fallirà, perché ciò non accadrà”. Perché “continueremo a volare e a operare nello spazio aereo internazionale su acque internazionali”. Kirby, quindi, aggiunge che “il Mar Nero non appartiene ad alcuna nazione. E continueremo a fare ciò che dobbiamo fare per i nostri interessi di sicurezza nazionale in quella parte del mondo”. Gli Usa valutano se diffondere almeno in parte le immagini dell’episodio. Intanto, lavorano per recuperare i resti del velivolo ed evitare che la tecnologia a stelle e strisce, con eventuali dati raccolti, finisca nelle mani sbagliate. “Senza scendere nei dettagli, posso dire che abbiamo intrapreso i passi” necessari, dice Kirby. “E’ una proprietà degli Usa, non vogliamo che qualcun altro ci metta le mani sopra”.
A Washington, viene convocato l’ambasciatore Anatoly Antonov, chiamato a fornire spiegazioni dopo la prima risposta del ministero della Difesa da Mosca: il drone americano MQ-9 Reaper precipitato nel Mar Nero ”stava violando le norme di utilizzo dello spazio aereo” e per questo ”i caccia russi si sono alzati in volo”. Ma ”non c’è stato alcun contatto tra il drone americano e i caccia russi” che ”non hanno utilizzato armi”.
”Il drone americano, in seguito a una brusca manovra, ha perso il controllo in volo, ha avuto una perdita di quota ed è precipitato in acqua”, sostiene il ministero. ”Il drone stava volando in direzione del confine della Federazione russa”, aggiunge la nota, affermando che il velivolo aveva ”i transponder spenti”. Il ministero afferma inoltre che ”dopo essere stato rilevato il drone, i caccia delle forze armate russe in servizio si sono alzati in volo”.
“La Russia non sta cercando lo scontro con gli Stati Uniti’, dice Antonov. “La Federazione russa considera una provocazione l’incidente con il drone americano nei cieli sopra il Mar Nero”, afferma. “La questione delle ‘conseguenze” per Mosca dopo l’incidente del drone non è stata sollevata”, spiega il diplomatico, sottolineando la necessità che gli Stati Uniti e la Russia agiscano “con molta attenzione” dopo gli ultimi eventi.
Esteri
Xi da Putin e la crisi ucraina, Sisci: “La Cina teme Russia a pezzi”

(Adnkronos) – Una visita “forse per salvare la Russia da un’umiliazione totale e cocente” perché “quello che la Cina teme di più è che la Russia vada a pezzi oppure che arrivi un governo filoccidentale”. Il sinologo Francesco Sisci ragiona con l’Adnkronos sulla visita di Xi Jinping a Mosca da Vladimir Putin, quel presidente russo con cui il leader cinese aveva consolidato un’intesa “senza limiti” poco prima dell’inizio della guerra in Ucraina, più di un anno fa. Xi è atterrato a Mosca dopo la visita saltata di Antony Blinken in Cina, dopo il mandato di arresto della Corte penale internazionale contro Putin e il riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran con la mediazione cinese, per quello che i media cinesi descrivono come un “viaggio di pace” che dovrebbe essere per il leader cinese l’occasione per “un ruolo costruttivo nel promuovere colloqui di pace” che pongano fine al conflitto in Ucraina. “E’ possibile che Xi vada adesso in Russia perché è fallita l’offensiva russa e ancora non è iniziata quella ucraina – dice Sisci pensando ai prossimi mesi – Sappiamo che l’offensiva russa è fallita, che non hanno fatto alcun progresso, mentre l’offensiva ucraina potrebbe sfondare. E allora se gli ucraini per la seconda volta riconquistassero parti di territorio che avevano preso i russi, naturalmente la posizione russa diventerebbe molto, molto difficile, imbarazzante”.
Quindi, prosegue, “è possibile che i cinesi abbiano scelto questo momento per trovare una soluzione che salvi la Russia da un’umiliazione cocente”. “Il problema – evidenzia Sisci – è che la Russia comunque è sconfitta, ma se la Cina attraverso questa mediazione riesce a salvare un pezzo di Russia è un risultato molto importante per la Repubblica Popolare perché quello che la Cina teme di più è che la Russia vada a pezzi oppure che arrivi un governo filoccidentale”. E, continua il sinologo, “questa mediazione cerca di prevenire in qualche misura i due scenari” e anche di “sganciare” il gigante asiatico da “eventuali errori russi” in modo da poter in ogni caso rivendicare di aver “lavorato per la pace”. Pechino, afferma ancora, “interviene oggi e non un anno fa” perché “si rende conto che la Russia non può vincere” e “cerca di evitare pur nella sconfitta un’umiliazione”, un’impresa “non facile perché la Russia è molto divisa e lo stesso è per l’Ucraina”. E la questione delle armi? Secondo Sisci, la Cina “non è interessata a farsi coinvolgere troppo” nel conflitto e la priorità del gigante asiatico “sembra essere oggi quella di fermare la guerra prima che travolga la Russia”.
