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Mauritania, azienda italiana: ‘ambasciata migliora clima per business’

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L’istituzione di una ambasciata d’Italia a Nouakchott decisa ieri dal consiglio dei ministri “migliora il clima per il business” in Mauritania “soprattutto a livello di promozione delle aziende italiane”. Lo afferma all’Adnkronos Luca Francioni, direttore tecnico dell’azienda Bagattini, che si è occupata della fornitura della pavimentazione di 47mila metri quadri di uno dei più grandi terminal container dell’Africa Occidentale, il porto di Nouakchott. 

“Nei compiti di un’ambasciata c’è la promozione delle nostre imprese e nel nostro caso potrebbe dare maggiore visibilità al lavoro già fatto per poi promuoverne altri”, prosegue il dirigente, precisando che la Bagattini, nel caso del porto, ha fornito il materiale che è poi stato installato da imprese locali. 

L’ambasciata a Nouakchott, conclude Francioni, “credo che possa rappresentare una garanzia in più in caso un’azienda come la nostra abbia la necessità di mandare personale sul posto, per necessità correlate con la propria attività”. 

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Russia, l’ascesa di Prigozhin dalla senape fatta in casa alla cheesecake del milionario

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(Adnkronos) – Dagli hot dog con la senape fatta in casa, nel cucinino della casa della madre, al primo ristorante con le spogliarelliste per attirare clienti e uno speciale proiettore luminoso usato personalmente per controllare ogni mattina, dopo le pulizie del locale, che non fossero rimaste polvere o briciole sotto i tavoli, fino alle ostriche servite al Cremlino o la ‘cheesecake del milionario’ offerta in uno dei suoi ristoranti. Il salto di specie di Evgheny Prigozhin avviene nel 2014, grazie al serbatoio naturale del rancio per i militari. Quando l’ex detenuto imprenditore del cibo, estende i suoi interessi economici ai mercenari che mette a disposizione del Cremlino e delle sue avventure nel mondo, offrendo alla sempre più aggressiva postura di politica estera della Russia, un braccio armato flessibile e estraneo ai vincoli del diritto e delle regole.  

Mentre si discute sul ruolo della sua Wagner nell’assedio di Bakhmut o sul coordinamento, o meno, dei mercenari con i militari regolari, è forse utile ricordare l’origine dell’impero costruito dal ‘cuoco di Putin’ che, una volta uscito di prigione, all’inizio degli anni Novanta, terminata una condanna, la seconda, dopo una prima con la condizionale, a 13 anni di carcere per furto con aggressione, vende hot dog per le strade di Leningrado, preparando con le sue mani la salsa con cui insaporiva i panini, arrivando a incassare l’equivalente di mille dollari al mese, al netto dei cento euro per chiosco che versava alla criminalità organizzata per protezione. Una versione, quella illustrata da Prigozhin nel 2011 in una intervista a Gorod 812, alternativa, per la fondazione Open Democracy di Mikhail Khodorkovsky, a quella del denaro accumulato nel giro delle scommesse, laddove Vladimir Putin aveva la delega, come vice sindaco di San Pietroburgo, del gioco d’azzardo e, dal 1993, alla concessione delle licenze per le attività del settore.  

Il denaro viene comunque re investìto in una catena di alimentari, la “Contrast”. Il business nella neo capitalista Russia fruttò tanto da portare lo spregiudicato ma meticoloso Prigozhin ad aprire prima una enoteca e poi, sull’isola di Vasilievsky, un ristorante, ‘Staraya Stamozhnya’ (Casa delle tradizioni, forse non lo sapeva allora ma colse il seme dell’ideologia putiniano) che vanta nel suo menu la cheeskake del milionario, Coscia d’anatra in umido con crauti, Capesante con mousse di sedano e salsa cremosa. Scelse come socio Tony Gear, ex amministratore del Savoy di Londra e in quelli anni responsabile della gestione dei primi alberghi di lusso della città.  