Senza dimenticare, avverte il sinologo, che “come la prima Guerra Fredda è cominciata davvero con la Guerra di Corea così la seconda guerra fredda è cominciata davvero con la guerra in Ucraina”. “Allora i rapporti tra Cina e Russia erano cruciali e lo sono anche oggi – osserva – però, memore credo di quell’esperienza passata, la Cina non vuole trovarsi a gestire una situazione impossibile come fu la Corea” e “cerca di evitare la trappola della Guerra di Corea”.
I cinesi, prosegue, “vogliono presentarsi come mediatore”, ma proporsi come “mediatore neutrale è difficile perché la propaganda nella Repubblica Popolare è filorussa e anti-americana” e inoltre “Xi va a Mosca ma non a Kiev”, quindi “è chiaro” che si tratta di una “posizione spostata”. Sarebbe comunque, rimarca, un “fatto positivo se si riuscisse a trovare un modo per fermare la guerra ed evitare questo inutile massacro” e se accadesse ci sarebbe “il problema del dopo, perché si apre la questione russa” poiché “la guerra ha tenuto sotto un tappo tutte le tensioni interne”.
Intanto continuano a rincorrersi le voci su una possibile telefonata tra Xi e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dopo i colloqui a Mosca e, rileva Sisci, sarebbe “importante anche perché Zelensky ha dato credito al piano cinese” a differenza di “tanti altri in Occidente che si sono dimostrati scettici”. Così, secondo il sinologo, un colloquio telefonico con Zelensky potrebbe essere “forse più importante dell’incontro con Putin perché vorrebbe dire che effettivamente la Cina cerca di riposizionarsi e questo riposizionamento potrebbe essere cruciale”.
Per molti la visita di Xi in Russia è una chiara dimostrazione di sostegno a un leader del Cremlino sempre più isolato. Ma, conclude Sisci, “se Xi riuscisse a portare a casa qualunque cosa, sarebbe un buon risultato”, anche dopo “quello tra Iran e Arabia Saudita”, e si potrebbe “pensare a un incontro, a un vertice con Blinken più sostanzioso, più solido”.
Esteri
“Castrare i gay”, la richiesta delle donne al governo in Tanzania

(Adnkronos) – Castrare gi omosessuali, ”se ritenuti colpevoli” di ”sesso con lo stesso sesso”. E’ la richiesta shock delle donne al governo in Tanzania e in particolare di Mary Chatanda, a capo dell’ala femminile del partito Chama Cha Mapinduzi (Ccm). Durante le celebrazioni per i due anni in carica di Samia Suluhu Hassan, la prima donna presidente della Tanzania, Chatanda ha ”chiesto al governo di imporre sanzioni severe per i reati legati alle attività sessuali tra persone dello stesso sesso. Tali persone dovrebbero essere castrate se ritenute colpevoli”.
Chatanda è considerata una conservatrice intransigente, ma non è il primo esponente politico del suo partito ad alimentare la retorica omofoba. Anche l’ex presidente della Tanzania John Magufuli aveva sostenuto una linea dura anti-gay e un funzionario regionale di Dar es Salaam aveva istituito una task force per rintracciare i gay provocando scalpore in tutto il mondo.
Le relazioni omosessuali sono vietate in Tanzania e sono previste lunghe pene detentive per chi le pratica. Ma la Tanzania non fa eccezione. Il parlamento ugandese sta attualmente discutendo la reintroduzione della legge che vieta le relazioni omosessuali. In Kenya, il presidente William Ruto ha recentemente criticato una sentenza della Corte Suprema ritenuta favorevole alla comunità gay affermando che l’omosessualità rimane inaccettabile in Kenya.
Esteri
20 anni fa la guerra, l’ambasciatore a Baghdad: “Una delle poche democrazie in Mo”

(Adnkronos) – Vent’anni dopo l’inizio della guerra americana in Iraq “molte delle aspettative” sul cambio di regime a Baghdad “sono andate deluse, ma gli iracheni sono comunque riusciti a edificare una delle poche democrazie funzionanti nella regione”. L’ambasciatore italiano a Baghdad, Maurizio Greganti, traccia “un quadro di luci e ombre” alla vigilia del 20mo anniversario della guerra lanciata da George W.Bush per mettere fine al regime “brutale e oppressivo” di Saddam Hussein ed esportare la democrazia nel Paese.