All’inizio nel suo locale si esibivano spogliarelliste per attirare clienti, ma poi, data l’alta qualità del cibo che vi era servito, non fu più necessaria la loro presenza. Fra i clienti fissi l’ex sindaco Anatoly Sobchak e il suo vice, Putin o il violoncellista Mstislav Rostropovich che assoldò Prigozhin per il catering, quando ricevette la Regina di Spagna nella sua casa di San Pietroburgo nel 2001 (il musicista invitò il cuoco al concerto per il suo compleanno al concerto di gala del Barbican l’anno successivo).  

Il neo Presidente Putin portò alla Casa delle tradizioni l’allora Premier giapponese Yoshiro Mori, nell’aprile del 2000. Il Presidente russo, aveva spiegato in seguito il cuoco, apprezzava il fatto che il patron non avesse problemi a servire personalmente il tavolo. Per questo, organizza da lui il suo compleanno nel 2003. Nel frattempo, Prigozhin aveva aperto un secondo ristorante su una barca, la “Nuova isola”, dove Putin portò nel luglio del 2001 l’allora Presidente francese Jacque Chirac, a gustare Filetto con tartufi neri, Caviale su ghiaccio e Pan di zenzero servito con le prugne. Divenne questa una consuetudine: il Presidente ama portare a San Pietroburgo, quindi a cena da Prigozhin, i dignitari stranieri in visita, come fece con George W. Bush, o, con il suo catering, all’Ermitage (con l’allora principe Carlo) o al Cremlino, per Dima Rousseff o Narendra Modi. Prigozhin diventa il ‘cuoco di Putin’.  

Nel 2009, apre il primo e unico ristorante privato alla Duma di Stato. E fornisce il catering per il Forum economico di San Pietroburgo, oltre a organizzare le cene di gala per l’inaugurazione i Dmitry Medvedev Presidente. 

Grazie ai suoi contatti ad alto livello, e a una società fondata negli anni Novanta, la Concord, Prigozhin inizia a ottenere lucrosi contratti per fornire il catering a enti pubblici. Nel 2009, fornisce le mense di San Pietroburgo prive di locali per preparare il cibo e per questo apre un impianto di Yanino, alle porte della città, che sarà visitato da Putin, accompagnato da Prigozhin in camice bianco. Nel 2012 acquisisce il contratto per i pasti per le mense di Mosca per 10,5 miliardi di rubli (220 milioni di euro) e nel 2015 spunta anche un altro lucroso contratto con la Difesa, da 9 miliardi di rubli.  

Gli slogan della società ricordano il proiettore luminoso dei primi tempi: “ognuno dei nostri banchetti è come un’opera d’arte”, “Diamo grande attenzione a ogni dettaglio!”, “Fatto su misura, chic e solo per te”,”non seguiamo le mode, le creiamo”. Ma non convincono i genitori dei bambini che in una scuola di Mosca si sono ammalati dopo aver pranzato alla mensa servita dalla società, che quindi hanno fatto causa.  

Un’altra ciambella senza buco del tycoon della ristorazione è quella della catena di fast food, la Blindonalts, basata su bliny in tutte le salse, ripieni di marmellate, carne o patate. Ma l’ultimo dei locali chiuse nel 2011.  

Nell’estate del 2014, in piena operazione del Donbass, Prigozhin chiede al ministero della Difesa terreni per l’addestramento di “volontari” privi di legami con l’apparato ufficiale ma da poter usare nelle guerra di Mosca. “L’ordine viene da Papa”, aveva affermato allora, come ricordano i suoi interlocutori, usando uno dei soprannomi usati per parlare del Presidente, come ha reso noto il Guardian. Gli vengono concessi terreni a Molkino, nel sud del Paese, dove venne eretta una struttura che si presentava come una colonia per bambini.  

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Marte, un algoritmo cercherà tracce di vita

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(Adnkronos) – Un algoritmo a caccia di tracce di vita su Marte. In un articolo recentemente comparso sulle colonne della prestigiosa rivista di settore “Nature Astronomy”, un gruppo di ricercatori del Seti Institute di Mountain View, negli Stati Uniti, afferma di aver individuato un nuovo metodo per la ricerca di tracce di vita su Marte. Si tratta del combinato disposto di alcune delle scoperte tecnologiche più promettenti degli ultimi anni. Tra queste, l’intelligenza artificiale, i metodi di apprendimento automatico, i droni e le mappe topografiche tridimensionali. 

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Pena di morte negli Usa, D’Elia (Nessuno tocchi Caino): “Con plotone d’esecuzione Idaho torna indietro”

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(Adnkronos) – Uno sviluppo che “afferma l’anacronismo della pena di morte negli Stati Uniti”. Sergio D’Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino, commenta così con l’Adnkronos la scelta del governatore repubblicano dell’Idaho, Brad Little, che ha firmato la nuova legge che consente il ricorso a plotoni d’esecuzione per le condanne a morte, qualora non sia praticabile l’iniezione letale. “Nella storia della pena di morte negli Stati Uniti la Corte Suprema si è sempre mossa sulla linea contraria ai metodi di esecuzione ‘crudeli e inusuali’ – evidenzia – L’Idaho torna indietro agli albori della pena di morte”. 

“Non sono esclusi ricorsi alla Corte Suprema”, rimarca. E bisogna vedere cosa accadrà nei fatti. L’auspicio è che “questo metodo non venga utilizzato al di là delle pronunce”. Forse una “mossa” in un Paese in cui “Donald Trump vuole addirittura reintrodurre la pena di morte per il traffico di droga”. E “nella storia degli Stati Uniti negli ultimi dieci anni l’evoluzione che si è affermata è attraverso moratorie, commutazioni”, sottolinea, ricordando la decisione del governatore democratico della California, Gavin Newsom, che ha annunciato la trasformazione in un centro di “riabilitazione” della prigione di San Quintino, dove si trova il maggior numero di detenuti nel braccio della morte negli Usa. 

E, rimarca D’Elia, “non mancano ogni anno almeno una moratoria o chiusure di bracci della morte o sospensioni anche per motivi tecnici perché non si trovano farmaci” per l’iniezione letale. 

Quindi, conclude il segretario di Nessuno tocchi Caino, “il problema della pena di morte non sono gli Stati Uniti, anche se per noi è inaccettabile” da parte di una democrazia, perché “la strage di condannati” la fanno Paesi come “Iran, Cina, Arabia Saudita, i Paesi autoritari, illiberali che praticano la pena di morte”. E “se vogliamo risolvere il problema, lo dobbiamo risolvere cambiando i regimi politici”. 

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Pena di morte, Noury (Amnesty): “Usa, con il plotone di esecuzione metodi ancora più brutali’

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(Adnkronos) – “Un passo indietro. L’Idaho è il quinto stato americano che ripristina il plotone di esecuzione. Di fronte alla penuria dei medicinali per l’iniziezione letale, sarebbe stato meglio prendere questo spunto per abolire la pena di morte, non per passare a metodi se possibile ancora più brutali”. Così Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, commenta con l’Adnkronos la firma da parte del governatore dell’Idaho, Brad Little, della House Bill 186, il provvedimento che autorizza i funzionari delle carceri dello stato a ricorrere al plotone di esecuzione quando non è possibile praticare l’iniezione letale. Anche Mississippi, Oklahoma, Utah e South Carolina consentono il ricorso al metodo come alternativa all’iniezione letale.  

“Le iniziative che abbiamo in programma sono quelle che la nostra associazione porta avanti rispetto alla pena di morte”, spiega ancora il portavoce di Amnesty International Italia, sottolineando che “dopo la campagna per evitare l’introduzione dell’alternativa del plotone di esecuzione, ora che è in vigore ci batteremo rispetto ad ogni possibilità che venga attuato questo nuovo metodo”. Ma il metodo “di per sé non è l’aspetto più rilevante”, osserva. “Il problema è che nell’Idaho è prevista l’esecuzione di un malato terminale di cancro, Gerald Pizzuto. “E il rischio è che con l’esecuzione di un malato terminale di cancro si inauguri la stagione delle fucilazioni”.  