“L’intervento americano – dice l’ambasciatore all’Adnkronos – aveva suscitato grandissime aspettative nella popolazione per un cambio di regime. Vent’anni dopo possiamo dire che parte di quelle aspettative sono andate deluse: il cambio di regime c’è stato, ma non ha portato stabilità e sicurezza, piuttosto guerra civile e il terrorismo di al Qaeda e dell’Isis”. E tuttavia, riconosce Greganti, “gli iracheni sono riusciti a edificare, pur tra mille difficoltà, una democrazia che con tanti limiti funziona ed è una delle pochissime in Medio Oriente”.
In Iraq si vota ogni quattro anni e le elezioni del 2021 “sono state quelle di maggior successo, certificate dalle missioni di osservazione internazionale come corrette e trasparenti, senza problemi di ordine pubblico e accesso al voto, seppur con una bassa affluenza”, ricorda l’ambasciatore. E oggi il Paese vive “una fase di stabilità dopo la formazione del governo lo scorso ottobre”, nonostante la presenza delle milizie filoiraniane, che l’esecutivo sta cercando di “gestire” e che “non rappresentano un elemento destabilizzante per quanto riguarda la sicurezza”, sostiene Greganti.
In questo quadro “gli iracheni guardano con fiducia al futuro, c’è una grande voglia di normalità e di non tornare al passato”. Un’aspirazione, questa, osserva l’ambasciatore, favorita dal fatto che “il 60% della popolazione ha meno di 30 anni, nel 2003 si contavano 23 milioni di abitanti, oggi sono 42, un dato che ha moltissime implicazioni”. Se da una parte, spiega il diplomatico, “la maggioranza della popolazione non ricorda Saddam e non ha vissuto il suo regime”, dall’altra la crescita demografica “così tumultuosa comporta un aumento della domanda di lavoro che il mercato non riesce ad assorbire”.
Sono le luci e le ombre del nuovo Iraq, che ha fra i suoi problemi più urgenti “la necessità di fornire servizi e infrastrutture adeguati, perché in questo ventennio poco è stato fatto, di affrontare le questioni legate alla mancanza d’acqua ed ai fenomeni atmosferici estremi, causati dai cambiamenti climatici, mentre continua a lottare contro la corruzione diffusa”, sottolinea Greganti.
L’ambasciatore parla poi dei rapporti bilaterali tra Italia e Iraq – di cui siamo “uno partner più importanti, non lo abbiamo mai abbandonato e gli iracheni ce ne danno atto” – elencando tutti i settori in cui il nostro impegno è forte e continuo, da quello archeologico a quello della sicurezza, da quello nella cooperazione allo sviluppo a quello economico.
Greganti ricorda anzitutto la cooperazione nel settore archeologico, “con il sostegno italiano a 19 missioni”, e cita il caso di Abu Ghreib, il sobborgo di Baghdad diventato tristemente noto per la prigione che fu teatro di torture ed efferatezze, ma che è invece oggi rilevante per essere sede di un sito archeologico di 600 ettari risalente al 1.400 a.C. Un sito per il quale esiste un progetto dell’università di Bologna guidato dal professore Niccolò Marchetti e che è un po’ il simbolo del nuovo Iraq che vuole lasciarsi alle spalle il passato per “guardare con fiducia al futuro”, trasformandolo in prospettiva in un’attrazione per il turismo.
Poi c’è “il nostro contributo alla stabilizzazione della sicurezza, che è notevolmente migliorata – sottolinea l’ambasciatore – Ci sono ancora delle cellule terroristiche, che ogni tanto conducono attacchi, ma nelle zone più remote del Paese”. “Le nostre Forze armate – ricorda – sono presenti sia nel quadro della coalizione internazionale anti Daesh che a livello bilaterale e nel quadro della missione della Nato, che oggi è la più grande ‘out of area’ ed è sotto il comando del generale italiano Giovanni Maria Iannucci. I nostri militari si occupano soprattutto di addestramento e di sostegno alle formazione delle forze locali e d i nostri carabinieri vengono considerati un modello organizzativo per la polizia federale irachena”.