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Russia, pubblicati in Italia gli scritti di Il’in: il filosofo ‘nella testa’ di Putin

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Sono stati da poco pubblicati in Italia scritti del filosofo russo Ivan Il’in che ha influenzato Vladimir Putin come testimoniato, fra l’altro, dalla traslazione delle spoglie nel 2005 dalla Svizzera al cimitero Donskoi di Mosca, con una cerimonia voluta dal Presidente russo pochi mesi prima del rimpatrio, dagli Stati Uniti, degli archivi del pensatore grazie al finanziamento dell’oligarca Viktor Vekselberg.  

“Sulla Russia” (Aspis) a cura di Olga Strada, autrice, a lungo artefice di scambi culturali fra Italia e Russia ed ex direttrice dell’Istituto di cultura italiano a Mosca, raccoglie i due testi “Sulla Russia. Tre discorsi”, del 1934, e “Cosa riserverà al mondo lo smembramento della Russia”, del 1950, del filosofo russo riscoperto, come altri pensatori emigrati dopo la Rivoluzione, solo negli anni Ottanta del Novecento, testi che individuano, come traccia per garantire uno stato forte in Russia, il riconoscimento della spiritualità insita nella storia del Paese.  

Nel gennaio del 2014 Putin, pochi mesi prima di imbarcarsi nell’avventura della Crimea e del Donbass, regalò ai governatori delle regioni della Federazione, ai funzionari del Cremlino e ai dirigenti di Russia unita opere di filosofi fra cui “Le nostre missioni” di Il’in (gli altri due sono Nicolas Berdiaev e Vladimir Soloviev). Ma nel 2009, l’allora Premier aveva deposto fiori sulla tomba di Il’in al cui pensiero era stato introdotto dal regista Nikita Mikhalkov. La prima citazione, che ruota intorno al concetto di ‘idea russa’ basata su nazione e spiritualismo, risale al discorso del Presidente di fronte alle camere riunite nell’aprile del 2005, 

“Numerose sono le citazioni degli scritti di Il’in alle quali il Presidente russo ha fatto ricorso in occasione degli interventi pubblici di maggiore spicco, tra questi quello pronunciato il 30 settembre del 2022, data in cui è stata ratificata l’annessione nel corpo della Federazione russa di quattro territori ucraini: Donetsk, Luhansk e le regioni di Kherson e Zaporizhzhia”, scrive Strada nella prefazione in cui ricorda che “esattamente cento anni prima, il 29 settembre del 1922, Il’in abbandonava per sempre la sua patria insieme a un folto gruppo di esponenti dell’Intelligenzia”, a bordo di uno dei cosiddetti “piroscafi dei filosofi” organizzati a Lenin per allontanare dal Paese gli scomodi oppositori.  

Il’in nasce a Mosca nel 1883, in una famiglia aristocratica. A Hegel dedica la sua tesi di dottorato. In questi anni aderisce ai movimenti social rivoluzionari, ideali che abbandonerà dopo la Rivoluzione d’Ottobre e l’esilio a Berlino, schierandosi su valori monarchici e conservatori, ponendo al centro della sua analisi speculativa l’esperienza dello spirito, intesa come nucleo essenziale della vita dell’uomo.  

Si schiera quindi con i ‘Bianchi’ che combattono i bolscevichi, iscrivendo il movimento come valore intrinseco dell’etnia russa. Sostiene che l’uso della forza non sia in contrasto all’etica cristiana laddove ci si oppone al male. Valuterà positivamente il fascismo e Mussolini e teorizzerà il “fascismo russo” incentrato sulla lotta ‘bianca’ contro i bolscevichi che ha in seguito preso forma, dirà appunto, in altri Paesi europei come l’Italia. “E, come spesso avviene nelle attività umane, è successo che una delle forme del movimento bianco (quella appunto nazionale italiana) che ha conseguito in loco un serio successo, ha messo in ombra le altre forme preziose e necessarie e ha dato il suo nome a tutto il movimento nella sua totalità”, scrisse.  

“In questo modo Il’in è stato recentemente inserito nella lista nera dei cosiddetti guru del Presidente Putin, ovviamente con una forte valenza negativa e insistendo in particolare sulla sua vicinanza al fascismo. In realtà le cose non stanno esattamente così”, scrive Aldo Ferrari, storico e politologo all’Ispi e a Cà Foscari, in un intervento a chiusura del libro da cui emerge come siano altri gli elementi del pensiero di Il’in ad aver influenzato Putin. Basta citare il brano contenuto nel saggio breve “Quali conseguenze potrebbero derivare dallo smembramento della Russia”: La Russia “è una unità geografica, le cui parti sono legate da un reciproco nesso economico. Questo organismo è un’unità spirituale, linguistica e culturale che grazie a un reciproco nutrimento spirituale ha legato storicamente il popolo russo con i suoi fratelli minori nazionali: si tratta di una unità statale e strategica che ha dimostrato al mondo la sua volontà e la sua capacità di autodifesa, vero e proprio baluardo della pace e dell’equilibrio euroasiatico e quindi universale. Il suo smembramento sarebbe un azzardo politico senza precedenti nella storia, le cui conseguenze disastrose colpirebbero l’umanità per un lungo periodo di tempo”.  

Il filosofo si opporrà poi, in Germania, dopo un iniziale sostegno, al regime nazista. Per questo sarà arrestato più volte, prima di riuscire a fuggire, nel 1938, in Svizzera dove morì nel 1954, dopo aver denunciato gli “errori” del fascismo nel distaccarsi dal cristianesimo.  

 

 

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Russia, oppositrice di Putin in ospedale: “E’ stata avvelenata”

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La dissidente politica russa Elvira Vikhareva è stata avvelenata con sali di metalli pesanti. Lo riferisce il sito indipendente Meduza, citando test di laboratorio a cui Vikhareva è stata sottoposta dopo aver iniziato a manifestare sintomi. Secondo il sito, nel sangue di Vikhareva è stato trovato bicromato di potassio, una sostanza altamente tossica e cancerogena. L’avvelenamento risale a diversi mesi fa. 

La politica, esponente dell’opposizione a Vladimir Putin, ha dichiarato ai giornalisti di aver notato per la prima volta i sintomi alla fine di novembre e all’inizio di dicembre e poi di nuovo all’inizio di febbraio. I sintomi includevano forti dolori allo stomaco, aumento della frequenza cardiaca, intorpidimento delle estremità, spasmi muscolari, svenimenti e perdita di capelli. 

Il sito ha evidenziato che Vikhareva non ha mostrato il suo volto nelle interviste in live streaming negli ultimi mesi. Secondo quanto riferito, ciò è stato dovuto al fatto che gli effetti dell’avvelenamento hanno avuto un impatto notevole sul suo aspetto. Nel 2022, Vikhareva voleva candidarsi al consiglio comunale nel suo distretto di Mosca, ma un tribunale glielo ha impedito, adducendo irregolarità nei suoi documenti di registrazione. 

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Francia, presidente Comites: “Le istituzioni sembrano scollate dal Paese”

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Quello che sta accadendo in Francia per la riforma delle pensioni è un “effetto collaterale” di una politica che “sembra non prestare ascolto ad alcune aree del Paese”, alle loro esigenze sociali. Il risultato è un Paese nel caos, dove c’è uno “scollamento tra le istituzioni e la società”. Lo afferma in un’intervista all’Adnkronos il presidente del Comites di Parigi, Oleg Sisi, nel giorno in cui, a causa degli scioperi su vasta scala annunciati, è stata annullata la visita in Francia di re Carlo e all’indomani di proteste sfociate in incidenti che hanno provocato centinaia di arresti e di poliziotti contusi in tutto il Paese. 