(segue)
Ci sono poi i rapporti economici: “Secondo i dati relativi al periodo gennaio-novembre 2022 l’interscambio Italia-Iraq si è attestato attorno ai 5,5 miliardi di euro, il 50% in più rispetto allo stesso periodo del 2021 e questa crescita – spiega – è dovuta soprattutto al fatto che abbiamo aumentato gli acquisti di oggi greggio dall’Iraq, che è uno dei nostri principali fornitori. Ma anche le nostre esportazioni sono cresciute del 25% ed aumenta il nostro interesse ad investire”.
Ancora “molto importante il contributo nell’ambito della cooperazione allo sviluppo: l’Italia ha portato avanti moltissimi progetti, nelle aree liberate da Daesh ci sono programmi di sostegno ai rifugiati nei campi profughi, è stata avviata la ricostruzione di scuole, strade e servizi – elenca Greganti, ricordando “l’intervento importante per la diga di Mosul che era a rischio crollo per gli attacchi dell’Isis – Nel complesso siamo uno dei partner più importanti, le relazioni sono ottime, siamo sempre stati al fianco dell’Iraq e non lo abbiamo mai abbandonato”.
Infine l’ambasciatore ricorda che nel 2022 ci sono state cinque delegazioni ministeriali, “l’ultima delle quali il 23 dicembre con la premier Giorgia Meloni, che ha confermato il livello di doverosa attenzione verso un Paese che sembra lontano, ma le cui dinamiche hanno importanti ricadute per l’Italia e per l’Europa, come dimostra la crisi dei migranti, in gran parte curdi iracheni, alla fine del 2021 al confine tra Polonia e Bielorussia”. “Per noi – chiosa – è importante trasmettere il messaggio alle autorità locali che l’Italia è assolutamente attenta a quello che accade in questa parte del mondo e lavoriamo costantemente a favore della sicurezza e della stabilità a livello regionale e globale”.
Esteri
Ucraina, Papa: “Popolo martoriato, soffre per crimini guerra”

(Adnkronos) – “Fratelli e sorelle, non dimentichiamo di pregare per il martoriato popolo ucraino che continua a soffrire per i crimini della guerra”. E’ l’invito di Papa Francesco al termine dell’Angelus. “Come il cieco, sappiamo vedere il bene ed esser grati per i doni che riceviamo? Testimoniamo Gesù oppure spargiamo critiche e sospetti? Siamo liberi di fronte ai pregiudizi o ci associamo a quelli che diffondono negatività e pettegolezzi? Siamo felici di dire che Gesù ci ama e ci salva oppure, come i genitori del cieco nato, ci lasciamo ingabbiare dal timore di quello che penserà la gente? E ancora, come accogliamo le difficoltà e le sofferenze degli altri? Come maledizioni o come occasioni per farci vicini a loro con amore?”.
“Chiediamo la grazia di stupirci ogni giorno dei doni di Dio e di vedere le varie circostanze della vita, anche le più difficili da accettare, come occasioni per operare il bene, come ha fatto Gesù col cieco. La Madonna ci aiuti in questo, insieme a San Giuseppe, uomo giusto e fedele”. “Saluto i partecipanti alla Maratona di Roma, mi congratulo perché con il sostegno di Athletica Vaticana fate di questo evento sportivo un’occasione di solidarietà per i più poveri” conclude il Papa.
Esteri
Terremoto in Ecuador, almeno 15 morti

(Adnkronos) – Sono salite a 15 le vittime del terremoto di magnitudo 6,8 che ha colpito l’Ecuador e il vicino Perù. Il Servizio geologico degli Stati Uniti ha dichiarato che il sisma ha colpito la regione costiera di Guayas in Ecuador, con l’epicentro a circa 80 chilometri a sud di Guayaquil, la seconda città più grande dell’Ecuador. Il sisma ha avuto una profondità di circa 66 chilometri, ha dichiarato l’USGS.
Il segretariato ecuadoriano per la Gestione dei rischi ha riferito che sono quasi 400 le persone rimaste ferite. La maggior parte delle persone ha perso la vita nella provincia di El Oro, mentre si sono registrate vittime anche ad Azuay, sugli altopiani andini, come riporta il quotidiano ecuadoriano El Comercio.
Il presidente ecuadoriano Guillermo Lasso ha invitato alla calma e si è recato nelle province più colpite di El Oro e Azuay, dove ha visitato tra l’altro un ospedale. In Perù, il primo ministro Alberto Otárola ha dichiarato che una bambina è morta dopo il crollo della sua casa nella regione di Tumbes, al confine con l’Ecuador.
I due Paesi si trovano nell’Anello di fuoco del Pacifico, un’area segnata da sconvolgimenti sismici con circa 128 vulcani attivi.
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