Proteste, spiega Sisi riferendosi alla rivolta dei ‘gilet gialli’ del 2019, a cui la comunità italiana residente in Francia è già “allenata” e a cui una parte più politicamente impegnata non è indifferente. “Ci sono circoli politici italiani e legati al mondo dei sindacati che condividono, se non in tutto, in parte le ragioni della protesta. Alcuni hanno partecipato e contribuito con la loro presenza al movimento”. 

“Per gli italiani che abitano nella circoscrizione di Parigi non ci sono ripercussioni dirette (dagli incidenti, ndr) ad eccezione di quelle che sono le prospettive della riforma pensionistica – prosegue – Nel nostro Paese si va in pensione a 67 anni, gli italiani di nuova immigrazione in Francia sono purtroppo abituati a questo tipo di dinamica”. 

Secondo Sisi, la rabbia vista nelle strade delle principali città francesi nasce da un “malumore” diffuso, in particolare al di fuori delle grandi metropoli, ma anche dalla “disillusione” di una parte di elettori che ha votato quei “movimenti che avrebbero dovuto creare una nuova stagione politica di rilancio e benessere”. 

Al contrario “sembra quasi che nella riforma delle pensioni si voglia far forza sulla capacità di rassegnazione della popolazione”. Sisi definisce poi il ricorso all’articolo della Costituzione 49.3, che annulla il dibattito parlamentare, “una forma di imbavagliamento”, mentre una riforma pensionistica “non può prescindere dall’ascolto di tutte le parti in causa. Non aver incontrato i sindacati credo che sia un gesto politico che denota una chiara postura istituzionale”. 

Il presidente del Comites ribadisce come il governo e la figura di Macron vivano un periodo di “profonda crisi”. Ma è tutta la politica in generale a pagare in questa fase. “Un recente sondaggio del centro di ricerca di Science Po ha confermato un aumento del 30% della sfiducia popolare nei confronti della politica – conclude – Chi ne esce ammaccato non è solo il governo, ma l’intero sistema delle istituzioni che sembra non tenere conto della rivolta”. 

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Tunisia, direttrice Corriere di Tunisi: “Paese è in difficoltà ma non crollerà”

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“Il Paese è in difficoltà, non c’è dubbio, ma non credo che si lasci crollare la Tunisia”. Lo afferma in un’intervista all’Adnkronos Silvia Finzi, professoressa ordinaria presso il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Tunisi, mentre in Italia cresce l’allarme per la situazione nel Paese nordafricano, sempre più in crisi economica e sempre più punto di partenza di migranti irregolari.  

Di “evitare il tracollo economico”, ha parlato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, mentre durante il suo intervento al Consiglio Europeo, la premier Meloni ha ammonito dal rischio che arrivino “900mila” persone. Intanto resta in bilico il prestito alla Tunisia del Fondo monetario internazionale, ritenuto da molti osservatori fondamentale in questa fase per evitare il collasso. 

“Mi sembra importante che la Tunisia riceva degli aiuti, ma non sono gratuiti. Bisogna vedere se questi aiuti, che sono da rimborsare, possano bastare per sollevare l’economia e che cosa si chiede in cambio”, spiega Finzi, che è anche direttrice del Corriere di Tunisi, giornale nato dopo l’indipendenza del Paese nordafricano, avvenuta nel 1956, ed unica testata italiana nel mondo arabo. 

Finzi evidenzia quindi le difficoltà economiche che sta incontrando una parte della popolazione. “Lo Stato contribuisce a calmierare i prezzi dei generi di prima necessità come il pane e lo zucchero. Se fossero tolte queste agevolazioni per questi cittadini ci sarebbero rischi sociali importanti”, prosegue, evidenziando come la Tunisia, Paese che “storicamente” ha relazioni con l’Europa e che “culturalmente è il più europeo” tra quelli della sponda sud del Mediterraneo, va aiutata “da tutti i punti di vista, non solo per contrastare il fenomeno migratorio” e “in una maniera che non serva soltanto gli interessi europei, ma anche tunisini”. 

Poi, sempre a proposito del fenomeno migratorio, la professoressa ritiene che “l’interesse per la Tunisia non può essere soltanto il frutto dell’emergenza in Italia”, precisando di credere che “il discorso sia da fare in maniera più condivisa e meno legata alla paura del momento” e nell’ottica di non considerare il Paese una barriera alla migrazione illegale. 

Finzi invita quindi a valutare l’emergenza migratoria nel suo complesso, a comprendere perché i migranti arrivino in Tunisia “da tutte le parti dell’Africa” e a “interrogarsi veramente sulla situazione libica e a non far finta che questo problema non esista: c’è problema di guerra permanente e questa gente si sposta verso i porti che credono sicuri, come lo è ora la Tunisia”. Se non si comprendono le “ragioni drammatiche di chi arriva a mettere a rischio la propria vita perché sente minacciata la sua sopravvivenza e si cerca di tamponare soltanto, questo problema non si risolverà”, conclude. 

 

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Mark Zuckerberg di nuovo padre, è nata la figlia Aurelia

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Mark Zuckerberg di nuovo papà. Con un post su Facebook, il numero 1 di Meta annuncia che la moglie Priscilla Chan ha dato alla luce Aurora, la terza figlia della coppia. “Benvenuta al mondo, sei una piccola benedizione” scrive postando una sua foto con lei e quella della moglie. Un post che ha raccolto in poche ore oltre mezzo milione di ‘Like’ e migliaia di commenti di congratulazioni.  

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Israele, i neocon del Queens dietro la riforma della giustizia

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Lavorava da anni alla controversa riforma della giustizia che ha poi consegnato chiavi in mano al governo del Premier Benjamin Natanyahu il think tank di Gerusalemme Kohelet Policy Forum. Fondato nel 2012 dall’israeliano con doppia cittadinanza americana Moshe Koppel, computer scientist e studente del Talmud, emigrato da New York a Israele nel 1980 ora residente nell’insediamento di Efrat, preoccupato “per la libertà in Israele”. A finanziare il progetto, un altro americano: il multimiliardario Arthur Dantchik, come ha scoperto Haaretz. Sia Koppel che Dantchik, il cui patrimonio è valutato in 7,2 miliardi di dollari, sono originari del Queens, il più grande dei cinque distretti di New York. Entrambi amano operare lontano dai riflettori.  

La riforma è stata quindi messa a punto negli anni dal conservatore, libertario e di ispirazione religiosa Kohelet Policy Forum e mai discussa a livello politico prima. Neanche il Likud ne aveva mai parlato al suo interno, come ha ammesso l’esponente del partito, Keti Shitrit, in una recente intervista. “Non siamo stati noi a prepararla, è stato il Kohelet (che in ebraico significa Ecclesiaste, ndr)” che da tempo fornisce la destra israeliana di idee e progetti ed è stato pubblicamente ringraziato dall’ex segretario di Stato Mike Pompeo per il suo sostegno nello spostamento della posizione americana sugli insediamenti.  

“Le tattiche dell’istituto sono importate da Capitol Hill”, ha spiegato una fonte citata dal Washington Post, per cui fra i programmi del think tank vi sono incontri con parlamentari conservatori americani non più da considerare come incoerenti con il diritto internazionale. 

In questo momento “si sta spaccando il delicato equilibrio fra la Israele mainstream e gli ultra ortodossi che prima accettavano di dipendere da una società liberale e prospera con un apparato militare forte. La nuova generazione di politici religiosi crede che la Israele laica violi il Shabbat o non è attenta alla modestia delle donne, che questo ostacoli l’arrivo del Messia, cercano quindi di riscrivere la vita degli israeliani”, ha commentato Yofi Tirosh, vice rettrice di giurisprudenza all’Università di Tel Aviv. 

Il deputato ed ex colono in Cisgiordania Simcha Rothman, Presidente della Commissione della Knesset che segue la riforma, ha assunto il ricercatore di Kohelet Shimon Nataf, come consigliere giuridico. Altri dipendenti del think tank hanno iniziato a partecipare ai negoziati sulla riforma fra esponenti della coalizione e dell’opposizione ospitati nella residenza del Presidente.  

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